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Impresa & Stato n°40 

 

IL GIUDICE DI PACE 
PER LA CONVIVENZA CIVILE

di
FRANCO PETRELLI

Oltre al sovraccarico processuale,
attraverso la nuova figura 
di magistrato onorario

A voler affrontare con un po' di realismo il problema dell'inefficienza del sistema giustizia, si rischia di passare per antigarantisti: che è, con i tempi che corrono, un'accusa grave, e perfino pericolosa. Tutti si affannano, infatti, a studiare congegni che assicurino al processo - penale, anzitutto, ma anche a quello civile - il massimo grado di formalità a tutela dei diritti degli individui. Il dibattito in corso presso la Bicamerale, dove l'esigenza di garantire alla difesa una totale parità di diritti con l'accusa - principio in sé civilissimo - finisce col porre sul banco degli imputati proprio i pubblici ministeri, rei di esercitare l'azione penale - i casi di abuso sono, appunto, dei casi - per la repressione dei comportamenti delittuosi.

SEMPLIFICAZIONE DELLE PROCEDURE
Il problema è che nessuno di questi congegni è in grado di contribuire a risolvere la condizione di paralisi in cui versano sia la giustizia civile che quella penale. Altra è la garanzia di cui i cittadini hanno assoluto bisogno: la ragionevole durata del processo. Oltretutto, lo straordinario vantaggio di chi, avendo violato l'altrui diritto soggettivo o essendosi reso responsabile di un reato,  può confidare sul decorso del tempo per scoraggiare le pretese del danneggiato, affievolire le reazioni della vittima o far scattare la mannaia della prescrizione, è di per sé fonte di comportamenti antigiuridici. 
Accelerare i processi significa, anzitutto, semplificarne le regole. Ciò appare tanto più vero se si verte su quella tematica che si suole qualificare come "giustizia minore". In materia penale l'importanza di consentire o vietare la lettura in dibattimento di un atto formato in istruttoria è elevata se l'imputazione è, poniamo, quella di omicidio volontario: lo è in misura molto minore -per non dire nulla- se si tratta di emissione di lesioni colpose. E così, in civile, nelle cause di modesto valore il formalismo di numerose norme del codice di procedura civile sembra aver poco a che fare con l'effettività della giurisdizione.

LA DEGIURISDIZIONALIZZAZIONE
Ma neppure questo è un rimedio sufficiente. Si va facendo strada, seppure con maggiore lentezza del necessario, il convincimento che un servizio giustizia esterno alla giurisdizione è un must ineliminabile. Occorre, cioè, dare spazio alla negoziazione dei diritti, riconoscendo ai contendenti il potere di governare la controversia attraverso un'opera di composizione rimessa, anzitutto, ai titolari degli stessi. Anche questa tendenza può essere valorizzata nell'ambito penale non meno che in quello civile: basti pensare, al di là degli intuitive esemplificazioni in questo secondo settore, ad ipotesi che depenalizzino il reato in presenza di comportamenti diretti a recuperare la comunicazione fra colpevole e vittima e rispristinino gli equilibri spezzati. Non sfuggirà ad una attenta analisi che fra deformalizzazione (semplificazione delle procedure) e degiurisidizionalizzazione intercorrono nessi logici, entrambe comportando una riduzione del mito delle garanzie individuali. Arbitrato, mediazione, conciliazione, sono categorie che appartengono a questa dimensione. 
L'arbitrato, intendendo qui riferirci a quello irrituale che ha natura propriamente contrattuale sia nella sua genesi che nella sua conclusione, consiste nel rimettere a un terzo la decisione della controversia. Ha avuto poca fortuna nella pratica almeno per le controversie minori, soprattutto in ragione degli alti costi che di norma esso comporta e le incerte garanzie di esecuzione del lodo.
La mediazione, che si rifà alla pratica della mediation anglosassone, consiste nell'intervento di un terzo incaricato da due soggetti portatori di interessi contrapposti con lo scopo di agevolare il raggiungimento di un accordo. L'informalità e la natura pattizia dell'intesa ne sono le principali connotazioni. A questa categoria appartiene la lodevole iniziativa fin dal 1996 attivata - attraverso l'apertura dello sportello di conciliazione - dalla Camera di Commercio di Milano in attuazione della della legge 580/93 di riordino delle Camere di commercio.
Anche la conciliazione appare simile, nel suo aspetto strutturale, alla mediazione: essendo anch'essa una pratica intesa a favorire un'intesa. Ma mentre l'unica funzione a cui il mediatore deve assolvere è il raggiungimento di un punto di accordo, nella conciliazione l'accordo si fonda sul giusto punto di composizione degli interessi.

