Impresa & Stato n°40
LE ESIGENZE
DELLE IMPRESE
di
ENZO PULITANÒ
La crisi della giustizia civile
vista da chi opera
giorno per giorno nelle aziende
Troppe, troppo
lunghe e troppo costose: si può così sintetizzare il giudizio
unanime degli operatori del diritto, e non solo di essi, sulle cause civili
che affollano le aule giudiziarie. Questa valutazione negativa, purtroppo,
riguarda tutto il contenzioso civile, quale che ne sia l'oggetto: contratti,
obbligazioni, società, assicurazioni, lavoro, famiglia e via dicendo.
In questa sede, peraltro, intenderò riferirmi alle sole controversie
che coinvolgono le imprese, considerate dall'osservatorio di chi opera
giorno per giorno, per professione, all'interno dell'impresa stessa, nell'ambito
di una Direzione Legale, e quindi ad immediato contatto con l'insorgere,
lo svilupparsi ed il risolversi - vittoriosamente, negativamente o transattivamente
- delle liti.
La quantità, la lunghezza ed i costi delle cause costituiscono
sì un grave ed oneroso problema, ma non l'unico. La stessa decisione
del giudice, pur ponendo fine ad una situazione di incertezza, può
venire a rappresentare un ulteriore problema per la sua non di rado difficile
adattabilità alla realtà operativa aziendale. Si assiste,
in altre parole, ad una frattura fra realtà giuridica e realtà
dei fatti, che - quando si verifica - deriva non certo, o almeno non sempre,
da cattiva applicazione della norma giuridica, quanto piuttosto da una
cattiva norma e/o da una incompleta e lacunosa conoscenza da parte del
giudice degli interna corporis aziendali. La pressoché totalità
dei giuristi di impresa si è trovata a fronteggiare almeno una volta
situazioni in cui l'esecuzione di una sentenza, o di un provvedimento cautelare,
sia apparsa impossibile senza alterare o addirittura scombussolare la corretta
organizzazione dell'azienda soccombente, in misura assolutamente sproporzionata
ed al di là dell'effettivo (giusto) vantaggio e tornaconto della
parte vittoriosa. Non si vuole dire che l'impresa non dovrebbe perdere,
ma soltanto far notare che la decisione giudiziale non sempre porta ad
un corretto riequilibrio degli interessi delle parti pregiudicati dalla
violazione di un diritto di una di esse.
La elevata litigiosità è sempre stata una caratteristica
dell'animo umano, anche se motivata da torti, o asseriti torti, più
o meno gravi, subiti o minacciati. Nei fatti, quale che ne sia la causa,
l'elevato livello di contenzioso porta ad un intasamento dell'attività
dei Giudici Ordinari, costretti ad occuparsi nel medesimo tempo, e nelle
medesime udienze, di questioni di elevato valore, complessità e
delicatezza, e di altre piuttosto insignificanti.
Tante cause significa tempi lunghi (a prescindere dagli altri mali
della giustizia). Le lungaggini temporali, a loro volta, comportano incertezza
e decisioni spesso fuori tempo massimo. é notorio, invece, che la
operatività aziendale richiede decisioni rapide e che queste postulano
certezze sul quadro di fatto in cui si opera.
Talune volte la questione in gioco è talmente rilevante, per
natura o valore, che una mancata pronta soluzione lascia pendenti - o lascerebbe,
ché spesso le imprese preferiscono trovare definizioni diverse dalla
decisione giudiziale, anche meno soddisfacenti purché di carattere
immediato - rischi, e relative conseguenze economiche, non accettabili
in un normale contesto operativo: basti pensare, ad esempio, all'utilizzo
di un marchio o di know-how, all'incasso di una somma rilevante, ad una
fornitura assolutamente necessaria, e simili. Altre volte il protrarsi
della lite può pregiudicare od alterare altri rapporti commerciali
in essere fra i contendenti. Molto spesso, la decisione della lite a distanza
di anni si appalesa inadeguata alla modificata realtà di fatto.
E si potrebbe seguitare a lungo.
La impossibilità di risposte definitive in tempi brevi in sede
giudiziaria ha portato ad un sempre maggior ricorso ai procedimenti cautelari:
è in questa sede che, oggi, si giocano il più delle volte
i destini delle cause civili. Una volta rimossa, o non rimossa, la causa
prima che ha indotto al ricorso alle vie legali, i tempi del giudizio sono
infatti tali da sconsigliare la ricerca di un ribaltamento della situazione
che, oltre ad essere ipotetico, verrebbe a verificarsi quando la situazione
stessa ormai si è cristallizzata, con inutilità o sproporzione,
e costi complessivi molto alti, rispetto al risultato.
