Impresa & Stato n°39
DAL FEDERALISMO UTOPISTICO AL FEDERALISMO POSSIBILE
Cominciare "umilmente" da una riforma profonda
dell'amministrazione per dare un nuovo volto allo stato
di
ENZO
BALBONI
Le seguenti sono
soltanto delle prime riflessioni sull'assetto che l'amministrazione della
Repubblica assumerà nei prossimi anni in attuazione delle cd. "norme
Bassanini" (leggi di delega, decreti delegati ed altre norme ad efficacia
immediata). In particolare del più cospicuo tra i due testi legislativi
che vanno sotto il nome del ministro Bassanini, e precisamente la legge
15 marzo 1997 n. 59 entrata in vigore il primo aprile 1997.
Volendo stabilire sin dall'inizio gli opportuni collegamenti costituzionali
questi vanno cercati e trovati nel fondamentale art. 5 della Costituzione
là dove si statuisce il compito della Repubblica di "riconoscere
e promuovere le autonomie locali, di attuare nei servizi che dipendono
dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo e di adeguare
i principi e i metodi della sua legislazione (la legislazione della Repubblica)
alle esigenze dell'autonomia e del decentramento".
Come era stato messo in luce a partire dagli anni '50 da una perspicace
dottrina - che ha i suoi capofila in Esposito, Benvenuti e Berti - l'intera
prospettiva dello Stato liberale meramente di diritto, che aveva costituito
l'orizzonte unico e limitato sul quale si era misurata l'azione pubblica
con i moduli di servizio che le erano propri, veniva ribaltata, almeno
"in potenza". E si partiva finalmente dalle libertà e dai diritti
dei cittadini e delle formazioni sociali rispetto ai quali l'amministrazione
si poneva in posizione di servizio, anziché di potere.
A questo proposito la distanza - sul piano fisico, culturale e sociale
- tra il cittadino e i poteri burocratici (chiamiamoli per adesso, sociologicamente,
così) era un dato importante e doveva essere progressivamente colmata
se voleva trasformarsi nell'amministrazione di una società che reca
impressi i caratteri della democrazia.
UNA LUNGA MARCIA DI AVVICINAMENTO
Non è il caso di soffermarci sulla lunga marcia che è
stato necessario compiere per avvicinarci - avvicinarci solamente - ad
un risultato che resta in ogni caso non ancora pienamente raggiunto. Questo
è pacifico, ma è anche, d'altronde, nell'ordine naturale
delle cose laddove l'inappagamento è un dato costante dell'imperfezione
delle umane coseÉ
Va tuttavia riconosciuto subito che, pur con i suoi limiti, il paesaggio
che abbiamo di fronte appare costellato più di luci che di ombre.
L'operazione che adesso si è avviata contrassegnerà certamente
questo scorcio di secolo essendo potenzialmente capace di produrre un mutamento
di strutture e di mentalità paragonabile, ed anzi superiore, a quello
che si ebbe 22 anni fa con la legge di delega n. 382/1975 che produsse
poi, due anni dopo, i decreti delegati n. 616, 617 e 618, a mezzo dei quali
avrebbe dovuto trasformarsi l'amministrazione regionale, e con essa ed
attraverso di essa, un largo comparto dell'amministrazione pubblica del
nostro Paese.
Il richiamo al passato valga, adesso, come caveat! perché tutti
siamo consapevoli che quella fu largamente una occasione mancata.
Dopo quel tempo venne, positivamente, per gli enti locali amministrativi
(Comuni e Province) la grande normativa autonomistica della legge n. 142/1990,
completata, da un lato, con l'avvio di una florida (anche se un poco retorica)
stagione statutaria e, dall'altro lato, con la legittimazione popolare
alla figura e al ruolo del Sindaco scelto direttamente dai cittadini.
E' già più problematico dare un giudizio completamente
positivo della legge n. 241/1990 (sul procedimento amministrativo) e dei
decreti delegati n. 29/1993 (e successive integrazioni) che presentavano
già in origine un difetto costitutivo che non vorremmo - che non
vogliamo - si ripresenti adesso. Più che la configurazione legislativa,
infatti, ciò che è complessivamente mancato alle leggi da
ultimo citate è stata proprio la dimensione di fattibilità,
concretezza, realizzabilità...come se il legislatore si muovesse,
per alcuni istituti, in argomenti e materie al buio e a caso. Dando cioé
l'impressione di muoversi come chi si trova di fronte a pignatte sospese
su fili e contenenti merci varie: andando alla ricerca di quella che contiene
le monete d'oro ma muovendosi a moscacieca, con gli occhi bendati, si rischia
di farsi cadere addosso una discreta quantità di crusca.
