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Impresa & Stato n°40

 
 

IL PROGETTO DELLA CAMERA DI MILANO PER UNA GIUSTIZIA CIVILE 

Offrire al cittadino un "servizio" 
senza costringerlo a "salire" le scale del Palazzo

di
 GIORGIO SCHIAVONI
 
 
Il 29 dicembre 1993 veniva emanata la legge n. 580. Nel numero 25 (marzo 1994) di questa rivista, Giuseppe De Rita scriveva su "Le nuove Camere di Commercio nel sistema Italia", Francesco Galgano su "Le nuove frontiere delle Camere di Commercio", Lanfranco Senn su "I servizi reali alle imprese e le Camere di Commercio nel quadro della riforma", Giuseppe Tarzia su "Le funzioni di giustizia delle Camere di Commercio". Il 7 febbraio 1997 si teneva infine un Convegno nel corso del quale vengono presentate le grandi linee di un "Progetto giustizia della Camera di Commercio di Milano" con queste parole: 
"... Il cittadino e l'impresa non hanno oggi più interesse ad una semplice diagnosi dello stato di crisi della giustizia civile, ma piuttosto ad alternative percorribili ed iniziative concrete (...) L'autodisciplina, la conciliazione e l'arbitrato corrispondono infatti a tre differenti atteggiamenti dei privati rispetto al conflitto: la prevenzione, la composizione, la risoluzione della lite. Il progetto giustizia della Camera di Commercio di Milano intende formulare proposte di autodisciplina a categorie economiche e professionali e legare queste proposte ad una diffusione della conciliazione e dell'arbitrato come strumenti di ausilio e non di opposizione alla giurisdizione dello Stato." 
In queste righe si cercherà di rendere conto delle idee e dei programmi maturati in seguito a quell'incontro svolotsi alla CCIAA di Milano. 

LE IDEE 
Dal punto di vista delle idee, ci si è definitivamente convinti che i servizi "negli interessi generali delle imprese" e "nelle materie amministrative ed economiche relative al sistema delle imprese" di cui parla la legge di riforma, sono azioni che tendono "a creare condizioni di efficienza ed equità per mercati dove le imprese siano veramente competitive nel rispetto della libertà contrattuale dei privati(...): azioni orientate al sistema, per sua natura sempre più integrato e intersettoriale." Fra questi servizi può (deve?) rientrare quello che cerchi di controbilanciare quel "potere forte" che è la crisi attuale della giustizia civile, potere che distorce il mercato. 
Una CdC può dare questo "servizio giustizia" solo invitando cittadini e imprese a farsi attori essi stessi di una nuova giustizia. Non c'è spazio e non c'è senso per iniziative che cerchino di copiare la giurisdizione dello stato: c'è spazio e senso per iniziative che vadano verso l'autonomia dei privati, intesa come possibilità di regolare in modo libero i propri interessi. Se un giorno le CdC avranno per legge il compito esclusivo di amministrare arbitrati resi obbligatori per certe controversie contrattuali, allora il discorso ora fatto - e la sua audience - cambierà allargandosi. L'Istituzione arbitrale che una CdC offre agli utenti avrà compiti responsabilità ed autorità che oggi non ha. 
Questo "servizio giustizia" può invitare i soggetti privati a farsi attori di una nuova giustizia, partendo da lontano, cioè dalla offerta ai privati di impegnarsi a prevenire le liti, dettandosi norme di comportamento nell'esercizio delle loro attività economiche. Ci si è convinti infine che se riesce questa collaborazione, questo dialogo tra il privato e l'istituzione camerale, allora prende senso nuovo anche l'offerta di conciliazione e di arbitrato che una CdC come quella di Milano oggi già fa alla business community, e alla community in generale. 
Il fine del Progetto giustizia della CdC di Milano è, per usare un'immagine, quello di scendere verso il cittadino, mentre la giurisdizione dello Stato aspetta che egli salga le scale del Palazzo: va da se che il primo non potrà mai porsi in contrasto con l'altra; ma vuole risparmiare fatica e pazienza a quel cittadino. Scendere verso il privato si avvicina all'idea del "servizio" che un imprenditore offre agli interessati; e di un servizio nel mercato deve assumere le caratteristiche che lo oppongano ad un servizio fuori mercato: efficienza, rapporto costi-benefici, qualità professionale. Il servizio deve guardare anche al commercio e ai rapporti internazionali, nei quali l'imprenditore - di qualunque nazionalità - non ha mai avuto troppa simpatia a salire le scale di un palazzo di giustizia, specie se appartiene alla sua controparte straniera. Certamente il "servizio" non avrà gli strumenti coattivi della giurisdizione del Palazzo: proprio perché appartiene al mercato e non a quel potere giudiziario che la costituzione definisce; ma non è detto che non possa acquistare proprio dallo Stato strumenti coattivi come l'exequatur, che il Ministro di Grazia e Giustizia e una proposta di legge esistente hanno ipotizzato per una conciliazione istituzionale, ancora di là da venire. Insomma, a spingere verso forme sostitutive privata è proprio quella crisi di cui Fabrizio Hinna Danesi, Direttore generale degli affari civili di quel ministero, parlò al Convegno. 

