Impresa & Stato n°39
10 ANNI DI FORMAPER
Per lo sviluppo dei piccoli e medi imprenditori
Storia, obiettivi e risultati di un tentativo organico
per la formazione all'imprenditorialità
di
FEDERICO MONTELLI
LE RAGIONI DI UNA NASCITA
Quando a metà degli anni Ottanta la Camera di Commercio di Milano
decise di istituire l'Azienda speciale Formaper, la formazione delle piccole
e medie imprese e la formazione imprenditoriale in genere era in Italia
in una situazione di modeste esperienze e allo stato pressoché nascente.
Il Formaper stesso traeva la sua origine da una esperienza svolta verso
la metà degli anni Ottanta nell'ambito del sistema camerale e rivolta
essenzialmente alle piccole e medie imprese operanti. Tale esperienza,
chiamata appunto Formaper (sintesi di formazione permanente), era stata
lanciata da Assefor, la associazione delle Camere di Commercio per la formazione
con sede in Firenze, con lo scopo di sviluppare l'aggiornamento e la formazione
on-the-field delle piccole e medie imprese operanti.
Quell'esperimento si era rivelato interessante, ma stava evolvendo
verso una conclusione. La CCIAA di Milano decise appunto di proseguirlo
creando una azienda speciale, cioè una struttura organizzativa in
parte autonoma che potesse seguire in maniera strutturale la tematica della
formazione imprenditoriale. La nascita effettiva della azienda avviene
a cavallo tra la fine del 1986 e l'inizio del 1987. La prima riunione del
Consiglio di Amministrazione, pleno jure, è del 16 aprile 1987.
Gran parte dello staff viene assunto solo a partire dalla metà del
1988.
La prima e la più importante decisone strategica fu quella di
concentrare l'attenzione prioritaria dell'azienda sulla formazione imprenditoriale.
Precedentemente, ma in parte ancora adesso, alla formazione imprenditoriale
non veniva riconosciuta né dalla dottrina, né dalla prassi,
una sua autonomia rispetto alle altre forme di formazione quali quelle
professionale o manageriale. Anzi, nella tradizione italiana la formazione
imprenditoriale veniva concepita come formazione di carattere essenzialmente
tecnica e professionale (soprattutto per gli artigiani e i commercianti)
ma del tutto estranea sia alle tecniche di gestione che soprattutto alla
dimensione più spiccatamente imprenditoriale.
In un paese come l'Italia dove la piccola e media impresa era ed è
preponderante in termini qualitativi e quantitativi, gran parte della dottrina
politica e sociale si basava sul mito che il segreto del successo della
piccola e medie impresa fosse legato al suo spontaneismo e a una sorta
di "benign neglect" da parte dello Stato (e soprattutto da parte del Fisco),
una teoria tradotta nello slogan allora tanto di successo della "economia
sommersa".
Proprio le esperienze straniere nei sistemi considerati più
liberisti, come ad esempio quello americano, dimostravano che invece si
poteva benissimo praticare la formazione degli imprenditori come fattore
autonomo, sicuramente osservabile e modellizzabile, ne più ne meno
di altri fenomeni tipici delle scienze sociali. Lungi da noi dire comunque
che il Formaper abbia inventato la formazione imprenditoriale in Italia.
Sicuramente è stato ed è uno dei tentativi più organici
di approccio a questo fenomeno.
Un'altra seconda scelta strategica fu quella di concentrarsi su un
approccio, sia euristico che didattico, di tipo bottom-up, cioè
centrato sulle esigenze di far emergere il know how formativo dalle esperienze
concrete delle piccole e medie imprese, osservandole sia in sede di processi
di ricerca specifici e autonomi che utilizzandole attivamente in sede di
attività didattica, sulla base delle teorie più avanzate
della formazione degli adulti dove il ruolo fondamentale del docente è
quello di "estrarre" il più possibile dalla esperienza concreta
dei discenti per metabolizzarlo e sintetizzarlo in suggerimenti operativi
che trasformino i comportamenti futuri.
Una delle prime iniziative fu ad esempio la realizzazione di sistemi
di autoanalisi delle performances aziendali delle Pmi. Da questo approccio
è derivato naturalmente un ribaltamento del meccanismo tradizionale
di formazione delle piccole e medie imprese, che fino ad allora si basava
sul trasferimento, qualche volta acritico, di modelli studiati precedentemente
sulla grande impresa (com'è ancor oggi gran parte della letteratura
sulle teorie manageriali) e la continua verifica e creazione autonoma di
strumenti il più possibilmente originali e su misura. Altrettanto
importante corollario fu quello di impostare tutta la metodologia di aula
sulla base di tecniche attive di coinvolgimento dei partecipanti, di utilizzo
di casi sia scritti che viventi (ampio utilizzo di testimonials aziendali,
spesso imprenditori loro stessi). La stessa progettazione formativa non
è stata mai pensata come autolimitantesi al solo utilizzo delle
tradizionali attività dall'aula, attraverso il tradizionale meccanismo
di rapporto tra docente e discente, ma come una alternanza e interazione
fra attività di assistenza, lavoro individuale, percorsi alternativi
e guidata secondo i meccanismi della formazione-azione.
