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Impresa & Stato n°39 

 
 

REVISIONE COSTITUZIONALE E RIDISEGNO DELLE REGIONI 

Rileggendo le riflessioni della Fondazione Agnelli:
movente geoeconomico, principio di sussidiarietà
e dimensioni sub-nazionali del governo

di
 MARCELLO PACINI
 
Ho sempre pensato che la strada maestra per la trasformazione in senso federale dello Stato italiano fosse quella della revisione costituzionale. Di conseguenza, pur apprezzando e sovente ritenendo utili gli sforzi di chi ha agito a livello politico e legislativo sul terreno del cosiddetto "federalismo a costituzione invariata", li ho sempre ritenuti comunque insufficienti per permettere una trasformazione istituzionale, politica e, prima ancora, culturale e psicologica di così grande respiro. Coerentemente, confesso di avere riposto (e di continuare a riporre, sia pure con qualche disincanto) grandi aspettative nel lavoro della Commissione bicamerale. Nel momento in cui scrivo mancano ancora alcune settimane alla conclusione dei lavori della commissione. Tuttavia, mi pare di poter dire che, almeno per quanto dei lavori riesce a trapelare all'esterno, il tema della riforma federale dello Stato e della Pubblica Amministrazione non ha ancora ricevuto le stesse attenzioni che altri temi, dalla forma di governo alla giustizia, hanno invece avuto. Devo dire che questo stato di cose mi preoccupa e non vorrei trovare conferma a un pregiudizio che mi induce a sospettare che il consenso praticamente ecumenico che era andato in questi anni creandosi intorno alla necessità di una riforma federale fosse in realtà apparente e strumentale.  

LA PROPOSTA DI RIFORMA FEDERALE DELLA FONDAZIONE AGNELLI  
Dal 1991 a oggi la Fondazione Agnelli ha dedicato alla riforma in senso federale dello Stato e della Pubblica Amministrazione numerosi studi e riflessioni, che hanno trovato momenti di sintesi in alcune proposte di percorsi da seguire in direzione della riforma. In questi anni il nostro programma ha sempre cercato di coniugare sforzo conoscitivo e orientamento politico, approfondimento analitico e riflessione progettuale. L'obiettivo che ci siamo dati era quello di fare qualche passo in avanti per capire, al di là delle generiche opzioni di principio, di "quale" federalismo - fra i tanti modelli che ci presenta la teoria politica e gli ancora più numerosi casi concreti in Europa e nel mondo - ha bisogno l'Italia e "quale" federalismo essa può ragionevolmente pensare di costruire. 
Ancora recentemente abbiamo aggiunto al programma un ulteriore tassello, con una nuova ricerca dal titolo "Governare con il Federalismo" che mette a confronto i meccanismi di formazione delle politiche pubbliche in sei paesi, tre dei quali hanno una storia di federalismo (Svizzera, Germania e Canada), altri due (Belgio e Francia) hanno imboccato recentemente un indirizzo federale, mentre l'ultimo, la Francia, ha in questi anni modificato il suo tradizionale atteggiamento centralista per introdurre misure di decentramento. 
Il fatto che questa ricerca, come altre in precedenza, sia una ricerca comparata che assume la dimensione internazionale come sfondo non è casuale. Non si tratta solamente di una conseguenza di quel rispettabile atteggiamento di attenzione che fa dire a molti in molti campi che "l'Italia ha da imparare dalle esperienze europee e internazionali". In effetti, il riferimento alla dimensione internazionale è più sostanziale e, come dirò più avanti, è indispensabile per comprendere e giustificare perché la Fondazione Agnelli ritiene che il federalismo sia la risposta più adeguata ai problemi dell' Italia di oggi. 
La proposta di riforma dello Stato in senso federale che la Fondazione Agnelli ha definito nel corso di questi anni si fondava essenzialmente su tre pilastri: 
1) primo pilastro, una revisione della seconda parte della Costituzione che definisse un impianto federale ispirato ai principi della responsabilità, della trasparenza, della solidarietà e della sussidiarietà; prevedesse l'istituto regionale come base portante della riforma, con tuttavia ampi margini di autonomia per gli enti locali, in particolare, comuni e aree metropolitane; e introducesse un Senato delle Regioni; 
2) secondo pilastro, un sistema di federalismo fiscale fondato sull'autonomia impositiva delle regioni, sulla conseguente introduzione di una serie di tributi regionali, su trasparenti meccanismi di solidarietà fra i territori, sulla consistente riduzione dei trasferimenti statali; 
3) infine, terzo pilastro, un progressivo ridisegno delle regioni (e anche dei comuni italiani) per evitare i rischi insiti nella dimensione sociodemografica troppo piccola di molte realtà di governo locale. Questa è diventata nota come la proposta dell' "Italia in dodici regioni", forse quella che ha avuto maggiore diffusione, anche se in realtà non costituiva e ancora oggi non costituisce che uno degli aspetti di una riflessione assai più articolata. 

