Impresa & Stato n°40
GIUSTIZIA
E AVVOCATURA
di
REMO DANOVI
Le iniziative del Consiglio Nazionale Forense
per rafforzare la professione
e migliorare il sistema
Vi sono attualmente
nel nostro paese circa tre milioni di cause pendenti, che non hanno prospettiva
di immediata soluzione. Per di più, anche le nuove cause condotte
secondo le regole processuali da poco in vigore cominciano a manifestare
tempi morti inaccettabili, oltreché formalismi eccessivi e costi
crescenti, e la qualità dei giudizi, nella prospettiva dell'introduzione
del giudice unico, è perfino a rischio.
La giustizia poi è sempre in prima pagina, ad attizzare tensioni
e scontri, tra opinioni e parti contrapposte.
E' una situazione ormai congenita: di lunghezza estrema delle
liti parlava già il Muratori nel 1700 ("la soverchia e sterminata
lunghezza delle liti...è divenuta un male familiare dell'Italia"),
e ne dava la responsabilità ai "giri e rigiri inventati dall'acutezza
dei causidici", oltreché alla "smisurata abbondanza delle ferie
e dei giorni feriali, nei quali suol tacere il Foro".
Di lunghezza delle liti parlano anche i responsabili della giustizia
(il Ministro di grazia e giustizia del 1993 riferisce che il procedimento
civile è di una "lentezza vergognosa"); di giustizia affannata,
dissestata, allo sbando, al collasso (oltre che di giustizia in parcheggio),
parlano tutti, anche i più alti responsabili della cosa pubblica
in Italia.
Più realisticamente la Corte europea dei diritti dell'uomo
continua a condannare l'Italia per non essere stato svolto il giudizio
in termini ragionevoli. Le statistiche dicono che la maggior parte dei
ricorsi proposti alla Corte Europea (oltre il 70%) vede coinvolta e soccombente
l'Italia; al punto che si teme la paralisi dello stesso funzionamento della
Corte se il numero dei ricorsi dovesse ancora incrementarsi.
I COSTI
Naturalmente la disfunzione della giustizia colpisce tutti i soggetti
che partecipano al processo. Più di ogni altro le inefficienze colpiscono
la parte, come singolo o come impresa, sia in termini di costi materiali
che in termini psicologici. Al mancato o ritardato riconoscimento del diritto,
infatti, si ricollegano situazioni che generano spreco di energie e risorse,
consumo di tempo, distoglimento dalle occupazioni abituali, ansie, sacrifici,
mortificazioni e disagi. Ne' queste perdite possono essere risarcite. Anche i giudici sono colpiti dall disfunzione del processo. Essi sono tra l'altro molto spesso artefici e vittime dei disagi (un giudice è arrivato a giustificare il ritardo attribuendolo alla "vischiosità del processo"), e comunque partecipano delle ansie riconnesse
al rendere giustizia, soprattutto quando sono le strutture ad impedirne
la realizzazione; e ugualmente risentono dello svilimento della funzione
quando la giustizia viene meno e il tempo ritarda ogni conclusione.
Resta poi il difensore, accanto alla parte, nella sopportazione dei
costi, nella solidarietà più piena. é il difensore
che partecipa delle sofferenze dell'assistito quando i risultati sono impediti,
e vive ed esprime amarezza e rabbia quando il tempo della giustizia è
infinito, e il risultato è ingiusto, e gli sforzi non sono stati
sufficienti. Infine i costi pesano sulla società, poiché
il prestigio dell'ordine giudiziario è compromesso, e viene meno
la fiducia nella giustizia e nelle istituzioni, e si incrina il rapporto
che dovrebbe esistere tra governanti e cittadini e il costo di questa disfunzione
è il più grave di tutti perché colpisce non solo le
singole coscienze, ma anche il rispetto dello Stato.
E' la caduta della credibilità del sistema, da cui deriva
l'abbandono della domanda di giustizia, e a cui consegue la crescita di
contropoteri in tutte le forme possibili e la fine inevitabile della legalità.