IL GIUDICE DI PACE
Se e come questa problematica trovi nell'istituto del giudice di pace una qualche risposta è quanto ci proponiamo ora di illustrare. 
All'origine della nascita della nuova figura di magistrato sta la consapevolezza che qualsiasi riforma del processo civile e penale può avere concrete probabilità di successo solo in quanto il giudice di carriera venga alleggerito di una parte consistente del contenzioso che grava sulle sue spalle. é opinione generale che la strada dell'aumento degli organici della magistratura professionale non sia praticabile, non solo perché hanno già una consistenza numerica superiore a quella degli altri paese europei, ma per ragioni di costo e di complessità della selezione.
L'idea di un giudice onorario radicalmente ridisegnato rispetto alla figura del conciliatore ha alcuni decenni di vita: ma la fase di maggior fervore prende avvio con gli anni 70. Inizialmente si lavorò nella prospettiva di un modello forte di giudice elettivo, che ricevesse la propria legittimazione direttamente dai cittadini e tutelasse interessi collettivi esistenti o emergenti nella realtà politico-sociale, ma ancora non tutelati dall'ordinamento giuridico (ad esempio i valori ambientali); nel decennio successivo si fece strada un modello di giudice onorario meno appariscente, ma più idoneo a generare un effetto deflattivo e una più razionale distribuzione del carico giudiziario. Venute a cadere soluzioni che proponevano metodi di scelta sostanzialmente analoghi a quelli praticati per la selezione dei conciliatori o che non garantivano contro il rischio della creazione di forme di precariato soggette a inevitabili istanze di stabilizzazione, prese forma il requisito fondamentale e caratterizzante del nuovo giudice: il suo essere scelto tra persone che avessero già percorso in massima parte la propria vita di lavoro e la conseguente carriera. In tale senso si muovevano alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare e il disegno di legge di iniziativa  governativa (disegno Vassalli) che furono unificati a approvati in un unico testo con la legge 21 novembre 1991 n.374, pubblicata il 27 novembre successivo sotto il titolo "Istituzione del giudice di pace".
Il testo originario ne prevedeva l'entrata in funzione con la data del 2 gennaio 1993. Successivamente tale data fu spostata al 3 gennaio 94, e ancora al 4 luglio 94, poi al 19 novembre 94. Frattanto si erano concluse le selezioni operate dai Consigli Giudiziari, per l'occasione integrati da esponenti dell'avvocatura; il Consiglio Superiore della Magistratura aveva proceduto alle conseguenti designazioni; e i circa 3700 nuovi giudici avevano partecipato ai corsi di aggiornamento disposti, a norma di legge, presso le diverse Corti di appello. Siamo verso la metà del 1994.
 E' in questa fase che si manifestano in tutta la loro virulenza le azioni tendenti a vanificare la portata della legge istitutiva e gli adempimenti fino a quel punto realizzati, minacciando di travolgere perfino le designazioni effettuate dal C.S.M. La linea di oppositori formatasi in parlamento riesce ad ottenere modifiche di rilievo, talché la legge che formalizza il sì definitivo delle Camere (6 dicembre 1994 n.673) contiene numerosi emendamenti:
- l'entrata in funzione slitta ulteriormente al 1¡ maggio 1995;
- il limite minimo di età, previsto originariamente in 50 anni, e già in precedenza abbassato a 40, viene ulteriormente ridotto a 30 e del tutto escluso per i procuratori legali;
- il divieto per i giudici di pace di esercitare la professione forense, originariamente previsto nell'ambito del Distretto della Corte di appello e successivamente limitato al circondario del Tribunale, viene ristretto soltanto all'ufficio del giudice di pace al quale essi appartengono.
Man mano che la data di entrata in funzione si avvicina (in contemporanea con l'avvio della riforma del processo civile prevista dalla legge 353/90) l'avvocatura organizzata intensifica progressivamente le sue azioni di contrasto. Obbiettivo dichiarato: l'eliminazione della figura del giudice di pace, o quanto meno, un ennesimo rinvio; in parallelo, l'abrogazione del sistema di preclusioni e decadenze nonché delle altre misure destinate ad abbreviare la durata del processo civile. La pressione dell'avvocatura trova eco nel parlamento, dove è largamente rappresentata: ma il ministro della giustizia dell'epoca, Filippo Mancuso, che sin dall'inizio del suo mandato aveva manifestato la volontà di dare applicazione nei suoi contenuti alla legge istitutiva e di garantire il rispetto del termine da ultimo stabilito,  è indisponibile a cambiare le carte in tavola. L'avvocatura reagisce proclamando uno sciopero che risulterà senza precedenti per durata e intensità. Il governo tenta di resistere, poi negozia, infine -contro il parere del Guardasigilli- modifica alcuni aspetti della riforma. 
Ma anche grazie alla determinazione dell'Associazione Nazionale Giudici di pace, il 2 maggio 1965 ben 3337 giudici di pace prendono servizio in 850 sedi. Si tratta di 2798 uomini e 539 donne. L'età media dei primi è di 63,6 anni; quella delle donne è di 59,9 anni, tutti con una omogenea distribuzione nelle varie classi di età, salvo quelle all'inizio e al termine della scala. In massima parte la provenienza dei giudici di pace, obbligatoriamente in possesso di laurea in giurisprudenza, è la dirigenza nella pubblica amministrazione, seguita dall'insegnamento del diritto nelle scuole superiori e dall'esercizio della professione forense.
Frattanto lo sciopero degli avvocati continua. Nel governo finiscono col prevalere valutazioni opportunistiche, e si sacrifica sull'altare  di un'impropria mediazione la competenza del giudice di pace in materia di opposizione alle ordinanze ingiunzione della pubblica amministrazione e quella in materia di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate in base alla legge sull'abuso di stupefacenti.
Dopo un breve periodo di calma, le ostilità riprendono in occasione della discussione sul disegno di legge governativo che definisce l'ambito della competenza penale del giudice di pace. In seno alla Commissione giustizia della Camera passano alcuni emendamenti tendenti ad assicurare la provenienza delle nuove leve dall'avvocatura.
Il provvedimento è ancora all'esame del parlamento. 
Definitivamente superata la secolare esperienza del giudice conciliatore, con il giudice di pace si afferma una nuova figura di magistrato onorario di nomina amministrativa che fa parte dell'ordinamento giudiziario e svolge funzioni giurisdizionali, nelle materie civile e penale, accanto al pretore, al tribunale alla Corte di appello, alla Cassazione. Un giudice onorario tenuto ad applicare sempre le norme del diritto processuale e, con l'eccezione della pronuncia necessaria secondo equità nelle cause di valore non superiore ai due milioni, quelle del diritto sostanziale al pari di tutti gli altri magistrati, e come gli altri magistrati soggetto alla sorveglianza del Consiglio Superiore della magistratura.