FEDERALISMO E SPIRITO DEI TEMPI. 
Quando circa due anni fa la proposta di riforma federale della Fondazione Agnelli giunse a maturazione la volli presentare come un'ipotesi in sintonia con lo "spirito dei tempi". Parlando di "spirito dei tempi" mi riferivo non solo al caso italiano, ma più in generale a numerosi segnali che provenivano da tutto il mondo. 
Il primo di questi segnali è la grande spinta all'allargamento della democrazia (si pensi a quanto è avvenuto in tempi recenti in Asia, in America Latina, ma pure nella stessa Europa) e al rafforzamento di forme ancora più partecipate di democrazia in quei paesi che al regime democratico sono da tempo abituati. Questo movimento mondiale verso società più democratiche porta con sé una forte richiesta di maggiore autonomia e autogoverno da parte delle élite politiche locali rispetto ai poteri centrali e da parte dei diversi soggetti della società civile. 
Il secondo importante segnale, strettamente legato al primo, è la tendenza diffusa verso un progressivo e sostanziale svuotamento del ruolo dello stato nazionale, che viene oggi sollecitato a cedere parti importanti  delle proprie competenze e dei propri poteri sia verso l'alto (verso organismi sovranazionali, come l'Unione Europea) sia verso il basso (verso le regioni, le città). Ciò si manifesta con grande evidenza nella sua crescente difficoltà a controllare e a gestire le dinamiche economiche e finanziarie nell'epoca della globalizzazione. 

LA CENTRALITÀ DEL MOVENTE GEOECONOMICO 
Trattandosi di fenomeni di ampio momento anche sotto il profilo temporale, le tendenze che due anni fa descrivevo come tipiche dello "spirito dei tempi" risultano confermate oggi. 
Un fattore, in particolare, risulta non solo confermato, ma ulteriormente amplificato, ed è quello relativo alle pressioni geoeconomiche sull'organizzazione sociale e sulle strutture politico-istituzionali, specialmente dei paesi europei e occidentali. Le logiche della competizione permanente diffuse a livello globale presentano infatti alle economie e, di riflesso, alle collettività sfide sempre più complesse. Le difficoltà probabilmente irrimediabili in cui si dibatte oggi il modello dello stato sociale trovano lì la loro causa principale, come testimonia il fatto che esse non sono affatto un fenomeno solo italiano, ma investono praticamente senza eccezioni tutto il mondo euroamericano. 
Viene, cioè, alla luce un problema di respiro storico e strategico. Sappiamo che i prossimi decenni il paradigma dominante sarà quello della globalizzazione, del punto di vista geoeconomico, dell'economia come variabile indipendente rispetto alla politica, della perdita di sovranità degli stati nazionali. In questo nuovo ciclo storico, che non durerà in eterno ma sicuramente ci accompagnerà ben oltre l'inizio del nuovo secolo, dovremo essere capaci di progettare una nuova organizzazione dello Stato che sia in grado di adattarsi e rispondere positivamente alle nuove regole dell'economia internazionale. 
E' per questa ragione che personalmente attribuisco grandissima importanza al fattore geoeconomico per giustificare e riconfermare la scelta della riforma federale. 
La globalizzazione ha modificato ed esteso il panorama degli attori della competizione economica. Non più, o non solo più, le imprese. Non più, o non solo più, gli stati. Oggi i veri protagonisti della competizione sono i territori e le città, i quali su scala globale si disputano investimenti e risorse umane. Ciascun territorio - e questo in Europa significa soprattutto, anche se non esclusivamente, ciascuna regione - e ciascuna città si trovano costretti dalla competizione a rafforzare quei fattori (economici, infrastrutturali, istituzionali, culturali e ambientali) che possano rendere il territorio o la città appetibile per ricevere nuovi investimenti e insediamenti produttivi, e per evitare che quelli già presenti scelgano altre destinazioni. Come è evidente, la costruzione e/o il rafforzamento di questo insieme di fattori, che gli studiosi chiamano i fattori di competitività di un territorio, chiedono a tutte le élite di ciascuna regione o città importanti sforzi congiunti. Perché è intuitivo che a qualificare un'area per i suoi buoni collegamenti, per un capitale umano di ottima qualità, per una qualità della vita elevata, per limitarsi solo ad alcuni esempi, non bastano gli sforzi del mondo economico. Il ruolo del settore pubblico, dei livelli di governo e di pubblica amministrazione locali restano, in questo senso assolutamente centrali. Così come è centrale il ruolo del sistema delle autonomie espresse dalla società civile. 
Da queste premesse deriva la conclusione, che la Fondazione Agnelli ha fatto propria, che un sistema di governo come quello federale, per il fatto di attribuire ai territori e alle città autogoverno, autonomia e maggiore controllo sulle risorse e sulle decisioni di prelievo fiscale, appare una soluzione adeguata (forse la più adeguata) per gestire nel miglior modo possibile l'opera di rafforzamento dei fattori competivi in una determinata area. 
Per dirla in modo un po' più icastico, il principio di sussidiarietà è stato sovente descritto come un principio di buon governo e, nella misura in cui avvicina governanti e governati, di allargamento della democrazia e di rafforzamento del potere di controllo democratico dei cittadini; alla luce di quanto ho appena detto, vorrei aggiungere che il principio di sussidiarietà è anche un importante principio di efficienza geoeconomica. 

