Impresa & Stato n°40
IL MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA: IDEE PER UN PROGETTO
di
ANTONINO MIRONE
Studiare ed elaborare soluzioni concrete:
le tendenze emergenti dal "gruppo di lavoro"
in materia di riti alternativi
Nel settore
civile, l'espressione "rito alternativo" rimanda non ad un processo speciale,
alternativo al processo di ordinaria cognizione, ma ad una diversa modalità
di risoluzione delle controversie civili: si tratta del fenomeno noto,
negli ordinamenti di common law, con l'acrostico ADR - Alternative dispute
resolution. Tuttavia, il nostro ordinamento fa registrare, la riguardo,
un certo ritardo che riflette, del resto, il limitato interesse che sinora
ha rivestito il tema anche nel dibattito culturale.
Le statistiche ISTAT sul contenzioso civile fotografano - tra gli altri
- un elemento indirettamente ma francamente rivelatore della crisi di efficienza
del settore: mentre agli inizi del secolo il giudice conciliatore smaltiva
circa l'ottanta per cento dell'intero carico delle controversie civili,
attualmente l'organo giurisdizionale di primo grado in assoluto più
gravato risulta essere quello avente la competenza più elevata e
qualificata: il tribunale.
La crescita di produttività dell'apparato giudiziario nel suo
complesso non riesce a tenere il passo delle sempre crescenti sopravvenienze:
l'arretrato, che si esprime in termini assoluti ormai elevatissimi si consolida
anno per anno, e preme sul contenzioso pendente determinando un generalizzato
allungamento dei tempi di definizione delle controversie civili.
Le riforme processuali ed ordinamentali realizzate nella X Legislatura
hanno, tra l'altro, inciso sulla distribuzione della competenza tra i giudici
di primo grado, assegnando al giudice di pace una congrua competenza generale
per valore (lire cinquemilioni) e portando a lire cinquantamilioni quella
del pretore; anche grazie a taluni apprezzabili aggiustamenti nella competenza
per materia può certamente dirsi che è stata compiuta una
meritoria opera di razionalizzazione.
E' molto difficile descrivere, in modo schematico, il modello
organizzativo esistente nel nostro Paese. In linea di massima, dall'angolo
prospettico dell'accesso alla giustizia possono individuarsi, senza alcuna
pretesa di completezza, le seguenti caratteristiche:
a) assenza, in generale, di "filtri" per il ricorso al giudice ordinario,
siano essi rimessi ad organismi amministrativi ovvero ad organi giurisdizionali;
b) assenza di procedure non giurisdizionali per la risoluzione dei conflitti,
siano esse rimesse ad organismi amministrativi ovvero ad organi giurisdizionali;
c) assenza di centri di informazione ed assistenza per controversie collegate
a servizi e consumo; d) forte tendenza a definire in modo "contenzioso"
le controversie civili, fenomeno verosimilmente da porre in relazione anche
all'elevatissimo numero di avvocati presenti nel nostro Paese; e) su di
un piano di più approfondita analisi, si nota altresì l'assenza
di limitazioni per l'esercizio del potere di impugnazione, e l'assenza
di "filtri" per l'accesso alla Corte di cassazione.
Nessuna delle riforme varate dal Parlamento nella X Legislatura è
idonea a sciogliere anche uno soltanto di questi nodi. Il modello italiano
è e rimane quindi esageratamente "monolitico"; anche per la giustizia
onoraria, nonostante il passaggio dal conciliatore al giudice di pace,
non riesce che a proporre - in tono minore anche se su di un registro di
crescente, pretesa "professionalità" - lo schema collaudato dalla
magistratura togata: che è soprattutto schema processuale contenzioso,
nel quale l'applicazione delle regole tecniche ha luogo ed opera di una
sempre più vasta e specializzata categoria di professionisti legali.
D'altra parte, tale categoria di professionisti non ha strumenti né
"sedi" istituzionali per la gestione del contenzioso secondo modelli diversi
da quello del ricorso al giudice ordinario, sia questi giudice professionale
o giudice laico.
In Italia, in forma sempre crescente, è avvertita l'esigenza
di ricerca di modelli di autocomposizione dei conflitti, alternativi al
ricorso al giudice ordinario. I numerosi casi che si riscontrano a livello
nazionale, ma soprattutto locale, sono significativi della tensione verso
tipi di soluzioni compositive rapide e, quindi, più utili anche
sotto il profilo economico.
Questa spinta spontaneista verso forme di composizione ed autocomposizione
dei conflitti rappresenta il segno più evidente di come il ricorso
generalizzati alla giurisdizione ordinaria non sia più sentito dalla
collettività come mezzo primario di tutela dei diritti e, nei casi
meno complessi, anche come mezzo non idoneo in termini di rapidità
e di redditività economica.