Che il ricorso alla magistratura civile - oltre che poco efficace in
termini di risposte definitive e rapide - sia divenuto anche estremamente
dispendioso, è notorio. L'onere, per le aziende, è nell'ordine
delle centinaia di milioni l'anno e, sovente, di qualche miliardo. Quanto
alle singole controversie, il valore della lite spesso non giustifica appieno
il dispendio di risorse, anche umane, che il ricorso all'Autorità
Giudiziaria comporta: talvolta, nelle aziende, si constata che riconoscere
la pretesa avversaria, quand'anche di dubbio fondamento, costerebbe meno
che difendersi vittoriosamente; ma ovvie considerazioni di opportunità
o di principio fanno sì che si debba andare fino in fondo alla causa.
IL RICORSO ALL'ARBITRATO
In questo quadro non certo incoraggiante, è stato ed è
naturale ricercare vie alternative alla Giustizia civile. La più
nota, diffusa ed antica è senza alcun dubbio l'arbitrato. Particolarmente
ricorrente in sede internazionale, dove consente di superare attraverso
il ricorso ad un "giudice" neutrale i problemi della differenza di giurisdizione,
l'istituto ha da tempo trovato larga applicazione anche quale alternativa
alla giustizia civile interna, specie nelle questioni di particolare delicatezza
e rilevanza economica, dove la necessità di decisioni rapide, non
impugnabili ed autorevoli è particolarmente sentita.
Accanto all'arbitrato di diritto, equiparabile in un certo senso ad
un procedimento giudiziale semplificato (con giudici scelti dalle parti),
si è particolarmente affermato l'arbitrato irrituale, il cui aspetto
qualificante, rispetto alla giustizia civile, è la possibilità
di ottenere decisioni "di equità", slegate dalla rigida applicazione
delle norme giuridiche, ma finalizzate ad una giustizia sostanziale, dove
la ragione ed il torto vengono riconosciuti e sanzionati attraverso una
nuova disciplina degli interessi delle parti che tenga conto della complessa
realtà delle imprese, attuata dagli arbitri non in qualità
di giudici, bensì di mandatari delle parti stesse.
Lo sviluppo dell'arbitrato ha potuto giovarsi del continuo, proficuo
ed importantissimo appoggio, sia a livello organizzativo che a livello
di studio e di inquadramento scientifico, delle Camere di Commercio, in
Italia ed all'estero. Basta ricordare, per tutte, il prestigio universalmente
riconosciuto a livello internazionale alla Camera di Commercio Internazionale
di Parigi, e l'autorevolezza e la fama raggiunte a livello nazionale dalla
Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Milano. Il ricorso a questi
organismi ha garantito e garantisce l'attribuzione delle controversie ad
arbitri di sicura indipendenza, dotati di competenze specifiche in relazione
ai temi in discussione, secondo procedure note a priori ed estremamente
collaudate, a costi che potrebbero essere definiti "controllati". Il gradimento
incontrato ormai da moltissimi anni ne costituisce conferma.
Vi è però l'altra faccia della medaglia. Se l'arbitrato
è di diritto, il lodo viene quasi sistematicamente impugnato: e
allora "tanto vale ricorrere direttamente al Giudice Ordinario". Se l'arbitrato
è irrituale, invece, le caratteristiche strutturali dello stesso,
dove le sorti della controversia si giocano "one shot", senza possibilità
di impugnazione salvo che in casi estremamente limitatati e per lo più
con scarse possibilità di successo, postulano, come ho accennato,
la ricerca di arbitri noti ed ai massimi livelli professionali: il che,
se assicura alle decisioni arbitrali un'indiscutibile autorevolezza, comporta
anche una fortissima lievitazione dei costi. D'altro canto, se gli arbitri
non sono persone note, la procedura ha scarso appealing, in quanto le parti
appaiono diffidenti e timorose della prospettiva di rimettersi ad una decisione
vincolante emanata da "persone normali". Può sembrare assurdo, ma
è così.
Il ricorso all'istituto arbitrale - che, anche a seguito delle diverse
modifiche legislative via via succedutesi, è peraltro venuto col
tempo ad assumere sempre di più le caratteristiche di un vero e
proprio processo privato, che si differenzia dalla giustizia ordinaria
per la "scelta", diretta od indiretta, dei "giudici", la minore durata
del giudizio e costi comunque superiori - appare dunque veramente appetibile
soltanto per questioni che siano di rilevante valore, o che rivestano speciale
riservatezza, od involgano questioni di diritto particolarmente delicate.
Per far fronte alle esigenze di efficacia, celerità ed economicità
nella soluzione delle controversie civili per le quali l'arbitrato appaia
sproporzionato, la pratica quotidiana postula dunque la ricerca di altre
forme sostitutive che rispondano ai requisiti richiesti.
