Impresa & Stato n°39
10 ANNI DI FORMAPER
Ripensare la formazione delle Pmi
Orientarsi ad un apprendimento peculiare
che costringe a ridisegnare
il ruolo del formatore
di
PAOLO PULCI
E SILVIA VALENTINI
Che la piccola
impresa sia una realtà con peculiarità del tutto proprie
è un'affermazione ormai addirittura abusata. Molto meno scontato
è sostenere che il fare formazione per questo tipo di azienda costituisca
un'esperienza singolare. Tra le diverse variabili che concorrono a delineare
questa specificità, vi sono sicuramente il particolare contesto
gestionale e operativo delle piccole organizzazioni e le tipicità
dell'apprendimento imprenditoriale. Esso spesso, secondo noi, porta alle
estreme conseguenze i principi dell'apprendimento degli adulti in genere1.
In ogni caso, quello degli imprenditori si caratterizza in modo diverso
dall'apprendimento di altri destinatari della formazione, costringendo
il formatore che voglia confrontarsi con esso a una serie di riflessioni
e di ripensamenti in merito al proprio ruolo, ad alcuni assunti teorici
e ad alcune scelte e modalità concrete del fare formazione. Tutto
questo può, in alcuni casi, rappresentare una sfida professionale
anche per quei formatori che provengono dal ben più titolato e spesso
più ambito mondo della formazione ai managers della grande impresa.
L'ANALISI DELLA DOMANDA: LE CARATERISTICHE
DELL'IMPRENDITORE
Vediamo qui di seguito di illustrare sinteticamente le principali caratteristiche
dell'apprendimento del piccolo imprenditore.
1. Il piccolo imprenditore, le cui giornate di lavoro sono in genere
intense e lunghissime, spesso interpreta il proprio ruolo in modo molto
operativo, con scarsa propensione alla delega. Egli ha di fatto, o ritiene
di avere, poco tempo e disponibilità per partecipare a corsi di
formazione (spesso organizzati con tempi e modalità che sposano
più le esigenze di organizzatori e formatori...). A questo si aggiunge
anche una scarsità di risorse, non solo temporali, che sarebbero
necessarie per applicare e trasferire in azienda quanto appreso in aula.
2. L'universo dei piccoli imprenditori si presenta piuttosto eterogeneo
nel livello di preparazione scolastica. Questo non facilita l'individuazione
di uno "standard medio" circa i bisogni di formazione, e quindi i contenuti
da erogare nelle diverse aree della gestione aziendale, soprattutto per
quanto riguarda l'offerta di programmi formativi interaziendali "a catalogo".
3. Il vissuto nei confronti della formazione e della consulenza è
spesso caratterizzato da diffidenza e sospetto, a volte rafforzato da esperienze
precedenti poco positive.
4. L'enfasi di molti formatori e docenti è sulle conoscenze
teoriche, sulle definizioni, sulle concettualizzazioni, mentre il piccolo
imprenditore ha un approccio alla realtà eminentemente pratico,
che privilegia "l'imparare facendo", piuttosto che stando seduto attorno
a un tavolo prendendo appunti e osservando lunghe sequenze di lucidi. Questo
costringe il formatore, almeno nei propositi, a relativizzare "l'aula",
che diviene una delle metodologie pedagogiche utilizzabili, non sempre
la più importante. Il piccolo imprenditore misura inoltre la credibilità
del formatore basandosi sulle sue esperienze concrete di successo e sulla
sua capacità di dare risposte applicabili più che sul possesso
di titoli accademici o professionali.
5. I formatori che lavorano con piccoli imprenditori sono sottoposti
a un bagno di concretezza anche dal pragmatismo dei propri clienti. Se
l'imprenditore decide di frequentare un corso non è "per fare cultura
generale", ma per trovare soluzioni operative da applicare nel più
breve tempo possibile. E sarà probabilmente su questo che misurerà
la qualità del corso stesso e di chi glielo ha venduto.
6. Spesso per la piccola impresa non c'è la disponibilità
a sostenere i costi di mercato dei corsi di formazione, come sappiamo in
genere piuttosto elevati. Questo, unito alla scarsa conoscenza dell'offerta
di formazione in termini di possibilità, contenuti e prezzi stessi,
costituisce un ostacolo significativo nella vendita di prodotti formativi
a questo tipo d'impresa.
7. Il piccolo imprenditore è orientato all'informalità,
alla semplicità e all'immediatezza nelle scelte gestionali e nella
soluzione ai problemi. Non di rado i formatori e i consulenti propongono
soluzioni complesse e articolate che male si coniugano con la realtà
semplificata della piccola impresa. Lo stesso linguaggio usato in molte
aule di formazione e in diverse dispense didattiche è un vero e
proprio gergo per iniziati e può intimorire e rendere diffidente
questo tipo di partecipante.
