Impresa & Stato n°39
AMBIENTE: UNA QUESTIONE D'IMPRESA
Il passaggio da istanza etica minoritaria
a valore sociale diffuso e potente fattore economico
di
UMBERTO
BERTELE'
Fino a non
molto tempo orsono "rispettare" l'ambiente - cercando di minimizzare il
prelievo da esso di risorse naturali e lo smaltimento in esso di inquinanti
e di rifiuti - rappresentava, per le imprese, una sollecitazione "etica"
proveniente da settori minoritari della società, che arrivava talora
ad assumere forme radicali di rifiuto della stessa civiltà industriale.
Il successo di alcuni dei concetti di fondo dell'ideologia "verde",
aiutato dalla crescente tangibilità del problema dell'inquinamento
e dei rifiuti, e la loro "promozione" - edulcorati delle punte estreme
- a valori sociali condivisi (soprattutto nei paesi ad economia evoluta)
ha trasformato progressivamente un'istanza etica in un potente fattore
economico, capace di incidere - nel bene o nel male - sulla vita e sulla
prosperità delle imprese e di indurre cambiamenti sempre più
profondi nella stessa concezione dei prodotti e dei servizi, dei modi di
produrre, dell'organizzazione dell'economia e della localizzazione geo-politica
delle attività.
Le imprese industriali e/o di servizi si trovano cioé sollecitate,
quando non obbligate, a porre una attenzione molto più elevata che
nel passato sulle performances ambientali (dirette e indirette) connesse
con la loro attività e con i prodotti-servizi che offrono sul mercato,
da diversi punti di vista (singoli o combinati):
- i processi di produzione, distribuzione (dei prodotti) e/o di erogazione
(dei servizi), e gli impatti locali di tali processi sui rispettivi siti
(sia che si abbia a che fare con impianti chimici o metallurgici che con
ipermercati o aeroporti);
- le performances ambientali "a monte", relative alle materie
prime e ai semilavorati utilizzati: risalendo sino alle rispettive culle,
per comprendere i possibili danni inferti all'ambiente nelle diverse fasi,
sia dal punto di vista dei prelievi di risorse naturali non (o poco) rinnovabili
che di smaltimenti;
- le performances ambientali "a valle", relative ai prodotti-servizi
venduti, lungo tutto il loro arco di vita futuro (ad esempio i consumi
energetici o gli scarichi di una autovettura);
- le modalità di fine-vita dei prodotti, e in particolare la
loro facilità (fisica ed economica) di trasmigrazione dentro altro
prodotti, ovvero il grado di riciclabilità dei loro componenti,
e/o la facilità del loro smaltimento.
I MOTORI ESTERNI
I motori esterni che sollecitano o obbligano le imprese a porre sempre
più la loro attenzione sulle performances ambientali sonoo raggruppabili
in tre categorie, talora interdipendenti:
- l'evoluzione (in atto, attesa o potenzialmente inducibile) dei comportamenti
di acquisto dei consumatori finali, e in cascata di quelli intermedi, connessa
con la crescita dei valori ambientali;
- l'evoluzione in senso restrittivo della legislazione e della
normazione in tema di ambiente, connessa anch'essa con la crescita dei
valori ambientali, ma usualmente frutto delle spinte provenienti dalle
avanguardie ambientaliste e (sempre più) dalle imprese e dai comparti
dell'economia che possono trarne vantaggi;
- l'evoluzione del sistema dei prezzi, spontanea e/o pilotata
dalle autorità pubbliche, nella direzione di rendere "non economiche"
le soluzioni ritenute ambientalmente nocive e viceversa "economiche" quelle
ambientalmente favorevoli. L'evoluzione dei comportamenti di acquisto dei
consumatori finali non è un fenomeno nuovo, perché in atto
ormai da molti anni soprattutto in alcuni dei paesi più sviluppati,
quali quelli del Nord-Europa. Non è un fenomeno a crescita uniforme,
bensì soggetto ad accelerazioni emotive o a periodi di stasi o addirittura
di regresso. Non è un fenomeno geo-politicamente uniforme, bensì
tuttora molto differenziato per paese e per area. Ma è un fenomeno
globalmente importante e presumibilmente destinato a proseguire nel futuro
con l'aumento del peso relativo delle nuove generazioni.