Come spesso è accaduto, un rilevante contributo in questo senso
viene dal mondo anglosassone, dove già da non poco tempo si stanno
affermando, quale alternativa al ricorso all'Autorità Giudiziaria
o ad arbitri nel senso tradizionale, nuove procedure su base volontaristica,
meglio note fra gli operatori come "Alternative Dispute Resolution" (in
forma abbreviata ADR).
Questa definizione comprende procedure di diverso genere e caratteristiche,
mirate a far sì che le parti della controversia pervengano da sole
alla soluzione del problema, con ed attraverso l'assistenza di una terza
parte neutrale, priva peraltro di potere decisionale in senso cogente.
In altre parole, la terza parte chiamata a (aiutare a) dirimere la controversia
non impone una decisione, bensì svolge il compito di agevolare il
raggiungimento di un accordo transattivo reciprocamente accettabile.
Si tratta, nella sostanza, di una sorta di mediazione, che come sopra
accennato può assumere forme diverse, anche combinate fra loro,
tutte peraltro finalizzate al raggiungimento di obiettivi che riflettono
esigenze gestionali: rapidità di soluzione; flessibilità
ed orientamento ad una soluzione che tenga conto principalmente delle esigenze
del business (per natura non considerate dai giudici e negli arbitrati
di diritto); riservatezza; mantenimento delle relazioni commerciali fra
le parti contendenti; risparmio sensibile dei costi, in termini sia di
spese legali, sia di impiego di risorse interne all'azienda. Inoltre il
ricorso all'ADR lascia impregiudicati i diritti delle parti durante le
procedure.
L'ADR si adatta, in maggiore o minore misura, a qualsiasi tipo di contratto
o disputa, e, per le sue caratteristiche, appare particolarmente appropriato
per la soluzione di controversie che insorgano nelle transazioni commerciali
di routine. Ma non vorrei che tale esemplificazione potesse essere interpretata
in senso riduttivo.
Va da sé che, ove l'ADR non dovesse dare i frutti attesi nel
breve tempo previsto, le parti posso sempre ricorrere a procedure che sfocino
in un provvedimento di natura cogente, quale l'arbitrato o lo stesso ricorso
al giudice ordinario.
Affinché un siffatto nuovo modo di risolvere le controversie
possa affermarsi, è importante che la comunità degli affari
venga attivamente coinvolta al fine di assicurare la disponibilità
di "mediatori" ("neutrals") qualificati e preparati, che uniscano alla
base giuridica la capacità di percepire le effettive esigenze delle
aziende, e sappiano altresì porre in essere le più opportune
procedure "su misura", posto che l'ADR, come accennato, è essenzialmente
un procedimento diretto dalle parti, che non dovrebbe essere dominio ed
appannaggio dei tradizionali fornitori di servizi legali.
Non è un caso, ritengo, che il primo organismo strutturato finalizzato
all'applicazione e promozione delle Alternative Dispute Resolutions - il
CPR Institute for Dispute Resolution - sia sorto, nel 1979 a New York,
per iniziativa di General Counsels di grandi imprese statunitensi.
Nel 1994 il CPR è sbarcato in Europa, organizzando un European
Advisory Committee (EAC) per lo sviluppo dell'ADR in Europa. Anche in questo
caso, accanto ai rappresentanti di primari studi legali, è massiccia
e particolarmente qualificata - e qualificante - la presenza di responsabili
ad alto livello dei dipartimenti giuridici delle grandi imprese, fra i
quali è stato scelto il primo Presidente del Committee.
Un'altra valida alternativa alla giurisdizione ordinaria si è
rivelata, nell'esperienza italiana, quella del Giurì di Autodisciplina
Pubblicitaria, che costituisce nella sostanza una vera e propria giurisdizione
volontaria, peraltro limitata al solo campo della pubblicità, in
senso stretto intesa. I giudici del Giurì, come è noto, sono
nominati a monte dei procedimenti, e le spese di procedura sono estremamente
contenute. Non vi sono arbitri da pagare, ed il costo è limitato
ai difensori, peraltro non obbligatori.
Sorto extra-legem, il Giurì ha tuttavia saputo, con l'imparzialità
del suo atteggiamento e con l'autorevolezza dei propri componenti - e,
conseguentemente delle proprie decisioni - conquistarsi sul campo il ruolo
di vera e propria autorità riconosciuta per la risoluzione delle
controversie nel settore di competenza. Le sue decisioni sono infatti quasi
sempre oggetto di esecuzione spontanea.
Se a ciò si aggiungono i tempi molto brevi, è facile
rendersi conto dell'apprezzamento generale che l'istituto ha riscosso fin
dal suo nascere e tuttora riscuote.
Purtroppo, dicevamo, il fenomeno Giurì non è stato trapiantato
in altre giurisdizioni consimili in altri settori.
Nel quadro sopra delineato, cosa si può fare per cercare di
migliorare la situazione?
