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Impresa & Stato n°39

 

LA CERTIFICAZIONE: UNA SFIDA ALLE IMPRESE 

Dal Sistema Qualità al Sistema di Gestione Ambientale: 
i nuovi standard e prospettive di competitività

di
 G.AZZONE E G. NOCE
 
Non si è ancora esaurito il processo che ha portato un numero enorme di imprese ad ottenere la certificazione di sistema qualità (ISO 9000), che una nuova sfida si affaccia all'orizzonte del sistema industriale italiano: si tratta delle certificazione del sistema di gestione ambientale#. Il peso sempre più rilevante che la dimensione ambientale va assumendo nei comportamenti di acquisto del mercato e l'introduzione di normative sempre più stringenti impongono infatti alle imprese l'introduzione di un sistema di gestione ambientale (SGA) e l'adozione di pratiche di certificazione per la validazione degli interventi effettuati e dei risultati ottenuti in campo ambientale (Azzone, Bertelè, Bianchi, Noci, 1996). 
Rispetto alla certificazione di sistema qualità, l'ottenimento della certificazione ambientale richiede sforzi organizzativi e gestionali maggiori e, in taluni casi, un programma di investimenti in nuove tecnologie "pulite" piuttosto consistente. Il quadro di riferimento normativo è inoltre più eterogeneo rispetto alla certificazione di sistema qualità. Se per quest'ultima, infatti, la serie ISO 9000 costituisce il documento normativo di riferimento, per la certificazione ambientale l'impresa può adottare standard diversi - che presentano un differente ambito di validità e che sono stati sviluppati in differenti aree geo-politiche: alcuni di questi, ad esempio la norma inglese BS 7750, quella francese (AFNOR 30-200), irlandese (IS 310) e spagnola (UNE 77-801 e 77-802) hanno una valenza nazionale; altri, come l'EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) e la norma ISO 14001 si pongono invece in una prospettiva sovranazionale. 
L'adesione a questi standard può aprire, tuttavia, significative opportunità competitive. L'ottenimento della certificazione ambientale può consentire un miglioramento dell'immagine "verde" dell'impresa e l'eliminazione di eventuali barriere all'accesso in determinati mercati: non è infatti da escludere che nel breve periodo imprese operanti in paesi ad elevata sensibilità ambientale (Danimarca, Germania, Svezia, etc.) richiedano ai propri fornitori la certificazione del SGA. Alla luce di queste considerazioni, diviene quindi importante: 
1) analizzare più puntualmente gli schemi di certificazione potenzialmente adottabili da un'impresa e identificare gli elementi che contraddistinguono uno dall'altro; 
2) discutere, attraverso un'indagine condotta nelle imprese che per prime hanno deciso in Italia di certificare i propri SGA, le implicazioni gestionali e organizzative derivanti dall'adozione di programmi di certificazione; 
3) verificare quali tra i benefici potenzialmente ottenibili dalla certificazione, siano stati effettivamente conseguiti dalle suddette imprese. 
In ragione di questi obiettivi, nel primo paragrafo vengono messi a confronto i principali standard riconosciuti in ambito internazionale per la certificazione dei SGA; nel secondo, si analizzano i cambiamenti indotti dalla certificazione ambientale in un campione di imprese operanti in Italia; nel terzo, si discute se e come l'ottenimento della certificazione si traduca in benefici reali per le imprese; nell'ultimo paragrafo, infine, viene fornito un quadro di riferimento generale riguardante la diffusione delle pratiche di certificazione ambientale in Europa. 
Il quadro di riferimento normativo della certificazione ambientale 
La norma BS 7750 ha rappresentato il primo standard utilizzabile dalle imprese per la certificazione ambientale (la prima versione risale al 1989). Senza soluzione di continuità, si è tuttavia innescato un acceso dibattito sia in ambito comunitario che mondiale per la definizione dello schema di certificazione ambientale che meglio potesse rispondere alle esigenze delle imprese e nel contempo tutelasse le istituzioni pubbliche, il mercato e le comunità locali circa l'effettivo miglioramento delle prestazioni ambientali. 
Questo processo di interazione continua tra i differenti governi nazionali e enti competenti ha portato alla promulgazione del regolamento comunitario EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) e alla pubblicazione della norma ISO 14001. 
I tre schemi presentano degli elementi comuni; richiedono infatti alle imprese: 
- l'identificazione degli aspetti ambientali significativi per i siti dell'impresa; 
- la definizione e la successiva applicazione di una politica ambientale rivolta al miglioramento continuo delle prestazioni ambientali; 
- l'identificazione dell'assetto organizzativo necessario per supportare l'implementazione delle politiche ambientali deliberate; 
- l'effettuazione di audit periodici per la verifica della capacità dell'impresa di raggiungere gli obiettivi fissati in fase di pianificazione strategica. 
Se lo standard inglese (BS 7750) e il regolamento comunitario presentano delle aree di sovrapposizione molto significative, esistono invece alcuni elementi di differenziazione tra EMAS (e BS 7750) e ISO 14001. Queste fanno riferimento a: 
1) ambito di applicazione, 
2) obiettivi e requisiti, 
3) procedure specifiche di gestione e 
4) livello di coinvolgimento degli stakeholders esterni. 