LA RISPOSTA DEL FORMAPER
Sulla base di tali riflessioni si è via via sviluppata l'attività
di formazione alle piccole e medie imprese erogata da Formaper in questi
anni. All'inizio, l'offerta rivolta alle imprese già avviate è
caratterizzata da pochi prodotti di base, sostanzialmente corsi di general
management venduti con diverse formule di fruizione. All'inizio degli anni
Novanta, anche grazie ad un significativo processo di sviluppo organizzativo
interno, viene avviata una diversificazione dei prodotti formativi secondo
il ciclo di vita dell'impresa, il che comporta anche una specializzazione
"per problemi" da parte delle risorse umane che operano all'interno di
Formaper. Aumentano significativamente i volumi di attività e la
visibilità esterna della "scuola" e, in un processo di sofisticazione
dei prodotti, nascono i primi corsi "lunghi" (relativamente al target di
riferimento, in realtà non vengono superate le dieci giornate d'aula)
funzionali: strategia, controllo di gestione, qualità, ecc. In questa
linea nasce la proposta di un corso sulla gestione delle risorse umane
e sullo sviluppo delle abilità manageriali, raccogliendo e vincendo
la sfida di trovare un equilibrio tra le caratteristiche del piccolo imprenditore
e la necessità di tempi e metodologie adeguate alla riflessione
e coscientizzazione su temi come questi ritenuti spesso "poco tangibili
e concreti". Oltre a ciò vengono lanciati seminari brevi di 1-2
giorni su argomenti specifici: ad esempio il lancio di un nuovo prodotto,
la selezione e la motivazione delle risorse umane, ecc. L'offerta viene
così a caratterizzarsi in questo modo:
¥ proposte "lunghe" di general management miranti a soddisfare
negli imprenditori e figli di imprenditori un bisogno preciso e diffuso
di apprendimento di conoscenze, metodologie e tecniche di gestione della
piccola impresa in generale;
¥ esperienze di seminari brevi con l'obiettivo di offrire un'occasione
di formazione/informazione su temi specifici e delimitati, in genere piuttosto
"innovativi" nell'accezione di cui sopra;
¥ corsi "lunghi" di approfondimento di singole funzioni aziendali.
In seguito lo sforzo diviene quello di "ingegnerizzare" (per ciò
che può esserlo un'attività come la formazione) l'offerta
"a catalogo", mentre gli elementi distintivi dell'area piccole e medie
imprese della scuola (flessibilità nel progettare modalità
formative coerenti con il target in quanto a durata, orari e struttura
degli interventi; prezzi ridotti rispetto a quelli di mercato, know-how
originale e specifico sulla piccola impresa) si rivelano vincenti.
Verso la metà degli anni Novanta vengono sviluppate capacità
interne di acquisire fondi pubblici regionali e comunitari, per finanziare
programmi di formazione innovativi. Nel 1993, viene finanziato un vasto
programma di formazione agli imprenditori artigiani su scala regionale.
La possibilità di praticare prezzi simbolici unitamente allo
sforzo organizzativo di erogare i corsi in loco con il supporto delle Associazioni
di categoria, in fasce di orario serale/festivo e con contenuti e metodologie
didattiche specifiche, consente di coinvolgere 5.800 imprenditori artigiani
dal 1993 al 1996 (370 corsi pari a 5.866 ore di formazione). L'utilizzo
di fondi comunitari consente di sviluppare progetti di intervento
sempre più complessi e per il numero degli attori coinvolti (istituzioni
di rilevanza nazionale e internazionale) e per il numero di azioni congiunte
previste (azioni di ricerca, di sviluppo software, di formazione in aula
e in-house, di formazione formatori ) e per il segmento di mercato (imprenditori
agricoli e del commercio). Parallelamente a tali azioni, la scelta strategica
diventa quella di utilizzare i fondi pubblici per estendere la formazione
a giovani laureati e/o diplomati da inserire nelle imprese minori per ricoprire
ruoli scoperti e tuttavia fondamentali. Vengono realizzati programmi di
formazione della durata media di 600 ore che prevedono un'alternanza di
aula, counselling, stage in azienda e sviluppo sul campo di un progetto
di sviluppo specifico per l'azienda gemellata. Il coinvolgimento delle
imprese e delle associazioni imprenditoriali nel disegnare il profilo del
formando, unitamente all'utilizzo di diverse metodologie didattiche attive
si traducono, nella nostra esperienza, nell'assunzione del 90% degli allievi.