Una formazione di questo tipo, dove gli aspetti teorici tendono a stemperarsi
in una serie di modelli empirici e il più possibile applicabili
nel day by day della gestione aziendale, non poteva non richiedere l'utilizzo
di un determinato tipo di docenza, proveniente da ambienti professionali
e direttamente dal mercato, che potesse trasferire le proprie conoscenze
operative agli imprenditori.
Un'altra fondamentale differenza di approccio è stata relativa
alla impostazione della struttura dei corsi. Tradizionalmente la formazione
manageriale è stata concentrata sullo sviluppo di competenze di
tipo funzionale, tesa normalmente a sviluppare ruoli specialistici in strutture
di medio-grande dimensione. Tale tipo di impostazione non si adatta alla
tipica struttura organizzativa dalla Pmi dove i ruoli manageriali e funzionali
sono molto meno definiti e si richiede un'alta flessibilità e intercambiabilità
dei ruoli; per non parlare dell'imprenditore al quale non si richiede una
impostazione funzionalistica, ma anzi interfunzionale e di analisi complessiva
e a livello strategico della propria impresa. Si prese così in esame
una impostazione di tipo diacronico centrata sul ciclo ottimale di vita
della piccola e media impresa: un ciclo che inizia prima ancora della nascita
formale dell'azienda con i fattori preparatori e culturali preliminari,
che passa alla nascita vera e propria e prosegue con il periodo della crescita
e della maturità. Lungo tutto questo ciclo le problematiche tipiche
di ogni periodo vengono analizzate nel loro emergere e con un ottica, come
quella della piccola impresa, tipicamente interfunzionale, onde fornire
all'imprenditore il bagaglio necessario per farvi fronte.
A fronte di questa impostazione di fondo la strategia operativa Formaper
si è evoluta peraltro lungo questi 10 anni di vita in forme evolutive
differenti. Il primo periodo che va dal 1985 al 1988 è quello dell'attenzione
specifica alla piccola e media impresa già operante, soprattutto
manifatturiera, a cui si sottopongono modelli di gestione e di aggiornamento
attraverso metodologie di autoanalisi. In questo periodo nasce anche la
Associazione Iniziativa Italia che si propone di mantenere in rete i piccoli
imprenditori già interessati da processi di formazione.
In un secondo periodo, che coincide con il passaggio di Formaper alla
forma di Azienda speciale alla fine degli anni Ottanta, la focalizzazione
passa allo sviluppo della nuova imprenditorialità. Questa priorità
viene decisa dopo un'analisi della realtà economica milanese, dei
suoi bisogni e della offerta di formazione e di servizi reali esistente.
La nuova imprenditorialità locale, soprattutto nella sua dimensione
minore o micro, si trova ad essere sia sottorappresentata che a non trovare
servizi adeguati sui mercati corrispondenti. In questo periodo, che va
1991 al 1993, il Formaper compie molte ricerche sulla evoluzione imprenditoriale
dell'area ed altrettanti convegni di approfondimento. Ugualmente si progetta
e si mette in esecuzione un sistema integrato di sviluppo della imprenditorialità
adeguato all'area milanese. Dopo una serie di corsi iniziali di breve durata
(corsi Novim) si passa all'introduzione di processi più lunghi di
formazione tramite l'utilizzo del Fondo Sociale Europeo. Nel 1992 viene
creato il Punto Nuova Impresa a Milano, come struttura informativa di accesso
attraverso la quale raggiungere il maggior numero possibile di neo-imprenditori
locali. Sempre nello stesso anno viene progettato e inizia a muovere i
suoi corsi anche l'incubatore tecnologico, struttura anche fisica delegata
a far crescere insieme una selezione di piccole imprese a contenuto tecnologico.
Nel 1993 l'esperienza più che soddisfacente dello sportello milanese
del Punto Nuova Impresa viene allargata alla Lombardia tramite l'accordo
di Unioncamere e Regione Lombardia: il sistema di promozione dell'imprenditorialità
inizia a funzionare nella sua interezza.