I PROGRAMMI 
Se chi offre questo "servizio giustizia" non può stare altro che nelle piazze e nelle strade dei privati, e non in cima alle scale di quel Palazzo, non può paludarsi di vestiti che non gli spettano ma solo offrire ai cittadini innanzitutto quell'informazione chiara che consenta loro di capire quali possibilità concrete essi stessi hanno di compiere atti individuali, atti della loro cosiddetta autonomia, capaci di prevenire una lite oppure di comporne una già nata o, in ultima analisi, di farla risolvere da altri privati che, come loro, appartengono alla stessa città, fatta di industrie, mercati, vita economica e sociale. Poi, l'offerta riguarda servizi che richiedono l'indispensabile partecipazione e collaborazione del privato interessato perché lui stesso è chiamato a darsi la sua legge, come notavano De Nova e Taruffo sempre al convegno citato. 
In questo quadro, "giustizia nel mercato" è giustizia nella città, nell'aggregato urbano, nei luoghi del commercio; ed è giustizia che i privati stessi si fanno, componendo i propri interessi con regole di comportamento liberamente adottate ed osservate, con transazioni effettuate avanti ad un organo privato di conciliazione, con incarichi fiduciari conferiti ad altri privati (gli arbitri) a definire una lite che comunque è scoppiata. Oggi il privato queste cose può già farsele da se: ha gli strumenti per impegnarsi contrattualmente, transigere, far arbitrare, conciliare. La legge dello stato glieli ha dati da tempo. La novità di questo Progetto Giustizia è di offrire una cornice istituzionale, un luogo, una organizzazione, un'assistenza tangibile, una imparzialità di posizione, dei tempi di risposta accettabili. Questa cornice si espande - da sola - sempre di più: dall'arbitrato si è allargata alla conciliazione, essa stessa in via di espansione; comprende ora gli studi in materia di autodisciplina, che porteranno nel '98 all'offerta di disciplinari e regole deontologiche ad alcune categorie economiche che ne avvertono da tempo l'opportunità. E' abbastanza chiaro allora che il coinvolgimento della Camera di Commercio nel settore della giustizia non è solo una conseguenza delle nuove funzioni di giustizia che la Legge 580 ha attribuito alle Camere. Il coinvolgimento è diventato Progetto perché le nuove funzioni si sono raggruppate accanto a quelle preesistenti per un'affinità intrinseca: tutte funzioni che, con autorità e prestigio, aiutano i privati a costruire e gestire il loro diritto, il diritto dei privati, ivi compreso quello che vive nella lite. Queste funzioni sono: la raccolta degli usi, il Registro delle Imprese, il tavolo di autodisciplina, il controllo sulle clausole cosiddette d. abusive, la redazione di contratti tipo, lo sportello di conciliazione, la camera arbitrale e la banca dati sull'arbitrato. 
La Camera di Commercio si propone di osservare con attenzione non solo l'affinità intrinseca di queste funzioni (che è solo il punto di partenza del Progetto stesso), ma la grande quantità di "materiali" privati che si incontra in queste funzioni, come ad esempio: 
a)le clausole contrattuali che si praticano tra certe persone in certe località o nell'ambito di certe professioni. b)le forme di conciliazione cosiddette collettive, che possono fornire indicazioni a rafforzare l'esile (per ora) istituto della conciliazione. L'osservazione di quello straordinario serbatoio di novità giuridiche che la cosiddetta autonomia dei privati produce si gioverà degli apporti diretti delle categorie industriali, commerciali, artigianali, professionali, sindacali rappresentate nei nuovi organi delle Camere di commercio formati in base alla Riforma. Il Progetto non potrà non muovere allora verso servizi camerali specifici e nuovi, al potenziamento ed al raffinamento di quelli esistenti, all'integrazione orizzontale di alcuni, sino ad altri sforzi come la proposizione di nuove leggi e la collaborazione con altre istituzioni.