Esiste una pattuglia "estrema" di green consumers in senso proprio,
disposta a pagare prezzi più elevati e/o ad accettare caratteristiche
e prestazioni inferiori, a fronte di un contenuto ambientale dei prodotti-servizi
elevato e credibile; che non è mai stata molto rilevante nel nostro
paese e che sembra essersi contratta - con il decrescere del potere reale
di acquisto - anche dove (come nel Regno Unito) aveva una notevole consistenza.
Ma esiste soprattutto un insieme - molto ampio, variegato e dai confini
sfumati, di consumatori "con simpatie ambientali": poco inclini ai sacrifici,
ma disposti a privilegiare, a parità di prezzi e caratteristiche,
la qualità ambientale dei prodotti-servizi e la qualità ambientale
delle imprese (quale percepita guradando al loro impegno complessivo in
tema di ambiente).
L'evoluzione in senso restrittivo della legislazione e della normazione
in tema di ambiente è invece un fenomeno in cui il nostro paese
segue in generale a distanza, passando attraverso le deliberazioni dell'Unione
Europea, quanto "nasce" nel Nord Europa. é di grande rilevanza,
perché modifica di continuo le regole del gioco della competizione,
con implicazioni talora contradditorie:
- può costituire uno stimolo positivo a innovare (le tecnologie,
i prodotti-servizi e i processi), ma può spingere le imprese a delocalizzare
le loro attività produttive nei paesi ambientalmente più
tolleranti (spesso gli stessi che presentano già una forte attrattività
per i bassi livelli del costo del lavoro);
- può costituire uno stimolo a creare nuove imprese, capaci
di interpretare in modo appropriato e creativo le nuove regole, ma rischia
di appesantire eccessivamente gli obblighi burocratici e di mortificare
l'imprenditorialità;
- può avere talora un effetto protezionistico nei riguardi
del resto del mondo, ma può viceversa talaltra penalizzare la competitività
su scala internazionale.
Per quanto riguarda l'evoluzione del sistema dei prezzi, i casi che
si possono citare sono numerosi e rilevanti. La crescita del prezzo di
utilizzo delle discariche per i rifiuti industriali, che ha raggiunto ad
esempio in Germania per quelli non tossici la cifra di 1 DM al kg (venendo
ad incidere mediamente per il tre per cento sui costi di produzione), sta
rappresentando in quel paese una potente spinta alla messa a punto di tecnologie
e processi che riducano al minimo la produzione di rifiuti; lo stesso avviene
in Italia, anche come conseguenza della lotta senza quartiere che le collettività
locali conducono nei riguardi dell'apertura di nuove discariche e del mantenimento
in vita di quelle esistenti. La consistente crescita attesa del prezzo
dell'acqua, già avviatasi nel nostro paese per il deteriorarsi dello
stato delle falde acquifere, renderà sempre più convenienti
(al di là degli eventuali vincoli di natura normativa) impianti
di depurazione e riciclo - capaci di ridurre drasticamente il prelievo
- un tempo assolutamente "antieconomici".
I prezzi da pagare per l'uso dell'ambiente - sia in termini di prelievo
di risorse naturali che di smaltimento di rifiuti - possono crescere come
riflesso indiretto (a fronte di un incremento dell'imposizione fiscale)
o diretto (nel caso di prezzi amministrati) di decisioni di natura economico-fiscale
assunte dalle autorità pubbliche locali, regionali, etc.; ma molto
più spesso crescono in parallelo con le scarsità, spontanee
o a loro volta indotte da provvedimenti pubblici di natura restrittiva,
che si vengono a verificare a livello generale o, ancora più spesso
e in modo differenziato, a livello locale.
I MOTORI INTERNI
La disomogeneità nei comportamenti ambientali - in termini di
consistenza e impatto, di modalità e di tempestività - delle
imprese, riscontrabili nella realtà internazionale e italiana, è
una discreta misura "spiegabile" con la diversità delle sollecitazioni
esterne cui esse sono sottoposte. Ma accanto ai motori esterni, e in interazione
con essi, hanno altrettanto rilievo i motori interni: ossia le caratteristiche
e lo stato delle imprese stesse.
