Impresa & Stato n°39
EX UNO PLURES IL FEDERALISMO REALE E' RADICALE
di
ETTORE A. ALBERTONI
Il paradosso delle riforme costituzionali,
bloccate dalla partitocrazia in inconcludenti "lifiting",
e lo spirito delle proposte della Lega
C'è
un paradosso nella nostra vita istituzionale e costituzionale del quale
o si parla in sordina o non se ne parla affatto. Per decenni la Costituzione
è stata disattesa, o aggirata, con brutale cinismo e quando si è
dovuto proprio realizzarla in taluni suoi dettagli lo si è fatto
con metodo autoritario e centralista negando le sue aspirazioni più
significative. I tempi delle attuazioni seppure parziali sono quindi, sempre
stati esasperatamente lunghi. Lo stesso perverso criterio ha dominato,
più di recente, oltre tre lustri di discussione sulle riforme costituzionali.
Di una riforma della Costituzione vigente fu accennato in occasione
della presentazione del primo Governo Forlani (ottobre 1980), ma essa fu
prospettata ufficialmente e con un minimo di contenuti solo con il cosiddetto
"decalogo istituzionale" presentato dal Governo Spadolini (1982). In quasi
contemporaneità (1982-83) il tema della "riforma" fu affrontato
in Parlamento dai Comitati "per lo studio dei problemi istituzionali" Bonifacio
(Senato della Repubblica) e Riz (Camera dei deputati). I risultati furono
del tutto inconsistenti.
Nel corso della IX Legislatura (dall'ottobre 1983 a tutto il 1984)
venne costituita la prima Commissione Bicamerale (Bozzi) sullo stesso argomento.
In questa occasione i risultati furono egualmente evasivi e inconcludenti
anche se tutti i diversi governi che da allora si succedettero continuarono
ad agitare il tema ed a ribadire i contenuti, peraltro assai generici,
che erano enunciati nell'accordo programmatico sulle riforme istituzionali
proposto dai cinque partiti di governo (pentapartito: DC, PSI, PRI, PSDI
e PLI).
Questa "piattaforma" del pentapartito era fatta di una materia talmente
inconsistente che nel 1991 l'allora Presidente della Repubblica Cossiga
si sentì in obbligo di trasmettere al Parlamento un ampio e molto
articolato messaggio di rampogna per l'oblio nel quale l'argomento era
già caduto. Ma anche quel solenne richiamo, assai elaborato ed anche
propositivo nei suoi contenuti, non portò alcun risultato. In netta
controtendenza andava, intanto, sempre più strutturandosi ed acquistando
consenso elettorale e peso politico la Lega Nord, il movimento unificatore
dei diversi movimenti autonomisti dell'Italia settentrionale e anche centrale,
che propugnando con decisione radicale l'istituzione di un nuovo assetto
costituzionale federalistico per la Repubblica indicava proprio in esso,
e solo in esso, il contenuto specifico e urgente della riforma costituzionale.
Come tentativo di risposta ad una situazione politica ed elettorale che
stava profondamente mutando si ebbe nella XI legislatura la formazione
della seconda Commissione Bicamerale (Jotti) che cercò di ridare
vigore allo screditato regionalismo degli anni '70 e '80 attraverso una
rinnovata e trasversale intesa consociativa.
Anche questa seconda Bicamerale operò, nel 1992-94, con i consueti
risultati solo verbali e fabuliatici tant'è che nel corso della
XIII Legislatura, quella iniziata con le elezioni dell'aprile 1995, previo
un recente e secco messaggio di richiamo del Presidente della Repubblica
alle Camere, è già iniziato l'ennesimo arrancare di una terza
Commissione Bicamerale (D'Alema-Berlusconi) che allo stato non è
chiaro che cosa rappresenti di nuovo rispetto alle due che l'hanno preceduta.
