Impresa & Stato n°40
PER LA TUTELA DELLA CONCORRENZIALITA'
La riforma delle Camere,
tra promozione del mercato
e rispetto del suo ordinamento:
obiettivi
e strumenti d'intervento
di
ALBERTO
MAZZONI
L'analisi del
ruolo che l'ordinamento attribuisce oggi alle Camere di Commercio deve
tener conto non solo delle modifiche delle funzioni e degli strumenti di
intervento di queste ultime quali introdotte dalla Legge 580/93 e da altre
specifiche disposizioni normative, ma anche, e soprattutto, di radicali
novità del contesto generale in cui sono destinate ad operare le
Camere stesse.
Da un lato, per apprezzare correttamente tale ruolo non si può
prescindere dalle norme e dai valori derivanti dall'ordinamento comunitario,
che l'ordinamento interno deve rispettare ed accogliere.
Dall'altro lato, occorre parimenti tener conto, a fini di ricostruzione
sistematica, del generale processo di "de-amministrativizzazione" del governo
dell'economia, che in parte è imposto dall'adeguamento al diritto
comunitario e in parte obbedisce a una logica puramente interna di superamento
dei modelli tradizionali dell'agire degli enti pubblici nel campo dell'economia;
modelli che, per valutazione largamente diffusa, non hanno dato buona prova
di séâ o comunque esigono di essere ripensati per far fronte
alle sfide della realtà contemporanea.
Particolarmente significativo è sotto quest'ultimo profilo,
l'arretramento generalizzato dello Stato-amministratore in favore dello
Stato-regolatore: al modello dell'azione amministrativa, fondato sul binomio
dei poteri concessi per il perseguimento di fini di interesse generale
il cui contemperamento è sostanzialmente rimesso alla discrezionalità
politico-amministrativa diretta dal Governo, si sostituisce progressivamente
il modello dell'azione amministrativa, intesa come presidio imparziale
della corretta osservanza delle regole del gioco; di un gioco, cioè,
nel quale i protagonisti sono, in libera competizione tra loro, le diverse
forze economiche e sociali e l'amministrazioneâ un arbitro che non
confonde il suo ruolo con quello dei giocatori. Fuor di metafora, si riduce
l'area dell'amministrazione attiva, affidata ai Ministeri e agli enti da
essi dipendenti gerarchicamente, e si espande invece l'area presidiata
dalle autorità indipendenti di regolazione.
Le Camere di Commercio non sono sfiorate solo indirettamente o marginalmente
da questo processo. Al contrario, esse ne sono direttamente coinvolte ed
incise posto che, quanto meno, esse si vedono oggi affidare dei compiti
che si inseriscono nella logica del "nuovo" anziché rimanere confinate,
seppur con qualche ritocco e ammodernamento, nel solco dei loro compiti
tradizionali.
Il punto è che, mentre è sicuro il coinvolgimento degli
enti camerali nel processo, non è invece del tutto chiaro con quale
intensità lo siano e con quali conseguenze sul piano della ridefinizione
dei loro fini istituzionali. Le riflessioni che ora esporrò sono
un tentativo di primo e sommario contributo allo sforzo di fare chiarezza
sul punto.
E' indiscutibile che a seguito dell'entrata in vigore della Legge
580/93 le Camere di Commercio abbiano assunto un ruolo ben più ampio
di quello da esse storicamente ricoperto di enti a tutela di interessi
di categoria; per certi aspetti le innovazioni apportate dalla riforma
del 1993 sono state anticipate nel corso degli anni passati dalla graduale
assunzione da parte degli enti camerali di sempre maggiori poteri e funzioni
di interesse generale.
Come a tutti noto, l'Articolo 2.1 della Legge indica infatti tra le
attribuzioni degli enti camerali, oltre a funzioni di supporto e di promozione
degli interessi generali delle imprese, anche più generali funzioni
nelle materie amministrative ed economiche relative al sistema delle imprese.
Inoltre, l'Articolo 2.4 elenca espressamente attribuzioni sicuramente
non a tutela dei soli interessi delle imprese, tra cui i compiti di conciliazione
ed arbitrato per la risoluzione di controversie tra imprese e consumatori
ed utenti, di promozione di contratti-tipo tra imprese, loro associazioni
ed associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti,
nonché di promozione di forme di controllo sulla presenza di clausole
inique inserite nei contratti.