SCELTE METODOLOGICHE NEL PROCESSO DI FORMAZIONE
Lo sviluppo appena descritto è stato la naturale conseguenza
delle riflessioni interne sui bisogni dichiarati ed effettivi delle piccole
imprese e sulle caratteristiche del piccolo imprenditore. Le caratteristiche
delle piccole imprese e dei loro proprietari influenzano infatti ovviamente
tutto il processo di formazione, a partire dalle fasi preliminari all'intervento
vero e proprio. La stessa analisi dei bisogni pone al formatore una serie
di riflessioni. Come dicevamo sopra, nelle piccole organizzazioni (soprattutto
se giovani) vi è poco di formalizzato, di "scritto" e di codificato.
Strategie, storia, organigrammi, valori e cultura aziendali, meccanismi
operativi, ruoli e compiti, problemi e soluzioni trovate, precedenti esperienze
di formazione e dati sulle risorse umane difficilmente possono essere ricostruiti
a partire dalla documentazione esistente. Spesso vanno percepiti "respirando"
l'atmosfera presente nell'organizzazione, osservando i comportamenti organizzativi
dell'imprenditore e dei suoi collaboratori, adoperandosi in uno sforzo
di razionalizzazione e formalizzazione di una realtà fluida e dinamica.
Importante diviene il ruolo dell'esperienza sul campo in analoghe indagini
in altre piccole imprese e la frequentazione assidua degli imprenditori.
Senza ovviamente rinunciare agli strumenti classici di un'analisi dei bisogni.
Anche nel caso di analisi dei bisogni di corsi "a catalogo", l'uso
di questi strumenti classici pone però quanto meno qualche problema
perché, per l'alta eterogeneità delle piccole imprese, i
risultati dedotti a livello campionario possono non essere correttamente
rappresentativi dell'universo oggetto di indagine, se non a costo di operazioni
di notevole dimensione e approfondimento. E comunque le indicazioni frutto
di tali risultati andrebbero applicate con un mix diverso a ogni edizione
del corso.
Le implicazioni in fase di progettazione formativa sono facilmente
intuibili. La scelta dei contenuti va effettuata ispirandosi a criteri
di grande concretezza, rinunciando a volte a suggestioni e innovazioni
concettualmente affascinanti per il formatore ma "distanti" per i potenziali
partecipanti. Anche dal punto di vista della specificità andrebbero
ridotte il più possibile le operazioni di "taglia e incolla" di
modelli e approcci sviluppati per la grande impresa. Spesso i contenuti
"giusti" sono quelli essenziali, di base, "innovativi" solo se riferiti
al target in oggetto, riservando poi la creatività e l'inventiva
pedagogica ad altre "parti" della progettazione, ad esempio alla scelta
delle metodologie didattiche. Come abbiamo già detto, irrinunciabili
divengono i principi di base dell'apprendimento degli adulti. La gestione,
almeno in una certa misura, del proprio processo di apprendimento da parte
del partecipante, la valorizzazione della sua esperienza vista dal formatore
più come risorsa da valorizzare che come nemico, il collegamento
forte tra quanto insegnato e i problemi reali della fase di vita in cui
l'imprenditore si trova, la proposta di un apprendimento "per problemi"
più che "per materie" divengono allora particolarmente significativi.
Uno spazio particolare merita la metodologia cosiddetta del counselling.
Tale metodologia si fonda sul principio della necessità di supportare
il discente ad applicare, nella sua azienda, i contenuti trasmessi in aula
attraverso l'aiuto di un metodologo esterno. Questi svolge un ruolo
di facilitatore del processo di apprendimento attraverso l'utilizzo di
domande finalizzate, da un lato, a supportare la fase del problem setting
e, dall'altro, a delineare un percorso di approccio ai problemi in sintonia
con il quadro di riferimento oggetto di apprendimento. L'attenzione del
metodologo non è concentrata sulla soluzione del problema specifico
quanto sull'attivazione di un processo di apprendimento coerente con il
percorso formativo progettato. Il counselling è, infatti, una metodologia
didattica necessariamente collegata, a una fase di aula nella quale vengono
trasmessi i contenuti teorici successivamente oggetto del counselling stesso.
L'efficacia di questa metodologia didattica è strettamente correlata
alla capacità del metodologo di svolgere la funzione di "specchio"
senza cadere nella tentazione narcisistica di soddisfare il suo interlocutore
fornendo la soluzione al problema o sostituendosi ad esso nell'applicazione
della tecnica. A differenza infatti del processo di consulenza, che è
"per contratto" finalizzato alla individuazione di soluzioni specifiche,
il processo di counselling è finalizzato alla trasmissione di una
metodologia che renda il soggetto protagonista delle proprie soluzioni.