UN GIUDICE PER LA CONVIVENZA
Più precisamente, il giudice di pace è competente:
- per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinque milioni;
- per le cause di risarcimento del danno prodotto alle persone e alle cose dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi i trenta milioni;
- per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalle leggi , dai regolamenti e dagli usi con riguardo al piantamento di alberi e siepi;
- per le cause relative alla misura e modalità d'uso dei servizi di condominio di cae;
- per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo, calore, esalazione, rumori, scuotimenti, e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.
Dal punto di vista processuale, al giudice di pace la legge impone di interrogare liberamente in prima udienza le parti comparse personalmente e di tentarne la conciliazione: a chi obiettasse sui possibili condizionamenti che il giudice può esercitare sulle parti è facile replicare ripetendo che scopo della conciliazione non è una mediazione qualsiasi, ma una giusta mediazione.
Ove la conciliazione non riesca, il giudice deve concentrare il processo in poche udienze, privilegiando l'oralità, e facendo uso dei poteri istruttori finalizzati alla più rapida acquisizione degli elementi di prova: ad esempio, gli è consentito di citare come testimoni soggetti a cui le parti si siano riferite nel corso del processo.  Le sentenze del giudice di pace sono provvisoriamente esecutive, e quelle pronunciate secondo equità sono ricorribili in cassazione per motivi di legittimità. Negli altri casi è ammesso l'appello dinanzi al tribunale.
Si può ben dire, dunque, che il nuovo magistrato si propone come il giudice della convivenza civile, essendo competente a dirimere le controversie che per la loro natura o per la loro frequenza appartengono all'esperienza quotidiana del cittadino comune. 
L'anzidetta connotazione si rafforza ove si ponga mente che al giudice di pace è riconosciuta una potestà conciliativa anche in sede non contenziosa senza limiti di materia e di valore, sempreché si verta in materia di diritti disponibili. La procedura, contenuta un un unico articolo del codice di procedura civile (art.322) inizia con un ricorso proposto anche verbalmente dalla parte, senza necessità di assistenza da parte del legale. Il giudice di pace fissa l'udienza per la comparizione personale delle parti e tenta la conciliazione. Il processo verbale di conciliazione in tale sede costituisce titolo esecutivo se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace, mentre negli altri casi ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio. 