Il ruolo che le imprese giocano nel governo dell'economia è,
come noto, fortemente differenziato in funzione di una serie di fattori
quali: la dimensione, la collocazione più o meno prossima al cliente
finale e la sua capacità di influenzarne le scelte, il controllo
di una risorsa materiale o immateriale scarsa.
Il ruolo comporta spazi di azione in campo ambientale, almeno a priori
e almeno nel breve termine, fortemente differenziati. Diverso è
l'impatto che possono avere sull'economia i comportamenti ambientali di
un grande gruppo automobilistico o di una grande catena distributiva, che
si riverberano su tutte le imprese delle filiere a monte, rispetto a quelli
di piccole imprese loro fornitrici.
Dal punto di vista della natura dell'impresa, i suoi comportamenti
- a fronte del contesto - presentano spesso alcuni elementi comuni di fondo,
che ne traducono la natura, ovvero (con un termine più impegnativo)
l'anima. Tre caratteristiche (dimensioni), che si combinano in maniera
differente fra loro, possono essere evidenziate a tale proposito:
- la propensione ad anticipare le risposte alle sollecitazioni
provenienti dal contesto o viceversa ad assumere un atteggiamento meramente
reattivo;
- la propensione ad innovare;
- la propensione a condizionare il contesto.
Avere un atteggiamento reattivo significa operare solo in condizioni
di certezza sulle linee di cambiamento del contesto. Questo si traduce
ad esempio, in campo ambientale, nell'attendere (prima di muoversi) l'approvazione
definitiva di una nuova normativa e la fissazione del termine ultimo
(ritenuto non ulteriormente dilazionabile) di adeguamento ad essa, o la
manifestazione concreta di una nuova tendenza nella domanda, o l'effettivo
innalzamento del prezzo di una risorsa naturale o dell'uso di una
discarica. Avere un atteggiamento anticipativo significa invece muoversi
in anticipo rispetto agli eventi, introducendo un elemento di scommessa
sul futuro, ma puntando sui vantaggi che ne possono derivare in termini
competitivi.
All'atteggiamento reattivo si accoppia usualmente un ridotto orientamento
all'innovazione e una preferenza - coerente con la percezione di obbligo
del cambiamento - per l'adozione di soluzioni "di scaffale" mutuate dall'esterno.
All'atteggiamento anticipativo si unisce un orientamento all'innovazione
che può essere molto variabile: propenso anch'esso a soluzioni facilmente
mutuabili dall'esterno, ad un estremo; alla perenne ricerca di soluzioni
nuove - concernenti i processi, i prodotti-servizi, gli assetti di filiera
- con cui anticipare, ed eventualmente stimolare, l'evoluzione libera della
domanda, l'evoluzione della regolamentazione e la dinamica dei prezzi,
all'altro estremo.
Mirare a condizionare il contesto - eventualmente in accordo con altre
imprese e/o istituzioni per conseguire la massa critica necessaria - significa
cercare di accelerare e/o forzare il cambiamento nella direzione desiderata,
o viceversa di ostacolare il cambiamento nella direzione temuta, attraverso
una politica di lobbying presso le autorità pubbliche (in vista
ad esempio del possibile varo di una nuova regolamentazione) o attraverso
una politica di comunicazione volta ad influenzare le abitudini dei consumatori
e/o l'opinione pubblica. La "ragionevole" speranza di riuscire a condizionare
il contesto rappresenta spesso la premessa indispensabile alle strategie
fortemente anticipative e innovative: in quanto riduce la rischiosità
degli investimenti e/o ne eleva i ritorni attesi.
Non sempre vi sono comportamenti in tema di ambiente in linea con quelli
generali, "a parità" di natura. Ma è sicuramente raro trovare
imprese anticipative, innovative e orientate a forzare il contesto - in
tema di ambiente - fra quelle che nella loro vita usuale si muovono in
modo reattivo, scarsamente innovativo e poco incisivo rispetto al mondo
esterno.