I cambiamenti che l'Italia ha registrato sono intervenuti, pertanto,
solo nel sistema politico ed hanno avuto origine per la costante iniziativa
federalistica della Lega Nord, di una forza cioè totalmente estranea
al sistema partitico (che Vezio Crisafulli, giuspubblicista emerito, definiva
partitocrazia richiamando senza intento polemico alcuno l'art. 49 della
Costituzione). Hanno, inoltre, spinto ad un cambiamento piuttosto, ambiguo
nei risultati, le diverse consultazioni referendarie. Qualcuno vorrà,
forse aggiungere anche l'azione della magistratura inquirente sulla cui
efficacia, specie in questi ultimi mesi, le perplessità, tuttavia,
non sono poche. Non è certamente possibile analizzare anche gli
aspetti di una crisi istituzionale e costituzionale molto specifica e grave
com'è quella che ormai da tempo ha investito il delicatissimo settore
della giustizia. Si tratta di un ambito costituzionale molto delicato e
che incide enormemente sull'intero ordinamento e sulla corretta vita della
Repubblica. Dalla considerazione seppure sintetica di tutti questi elementi
risulta evidente che la crisi istituzionale italiana viene ormai da lontano
ed è assai grave ed irrisolta, probabilmente insolubile se si seguono
ritmi pavidi, burocratici e di routine come quelli appena descritti. Gran
parte delle forze politiche di governo e d'opposizione sono infatti - l'espressione
della partitrocrazia (vecchia e nuova), la quale ha ampiamente dimostrato
di non essere stata in grado né di concepire culturalmente e dottrinariamente,
né di realizzare praticamente, in oltre tre lustri, alcuna scelta
riformatrice in linea con le esigenze di modernizzazione e progresso dei
popoli italici e, soprattutto, in sintonia con il processo di unificazione
federativa, politico-istituzionale, dei popoli europei.
Per affrontare il problema della totalmente mancata riforma costituzionale
occorre richiamare alcuni dati essenziali che qui sintetizzo:
1. non ha, almeno a mio avviso, utilità alcuna discutere ancora
genericamente di "una profonda ristrutturazione della Repubblica", ovvero
di volere "sviluppare incisivamente l'impianto autonomistico della Costituzione".
Occorre, invece, prendere atto che le inconcludenze della iniziativa parlamentare-partitocratica
degli anni '80 e '90 nascono certamente da insensibilità sostanziale
al tema ma anche, e in forma determinante, dalla incapacità delle
forze politiche e culturali delle sinistre e delle destre di uscire dalle
gabbie comode e consuete rappresentate dall'incrocio degli interessi partitocratici
con quelli tecnico-burocratici, dalla Vetero-statualità e dall'economia
diretta dallo Stato. La Vetero-statualità, cioè l'organizzazione
dello Stato vigente in Italia, è un mastodontico agglomerato - fatto
di poteri, uffici, ordini, sotto-ordini e di un coacervo di circa 250 mila
leggi - nato dalla "conquista regia" ottocentesca, dall'imperfetto ma vincolante
totalitarismo fascista e dalla mancata integrazione repubblicana. La Vetero-statualità
assomma convulsamente nell'organizzazione politico-istituzionale della
repubblica per stratificazioni e singolari alchimie tutte e tre le negatività
di questi legati;
2. oggi il federalismo è richiamato da tutti in termini così
scontati e banali che è facile prevedere che, come è stato
d'accatto adottato, verrà prestissimo abbandonato anche formalmente.
Tant'è che la forza politica che l'ha propugnato e proposto (la
Lega Nord) non vedendo alcun serio frutto ha, nel frattempo, radicalizzato
l'impegno riformatore proponendo una più radicale soluzione di federalismo
per separazione/ricomposizione (la "secessione" della quale non tratterò
in quanto è tema che merita ben altra attenzione rispetto a quella
sinora prestata).
Da tutto questo è allora evidente che appare necessario riorientare
la bussola verso la Nuova-statualità per la quale i riferimenti
attendibili non abbondano certo. Allo scopo occorre, però, tenere
conto che dalla nostra Regione sono partiti in un passato assai recente
alcune proposte che meritano considerazione. Il riferimento è sia
al reiterato Disegno di Legge costituzionale del Consiglio Regionale della
Lombardia "Modifica di norme costituzionali concernenti l'ordinamento della
Repubblica" (Atti Senato, XI Leg. ddl n. 1665; XII Leg., ddl. n. 274),
sia al progetto individuale avanzato dal consulente regionale prof. Ettore
Rotelli (oggi Senatore della Repubblica) ai fini dell'iniziativa legislativa
del Consiglio Regionale della Lombardia e, poi, solo parzialmente confluito
nel citato "Disegno di legge". Va sottolineato che si tratta di due contributi
che sono stati adeguatamente ed opportunamente già considerati e
apprezzati nella redazione della "Relazione finale del Comitato di Studio
sulle riforme istituzionali, elettorali e costituzionali" (c.d. Comitato
Speroni, 1994).