Nell'ultimo periodo, che arriva a tutt'oggi (1993-1997) il Formaper
cresce sia in attività che in termini organizzativi. Si amplia la
pianta organica e si differenzia l'attività in tre aree: l'orientamento,
la creazione di impresa e l'area della piccola e media impresa. Il Formaper
diventa così definitivamente "Scuola di Imprenditorialità"
che ne abbraccia le diverse forme ed espressioni, da quella nascente a
quella consolidata, da quella culturale a quella spontanea, da quella in
forma di impresa a quella di autoimprenditorialità. Si sviluppano
le attività di orientamento verso le scuole e le università;
le attività verso i nuovi imprenditori si differenziano per tipologie
ed aree territoriali, si sviluppa la rete regionale dei Punti Nuova Impresa,
le attività verso la piccola e media impresa si arricchiscono di
un vasto programma di formazione manageriale rivolto verso il mondo artigianale,
un nuovo impulso interessa le attività internazionali di formazione
e assistenza tecnica. Nel contempo, in questi ultimi anni prendono corpo
alcune attività di innovazione tese a sperimentare campi nuovi non
strettamente di competenza del Formaper quali quelle di apporto alle lauree
brevi, le attività di orientamento più generale, gli stages
all'estero, la formazione a distanza e l'avvio delle attività di
formazione continua in collaborazione con le associazioni di categoria.
Nel contempo cresce anche la struttura e l'organizzazione interna del
Formaper sia nel senso di una riorganizzazione strategica attorno alle
tre principali aree di attività, sia nel senso di attivazione di
strumenti di controllo e valutazione delle attività formative. A
un approfondito sistema di valutazione della efficacia della formazione
si aggiunge il sistema di controllo di gestione, l'attivazione di un sistema
informativo di rete e di incentivazione della produttività. Ed infine
la certificazione del servizio Punto Nuova Impresa sulla base della normativa
dell'ISO 9000.
I RISULTATI DELL'ATTIVITA' DI FORMAPER SUL
TERRITORIO
Nel corso di questi anni il complesso delle attività Formaper
ha riguardato circa 48.000 tra aspiranti imprenditori e imprenditori dell'area
milanese. Per la precisione (Tabella 1 a. e b.) oltre 15.000 giovani sono
stati interessati da processi di orientamento più o meno lungo soprattutto
nelle scuole e nelle università. Oltre 18.000 presenze sono state
registrate presso i 5 sportelli Punto Nuova Impresa dell'area milanese;
2.535 sono stati gli aspiranti imprenditori che hanno seguito processi
di formazione-assistenza più lunghi e 12.114 i piccoli e medi imprenditori
di tutti i settori partecipanti ai corsi di formazione.
Volendo passare a una valutazione non solo numerica dell'impatto dell'attività
Formaper sull'ambiente di riferimento è opportuno peraltro utilizzare
parametri diversi a seconda del tipo di intervento. Una valutazione dei
processi di orientamento non può che essere legata principalmente
al numero dei giovani e meno giovani raggiunti dato che il nostro non è
mai stato un orientamento strettamente professionale, quanto molto spesso
uno di tipo culturale, i cui effetti possono essere misurati solo nel lungo
periodo. In ogni caso il numero testimonia ormai di un impatto nel sistema
educativo milanese che non è più trascurabile.
Un'analisi più approfondita può essere invece svolta
sull'area della creazione di impresa. Premesso che riteniamo che l'obiettivo
primario in quest'area non sia quello di forzare meccanismi locali di sviluppo,
peraltro ampiamente consolidati, è possibile giungere comunque ad
una stima del numero di imprese create in questo decennio e sia pure indirettamente
anche il numero di posti di lavoro indotti.
Dalle nostre ricerche, che periodicamente conduciamo sui neo-imprenditori,
abbiamo costantemente riscontrato un tasso di creazione medio del 35% sul
totale degli aspiranti imprenditori. Se applichiamo tale tasso di creazione
a coloro che hanno frequentato i nostri corsi, essendone entrati con un'idea
imprenditoriale (circa 2900 persone), abbiamo una stima della creazione
di imprese pari a circa 1000 unità. Dalle nostre ricerche emerge
anche che il numero medio dei dipendenti, nella fase iniziale d'azienda,
e nel contesto delle imprese che nascono prevalentemente, è pari
a 4 unità. Di conseguenza il tasso di occupazione indotta risulterebbe,
compreso il posto di lavoro dell'imprenditore, pari a oltre 4.000 unità
lavorative.
Un altro dato importante, sempre nell'area della creazione di impresa,
è che la mortalità infantile delle imprese create (o per
differenza il tasso di sopravvivenza) nel primo anno di vita è pari
all'8% contro un tasso di mortalità "medio" del 29%. Circa la metà
degli aspiranti imprenditori si presenta con un progetto di fattibilità,
seppure allo stato nascente, mentre l'altra metà è in possesso
della idea ma deve svilupparla. Il 50% dei creatori ha tra i 26 e i 35
anni di età e una istruzione più elevata della media.