Attraverso lo svolgimento di tali compiti, si può dire in prima
approssimazione che le Camere di Commercio assumono cosè una funzione
di tutela di mercato, che deve tener conto di una pluralità di interessi
categoriali in esso contrapposti.
Almeno due quesiti debbono essere posti:
1) una volta riconosciuta agli enti camerali la funzione di contemperamento
di interessi diversi a tutela del mercato nella sua globalità, quale
dovrà essere l'approccio nell'esercizio di tale funzione di tutela?
2) più in particolare, rientra tra gli obiettivi di tutela del
mercato anche quello di promozione della concorrenzialità, seppur
non espressamente richiamato dalla Legge 580/93?
L'IMPATTO DEL DIRITTO COMUNITARIO
E' ormai largamente diffusa la consapevolezza che non solo la
disciplina dei rapporti di diritto privato ma lo stesso diritto pubblico
dell'economia deve adeguarsi alle norme e ai valori derivanti dal diritto
comunitario.
E' qui sufficiente porre in risalto la speciale rilevanza che
il diritto comunitario assegna a due valori, cioè a) la scelta della
concorrenzialità come principio ordinatore di tutta l'attività
economica tanto delle imprese private quanto di quelle pubbliche; b) la
tutela dei consumatori come obiettivo parallelo e collegato in una visione
complessiva di economia di mercato.
Certamente concorrenzialità e tutela dei consumatori non sono
valori ignoti all'ordinamento interno. In quest'ultimo, tuttavia, essi
non hanno acquisito storicamente e costituzionalmente lo stesso rango che
invece è stato loro assegnato dal diritto comunitario.
Da un lato, infatti, la Costituzione repubblicana ha compiuto, in materia
economica, scelte mirate a superare il sistema di economia corporativa
in favore di un sistema di economia mista, nel quale la pari dignità
formale di imprese private e di imprese pubbliche dissimula un giudizio
di sostanziale preferenza per valori giudicati in séâ non
economici, quali i valori sociali e di mediazione politica cui quelli economici
sono stati, nel pensiero della maggioranza dei nostri Costituenti, complessivamente
sottordinati.
D'altro lato, nell'ottica del diritto comunitario il bene perseguito
come obiettivo fondante è la creazione di un mercato comune e lo
strumento principale prescelto è quello di un'economia libera di
mercato, che inevitabilmente assegna un ruolo centrale e propulsore alle
regole di protezione della libertà di concorrenza. La socialità
non è ignorata ne sottordinata, ma piuttosto concepita e assunta
come uno degli esiti positivi dell'economia di mercato.
Ne deriva, per così dire, una tutela non della socialità
in sè come valore diverso e contrapposto a quello della concorrenza,
bensì una tutela della socialità per il tramite dell'economia
di mercato e quindi della concorrenza.
In sintesi: nella tradizione del diritto interno, la concorrenzialità
sta un gradino al di sotto dei valori sociali e la protezione dei consumatori
e degli utenti di servizi di interesse generale è tipicamente affidata
a strumenti di amministrazione attiva (monopoli; concessioni; ordinamenti
sezionali con un controllo di vertice in funzione sia di sorveglianza,
sia di indirizzo); nell'ottica del diritto comunitario, invece, la concorrenzialità
è metodo generale di promozione (anche) della socialità e
la tutela dei consumatori e degli utenti di servizi di interesse generale
si realizza non già sottraendo al mercato e alla concorrenza la
disciplina di certi settori, bensì liberalizzando quei settori,
sul presupposto che il mercato, anzichéâ l'amministrazione
attiva, sia il modello che garantisce maggior equità e maggiore
efficienza.
Concorrenzialità e tutela dei consumatori (nelle particolari
accezioni ora viste) emergono alloraa come valori fondanti dell'ordinamento
comunitario; come suoi valori costituzionali, che l'ordinamento interno
non può disconoscere e deve anzi realizzare, ancorché essi
non abbiano tale rango nella sua tradizione.
In definitiva e salva l'ipotesi di conflitto tra i valori costituzionali
comunitari e quelli di diritto interno, i primi, cioè la concorrenzialità
e la tutela dei consumatori nell'accezione comunitaria, si impongono come
dati imprescindibili nella ridefinizione dei compiti istituzionali delle
Camere di Commercio.
L'ESERCIZIO DEI POTERI
Il primo elemento da registrare è che anche gli enti camerali
dovranno tener conto dei valori comunitari di concorrenzialità e
di tutela dei consumatori e conseguentemente esercitare i loro compiti
con consapevole riconoscimento della propria auto-limitazione a favore
della sola regolazione del mercato nel pieno rispetto dei valori suddetti.