Lo stato dell'impresa - in termini di cultura, competenze, assetto
organizzativo-gestionale e salute finanziaria - impatta, oltre che
in termini generali sulla sua natura, sulla capacità di leggere
correttamente e tempestivamente gli eventi esterni, sull'ampiezza di opzioni
reali effettivamente disponibili, sulla velocità di implementazione
delle scelte adottate.
L'ampiezza e la tempestività degli interventi in materia ambientale,
cioé, sono coeteris paribus molto più elevate nelle imprese
che: (a) hanno saputo costruirsi nel tempo cultura e competenze in tale
ambito, e/o (b) hanno saputo attribuire correttamente le responsabilità
e costruire sistemi di controllo di gestione capaci di integrare gli indicatori
ambientali con quelli reali e finanziari, e/o (c) dispongono di risorse
finanziarie adeguate anche per gli investimenti (in senso lato) "non obbligati",
che si prospettino come promettenti.
Le possibilità per una impresa di sfruttare adeguatamente le
opportunità competitive connesse con l'ambiente - invece che di
subirne solamente l'impatto negativo - sono, in altre parole, fortemente
legate alla capacità di predisporre per tempo competenze, modalità
organizzativo-gestionali e cultura di impresa. In assenza di questo l'impresa
rischia di non vedere nemmeno le opportunità e comunque di non essere
assolutamente attrezzata per operare, quando desiderato o quando necessario,
con la dovuta tempestività. é il rischio che stanno correndo
molte imprese italiane, soprattutto piccole e medie, a fronte dei rilevanti
cambiamenti che si profilano nella normazione e nella domanda.
L'IMPATTO DELL'AMBIENTE SULL'ECONOMIA DELL'IMPRESA
E SULLA SUA POSIZIONE COMPETITIVA
L'ambiente, con le sue trasformazioni, comporta in generale per le
imprese - sotto forma di coercizione e/o di stimolo - maggiori uscite di
cassa (solo talora destinate ad invertirsi di segno nel tempo), che possono
avere diversi caratteri:
- investimenti "palesi" concentrati nel tempo, talora anche molto rilevanti:
è emblematico a questo proposito il caso del gruppo statunitense
Texaco, che ha pianificato nel recente passato di investire 1,5 miliardi
di dollari all'anno sull'arco di cinque anni, per adeguare i propri impianti
alle imposizioni della normativa (una cifra complessivamente pari a ben
tre volte il capitale proprio del gruppo);
- investimenti "occulti" distribuiti nel tempo, consistenti in
maggiori esborsi annui di cassa, considerati impropriamente (nei rispettivi
bilanci) quali costi correnti: come nel caso della ricerca o della formazione
orientate all'ambiente;
- maggiori costi correnti: che possono derivare dalla rinuncia
all'uso di determinate materie prime (quali il legno di foreste non gestite
con il criterio della sostenibilità) e/o di determinati processi
più economici, ma ambientalmente più nocivi.
Le domande che è lecito porsi in chiave economico-strategica
sono le seguenti: qual'é l'impatto delle maggiori fuoruscite finanziarie
sulla profittabilità delle imprese e sulla loro posizione competitiva?
l'ambiente rappresenta solo un fattore economicamente penalizzante o può
essere viceversa utilizzato per migliorare la profittabilità e/o
la posizione competitiva?
Le risposte non sono univoche: perché in alcuni casi l'ambiente
ha una valenza economica negativa comune a tutte le imprese che competono
in un determinato comparto; mentre in altri - i più interessanti
per le tesi che si vogliono evidenziare in questo articolo - esso può
rappresentare la leva per incrementare il valore di impresa o addirittura
l'occasione per creare una nuova impresa.