Una valutazione a parte va fatta per il Punto Nuova Impresa, dato il
diverso tipo di servizio erogato. Le ricerche specifiche per questo tipo
di utente danno un tasso di creazione medio del 26%. Considerato che sono
stati complessivamente interessati dal 1992 ad oggi 18.644 aspiranti imprenditori
nella sola area milanese, il numero delle imprese create sarebbe di 4.847,
con una creazione di lavoro di 14.541 unità. Sommando, un po' impropriamente,
i due dati si giunge alla conclusione che sarebbero state create complessivamente
dal sistema Formaper - Punto Nuova Impresa 5.867 imprese con oltre 20.000
posti di lavoro. Per quanto riguarda infine l'area della piccola e media
impresa una valutazione non può che essere essenzialmente qualitativa
e si può basare sul fatto che costantemente e rispetto agli oltre
12.000 imprenditori interessati il tasso di soddisfazione delle attività
d'aula non è mai sceso sotto il 70% di valutazioni positive, per
raggiungere talvolta anche l'80%, mentre il tasso di applicabilità
si è sempre tenuto sopra il 50% delle valutazioni.
Relativamente al profilo generale dei partecipanti si può riscontrare
come il partecipante tipo sia maschio, sotto i 35 anni (55%), con un grado
di istruzione relativamente elevato (il 17% ha la laurea).
Per quanto riguarda la professione di provenienza l'11,3% sono studenti,
e il 6,8% sono disoccupati. I dirigenti sono il 4,1% mentre impiegati e
operai sono il 26,7%. Il 48,1% erano già lavoratori indipendenti,
di cui 13,3% imprenditori e il 23,4% artigiani.
Nella dimensione di impresa, infine, si conferma una dimensione prevalentemente
piccola, al confine con la microimpresa: il 68,6% ha meno di 10 addetti
e solo il 7,4% più 50. Le imprese hanno solo nel 6% dei casi più
di una unità locale e nell'8,2% esportano all'estero; anche se vi
sono 273 imprese che esportano più del 50% del fatturato. Si conferma
la finalizzazione verso l'imprenditore dato che il 73% dei partecipanti
titolari, soci o parenti del titolare.
RIFLESSIONI SULLO SVILUPPO DELL'IMPRENDITORIALITA'
L'esperienza di Formaper di questi anni offre una serie di spunti di
riflessione di particolare importanza per la progettazione di un sistema
di supporto alla imprenditorialità, tanto più che l'evidenza
degli ultimi anni sembra indicare un certo rallentamento nei processi di
crescita spontanea della piccola impresa.
Alla luce della nostra esperienza cosa significa oggi creare nuova
impresa, soprattutto in una area a elevato sviluppo come quella milanese
e lombarda? Sin dalle prime nostre ricerche del 1987 appariva chiaro come
la dinamica imprenditoriale dei processi di nati-mortalità della
nostra area assumeva una connotazione particolare. A una ancora discreta
natalità, soprattutto alla luce della maturità dell'area,
faceva riscontro un'elevata mortalità di impresa e quindi un forte
tasso di "turbolenza" del mercato. A questo processo quantitativo faceva
seguito un trend qualitativo in cui l'evidenza suggeriva la nascita di
molte imprese su base spontaneista e molto "debole", imprese a cosiddetto
"costo zero" in cui i fattori di autoimprovvisazione e quindi il grado
di rischio aumentava considerevolmente.
Nel frattempo, lungi dall'esaurirsi, la spinta verso l'imprenditorialità
non si esauriva ed anzi col passare degli anni si accresceva, sia per processi
di ordine culturale, sia per trasformazioni del mercato del lavoro che
portavano ad una riduzione dei tradizionali sbocchi del lavoro dipendente.
Per questi motivi l'offerta di imprenditorialità (intendendo per
offerta l'insieme delle capacità soprattutto umane disponibili ad
assumersi un certo grado di rischio) veniva aumentando nel corso degli
anni Novanta, in parallelo anche a un crescente interesse politico verso
le politiche attive del lavoro e la ricerca di forme alternative di impiego.
A conferma di questi fattori vi è l'aumento considerevole in questi
anni del lavoro indipendente (che ha aumentato la sua percentuale sul totale
delle forze lavoro dal 23,1% circa del 1980 al 28,8% del 1995) e anche
soprattutto nell'ultimo periodo del cosiddetto self-employment (attraverso
il fenomeno del boom delle partite IVA).