Questa dovrà essere la stella polare o criterio guida nell'esercizio
dei già ricordati poteri di cui alla L. 580/93, in tema di prevenzione
di comportamenti di mercato scorretti e di accertamento e repressione,
quando comportamenti siffatti siano concretamente tenuti.
Inoltre, è di estremo rilievo il fatto che sia stata riconosciuta
alle Camere di Commercio la legittimazione ad introdurre l'azione inibitoria
di cui all'Articolo 1469 sexies del c.c.
Tale azione è infatti espressamente riconosciuta alle Camere
a tutela di diritti dei consumatori di matrice comunitaria.
L'introduzione nell'ordinamento interno di questo istituto radicalmente
innovativo conferma pienamente che il legislatore nazionale ha inteso aderire
al valore comunitario della tutela del consumatore, selezionando appositamente,
tra i soggetti ritenuti particolarmente qualificati a stimolare il controllo
giudiziario, quegli stessi enti camerali, cui lo stesso legislatore aveva
già affidato compiti di tutela del consumatore ai sensi (e con le
diverse modalità) di cui alla Legge 580/93.
Anche nel valutare questo nuovo strumento, sarebbe peraltro erroneo
cercare nei principi e nelle modalità di tutela tradizionali del
diritto interno (principi e modalità, cioè, ispirati alla
logica della protezione in via amministrativa dell'interesse pubblico,
valutato secondo criteri discrezionali e lato sensu politici) la chiave
di lettura per definire in quali fattispecie e per quali obiettivi gli
enti camerali potranno e dovranno avvalersi della legittimazione processuale
che la legge loro concede.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, si deve ritenere che tale
chiave di lettura non possa che essere quella dell'accezione comunitaria
e concorrenziale della tutela dei consumatori: in sostanza, la decisione
se promuovere l'azione non dovrà avere a fondamento valutazioni
di opportunità sociale o politica contrapposte a quelle di convenienza
economica presumibilmente sottese alle clausole adottate dalle imprese,
bensè valutazioni esclusivamente tecniche in ordine alla mancanza
di equità o, il che è lo stesso, alla contrarietà
a buona fede oggettiva riscontrabile in un documento contenente condizioni
standard di offerta di un determinato prodotto o servizio.
Infine, la ridefinizione del ruolo delle Camere di Commercio deve tener
conto degli specifici poteri arbitrali previsti a favore delle Camere stesse
dalla L. 481/95, istitutiva delle autorità indipendenti di regolazione
dei servizi di pubblica utilità: cfr. l'art.2, c.24, lett.b) di
tale Legge, che prevede, per le contestazioni tra utenti e imprese, il
ricorso preliminare, a pena di improcedibilità della tutela giurisdizionale
togata, all'arbitrato di fronte alle stesse Autorità o, nei limiti
previsti da atti regolamentari ancora da emettere, di fronte alle commissioni
arbitrali camerali di cui all'art. 2.4, lett. a) della L. 580/93. Ciò
che interessa sono i principi ispiratori della legge, che consentono di
far luce anche sul presumibile significato della previsione di possibile
affidamento alle Camere di Commercio di poteri arbitrali.
La Legge 481/95 ha come finalità generale di garantire la concorrenza
e l'efficienza del settore dei servizi di pubblica utilità, evitando,
peraltro, che sugli utenti si scarichino tariffe esose a copertura di diseconomie
o fissate ad un livello tale da procurare rendite sostanzialmente monopolistiche.
Per un verso, quindi, le autorità di regolazione del settore
sono incaricate di assicurare fruibilità e diffusione del servizio
in modo omogeneo nell'intero territorio nazionale, definendo un sistema
tariffario certo, trasparente e basato su criteri predeterminati.
Per altro verso, la sorveglianza sulle tariffe è configurata
come strumento di concorrenzialità e di efficienza, anzichâ
come causa di per séâ giustificativa di una deroga alle regole
di tutela della concorrenza.
Pur rimanendo fermo che l'autorità competente ad accertare e
sanzionare il rispetto della normativa in materia di concorrenza rimane
l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di cui alla Legge
287/90, viene dunque riconosciuto ad autorità autonome incaricate
della regolazione di specifici settori il compito di promuovere esse stesse
in via preventiva la concorrenzialità e l'efficienza del mercato,
operando in modo, peraltro, da contemperare tali valori con quello della
tutela dell'interesse degli utenti.