Vi è poi, su un piano assai innovativo, l'elaborazione interdisciplinare
tra diritti, economia e studi storico-politici ispirata da Piero Bassetti,
presidente della Camera di Commercio di Milano. Mi sembra davvero una inutile
dissipazione che in questa materia non vengano adeguatamente considerati
gli apporti che ho qui appena richiamato;
3. sempre sul piano dell'incremento progressivo della conoscenza e della
precisazione di problemi e soluzioni in un campo così intricato
va rilevato che avere richiamato l'organica proposta che era contenuta
nella "Relazione" del Comitato Speroni è doveroso. Non basta, infatti,
proporre oggi come fanno più o meno tutti un generico "federalismo"
trascurando, però, tutti i contributi che sullo specifico argomento
sono stati organicamente e tempestivamente sviluppati in forma e con contenuti
autentici, cioè rispondenti in ogni caso ai canoni o aggregativi
o di separazione/ricomposizione di cui ho trattato nell'introdurre il tema.
E ciò nel tentativo di superare le troppe inconcludenze precedenti
che nascono - e perdurano - perché non si vuole affrontare veramente
il nodo del federalismo che non è - e non sarà mai - confondibile
con l'esistente regionalismo italico. In particolare vanno citate alcune
acquisizioni precise che permettono di ricordare che:
- a livello di proposta dialettica e globale c'è stato
il progetto della Lega Nord conosciuto come "Costituzione di Genova" (1994)
nel quale si delineava in forma articolata una revisione di tutta la Costituzione
(della prima come della seconda parte; dei principi ordinatori non meno
che dell'organizzazione) e che ha avuto nella XII Legislatura puntuale
formalizzazione nel Disegno di legge Costituzionale n. 1304 (Senato della
Repubblica, 1995);
- c'è stato a livello istituzionale e governativo la proposta
di revisione costituzionale della seconda parte della Carta circa la forma
di Stato e la forma di Governo avanzata ufficialmente dal sen. Francesco
E. Speroni nella sua qualità di Ministro per le riforme istituzionali
con la "Relazione" già ricordata;
- più recentemente c'è stato sul piano politico-propositivo
una radicale riaffermazione del federalismo per separazione/ricomposizione
con la ripresa da parte della Lega Nord di temi che, almeno sul piano degli
studi, della libertà di pensare e proporre e della dialettica delle
idee, non dovrebbero scandalizzare alcuno. Mi riferisco alla definizione
di un'entità socio-culturale, geografico-economica ed inter-regionale
come la Padania ed al suo altissimo e produttivo potenziale federativo
in senso sia interno che europeo. Essa sotto la denominazione di "valle
del Po" rappresenta da tempo immemorabile una realtà geografico-culturale
ed economico-sociale. Praticamente e motivatamente era presente in tutte
le riflessioni federalistiche del secolo scorso (da Cattaneo a Proudhon).
Se ne parlava già nella metà degli anni '70 (Guido Fanti,
presidente dell'Emilia-Romagna, comunista; Gianfranco Miglio allora preside
della Facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica
di Milano; Augusto Barbera costituzionalista e deputato del PCI-PdS). Proprio
alla Padania nel 1992 la Fondazione Giovanni Agnelli di Torino dedicò
un ponderoso e interdisciplinare volume (AA.VV., La Padania, una regione
italiana in Europa) che fu letto, discusso, apprezzato.
Ciò che è oggi nuovo nell'approccio della Lega Nord è
certamente lo spirito radicale di una proposta che condanna quindici anni
di cartacea quanto inoperosa elaborazione in materia di riforma dello Stato.
Ci vorrebbe, come la Lega Nord chiede, una forte, alta e coraggiosa dialettica.
Invece l'intero nostro sistema (costituzionale e politico) più che
mai è statico e anchilosato giacché risulta incapace di mostrare
la sua essenza liberale e democratica proprio alla luce della terribile
crisi di credibilità e delle tentazioni autoritarie e neo-centralizzatrici
che lo caratterizzano.
E' senz'altro una sfida molto stimolante e difficile quella che
proviene dal radicalismo federalistico ed autonomistico ma le risposte
che per ora sono pervenute stanno a dimostrare che in fatto di spinte liberalizzatrici
ed innovative l'Italia è, purtroppo, solo in controtendenza. La
Prima Repubblica non solo è sempre rimasta viva ma con l'ultima
Bicamerale sta preparando un lifting costituzionale di stampo ricentralizzatore
(e tendenzialmente illiberale) rivolto ad affossare anche formalmente ogni
opzione federalistica. Ma potrà il Paese accettare tutto ciò?
 
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