In considerazione di queste riflessioni e soprattutto tenuto conto
del fatto di operare su una area industriale avanzata, sin dall'inizio
la nostra opera fu tesa più a prevenire e ridurre il tasso di mortalità
che ad aumentare ulteriormente il numero di imprese esistenti. Questo nasceva
anche dalla riflessione che moltissimi dei neo-imprenditori si avvicinavano
alla nascita dell'impresa in condizioni di scarsa preparazione economica
di base e di insufficiente verifica dell'idea imprenditoriale.
La seconda scelta importante nell'approccio verso la nuova imprenditorialità
locale è stata quella di focalizzare la propria attenzione verso
gli aspetti "soft" della creazione di impresa e in primo luogo verso la
persona dell'imprenditore e verso l'idea imprenditoriale. Non che si sottovalutasse
l'impatto di altri agenti esterni e soprattutto delle risorse disponibili
(capitale e lavoro in primis), ma un'analisi delle dinamiche imprenditoriali
esistenti portavano a focalizzare la crescita sulla dimensione piccola
e sul settore dei servizi, portando quindi automaticamente in secondo ordine
i problemi di reperimento dei capitali e di lavoro, dato che le imprese
nascenti si configuravano quasi sempre con staff iniziale estremamente
ridotto. Ciò ha portato a sviluppare un sistema di valutazione delle
motivazioni e della personalità dell'imprenditore anche sotto il
profilo socio-psicologico e soprattutto a creare approcci differenziati
a seconda della sua estrazione sociale. Di qui percorsi differenziati per
i soggetti "forti", quali quelli soprattutto uscenti da imprese più
grandi e con un certo grado di esperienza, ma anche per i disoccupati di
lungo corso, per le donne imprenditrici, per i neo-laureati che vogliano
direttamente intraprendere senza passare da una esperienza di lavoro dipendente
e così via.
Un altro aspetto fortemente privilegiato è stato quello della
valutazione dell'idea, quale fattore base della creazione di impresa. Molto
spesso per le attività di impresa diffusa e soprattutto tradizionali
l'idea imprenditoriale non viene sufficientemente valutata e resta spesso
a livello implicito. Data la crescente competizione su tutti i mercati,
oggi qualsiasi idea deve essere sottoposta a una check up sulla sua validità
e percorribilità concreta. Di qui la creazione di test di valutazione
dell'idea e soprattutto la individuazione di percorsi differenziati a seconda
della sua complessità e soprattutto sulla base dell'incrocio fra
personalità e business prescelto.
Di qui la definizione di un percorso didattico fortemente teso all'autoapprendimento
e alla verifica concreta dell'idea stessa sul campo, attraverso l'alternanza
di aula e attività di assistenza personalizzata.
Un altra scelta di fondo è stata non limitare la nostra attenzione
verso l'erogazione della sola formazione, soprattutto se concepita come
tradizionale attività d'aula, ma di articolare la nostra attività
di supporto lungo un continuum che parte dall'attività di informazione
(il Punto Nuova Impresa), che passa ai processi di orientamento brevi e
quindi ai processi di formazione-assistenza più lunghi, creando
così un sistema integrato di supporto all'imprenditorialità
che può accompagnare il neo-imprenditore fino alla nascita vera
e propria. A seguito di questo approccio integrato infine nel 1992 abbiamo
contribuito alla nascita, in collaborazione con la Regione Lombardia, di
un incubatore, localizzato nell'area della Bicocca di Milano, destinato
ad accogliere piccole imprese con start-ups di tipo tecnologico. Il riscontro
positivo di questa esperienza, con le 20 imprese incubate nel 1996, ha
permesso di confermare la validità dell'idea di creare un incubatore
di questo tipo nell'area milanese, dove non se ne si giustifica uno di
tipo generico come quello presente in altre zone del Paese. La formula
dell'incubatore oggi deve peraltro essere rivista sotto il punto di vista
dell'assetto societario e del processo di trasferimento tecnologico dall'Università
alla piccola impresa; processo ancora insufficiente, visto che la grandissima
parte delle imprese incubate sono nate da spin offs spontanei da imprese
più grandi.
Complessivamente ci pare di poter dire che l'esperienza di questi anni
ha confermato le intuizioni iniziali basate sulla convinzione che il processo
di creazione di impresa non può essere lasciato esclusivamente alla
spontaneità del mercato o ai suoi processi di selezione, pena un
netto aumento dei tassi di mortalità. Oggi è tanto più
sorpassato il vecchio detto, che rappresentava peraltro un preciso atteggiamento
culturale, che "imprenditore si nasce e non si diventa". L'imprenditorialità,
partendo naturalmente (come per qualsiasi altra attività) da una
base favorevole, si può insegnare e migliorare, soprattutto oggi
che viviamo in un mondo di crescente complessità e sofisticazione
tecnologica. Educare all'imprenditorialità è possibile ed
anzi necessario, soprattutto in un Paese come il nostro che si basa largamente
sull'imprenditorialità diffusa.