Grande importanza riveste la possibilità di avere un organismo
permanente - politico, amministrativo e tecnico - che sia costantemente
incaricato di accompagnare lo sviluppo, il farsi concreto, delle riforme
amministrative. Credo, pertanto, che sia a salutare positivamente l'istituzione
della Commissione Bicamerale per l'attuazione della riforma (art. 5) che
esprime i pareri e verifica periodicamente lo stato di attuazione riferendone
ogni sei mesi alle Camere. Da quest'ultima indicazione si trae la convinzione
che si è per tal via costituita una nuova Commissione parlamentare
permanente, destinata ad assumere uno spessore ed un rilievo sempre maggiori.
LA LEGGE BASSANINI
Venendo adesso ad un esame un poco più puntuale della legge
di delega possiamo osservare che, anzitutto, essa realizza fin dall'art.
1 - per adesso sulla carta, ma in tutta l'estensione possibile - il principio
dell'autonomia regionale e locale "sino ai limiti del federalismo".
Qui si potrebbe aprire una disputa terminologia ed ideologica sulle
tipologie: federalismo/regionalismo pieno e maturo/autonomismo locale.
Queste paiono, a prima vista, definizioni "in discesa"; esse invece riflettono,
semplicemente, una visione parziale di una realtà che non è
necessario restringere negli stretti confini di una definizione meramente
assertiva del tipo "federalismo è ..." "autonomia, invece,
è...".
In altre parole - e fatti salvi i più ipotetici risultati ai
quali dovesse giungere, in tema di forma dello Stato, la Commissione Bicamerale
per le riforme costituzionali, felicemente insediata e indagante - questo
è il tempo di agire, e di realizzare: di mettere cioé le
mani nella creta, sporcandosele per quanto è indispensabile per
riuscire a dare forma e realtà a un vaso, un'anfora, un'otre - quello
che volete - ma comunque ad un contenitore che sia adatto, e capace di
conservare l'olio nuovo, senza creparsi e senza farlo inacidire.
E' venuto dunque il tempo di fare e l'impegno ad agendum deve risuonare
alto e schietto. Anche perché il tempo disponibile per scrivere
i decreti delegati- emblematicamente nove mesi - corre molto in fretta
rispetto all'enorme mole di lavoro che ci sta dinnanzi.
Dicevo poco fa che l'art. 1, c. 2, contiene quella che mi azzardo a
definire la "piccola clausola residuale" che compare in tutti i sani ed
effettivi sistemi federali (uso questa terminologia per oppormi ad una
recente lettura polemica usata da Miglio contro i federalismi tedesco e
statunitense da lui reputati falsi e degenerati) avendo come prototipo
il Decimo Emendamento della Costituzione USA e l'art. 70 della Grund Gesetz
di Bonn. Si dichiara infatti nel testo che sono conferite alle regioni
e agli enti locali, nel rispetto del principio di sussidiarietà,
tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi
e alla promozione dello sviluppo delle rispettive popolazioni che siano
localizzabili nei rispettivi territori e che oggi sono in atto (e di fatto)
esercitati da qualunque organo o amministrazione statale (centrale ovvero
periferica) compresi quelli svolti da enti pubblici nazionali o altri soggetti
pubblici.
Il punto di principio è molto importante ed assai innovativo:
la svolta appare netta e risoluta.
Coerentemente al fatto che ci muoviamo dentro i confini della Costituzione
vigente il ventaglio delle materie, funzioni e compiti che restano esclusi
dal "conferimento" (parola comprensiva che racchiude insieme trasferimenti,
deleghe e attribuzioni) sono numerosi ed importanti. Oltre a ciò
la materia risulta ampliata ancor di più per effetto dei quattro
comparti ulteriori che rimangono allo Stato nei settori espressamente esclusi
dal comma 4 del medesimo articolo 1, significativamente conclusi dalla
riserva allo Stato del coordinamento dei rapporti con l'Unione Europea.
Può essere vero che l'elenco di ciò che resta allo Stato
è troppo lungo e che qualche maggior fiducia nel comparto autonomistico
avrebbe potuto smagrire ulteriormente le funzioni e i compiti assegnati
allo Stato centrale. Ma aprire adesso un dibattito su questo punto sarebbe
soltanto sterile e praticamente inutile.
Oltre a ciò va chiarito che lo spazio che, in ogni caso, resta
disponibile per il comparto delle autonomie regionali e locali è
ampio e rilevanti sono le materie cosicchè le Regioni, i Comuni
e le Province e gli altri enti locali lo vorranno, avranno agio di saggiare
e di mostrare la loro nobilitate. Nei rapporti tra Regioni ed Enti locali
- che non sono facili sotto nessuna latitudine - dovrebbe poi funzionare
da "seconda clausola residuale": il principio di sussidiarietà;
al comparto locale rappresentato dai Comuni, Province e Comunità
montane viene adesso attribuita "la generalità dei compiti e delle
funzioni amministrative" riferendosi esplicitamente alle materie
dell'attuale art. 117 Cost. e genericamente a tutti gli altri compiti e
funzioni che sia possibile "localizzare" su un territorio.