UN PRIMO BILANCIO
Pur considerando che a causa dello sciopero degli avvocati e della pausa estiva il vero inizio dell'attività va collocato alla fine di settembre 95, il bilancio del primo biennio appare già significativo. 
Le cause ordinarie iscritte a ruolo dal 1¡ ottobre 1995 al 31 dicembre 1996 sono state 335.882; quelle esaurite al 31 dicembre erano 205.230, di cui 12.549 con verbale di conciliazione; i procedimenti speciali esauriti nel periodo sono stati oltre 650.000. Nel complesso, i procedimenti portati a conclusione dal giudice di pace fino ad oggi attraverso verbali di conciliazione, decreti ingiuntivi, sentenze e cancellazioni dal ruolo sono oggi vicine al milione. 
La cancellazione, con cui si conclude oltre il 40% delle cause iscritte a ruolo dinanzi al giudice di pace, differisce ed anzi rappresenta l'esatta antitesi di quelle registrate presso le altre istanze giurisdizionali: mentre queste ultime la cancellazione è solitamente espressione del getto della spugna dopo un'interminabile contesa, nell'esperienza del giudice di pace essa costituisce il frutto della solerzia con cui egli ha condotto l'istruttoria in direzione di una rapida conclusione, fornendo alle parti elementi di valutazione circa l'accoglibilità delle rispettive tesi.
Per quanto attiene al dato qualitativo, la modestissima percentuale di impugnazioni rende testimonianza della sostanziale correttezza delle decisioni. é vero che il contenuto valore di alcune cause, l'inappellabilità delle sentenze pronunciate secondo equità, la clausola di provvisoria esecutorietà scoraggiano le impugnazioni: ma neppure i più ottimisti avrebbero potuto mai immaginare che le pronunce del nuovo giudice passassero in giudicato nella misura del 98%. E questo significa che le sue sentenze tengono. 