L'ORIENTAMENTO ALL'IMPRENDITORIALITA'
Nella sua connotazione iniziale apparve chiaro che un intervento sullo
sviluppo della imprenditorialità non sarebbe stato compiuto senza
che fosse accompagnato da un intervento sulla cultura dell'ambiente esterno
di riferimento.
Le motivazioni di tale estensione erano e sono almeno due:
a) il peso rilevante che assumono i fattori culturali e psicologici
rispetto al profilo dell'imprenditore e quindi sulla creazione di impresa.
Tali fattori non sono, come è noto, modificabili nel breve periodo
e inoltre dipendono in buona parte da variabili sociologiche e culturali
esterne; di qui la necessità di influire sull'ambiente circostante;
b) la corrispondenza fra ciclo di vita della impresa e rilevanza delle
azioni pre-creazione, come altrettanto importanti quanto le attività
effettivamente realizzabili nella fase di vero e proprio start-up. I vizi
d'origine pesano normalmente altrettanto quanto gli errori successivi nel
favorire la sopravvivenza dell'impresa.
Quando si iniziò a concepire la necessità di un intervento
di tipo culturale vi era inoltre la consapevolezza che i trend culturali
della società milanese erano ancora pervasi dai germi anti-industrialistici
e anti-imprenditoriali degli anni Settanta e di parte degli anni Ottanta.
é vero che alcune cose erano cambiate, ma soprattutto nel mondo
della scuola si potevano riscontrare ancora numerosi atteggiamenti contrari
all'imprenditorialità quale valore sociale. Proprio la scuola diventava
inoltre il primo e principale campo di intervento, sia per la sua rilevanza
ai fini del processo di socializzazione e creazione dei paradigmi culturali
di base, sia perché appariva indispensabile identificare un target
più ristretto rispetto alla generalità della società
milanese. Troppo grande e diversificata appare la società metropolitana
milanese per poter pensare di incidere attraverso iniziative di larga massa,
a meno di non poter disporre di risorse ingenti.
Si avviarono così alcune ricerche sulla dimensione culturale
dei giovani tese a valutare la loro propensione all'imprenditorialità,
e apparve subito chiaro come si iniziasse a vedere un cambiamento rispetto
agli anni precedenti, dato che un buon 50% di questi presentava un atteggiamento
positivo nei confronti dell'imprenditorialità. La stessa ricerca
(Neri Stein, 1990) rilevava peraltro come tali atteggiamenti cambiavano
in maniera assai rilevante fra i due sessi e soprattutto in ragione dell'estrazione
sociale delle famiglie, con una netta preponderanza favorevole all'impresa
nelle famiglie con una tradizione di indipendenza economica e con almeno
un caso di imprenditorialità o di libera professione.
Si iniziò così a operare nell'ambito della scuola milanese
con alcune sperimentazioni tese a sviluppare un tipo di orientamento nuovo
rispetto a quello tradizionale. Fino ad allora l'orientamento era stato
svolto tradizionalmente attraverso un'opera informativa sugli sbocchi previsti
di mercato nell'ambito delle professioni più conosciute e dei settori
tradizionali. La dimensione dell'autoimpiego era completamente sconosciuta,
così come la dimensione dell'imprenditorialità come aspetto
culturale di propensione al rischio e motivazione a intraprendere al di
là del ruolo effettivamente svolto. Nonostante che già sin
d'allora la dimensione dell'autoimpiego rappresentasse circa un terzo del
mercato del lavoro, essa era completamente trascurata e considerata come
una opportunità lasciata a poche e selezionate persone. Totalmente
assente era inoltre la dimensione dell'essere "imprenditori di se stessi";
anzi, i modelli prevalentemente diffusi erano di omogeneizzazione rispetto
ad un pattern culturale tipico della dipendenza (l'impiegatizzazione e
cetomedizzazione della società).
L'orientamento che si sperimentò era invece basato su un messaggio
diverso, teso a proporre i valori dell'indipendenza e della propensione
al rischio (calcolato), dell'auto determinazione come valori che necessariamente
il mercato avrebbe sempre più richiesto alle nuove forze lavoro
a prescindere dalla loro collocazione lungo la filiera produttiva. Attraverso
seminari sull'imprenditorialità e alcune sperimentazioni di start-ups
simulati si riscontrò subito un interesse notevole da parte della
scuola superiore milanese verso questo tipo di orientamento, non solo negli
istituti professionali, ma anche nei licei, che come è noto ancora
oggi sono all'80% una fase di passaggio verso l'educazione superiore e
universitaria.