Più specificamente, si possono evidenziare tre macrosituazioni
differenti:
(a) l'investimento ambientale si autoripaga, attraverso la riduzione
dei costi correnti, "a domanda e prezzi dati": è esemplare a tale
proposito il caso della grande catena distributiva inglese Sainsbury, la
cui politica ambientale nei secondi anni '80 costituì lo stimolo
ad introdurre innovazioni nell'impiego dell'energia, con un risparmio permanente
annuo di 10 milioni di sterline;
(b) i maggiori costi indotti dall'ambiente, correnti o per ammortamenti,
sono compensati da una crescita della domanda e/o da una crescita dei prezzi,
comuni a tutte le imprese che competono in un determinato comparto o a
vantaggio di quelle che si sono mosse proattivamente: la crescita della
domanda ha spesso premiato, nell'esperienza di questi anni, le imprese
che hanno saputo porre sul mercato nuovi prodotti-servizi ad elevato contenuto
ambientale, accettabili dal punto di vista del bilanciamento complessivo
qualità-prezzi; la crescita dei prezzi ha premiato talora singoli
prodotti-servizi ad elevato contenuto ambientale, per cui si è venuta
a configurare una nicchia di mercato, mentre ha interessato talaltra interi
comparti, in grado di "scaricare" sugli acquirenti i maggiori oneri;
(c) i maggiori costi indotti "coercitivamente" dall'ambiente,
correnti o per ammortamenti, non sono compensati da un parallelo
aumento della domanda e/o dei prezzi: con un peggioramento della profittabilità,
uniforme per tutte le imprese che competono in un determinato comparto
o differenziato; con minacce alla stessa sopravvivenza delle imprese più
penalizzate; con possibili spinte a riassetti radicali dei comparti, sino
ad una loro ridefinizione integrale; con possibili spinte a delocalizzazioni
generalizzate delle attività più critiche, nell'ambito dei
processi di globalizzazione in atto, in paesi ambientalmente più
tolleranti.
In sintesi, le trasformazioni e sollecitazioni connesse con l'ambiente
possono talora lasciare sostanzialmente inalterate sia le profittabilità
che le posizioni relative delle imprese. Ma molto più spesso esse
incidono con effetti disequilibranti - di segno negativo o positivo,
immediati e/o proiettati nel tempo - sull'una o sull'altra o su ambedue,
o addirittura inducono modifiche più profonde nell'organizzazione
industriale e nel sistema competitivo.
In tale ambito è opportuna una riflessione finale sull'uso "proattivo"
dell'ambiente come leva per migliorare la posizione competitiva, e di riflesso
la profittabilità.
La singola impresa può giocare la carta dell'adeguamento al
nuovo sistema di prezzi (corrente o prospettico), puntando ad un autoripagamento
dell'investimento stesso e, in caso di anticipo rispetto ai competitori,
all'acquisizione di un vantaggio competitivo almeno transitorio. Può
giocare la carta della differenziazione in senso ambientale dei prodotti-servizi,
per lucrare premi di quota e/o di prezzo. Ma può cercare di usare
la leva ambientale anche laddove non esistano prospettive di significativa
differenziazione dei prodotti-servizi o dell'immagine e/o vi siano forti
difficoltà di ribaltare sui prezzi i maggiori costi in diversi modi:
- puntando ad innovazioni ambientali da trasformare poi, in presenza
di un potere di lobbying sufficiente, in obblighi di legge (come accaduto
nel comparto automobilistico con le marmitte catalitiche);
- anticipando l'adozione di standard ritenuti probabili: per accelerarne
poi l'obbligatorietà di legge e mettere in difficoltà i competitori
che non si siano mossi per tempo; per sfruttare il fatto che gli adeguamenti
degli impianti, macchinari e attrezzature in genere agli standard ambientali
(come peraltro a qualsivoglia tipologia di standard) comportano usualmente
il costo minore possibile se concepiti in sede di progettazione degli stessi,
in un'ottica che tenga conto contemporaneamente di tutti gli obiettivi/vincoli
esistenti e di tutte le soluzioni possibili, e comportano viceversa
costi elevati se obbligano a obsolescenze anticipate di beni materiali
o immateriali o a modifiche consistenti di impianti e/o processi e/o metodologie
gestionali progettate in precedenza (senza tenere conto dei nuovi standard).
Il timing assume in ogni caso una valenza competitiva potenzialmente
di grande rilievo. Il non muoversi per tempo, o il muoversi in maniera
sbagliata, può comportare - soprattutto nei comparti ad elevati
"costi affondati" - non solo ritardi, ma in certi casi addirittura impossibilità
di adeguamento ed esclusione dal mercato.
 
|