Si può intravedere uno schema fondamentale muovendosi, come era
indispensabile, all'interno della Costituzione vigente e partendo dunque
dalle materie del vigente art. 117 vengono riservate alle Regioni soltanto
quelle funzioni amministrative che richiedono un esercizio unitario a livello
regionale, mentre le altre funzioni amministrative nelle materie diverse
da quelle attinenti la responsabilità dello Stato (e dei suoi organi
ed enti) arrivano al comparto Regioni-enti locali attraverso la ricognizione
che, sulla base dell'attuale articolo 118, sarà fatta nell'osservanza
dei dieci criteri direttivi - ognuno dei quali incorpora ed esplicita un
principio politico-organizzativo - adesso contenuti nell'art. 4 della legge
in esame.
Sul punto propongo soltanto due veloci osservazioni. La prima riguarda
la metodologia adottata, che è corretta, ma deve essere chiaro che
essa scarica sui decreti delegati da scrivere una montagna di problemi
sorgenti, in pratica, da ciascuno dei criteri-principi che dovranno essere
applicati e realizzati sulla base, anche, di adeguate conoscenze delle
situazioni giuridiche e di fatto: tutto ciò configura un lavoro
assai impegnativo per tempi di esercizio della delega appena accettabili
(9 mesi/1 anno).
La seconda osservazione concerne la strada così aperta, che
potrebbe fungere, domani, da via di fuga (e, altresì, di un livello
di realizzabilità accettabile) per la Commissione Bicamerale per
le riforme costituzionali se questa si dovesse impantanare nell'incapacità
di procedere effettivamente sulla strada del federalismo. Voglio dire che,
anche restando all'interno di uno "Stato regionale" (modello spagnolo piuttosto
che tedesco) l'apertura verso il nuovo potrebbe prendere la strada, ben
più modesta delle tanto abusate proclamazioni, della riscrittura
degli attuali articoli 117, 118 e 119 Cost. (per fermarci all'ambito delle
funzioni legislative ed amministrative e della finanza regionale) se la
via di un federalismo serio e completo (e dunque con presenza delle Regioni
nel cuore costituzionale della Repubblica) non risultasse matura e dunque
politicamente praticabile (cosa che io, personalmente, non auspico, ma
temo).
Per memoria del lavoro fatto e del lavoro da fare, usando volutamente
un linguaggio basso ma concreto, pongo qui soltanto i titoli degli oggetti
che ci riguardano: quelle che, con linguaggio giornalistico, sono state
chiamate "le deleghe in pillole".
L'elenco, certamente incompleto, comprende:
- decentramento dei compiti "strategici" verso Regioni ed enti locali;
- istituzione della Commissione Bicamerale per l'attuazione della riforma
della pubblica amministrazione;
- rafforzamento delle competenze della Conferenza Stato-Regioni e di
quella Stato-Città (che dovrebbero, auspicabilmente, essere riunite);
- riforma della Presidenza del Consiglio e avvio delle procedure per
l'accorpamento ministeri;
- riordino dei grandi enti pubblici, esclusi quelli previdenziali;
- "potatura" di circa 50mila "enti inutili";
- controllo di qualità sui servizi pubblici e potenziamento
dei meccanismi di valutazione dei costi delle pubbliche amministrazioni;
- razionalizzazione del sistema della ricerca scientifica;
- estensione ai dirigenti generali della privatizzazione del - rapporto
di lavoro nel pubblico impiego;
- riordino dell'ARAN (Agenzia per la contrattazione) e nuove procedure
di contrattazione;
- passaggio, dal 30 giugno 1998, di tutte le controversie di lavoro
dei dipendenti pubblici dal giudice amministrativo a quello ordinario (pretore
del lavoro);
- accelerazione del processo di delegificazione con presentazione annuale
al Parlamento di un disegno di legge ad hoc;
rapida semplificazione, per via regolamentare, di 112 procedure amministrative
riguardanti le attività produttive;
rafforzamento del processo di autonomia scolastica.
La riforma profonda dell'amministrazione, che poi significherebbe rivoluzione
nello Stato e nuovo volto della Repubblica democratica, comincia umilmente,
ma assai concretamente, da qui.
*L'articolo si basa sulla relazione tenuta dall'autore al Convegno
promosso dal C.N.E.L. sul tema, svoltosi a Roma il 18 e 19 marzo 1997.
 
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