Altra necessità avvertita, connessa se non conseguente alla
prima, è poi quella di veder deflazionato il carico del lavoro del
giudice che si vuole impegnato, nel rispetto di quella dignità che
gli compete, solo per grandi questioni e, in via gradata, per tutti quei
contrasti per cui ogni tentativo di diversa composizione non abbia sortito
effetti.
IL GRUPPO DI LAVORO DEL MINISTERO
E' nel contesto sopra descritto che il Ministero della giustizia
ha recentemente avviato dei lavori sugli "strumenti alternativi di composizione
delle controversie civili".
Con decreto in data 3 dicembre 1996, il Ministro Flick ha nominato
un gruppo di esperti "con il compito di procedere allo studio e alla elaborazione
di soluzioni concrete sui sistemi di accesso alla giustizia, e di individuare
efficaci strumenti non giurisdizionali di composizione delle controversie
civili, predisponendo uno o più schemi di provvedimento legislativo".
Del gruppo sono stati chiamati a far parte professori ordinari di diritto
civile e processuale civile, magistrati ed avvocati.
Il gruppo di lavoro ha svolto una vera e propria istruttoria promuovendo
audizioni di enti e soggetti coinvolti in programmi di "accesso alla giustizia",
prendendo così contatto con una realtà vasta e composita,
formatasi in modo spontaneo prescindendo da qualsiasi disciplina-quadro,
anche di settore. Sono stati raccolti i contributi conoscitivi dell'Unioncamere,
della Camera arbitrale di Milano, della Consulta dei consumatori costituita
presso il Ministero dell'Industria, dell'A.B.I., della Fondazione Cesar,
oltre a contributi specifici in tema di modifica della disciplina dell'assicurazione
obbligatoria per la r.c.a. e di processo assicurativo.
Le esperienze più significative sono apparse l'arbitrato "amministrativo"
della Camera Arbitrale presso la Camera di commercio di Milano, la cui
attività è peraltro relativa, allo stato, a casi numericamente
limitati; le iniziative sperimentali di arbitrato nel settore assicurativo,
soprattutto ad impulso di Unipol assicurazioni e Reale Mutua; la rete arbitrale
delle camere di commercio, presso cui risultano istituite ben 65 camere
arbitrali; la conciliazione presso le stesse camere di commercio, di cui
alla legge 29 dicembre 1993, n. 580 quanto alle controversie tra le imprese
o tra consumatori e imprese; l'Ombdusman bancario, istituito in base ad
una convenzione A.B.I. nell'aprile 1993; i programmi di accesso alla giustizia
curati, anche col contributo finanziario della commissione UE, del Comitato
Difesa Consumatori di Milano; la procedura di conciliazione ed arbitrato
promossa dalla Telecom e da alcune associazioni di consumatori per talune
contestazioni relative alle utenze telefoniche; la Camera di conciliazione
costituita ad iniziativa della Camera civile e della Corte d'Appello di
Roma, cui si è affiancata l'esperienza dello "sportello" di conciliazione
del Comune di Roma; lo "sportello" di conciliazione della Camera Arbitrale
di Milano per la risoluzione dei conflitti tra artigiani e consumatori.
Gli orientamenti del gruppo di lavoro sembrano, allo stato, poter individuare
diverse soluzioni applicative.
Si è scartata, in primo luogo, l'idea di fondo che ispirava
il disegno governativo presentato dal ministro Mancuso nel 1995 (d.d.l.
2814/c/XIII) che poneva il giudice di pace al centro dell'attività
conciliativa non contenziosa generale. Si è infatti ritenuto che
gli esperimenti conciliativi intanto possono sperare di avere successo,
in quanto siano condotti da soggetti o organismi appositamente attrezzati
e qualificati.
Una prima soluzione operativa potrebbe essere quella di prevedere un
organismo conciliativo generale, collocato a latere di un organo giudiziario
(verosimilmente a livello di circondario), "amministrato" da professionisti
legali con il coinvolgimento di tecnici qualificati per i singoli contenziosi
di settore, purché relativi a diritti disponibili. L'organismo di
conciliazione stragiudiziale, comunque denominato, potrebbe avere la caratteristica
di porsi come "filtro" obbligatorio per l'accesso al giudice togato, nel
senso che, come avviene per taluni contenziosi specifici, il tentativo
di conciliazione dovrebbe porsi come condizione di procedibilità
della domanda giudiziale.