SUSSIDIARIETÀ, RESPONSABILITÀ, SOLIDARIETÀ  
Il principio di sussidiarietà, insieme a responsabilità e solidarietà, resta al centro della costruzione federale, così come l'intende la Fondazione Agnelli. Ribadire oggi la centralità di tali principi ha notevoli conseguenze, specie alla luce dell'attuale dibattito politico e legislativo. 
Per quanto riguarda la sussidiarietà, noi crediamo che essa dovrebbe trovare esplicita menzione in sede di revisione costituzionale, così da incoraggiare comportamenti politico-istituzionali e interpretazioni giurisprudenziali coerenti. Si osservi peraltro che nell'interpretazione che la Fondazione Agnelli ha sempre dato della sussidiarietà, tale principio ha validità sia in senso verticale sia in senso orizzontale. In senso verticale, fra livelli di governo, esso suggerisce di trasferire responsabilità e risorse a livelli di governo più vicini ai cittadini, lasciando che quelli superiori siano titolari soltanto dei compiti che i livelli di governo inferiori non possono affrontare adeguatamente. In senso orizzontale, nei rapporti fra pubblico e privato, il principio porta a valorizzare le autonomie della società civile, agendo nella direzione non solo del decentramento, ma anche dell'alleggerimento delle funzioni dello stato e della PA. In questo caso, il senso del principio sta nell'assegnare all'azione pubblica il compito di occuparsi di fornire soltanto quei servizi e di tutelare soltanto quelle esigenze che non possano essere efficacemente garantiti dal mercato o dalla società civile. Alla luce di questa convinzione, si comprende perché la Fondazione Agnelli abbia da alcuni anni avviato un programma dedicato alla società civile e al rafforzamento delle sue autonomie, che noi consideriamo il naturale completamento e la prosecuzione del  programma sulla riforma dello stato. 
Per quanto invece riguarda il principio di responsabilità, mi pare che a esso dovrebbe essere data sostanza facendo in modo che il nuovo sistema di reperimento  delle risorse per le Regioni (e per gli enti locali) sia garantito a livello costituzionale. L'obiettivo è quello di dare al sistema stabilità nel tempo e non renderlo soggetto a modificazioni unilaterali. 
Infine, per quanto riguarda il principio di solidarietà, mi limito qui a ricordare che ogni sistema federale prevede forme di solidarietà fra le regioni. I gravi squilibri territoriali dell'Italia di oggi le rendono a maggior ragione necessarie, anche se attraverso meccanismi di ben altro rigore e trasparenza rispetto ai trasferimenti statali di un passato recente. Va però, al tempo stesso, sottolineato che per potersi felicemente coniugare con il principio della responsabilità e dell'autogoverno i meccanismi della solidarietà devono essere tali da premiare comportamenti virtuosi, in particolare favorendo quelle regioni che facciano sforzi per allargare la propria base imponibile e con essa le risorse a propria disposizione. 