Apparve peraltro evidente presto che di fronte al crescente interesse
ci si sarebbe scontrati con la dimensione impressionante della scuola milanese
e che voler perseguire la strada di un intervento personalizzato peraltro
in presenza di risorse scarse avrebbe significato compiere un intento valido
sul piano qualitativo ma senza effetto sull'ambiente perché eccessivamente
circoscritto. Di qui la decisione di trasferire il know how raggiunto nelle
attività di orientamento all'imprenditorialità in un pacchetto
didattico autoreferenziale che potesse essere utilizzato dai docenti delle
scuole superiori per eseguire sperimentazioni di imprenditorialità.
Questo pacchetto, denominato "Dedalo-scuola" e realizzato nel 1992-93 in
collaborazione con il Provveditorato di Milano, ci ha permesso di incrementare
notevolmente il numero degli studenti e delle scuole raggiunte: a partire
dal 1994 abbiamo quasi triplicato il numero degli studenti raggiunti da
processi di orientamento che negli ultimi tre anni sono costantemente stati
di circa 3.000 studenti all'anno.
La conferma delle nostre idee iniziali è venuta peraltro successivamente,
grazie a una ricerca dello IARD svolta nel 1995 per conto della Camera
di Commercio sugli istituti superiori dell'area milanese. Oltre l'80% degli
studenti intervistati ha assunto un atteggiamento positivo nei confronti
dell'imprenditorialità oltre il 50% non ha escluso di poter realizzare
effettivamente un'attività in proprio di tipo imprenditoriale. La
ricerca ha peraltro anche messo in evidenza come i processi tradizionali
di orientamento oltre che insufficienti siano oramai sorpassati da altre
forme di auto-orientamento sul mercato del lavoro.
LA FORMAZIONE DELLA PICCOLA IMPRESA E LA FORMAZIONE
CONTINUA
Il principale approccio Formaper nei confronti della piccola impresa
si è basato sull'utilizzo prevalente in sede didattica di quelle
che sono le esperienze concrete del piccolo e medio imprenditore, rispetto
al quale il formatore non si pone quale docente "ex cathedra" ma quale
facilitatore e, nelle attività d'aula, come animatore.
La nostra attività di formazione si è inoltre sviluppata
grazie a una focalizzata attività di ricerca tesa a individuare
quali fossero i veri problemi che influenzano la piccola impresa. Queste
ricerche sono state particolarmente importanti in quanto si sono focalizzate
sulla dimensione per noi rilevante della microimpresa (10-50 addetti nel
manifatturiero; meno nei servizi); dimensione ridotta rispetto a quella
che normalmente viene presa come rilevante dei processi di formazione e
di ricerca.
In una prima fase si sono svolte ricerche tese a individuare la complessità
della struttura della piccola impresa. Le ricerche hanno evidenziato come
nel mondo della piccola impresa convivano realtà profondamente diverse
tra di loro e che qualsiasi intervento teso a erogare servizi reali dovesse
scontrarsi con una forte eterogeneità e quindi con un impatto erratico
e difficilmente misurabile. Le prime evidenze delinearono un sistema di
piccola impresa che all'inizio degli anni Novanta registrava già
una fase di trasformazione e crescente sofisticazione nelle attività
manifatturiere. Molte delle imprese nate nel boom economico italiano si
trovavano a far fronte a processi di successione interna di tipo generazionale,
non sempre sufficientemente esplorati e guidati positivamente. La piccola
impresa si presentava come divisa in tipologie molto diverse fra di loro:
un primo gruppo di imprese organizzate e specializzate, inserite positivamente
nei mercati di riferimento, un secondo gruppo di imprese dalla dimensione
insufficiente e isolate, esposte a fasi congiunturali negative, un altro
gruppo di imprese efficienti e ben collegate in rete ad altre imprese,
e infine un ultimo gruppo di imprese efficiente ma fortemente concentrate
sulla individualità dell'imprenditore, poco organizzate e quindi
esposte a possibili problemi di successione e di tipo organizzativo.
A partire da queste ricerche se ne sono condotte delle altre, tese
a evidenziare sulla base di quali premesse le piccole imprese potessero
crescere con successo, sulla base della constatazione che uno dei problemi
principali della piccola impresa italiana è il cosiddetto "nanismo",
cioè la incapacità di crescere sufficientemente dopo la fase
iniziale. Tale ricerche hanno evidenziato come anche qui la crescita non
è riconducibile a un modello omogeneo e che in alcuni casi si basa
su una crescita per linee organizzative interne, con riflessi sulla dimensione
aziendale, e in altri casi per linee organizzative esterne attraverso la
messa in rete dell'azienda. Di qui l'evidenza che gran parte del successo
è legato alla capacità di ricreare anche nelle aree metropolitane
avanzate quelle economie esterne tipiche ad esempio di aree più
ristrette come i distretti industriali. L'importanza dei processi di rete
è del resto dimostrata dall'importanza che il Formaper ha dato in
questi anni al supporto della Associazione Iniziativa Italia, rete di imprenditori
per l'aggiornamento formativo e più recentemente al Club dei Creatori,
la sezione dedicata a coloro che hanno creato da poco la loro impresa e
che necessitano di servizi ad hoc e di solidarietà imprenditoriale.