Questa prospettiva deve innanzitutto essere verificata alla luce della
giurisprudenza costituzionale sulla legittimità degli esperimenti
conciliativi obbligatori, che presenta un'evoluzione nel senso di ritenere
non conformi ai fondamentali canoni costituzionali (art. 24 e 113 Cost.)
i procedimenti amministrativi concepiti quali condizioni di proponibilità
della domanda (sent. n. 41/1993); 530/1989; 93/1979), mentre l'ammissibilità
della domanda giudiziale: ma la distinzione non è sempre chiara)
può essere valutata sulla base di precisi indici:
- natura delle parti giacché il previo esperimento della procedura
amministrativa può giustificarsi e sul riflesso della spontanea
conformazione a legalità, e sul riflesso dell'economicità
della fase preventiva che consente di evitare procedure più lunghe
e dispendiose;
- carattere degli accertamenti demandati, a proposito degli enti pevidenziali
che dispongono di apposita organizzazione e personale specializzato, ciò
che rende utile il previo esame della controversia in sede amministrativa.
- esigenza di porre un freno all'eccesso di tutela giurisdizionale
"in vista di un interesse della stessa funzione giurisdizionale";
- opportunità di limitare il previo esperimento di fasi amministrative
a settori particolari.
La fase di conciliazione amministrativa non deve risolversi in un passaggio
tale da allontanare il momento (o addirittura la stessa possibilità)
dell'accesso al giudice, alternando in tal modo un valore che nel nostro
sistema attinge il livello della garanzia costituzionale; la conciliazione
obbligatoria è buona solo se il suo esperimento garantisce, almeno
in astratto, una concreta redditività del mezzo. In altri termini,
la fase amministrativa non può risolversi in un generico "parcheggio"
di contenzioso in attesa di esame da parte del giudice competente: detta
fase ha ragione di essere solo se l'esperimento conciliativo abbia concrete
possibilità di successo in quel settore specifico, e solo in tal
senso può parlarsi di economia di giudizio e di "interesse della
stessa funzione giurisdizionale".
Alla luce dei principi esposti si può scegliere l'alternativa
tra conciliazione volontaria e non condizionante l'accesso al giudice e
conciliazione obbligatoria, quale esperimento preventivo all'accesso alla
giurisdizione nelle forme ordinarie. Quest'ultima deve avere caratteristiche
tali per la composizione del soggetto cui è demandata l'attività
conciliativa e per la redditività, in astratto, dello strumento,
da porsi come credibile alternativa al giudizio.
Superati i problemi di costituzionalità, si propone la questione
della composizione dell'organismo di conciliazione. é opinione diffusa
che la presenza di tecnici esperti in singoli settori di contenzioso sia
essenziale, perché la conciliazione possa essere gestita con autorevolezza
e redditività; gli esperti potrebbero essere inseriti in albi o
elenchi, e scelti a caso a seconda del singolo settore di competenza.
C'è poi il problema del procedimento. Al riguardo, è
opportuno ricordare che il citato decreto Governativo aveva dettato una
disciplina estremamente anodina, prevedendo soltanto che gli organismi
di conciliazione amministrativa avrebbero dovuto assicurare imparzialità,
il rispetto del contradditorio e il valore di titolo esecutivo al verbale
di avvenuta conciliazione. Il gruppo di lavoro ministeriale ha voluto invece
sottolineare che l'unico limite delle procedure di conciliazione stragiudiziale
deve essere ravvisato nel rispetto dei principi fondamentali sulla contraddittoria
e paritaria difesa.
E' stata d'altra parte segnalata l'esigenza che il procedimento
di conciliazione, nel regolamento legislativo, sia comunque formalizzato,
sia pure con regole dotate di notevole elasticità. é unanime
il consenso sull'attribuzione dell'efficacia di titolo esecutivo al documento
(verbale) sottoscritto dalla parte e dal mediatore, quale che sia il valore
della controversia. A taluno è sembrata opportuna la determinazione
di un regime di impugnazione dell'atto di conciliazione, che tenga conto
della natura privata di quell'atto ma anche della sua formazione processuale
e della partecipazione del terzo.
CONCILIAZIONE E ARBITRATO
Una prospettiva nuova è quella della conciliazione e arbitrato
delegati dal giudice. La caratteristica del sistema sarebbe nel senso che,
individuato il thema decidendum il giudice potrebbe invitare le parti a
tentare la conciliazione dinanzi a un terzo qualificato. Il terzo potrebbe
essere nominativamente designato dal giudice, sulla base di un elenco tenuto
dall'ufficio; scelto dalle parti di comune accordo; individuato da un ente
pubblico o privato (Camera di Commercio, Amministrazioni locali, associazioni
di categoria, ecc.) secondo un preciso e rigoroso criterio di coerenza.