LE ESIGENZE DELLE IMPRESE
Non è il caso in questa sede di addentrarsi in discussioni sulla
riforma nel senso più ampio della Giustizia o di eventuali ulteriori
modifiche alla disciplina dell'arbitrato (ancora?), che vedono attori infinitamente
più qualificati ed autorevoli di chi scrive. Dal mio osservatorio
di Direttore dei servizi legali di una grande impresa italiana - e di Presidente
dell'Associazione Italiana Giuristi di Impresa - non posso che ribadire
che, nelle imprese, la fame di soluzioni rapide, efficaci e di basso costo
è grande, sia che si tratti di controversie concernenti attività
industriali o commerciali ordinarie, sia che siano in gioco complesse operazioni
di rilevante valore economico o di carattere strategico.
Credo che si possa trarre qualche spunto per individuare alcune linee
orientative.
Occorre partire dal presupposto che le imprese, se da un lato giudicano
positivamente forme di soluzione delle controversie su base volontaristica,
dall'altro vedono le decisioni prese al di fuori dei canoni classici
- vale a dire prese non dai giudici o da arbitri di grosso nome o senza
procedure collaudate e riconosciute - con una certa diffidenza, sia a monte
nella fase di stesura della clausola per la risoluzione delle controversie,
sia, ovviamente, al momento in cui la decisione (negativa) è resa.
Una forma di intervento potrebbe essere quello di creare nuove procedure
volontaristiche mirate per i diversi settori imprenditoriali, o almeno
per i più importanti (tipo Giurì), e di portarle stabilmente
nell'ambito di organismi di categoria o di istituzioni pubbliche super
partes: l'ente più adatto allo scopo appare senz'altro la Camera
di Commercio, che si pone per sua natura al servizio delle imprese e già
vanta una notevole esperienza e tradizione in tema di arbitrato. Come le
decisioni arbitrali rese dai collegi costituiti secondo le regole della
Camere Arbitrali sono generalmente accettate con lo stesso spirito, e forse
meglio, di quelle rese dai Giudici, così - ritengo - sarebbero accettate
anche le decisioni assunte nella sede delle ipotizzate nuove procedure.
é evidente che sia l'impostazione, sia il funzionamento dei nuovi
organismi va studiato con estrema attenzione, e che occorre comunque creare
un sistema che generi dal suo interno il riconoscimento diffuso del valore
cogente delle proprie decisioni: in caso contrario, si tratterebbe di sforzi
inutili.
Una cura speciale, in particolare, va posta nei criteri per l'individuazione,
e nella individuazione in concreto, delle persone da chiamare a far parte
degli organi decisionali e, ove sia opportuno costituirli, di controllo.
Accanto ad avvocati ed ex magistrati, credo che la scelta potrebbe estendersi,
oltre che ad esperti del settore interessato (come è nel caso del
Giurì), anche a dirigenti di azienda (legali e non), che sarebbero
in grado di apportare un'approfondita conoscenza specifica del settore
e la notevolissima esperienza acquisita sul campo.
In ogni caso, la costituzione degli organi decidenti deve avvenire
a monte, con trasparenza, e la procedura deve essere rapida e a costi assolutamente
contenuti. Dovrebbe altresì essere consentito alle aziende - ed
auspicabilmente diventare prassi - di partecipare ai procedimenti attraverso
le proprie strutture, con risparmio anche dei costi di difesa.
I medesimi concetti possono valere anche per le Alternative Dispute
Resolution: qui la scelta dei "neutrals" riveste valore ancora maggiore;
ed è qui che il ricorso all'esperienza aziendale potrebbe rivelarsi
utilissimo, forse decisivo. Per questo occorrerebbe cercare in misura ancora
più ampia quello che prima ho definito il coinvolgimento della comunità
degli affari, senza il quale l'ADR credo non possa decollare e spiegare
le proprie potenzialità positive. é in questa sede che dall'interno
stesso delle imprese, attraverso i manager chiamati a collaborare in veste
di "neutrals", potrebbe nel tempo venire a crearsi un sistema di autoregolamentazione,
sia pure imperfetto, attraverso prassi che verrebbero a consolidarsi progressivamente.
Le Camere di Commercio potrebbero, in questa prospettiva, unirsi all'European
Advisory Committee, sfruttando le rispettive esperienze e potenzialità,
per promuovere lo sviluppo del sistema.
In conclusione, ritengo che per costituire alternative alla crisi del
processo civile in Italia qualcosa si possa fare: è certo un compito
fortemente arduo ed estremamente complesso, che richiede la collaborazione
di tutti gli operatori con spirito costruttivo e volontà vera di
affrontare i problemi e sperimentare nuove soluzioni, nella realtà
dei fatti, come le imprese usano.
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