Sotto questo profilo si può cogliere un'analogia di fondo tra
la ratio legis, che è sottesa all'attuale configurazione delle autorità
indipendenti di regolazione, e quella ravvisabile nel denominatore comune
ai diversi interventi legislativi sopra menzionati in tema di Camere di
Commercio.
Altrimenti detto, pur essendo profonde ed evidenti le differenze in
termini di poteri (generalmente più incisivi nel caso delle autorità
indipendenti di regolazione in senso stretto) e di garanzie di indipendenza
(evidentemente non potendosi pretendere dagli enti camerali un distacco
totale dalla loro tradizione di rappresentanza di interessi), il legislatore
giudica idonee le Camere di Commercio a svolgere compiti di regolazione
del mercato con quella stessa veste e funzione di amministrazione tenuta
ad agire come arbitro e garante delle regole del giuoco, che è il
tratto tipico più qualificante delle predette autorità indipendenti.
GLI STRUMENTI DI REGOLAZIONE
D'altro canto, a voler pure ipotizzare che, in assenza di attribuzione
esplicita di competenza nella Legge 580/93, non sia corretto riconoscere
alle Camere di Commercio un ruolo avvicinabile, sotto il profilo dei compiti
di tutela del mercato, a quello delle autorità indipendenti di regolazione,
rimane fermo, a mio avviso, che le Camere debbono comunque ritenersi vincolate
al rispetto dei valori di concorrenzialità e di tutela dei consumatori
nell'espletamento delle loro funzioni anche semplicemente grazie a quella
che l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha definito,
nella sua Relazione Annuale del 1995, la "trasformazione generalmente più
concorrenziale dell'impostazione della politica pubblica".
Essa ha infatti rimproverato alle altre autorità pubbliche di
ignorare troppo spesso (sia in sede legislativa sia in sede amministrativa)
i principi di concorrenzialità che debbono oggi permeare l'azione
dei poteri pubblici nazionali, alla luce non solo degli obiettivi comunitari,
ma dell'esistenza stessa della normativa nazionale sulla concorrenza, che,
benchéâ di diretta applicazione agli operatori economici,
non può trovare effettiva applicazione in assenza di una sensibilità
delle autorità pubbliche in tal senso.
Dichiara infatti espressamente l'Autorità Garante nella Relazione
Annuale: "va rilevata una insufficiente delimitazione degli ambiti e degli
obiettivi della regolamentazione che consente spesso alle autorità
amministrative di intervenire sui comportamenti degli operatori economici
soggetti al loro controllo trascurando la fondamentale esigenza di garantire,
ove possibile, il mantenimento di condizioni concorrenziali nei mercati.
Gli svantaggi per i consumatori e per le imprese originati dalla concreta
prassi regolamentativa sono attribuibili soprattutto alla scarsa attenzione
assegnata dal legislatore alla concorrenza e al libero mercato e
alle difficoltà incontrate dalle autorità amministrative
responsabili nel modificare le loro azioni a seguito della trasformazione
generalmente più concorrenziale dell'impostazione della politica
pubblica".
Tale presa di posizione mette in luce come in realtà il rispetto
della concorrenzialità del mercato non sia assolutamente in contrasto
con la tutela del consumatore, ma sia anzi garanzia di sua maggior tutela.
La garanzia dell'autonomia decisionale dei singoli operatori economici
e l'eliminazione di pratiche abusive permette infatti una maggior concorrenzialità
tra imprese a vantaggio del consumatore. In questo senso, invero, il rispetto
della concorrenzialità del mercato potrà in molti casi generare
più facilmente conflitto con la promozione degli interessi delle
imprese, di cui pure continuano a farsi carico le Camere di Commercio (Articoli
1.1 e 2.1 della Legge 580/93), che non con la tutela dei consumatori, cui
è specificamente finalizzata la funzione di controllo delle condizioni
generali di contratto di cui all'Articolo 2.4, lett. b).
IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA
Sia le istituzioni comunitarie sia l'Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato hanno più volte affermato che l'applicazione
da parte di più imprese di condizioni uniformi, in particolare se
di vendita o di fornitura, può costituire una pratica concordata
contraria alla normativa anti-trust sulle intese. Ciò non significa,
tuttavia, che in séâ accordi standardizzati o elaborati da
associazioni di categoria siano automaticamente vietati. L'uso di formulari
standard prestampati è al contrario consentito e considerato benefico
per lo sviluppo omogeneo delle pratiche commerciali, purchéâ
non sia accompagnato da accordi (espressi o taciti) relativi a prezzi uniformi,
sconti o altre condizioni di vendita o fornitura.