Il metodologo dovrà quindi giocare più un ruolo di formatore
attento ai processi di apprendimento che non un ruolo di esperto detentore
di risposte certe.
Questa metodologia si rivela particolarmente utile per l'imprenditore
il quale, essendo naturalmente portato a ricercare risposte immediate più
che a porsi obiettivi di apprendimento, non ama tuttavia giocare il ruolo
passivo di colui che riceve soluzioni pensate e proposte da altri. Nella
nostra esperienza, questa metodologia è risultata molto efficace
perché è stata applicata coinvolgendo nella fase di counselling
non soltanto l'imprenditore ma anche i suoi principali collaboratori. Questo
allargamento è di fondamentale importanza sia per la ricchezza di
informazioni e "visioni" che ne emergono, sia per lo sviluppo e la condivisione
di una cultura aziendale comune. Una delle più frequenti cause
di frustrazione che si osservano nei collaboratori dell'imprenditore che
sono "mandati" a seguire un corso di formazione e che però non hanno
alcun potere di incidere sulle scelte strategiche dell'azienda, è
la distanza tra i modelli proposti e condivisi in aula e quanto effettivamente
realizzato o consentito dalla cultura organizzativa dominante. Ecco allora
che il coinvolgimento dell'imprenditore in alcune fasi del processo di
counselling realizzato per il collaboratore, diventa fondamentale per assicurare
il processo di apprendimento ed aumentare la motivazione al cambiamento.
La metodologia appena illustrata ben si sposa con un'altra che solitamente
viene utilizzata nella fase di aula: l'auto-caso. Si tratta di un metodo
che usa il "materiale" di uno o più partecipanti, cioè un
loro evento o situazione problematica concreta e reale. Partendo da informazioni
su di essa presentate all'intera aula, si procede a un'analisi e una discussione,
in cui il docente svolge un ruolo di stimolatore e successivamente di razionalizzatore,
dalla quale emergono ipotesi di soluzione. Come immaginabile, il coinvolgimento,
l'interesse e l'applicabilità da parte del soggetto sono molto alti.
L'obiettivo ideale è far sì che l'imprenditore possa affrontare
e gestire i problemi piuttosto che descrivere i fenomeni. Ugualmente stimolanti
sono alcuni approcci e metodologie che possono essere utilizzati quando
si intende sviluppare le abilità manageriali e in particolare di
gestione delle risorse umane. In questo campo la nostra scelta è
stata quella di non concentrarsi esclusivamente sulla trasmissione/sviluppo
di conoscenze/modelli predefiniti/abilità in sé e per sé,
decontestualizzate dalla situazione personale interiore dei partecipanti.
Il fondamento dell'intervento formativo diviene perciò l'autodiagnosi
su se stessi (struttura della personalità, atteggiamenti, vissuti,
stili, comportamenti), guidata dal docente e concepita come possibile stadio
preliminare a ogni crescita personale. I risultati di questa autodiagnosi
costituiscono poi una sorta di "filo rosso" lungo i diversi moduli formativi.
La stessa scelta dei docenti è un aspetto importante della progettazione
di corsi per piccoli imprenditori. La sensibilità e la sintonia
verso l'apprendimento imprenditoriale non si improvvisano. Non bastano
solide competenze specialistiche, ma occorre anche un mix di sensibilità
pedagogica, esperienza specifica, flessibilità personale e approccio
induttivo che parta dal caso concreto di chi è in aula per arrivare
a teorie e conoscenze generali e non viceversa. Probabilmente, le maggiori
difficoltà per chi insegna ai piccoli imprenditori provengono più
dalla gestione del processo di insegnamento che dal contenuto della materia
trattata, sul quale è meno frequente incontrare partecipanti estremamente
preparati. Anche aspetti in apparenza meno centrali come la struttura e
durata della proposta formativa vanno definiti con attenzione. In queste
decisioni, come in quella relativa agli orari dei corsi, è importante
essere veramente orientati al cliente, progettando interventi che siano
adatti al particolare destinatario con cui si lavora ed essendo disponibili
a rivedere con flessibilità i tempi riservati al lavoro e al tempo
libero. Analogamente, la scelta dei materiali didattici pone simili problemi
di personalizzazione rispetto ai destinatari. Semplicità di comprensione
e di utilizzo, una attenta selezione quantitativa che si concentri solo
su quanto è effettivamente fondamentale e la ricerca di contributi
quanto più possibile specifici per la piccola impresa, sono risposte
allo scarso orientamento alle teorizzazioni da parte dell'imprenditore.
 
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