In piccoli ambiti, o in grandi regioni, la situazione si aggrava, ed anche
questo è un costo moltiplicato dalla totalità dei soggetti
e delle imprese che credono nel valore del diritto e non riescono a vederne
la realizzazione.
GLI AVVOCATI
In questa visuale complessiva, considerata l'incapacità della
giurisdizione di dare risposte adeguate alle necessità, gli avvocati
(e più propriamente gli ordini forensi) dovrebbero cercare di sopperire
alle carenze, operando nel miglior modo possibile per non accrescere i
disagi.
Ciò gli avvocati hanno sempre fatto, partecipando dal punto
di vista istituzionale alla attuazione della giustizia, come conciliatori
prima e giudici di pace oggi, come vice-procuratori e vice-pretori onorari,
come difensori d'ufficio o deputati al gratuito patrocinio. é una
attività compiuta senza clamori, che ha consentito certamente
di non aggravare le disfunzioni endemiche del processo, ed anzi ha permesso
la sopravvivenza della giurisdizione.
Basti pensare che il numero dei vice-pretori onorari (circa 2.200)
è superiore al numero dei pretori togati (circa 2.000), che la loro
attività quotidiana si realizza nelle mille incombenze richieste.
E quanto poi alla difesa d'ufficio o al gratuito patrocinio, si tratta
certamente di attività indispensabili per la stessa realizzazione
dei precetti costituzionali.
Ma non solo. Accanto a queste funzioni istituzionali (e ad altre che
pure realizzano una funzione normativa, nella partecipazione alla costruzione
di regole e convenzioni, di leggi e regolamenti), gli avvocati svolgono
un'opera utile di intermediazione tra i cittadini e lo Stato, e ciò
sia nella informazione e consulenza che nella stessa attività difensiva,
parte integrante del processo.
Ancora. Gli avvocati hanno sempre favorito, fin dove possibile, la ricerca
di soluzioni alternative alle controversie, privilegiando le forme di conciliazione
e transazione, le mediazioni e le composizioni arbitrali, per consentire
comunque il soddisfacimento dei diritti delle parti.
Né poi si può dire che gli avvocati siano in gran parte
colpevoli dei ritardi nella conduzione delle liti. Come ognuno sa, i tempi
del processo sono fissati dai giudici, e non reca offesa alla giustizia
la richiesta di dilazione fatta dalle parti (quando ciò realizza
i loro interessi sostanziali, nella disponibilità dei diritti sancita
dalla legge), quanto la dilazione imposta dai giudicanti. Se fosse vero
infatti che gli avvocati sono responsabili dei ritardi, non si capisce
perché, se gli avvocati chiedono la trattazione o la decisione immediata
di una causa, i giudici non lo permettano o non siano in grado di consentirlo.
Ed è lo Stato italiano, poi, e non gli avvocati, ad essere condannati
dalla Corte europea per i ritardi nei processi, come sopra abbiamo detto.
LE INIZIATIVE
Ancora da ultimo il Consiglio nazionale forense (l'organo istituzionale
degli avvocati) è intervenuto ripetutamente sul tema della giustizia,
nelle tante problematiche oggi emergenti, dalla composizione dei collegi
alle sezioni stralcio, dal giudice unico alle competenze del giudice di
pace, dalle circoscrizioni giudiziarie alla richiesta di attuazione dell'art.
106 della Costituzione (la previsione che avvocati insigni siano chiamati
a far parte della Cassazione). Anche sui costi del processo il Consiglio
nazionale forense è intervenuto, con una delibera del 16 gennaio
1997, con la quale il Consiglio ha espresso "la preoccupazione propria
e quella dell'avvocatura tutta per il continuo lievitare dei costi della
giustizia in genere ed in particolare di quella civile, per quanto attiene
all'elevatissimo costo del bollo, della tassa di registro e dei diritti
di cancelleria, aumentati negli ultimi tempi in misura insostenibile soprattutto
per le vertenze di modesta entità economica. Tali costi sono ormai
divenuti così gravi da rendere impossibile la tutela giurisdizionale
soprattutto per le categorie più deboli". Di qui la richiesta di
interventi mirati e proposte specifiche per la riduzione degli oneri e
delle spese, privilegiandosi le necessità delle definizioni della
lite rispetto ai costi.