Un'associazione commerciale può quindi preparare e diffondere
condizioni uniformi, purchéâ i suoi membri restino liberi
di adottare condizioni differenti, almeno per quanto riguarda clausole
con effetti particolarmente incisivi sulla concorrenza (quali appunto clausole
sul prezzo o su altre condizioni di vendita).
In particolare, la giurisprudenza ha chiaramente distinto tra clausole
contenute in accordi standard, che si limitino a definire i criteri di
formazione dei prezzi o di applicazione di altre condizioni (considerate
lecite); e clausole, invece, che fissino direttamente il prezzo o altro
termine contrattuale (considerate restrittive).
Inoltre, come sopra accennato, le autorità distinguono quanto
alla vincolatività delle condizioni generali: qualora la normativa
sia in diritto o anche solo in fatto vincolante (ancorché manchi
l'espressa assunzione dell'obbligo di adottarla), essa limita la libertà
della singola impresa ed è dunque da condannare come restrittiva;
in caso contrario, essa può considerarsi in linea di principio legittima,
sempreché, beninteso, l'illegittimità non riemerga sul piano
dei contenuti.
Da ultimo, va notato che la legislazione sulla concorrenza, sia comunitaria
sia nazionale, prevede delle forme di attenuazione di tali divieti: benché
restrittiva, una norma può essere esentata dalla Commissione UE
o dall'Autorità Garante qualora essa contribuisca a migliorare la
produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso
tecnico o economico, e purché riservi agli utilizzatori una congrua
parte dell'utile che ne deriva.
Tuttavia, nell'applicazione concreta dei principi sulla concorrenza
le regole di fondo da cui non è consentito discostarsi sono che
la libertà concorrenziale (autonomia della singola impresa, pluralità
delle imprese) deve essere sempre salvaguardata e che un certo livello
di riduzione di autonomia può essere tollerato solo se si può
dimostrare che la restrizione in sé beneficia il mercato a causa
delle particolari situazioni contingenti e se è incontestato che
in ogni caso tale restrizione non compromette in modo determinante la libertà
decisionale delle parti e l'efficienza del mercato.
IL RUOLO DELLE CDC
Se è ormai indubitabile che, per volontà del legislatore,
le Camere di Commercio sono divenute enti super partes a tutela degli interessi
globali del mercato, deve concludersi che esse debbono tenere in considerazione
gli interessi delle imprese non come un dato per loro automaticamente vincolante
o persuasivo in ragione del legame di rappresentatività che intercorre
tra le Camere stesse e le imprese, ma piuttosto in quanto gli interessi
delle imprese siano compatibili con gli interessi generali del mercato.
Ciò deve intendersi in particolare come duplice obbligo, da
un lato, di promuovere la concorrenzialità del mercato come valore-fine
e, dall'altro, di rispettarne comunque la vigenza nell'ordinamento come
limite generale, che si impone a qualunque organismo di tutela di interessi
pubblici generali, salve soltanto le eccezioni previste dalla legge.
Pertanto nel controllo dei contratti-tipo, cosè come in tutte
le altre attività di regolazione imparziale del mercato loro proprie,
le Camere di Commercio dovranno sempre garantire e perseguire:
1) la tutela dell'autonomia decisionale delle imprese;
2) la protezione del consumatore (finché compatibile con i principi
di libero mercato);
3) nonchéâ la concorrenzialità ed efficienza del
mercato in genere.
Quanto al controllo delle condizioni generali e dei modelli contrattuali
standardizzati, le Camere di Commercio dovranno sempre, nella loro valutazione
dei testi contrattuali, vegliare a che le norme ivi inserite non limitino
la libertà delle imprese, nel doppio senso che sia sempre lasciata
la libertà al singolo operatore di discostarvisi e che, quand'anche
utilizzate generalmente da un ampio numero di operatori, esse non vengano
ad incidere sulla concorrenzialità del singolo operatore rispetto
agli altri.
Un tal principio può essere attenuato solo al fine di tutelare
un altro interesse socialmente rilevante e la disposizione in ipotesi restrittiva
può allora essere esentata solo su autorizzazione della Commissione
UE o dell'autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
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