GUARDANDO AVANTI
Quanto è stato detto finora dovrebbe aver dato il senso della portata che l'istituzione del giudice di pace assume per il cittadino. Si sarebbe potuto, si potrebbe, fare di più e meglio. Ma già oggi il nuovo giudice rappresenta una rivoluzione che i fatti stanno dimostrando positiva. Il dato di fondo è la consapevolezza dei giudici di pace di essere chiamati non a fare sfoggio di sapere giuridico, ma a restituire ai cittadini fiducia nella giustizia attraverso un impegno conciliativo fondato sulla razionale considerazione dei contrapposti interessi e, in mancanza, attraverso un giudizio rapido e attento alle ragioni sostanziali che hanno portato le parti dinanzi al giudice. Certo, si può discutere se la pretesa del legislatore di configurarlo come un giudice "tecnico" non vada attenuata in favore di un più ampio ricorso alla decisione secondo equità; ci si può cimentare (utilmente, a nostro avviso) nell'accentuare le caratteristiche di concentrazione e oralità proprie del processo dinanzi al nuovo magistrato, e nel dotarlo di maggiori poteri in fase istruttoria; si può meglio articolare la possibilità per il cittadino di affidare al giudice il delicato compito di verbalizzare una domanda proposta oralmente e di stare in giudizio personalmente. Tutto questo, e altro, è non solo possibile ma opportuno discutere, approfondire, risolvere: ma è prima ancora necessario difendere l'istituto del giudice di pace dai tentativi di strumentalizzare le inevitabili deficienze di un istituto così nuovo e di giudici onorari ancora in fase di rodaggio al fine di trarne conclusioni negative. Piuttosto, il giudice di pace va supportato con più adeguate strutture di personale ausiliario e mezzi informatici nonché con adeguati strumenti formativi, oggi del tutto carenti: la  preparazione professionale è condizione indispensabile per garantire alla figura del giudice di pace, e alle persone che ne rivestono la funzione, dignità e fiducia. A questo aspetto si potrebbe agevolmente connettere una riflessione sulla necessità di supportare il prestigio dell'istituzione anche attraverso il riconoscimento di più dignitosi compensi: ma ci sembra non opportuno introdurre questo capitolo, i cui contorni sono peraltro ben noti sia al governo che al parlamento.
Del complesso di provvedimenti in materia di giustizia presentati dal governo alle Camere, e tuttora in fase di discussione, meritano particolare menzione, oltre al disegno di legge sull'attribuzione della competenza penale al giudice di pace, quello sul giudice unico di primo grado e la parallela revisione della geografia giudiziaria, e quello sullo smaltimento dell'arretrato civile. Il primo, perché l'eliminazione di differenziazioni sempre meno comprensibili fra competenza pretorile e quella del tribunale semplifica la vita dell'utente, e, riservando al giudice collegiale soltanto alcune controversie, ha l'effetto di dilatare gli organici degli uffici giudiziari. La revisione della geografia giudiziaria, che ne è un corollario, è intesa ad eliminare gli uffici inutili, accorpandoli, e a sezionare quelli troppo pletorici, allo scopo di renderli gestibili. é in gioco un importante posta di efficienza. Ad operazione realizzata, il giudice di pace sarà l'unico ufficio giudiziario capillarmente presente sul territorio nazionale.
L'altro passo avanti sulla strada della riforma in senso efficientistico del sistema giurisdizionale può essere costituito dal provvedimento sull'istituzione delle sezioni stralcio per lo smaltimento delle cause civili pendenti dinanzi al pretore e al tribunale, di cui è imminente l'approvazione. Un rimedio d'emergenza suggerito dalla necessità di rimuovere quell'immane carico di pendenze giudiziarie che stanno portando all'asfissia il sistema. Anche a questo proposito, il giudice di pace può rendere un prezioso servizio alla collettività, rendendosi disponibile a decidere le cause che sarebbero state di sua competenza ove fossero state radicate dopo la sua entrata in funzione. Non si comprende, con tutta franchezza, per quale ragione il legislatore esiti ancora, rinunciando a cogliere le disponibilità dimostrate. I dati ministeriali indicano in circa 235.000 cause ordinarie quelle che passerebbero dal conciliatore, dal pretore, dal tribunale, al giudice di pace: con la prospettiva di vederle risolte nell'arco di sei mesi. 
Ma altri interventi sono possibili senza scomodare i massimi sistemi. Circa il 43% delle cause radicate dinanzi  al giudice di pace, come abbiamo detto, si sono concluse con la cancellazione dal ruolo. Pur essendo frutto dello sforzo conciliativo del giudice o delle risultanze di un'istruttoria rapida, il raggiungimento della conciliazione dinanzi al giudice viene scoraggiato dalla necessità di sottoporre alla tassa di registro il verbale di conciliazione, ove il valore superi i due milioni: le parti preferiscono farlo sottobanco. Non dovrebbe essere difficile, per lo Stato, convincersi che agevolare la conclusione della conciliazione dinanzi al giudice, per esempio elevando il limite dell'esenzione a trenta milioni, sarebbe un buon affare: si affermerebbe in modo conclamato la possibilità e l'utilità per il cittadino di avvalersi degli strumenti giurisdizionali posti a sua disposizione per risolvere le controversie in atto, con un sicuro effetto promozionale; nel contempo, si incentiverebbe il ricorso alle conciliazioni in sede non contenziosa, previsto dall'art. 322 del codice di procedura civile, scongiurando in molti casi perfino il sorgere della vertenza giudiziaria. In sostanza: un modo concreto ed economico per contribuire alla formazione di una cultura della composizione dei conflitti in sede giurisdizionale e non.
Sempre con la stessa finalità, sarebbe opportuno prevedere l'obbligatorietà della comparizione personale delle parti sia in sede contenziosa che in sede non contenziosa: non si vede, francamente, come siffatto obbligo limiterebbe il diritto della parte di non accedere ad una soluzione conciliativa.
Per concludere sul tema della conciliazione: ogni iniziativa che vada in direzione di una risposta alternativa alla giurisdizione - sempreché dia sufficienti garanzie di imparzialità e l'accesso non sia privilegio di pochi - va apprezzata e incoraggiata. Anche in questa campo il pluralismo è sintomo di modernità ed espressione di libertà civile. Allo stato dei fatti, l'obiettivo di avvicinare la giustizia al cittadino trova dunque nell'istituto del giudice di pace la risposta più compiuta, per la sua duplice qualità di organo giurisdizionale e organo di conciliazione, e per la sua capillare diffusione sul territorio. Il processo dinanzi a lui si avvale di forme semplificate, e potrebbe essere ulteriormente semplificato. La sentenza giunge in pochi mesi. Il tentativo di conciliazione viene attivato d'ufficio, in sede contenziosa, e su semplice domanda, in sede non contenziosa.
Tocca ora agli operatori del settore, ma anche a una pubblica opinione attenta e consapevole, valorizzare appieno il potenziale del giudice di pace e farne il punto di partenza di un processo di cambiamento destinato ad accrescere il livello di civiltà del paese.