Il procedimento di conciliazione si concluderebbe con un verbale avente
valore di titolo esecutivo. Il comportamento delle parti non potrebbe essere
valutato ai fini dell'eventuale, successivo giudizio di merito, salvo che
per il regolamento delle spese processuali, ove si dovrebbe tener conto
dell'ingiustificato rifiuto a consentire la conciliazione. Il giudice potrebbe
altresì "delegare" la decisione ad un arbitro unico o collegio arbitrale,
o anche ad un ausiliario quale il consulente tecnico.
Sorge qui, peraltro, il problema delle spese del procedimento "delegato".
Mentre infatti nel caso della conciliazione la comune volontà delle
parti regoleranno le spese sia della fase processuale già svolta
sia dell'intervento del conciliatore, nel caso dell'arbitro, la cui decisione
è "autoritativa" e comunque non fondata su un accordo negoziale,
la materia della spesa andrebbe espressamente regolata. I problemi di costituzionalità,
soprattutto fondati sull'art. 24 Cost., vengono ovviati dalla previsione
della possibilità di non accelerazione dal Lodo. In tal caso il
giudice si limita a fissare l'udienza di prosecuzione della causa, ma la
decisione della parte di respingere il lodo può preludere ad un
regolamento delle spese che prescinda dal criterio della soccombenza.
ALTRI STRUMENTI
La conciliazione stragiudiziale quale "filtro" per l'accenno al giudice
togato e la conciliazione o l'arbitrato "delegati" come strumenti alternativi
di definizione del giudizio non esauriscono il quadro dei possibili interventi,
che il gruppo di lavoro si è rappresentato.
La forma "alternativa", sopra sommariamente descritta, potrebbe associarsi
ad altri strumenti maggiormente dettagliati, prevedibili per settori specifici
di contenzioso. A tale riguardo, sono stati oggetto di esame particolare
nel gruppo a) i rapporti di condominio negli edifici; b) i rapporti di
locazione immobiliare; c) i danni, anche alla persona, provocati dalla
circolazione dei veicoli.
Una proposta di notevole impatto è quella di dare ingresso,
in specifici settori ad una sorta di arbitrato "istituzionalizzato" che
interesserebbe il primo grado del giudizio di merito.
La individuazione degli interessi delle categorie e dei settori di
intervento può articolarsi (in via provvisoria) tenendo conto:
- degli interessi dei consumatori e dei risparmiatori: per questi interessi
gli organismi naturali sono le Camere di Commercio; ad esse ci si potrebbe
riferire anche in via legislativa, per provvedere a finanziamenti, esenzioni
fiscali, ecc., fissando altresì limiti alle tariffe e ai costi della
procedura, e l'osservanza dei principi fondamentali del processo;
- degli interessi che fanno capo ai rapporti di locazione e di condominio;
di essi potrebbero farsi carico le Camere arbitrali istituite ex lege presso
le cori di appello o ai tribunali, eventualmente operando con sezioni distaccate
nelle sedi degli ex mandamenti;
- degli interessi che fanno capo alla lesione di diritti soggettivi
derivante dalla circolazione dei veicoli; anche questi possono confluire
sulle Camere arbitrali da istituirsi presso Tribunali o Corti di appello.
La via legislativa per ottenere questo risultato potrebbe essere duplice:
- o può passare attraverso le clausole arbitrali inserite ex
lege nei contratti concernenti i rapporti sopra individuati; si verserebbe
in una sorta di arbitrato obbligatorio, che differisce tuttavia dalle ipotesi
a suo tempo censurate dalla corte costituzionale sia perché, assicurandosi
ex lege un doppio grado di giurisdizione ordinaria successivo al primo
grado stragiudiziale, non si viola il principio del giudice naturale, sia
perché prevedendo il provvedimento legislativo l'osservanza nelle
procedure delle elementari regole della difesa, non si sacrificherebbe
il portatore "debole" degli interessi individuati;
- oppure, attraverso la distribuzione diretta della competenza; in
tal caso, non si violerebbe il divieto di istituzione di giudici speciali,
in quanto il doppio grado di giurisdizione ordinaria successivo al primo
grado stragiudiziale ricondurrebbe la controversia nell'alveo della giustizia
togata.
Accanto a questa proposta di forte impatto, possono prevedersi soluzioni
meno trancianti, che non inibiscano l'accesso al giudice di primo grado;
in tal caso il coordinamento con il giudice seguirebbe i due schemi tracciati
retro, della conciliazione stragiudiziale quale condizione di procedibilità
- "filtro" ovvero della conciliazione o arbitrato quali modalità
"alternative" di definizione delle controversie già insorte.
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