Né mancano le iniziative assunte dal Consiglio nazionale forense
per rafforzare dall'interno la struttura della professione, che poi è
garanzia di qualità anche nel processo. In questo senso deve essere
ricordata soprattutto l'approvazione del Codice deontologico forense, il
primo approvato ufficialmente nell'ambito forense. Al termine infatti dei
lavori svolti dalla Commissione appositamente nominata per la redazione del codice deontologico,
il Consiglio nazionale forense nella seduta del 17 aprile 1997 ha approvato tale codice, che ora
è applicabile a tutti gli avvocati, a dimostrazione della volontà
di contribuire nel modo più positivo alla stessa efficienza del
processo.
Accanto a queste iniziative, certamente non suscettibili di critiche
corporative, ve ne sono altre che in questo momento sono state assunte,
nel desiderio comunque di chiarire gli aspetti fondamentali del problema
giustizia.
L'avvocatura ha infatti constatato che manca nel potere legislativo
una strategia generale idonea a suggerire rimedi per superare l'ormai costante
emergenza; e manca anche nell'ordine giudiziario la volontà concreta
di dare maggiore efficienza al sistema. Di fronte dunque alla constatazione
del difetto di una effettiva giurisdizione e dell'abbassamento del livello
delle garanzie e della difesa, gli avvocati ritengono che la semplice depenalizzazione
per quanto riguarda la giustizia penale, o il ricorso alla giustizia alternativa
o ai giudici onorari per quanto riguarda la giustizia civile, non siano
una scelta idonea a riaffermare il valore della giurisdizione. Anzi, costituiscono
la confessione della abdicazione alla giurisdizione stessa.
E' questa la ragione per cui oggi il ricorso ai metodi alternativi
di risoluzione delle controversie (le Alternative dispute resolutions) è
guardato con diffidenza e comunque con disinteresse. Per di più,
di fronte alla tendenza di delegare il contenzioso alla magistratura ordinaria,
gli avvocati hanno adottato in alcune assemblee straordinarie e nell'ambito
del Consiglio nazionale forense varie risoluzioni che invitano i magistrati
onorari alle dimissioni e prospettano l'eventualità di procedere
alla loro cancellazione dall'albo, per incompatibilità.
E' dunque con generalizzato atteggiamento critico, in questo
momento, che l'avvocatura guarda alle difficoltà di procedere per
il miglioramento della giustizia e alla mancanza di prospettive di cambiamento
o di difesa della giurisdizione.
Ed è in questa visuale che gli avvocati hanno adottato le iniziative
sopra ricordate, non per abdicare ad essere presenti nella gestione della
giustizia, ma al contrario per affermarne l'essenzialità.
CONCLUSIONI
Non vi sono purtroppo prospettive immediate. Né conclusioni
possono trarsi in un momento di difficoltà e di passaggio. Per quanto
riguarda l'avvocatura, è auspicabile che l'applicazione delle nuove
norme deontologiche sia uno strumento in più, attraverso il quale
gli avvocati possano determinare e realizzare compiutamente la volontà
di rinnovamento per la difesa del sistema. Poi, resta al potere politico
e all'ordine giudiziario di contribuire concretamente al miglioramento
della giustizia, e non a parole, con l'approvazione e l'attuazione di strumenti
specifici.
E' su questi temi che gli sforzi di tutti devono concentrarsi,
in un patto di rinnovata fiducia, per assicurare le doverose priorità
a tutela degli interessi dei cittadini e a garanzia della funzionalità
dello Stato. Questa è la giustizia
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