PER UN FEDERALISMO REGIONALE  
Un'ultima questione che mi pare utile sollevare, perché è essenziale alla comprensione della nostra proposta federale, riguarda le necessità di superare il falso dilemma fra federalismo regionale e federalismo municipale. 
L'esperienza internazionale, come confermano gli studi comparati, non presenta casi di federalismo municipale. E' invece la dimensione regionale che, quanto meno nel mondo euroamericano, emerge come livello adeguato per una scelta di governo federale, come necessaria scala di riferimento per un ampio ventaglio di politiche pubbliche. 
La preferenza per la dimensione regionale nasce dalla convergenza di due diversi complessi di esigenze. Da un lato, abbiamo le istanze di specificità, di responsabilità e di trasparenza, di adattamento alle preferenze dei cittadini. Ciò significa differenziazione, controllabilità democratica, interesse allo sviluppo locale e capacità di mettere insieme interessi e attori anche di piccola dimensione. Ciò spinge verso livelli di governo decisamente sub-nazionali. Ma, d'altro canto, vi sono esigenze di qualità, di economie di scala, di capacità di inserimento in reti europei e globali, di capacità di gestire politiche complesse e onerose, come quelle volte al rafforzamento dei fattori competitivi di un territorio. Ciò spinge verso dimensioni territoriali piuttosto ampie, appunto quelle regionali. 
Quanto detto non significa che ai comuni (e alle città metropolitane) non debbano venire garantite, anche a livello costituzionale, ampie autonomie di governo e di finanziamento. Ha infatti ragione chi vede nella tradizione storica dell'Italia dei municipi un'importante risorsa in chiave federale. E certo occorre valorizzare questa risorsa e studiare meccanismi per evitare forme di neo-centralismo regionale. La nostra proposta contiene alcune idee in questo senso, insieme al suggerimento di ripensare, oltre a quelle regionali anche le dimensioni dei più di 8.000 comuni italiani, sovente davvero troppo piccoli per potersi assumere maggiori responsabilità. Ma, in ogni caso, la Regione deve restare il cardine di una costruzione federale. 

CONCLUSIONI  
Centralità del movente geoeconomico, centralità dei principi di sussidiarietà, responsabilità e solidarietà, centralità infine della dimensione regionale come architrave della riforma federale. Sono questi dunque i punti più importanti della proposta della Fondazione Agnelli che mi pare oggi di dover riportare all'attenzione del dibattito politico. 
Qualcuno si interrogherà certamente a proposito della nostra proposta di un ridisegno regionale che portasse all'accorpamento di alcuni territori con l'obiettivo di fare superare a ciascuna regione una determinata soglia critica sociodemografica. La proposta di ridisegno delle regioni, formulata nel 1992 e che suscitò molte discussioni e anche molte polemiche, resta certamente valida. Non è infatti venuto meno, anzi semmai con il tempo si è rafforzato, l'argomento secondo il quale la marcia verso l'autogoverno e la reale autonomia delle risorse, e lo sforzo per partecipare con successo alla competizione europea e globale, vede le regioni italiane più piccole oggettivamente svantaggiate. 
E' però vero che, mentre nell'attuale fase politica esiste presumibilmente intorno all'ipotesi di riforma federale un consenso delle élite e dei cittadini in ogni regione italiana, a Nord, ma anche a Sud, al contrario l'ipotesi di un ridisegno regionale di quella portata potrebbe costituire nella fase attuale un motivo di forti dissensi e opposizioni, se non addirittura diventare un alibi per l'inerzia. 
Si aggiunga a questo che personalmente sono d'accordo con quegli studiosi che ci ricordano alla luce delle esperienze internazionali che il federalismo è un processo intrinsecamente dinamico, con enormi capacità evolutive. Di conseguenza, ciò significa che non solo il legislatore dovrà tenere conto di questa intrinseca dinamicità ed evitare costruzioni di ingegneria costituzionale che vogliano eccessivamente definire e vincolare fin d'ora i successivi sviluppi. Ma significa anche che non è necessario attendere di avere raggiunto il consenso su tutti i punti per avviare il processo riformatore e completare le prime tappe. In altre parole, ritengo che la riforma federale possa essere avviata in Italia anche a partire dalle attuali venti regioni. Sarà il tempo poi a decidere se, una volta sperimentati direttamente non solo gli onori, ma anche gli oneri, dell'autogoverno e dell'autonomia fiscali, alcune Regioni saranno indotte a cercare forme di integrazione, anche istituzionali, con i propri vicini. 
Questa sottolineatura finale mi pare ancora più importante in una fase in cui la variabile temporale è decisiva e, o si riesce ad avviare una concreta ipotesi di riforma federale nei prossimi mesi come frutto dell'elaborazione della Bicamerale, oppure prende corpo il timore che l'intero disegno di riforma federalista possa essere riposto nel cassetto per chissà quanto tempo, con delle conseguenze che è difficile immaginare con esattezza, ma che, a mio modo di vedere, non potranno che essere gravi per la società e i cittadini italiani.