Se tutta questa serie di riflessioni ha permesso di creare in questi
anni un insieme di corsi e seminari originali basati sia sui processi organizzati
che sul controllo di gestione o del costo del credito, un altro campo di
notevole interesse e di realizzazione concreta è stato quello della
formazione nel settore artigiano. Qui tradizionalmente l'interesse si è
rivolto alla formazione tecnico-professionale dell'artigiano come fattore
essenziale ma quasi esclusivo della presenza sul mercato esteso. L'evoluzione
dei mercati ha messo in luce come peraltro anche nel settore della microimpresa
artigiana, sia manifatturiera che di servizi, la competizione si sia sviluppata
richiedendo anche a livello di questa dimensione capacità nuove
e più tipicamente manageriali, una volta richieste a dimensioni
tipicamente maggiori. Di qui l'esigenza, secondo noi, di passare dalla
dimensione storica di "bottega" a quella più evoluta di "impresa".
Oltre che condurre un ampio progetto di formazione del settore artigiano
che in questi anni ha interessato migliaia di piccoli imprenditori, il
Formaper ha condotto per conto di Regione Lombardia e Unioncamere (1994)
una ricerca sui processi di formazione del settore artigiano che ha messo
in evidenza come sia forte lo scollamento fra artigianato e tipologia della
formazione che viene erogata normalmente sul territorio. Formazione che
deve ristrutturarsi e adeguarsi alle esigenze del settore artigiano, dalla
revisione dei contenuti a una erogazione in forme diverse della formazione
stessa. La ricerca ha anche messo in luce come tale formazione, seppur
necessaria, sia ancora non sufficientemente profittevole per essere erogata
dal mercato privato. Infine si metteva in evidenza che, soprattutto nel
settore manifatturiero, i processi di competizione internazionale cominciavano
a interessare anche la dimensione artigiana.
A partire da queste esperienze negli ultimi anni si è inoltre
iniziato a esplorare i processi di formazione continua, che come è
noto in Italia sono assolutamente insoddisfacenti, esaminando le modalità
attraverso le quali rafforzarli. Il Formaper ha così progettato
e sta realizzando alcune esperienze interessanti con numerose associazioni
imprenditoriali sia del settore manifatturiero che del settore commerciale.
L'esperienza di questi anni dimostra comunque come sia assolutamente
necessario continuare sulla strada di una ricerca specifica sulle esigenze
della piccola e media impresa che monitori costantemente i fabbisogni concreti
e che si deve proseguire sulla strada di servizi dedicati e progettati
esplicitamente per la piccola impresa; una piccola impresa non è
assolutamente, come si credeva in passato, un'impresa solo più piccola
rispetto alla grande, ma è un'impresa geneticamente diversa, con
problemi e soluzioni diverse rispetto alle altre dimensioni.
TAB.1A - ANDAMENTO DEI CORISTI FORMAPER 1988-1996
|
1988 |
1989 |
1990 |
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
Totale generale |
Orientamento |
257 |
449 |
784 |
1.135 |
1.736 |
1.469 |
3.390 |
2.766 |
3.071 |
15.057 |
Start-Up |
123 |
121 |
122 |
175 |
151 |
221 |
360 |
886 |
748 |
2.907 |
PMI |
95 |
107 |
228 |
876 |
597 |
1.742 |
1.708 |
1.857 |
1.715 |
8.925 |
Totale per anno |
475 |
677 |
1.134 |
2.186 |
2.484 |
3.432 |
5.458 |
5.509 |
(1)
8.388 |
29.743 |
TAB.1B - DATI PERCENTUALI
|
1988 |
1989 |
1990 |
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
Totalegenerale |
Orientamento |
54,1 |
66,3 |
62 |
52 |
70 |
42,8 |
62 |
50 |
55,6 |
|
Start-Up |
25,9 |
17,9 |
12 |
8 |
6 |
6,5 |
6,5 |
16 |
13,5 |
|
PMI |
20 |
15,8 |
26 |
40 |
24 |
50,7 |
31,5 |
34 |
30,9 |
|
Totale per anno |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
|
 
|