Per quanto riguarda l'ambito di applicazione, partecipano al regolamento comunitario (EMAS) i singoli siti industriali; la norma ISO 14001 fa invece riferimento all'organizzazione nel suo complesso, indipendentemente dalla natura di impresa (industriale o di servizi). 

Due sono gli elementi che più caratterizzano il regolamento comunitario rispetto alla norma ISO 14001dal punto di vista di obbiettivi e requisiti: 
- la focalizzazione sull'output del sistema di gestione ambientale. La norma ISO pone invece l'accento sul sistema di gestione medesimo, nell'ipotesi che l'introduzione di interventi di razionalizzazione del SGA rappresenti la determinante primaria dei risultati ottenuti in campo ambientale dall'impresa sia; 
- la rilevanza attribuita ad un approccio di natura tecnologica - vale a dire l'introduzione di quelle tecnologie, economicamente convenienti, che garantiscono le migliori prestazioni ambientali (EVABAT). La norma ISO indica invece la soluzione tecnologica come una delle opzioni possibili per la riduzione dell'impatto ambientale delle attività di impresa. 
Emerge quindi in modo evidente, alla luce della focalizzazione sull'output del SGA, come la partecipazione all'EMAS possa indurre, in misura maggiore rispetto all'ISO 14001, talune imprese ad adottare soluzioni di tipo "end of pipe", più che a sviluppare interventi preventivi volti ad eliminare alla fonte talune determinanti di impatto ambientale (Wittmann, 1996). 

Per quanto riguarda l'aspetto procedurale, due sono invece gli elementi che maggiormente differenziano i due standard: le operazioni di registrazione e l'analisi ambientale iniziale che costituisce prerogativa esclusiva del regolamento comunitario. In particolare, per quanto entrambi gli schemi siano concordi nell'affermare l'importanza di una corretta identificazione degli aspetti ambientali rilevanti per l'impresa, il regolamento comunitario richiede l'introduzione di registri specifici degli effetti ambientali; lo schema ISO prevede invece che il management aziendale identifichi gli aspetti ambientali rilevanti, lasciando al libero arbitrio dei singoli la scelta della modalità più efficiente di organizzazione dell'informazione. 
La considerazione di questo aspetto, unitamente al fatto che l'ISO 14001 non prevede esplicitamente che l'impresa debba ricorrere alle EVABAT, evidenziano come il regolamento comunitario sia più vincolante. 
D'altro canto il fatto che non venga esplicitamente privilegiato nella norma ISO l'opzione tecnologica come unica soluzione ammissibile per il miglioramento delle prestazioni ambientali evita alle imprese di investire inutilmente in assets di tipo tecnologico che, ex post, possono anche non garantire il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento delle prestazioni ambientali prefissati. 
Dal punto di vista del livello di coinvolgimento degli stakeholders, la norma ISO non richiede esplicitamente una dichiarazione ambientale, ma, più semplicemente, che il management tenga in adeguata considerazione, definendo procedure di interazione specifiche, l'insieme dei soggetti che interagiscono con l'impresa (clienti, comunità locali, finanziatori, istituzioni pubbliche, etc.). Il regolamento comunitario prevede invece che le imprese debbano predisporre e successivamente pubblicare una dichiarazione ambientale in cui vengono esplicitati gli obiettivi di miglioramento delle prestazioni ambientali che il management si è inteso dare. 
Ciò contribuisce a rendere l'operato dell'impresa maggiormente "trasparente" verso l'esterno, rendendo quindi lo schema particolarmente coerente alla crescente domanda degli stakeholders (mercato, istituzioni pubbliche, associazioni ambientaliste, etc.) di disporre di un quadro informativo più completo circa i risultati ottenuti in campo ambientale dal sistema industriale. 

L'ANALISI DEI CAMBIAMENTI INDOTTI DALLA CERTIFICAZIONE AMBIENTALE 
In Italia, alla fine del 1995, 17 siti produttivi, appartenenti a 16 imprese, risultavano provvisti di un sistema di gestione ambientale certificato sulla base dello standard nazionale britannico BS 7750 (Azzone, Bianchi, Mauri, Noci, 1997). Questa soluzione "operativa" risultava di fatto obbligata, visto che nel 1995: 
- non era stata ancora completata l'approvazione dello standard ISO 14000; 
- non era possibile adottare il sistema EMAS, poiché l'Italia, - insieme a Grecia e Portogallo- è uno dei pochi paesi a livello comunitario in cui non erano ancora operativi l'organismo competente a ricevere e registrare le dichiarazioni ambientali e l'organismo di accreditamento e controllo dei verificatori ambientali. 
Alla fine del 1996, si è deciso, per cercare di comprendere le implicazioni "reali" della certificazione ambientale, di rivolgere l'attenzione proprio a queste 16 imprese, per due differenti motivi: 
1) si tratta, in pratica, dei "pionieri", almeno a livello nazionale, nel campo della certificazione ambientale. L'analisi delle caratteristiche comuni a tali imprese dovrebbe quindi consentire di individuare alcuni fattori destinati a favorire l'adozione della certificazione; 
2) il tempo passato tra il momento della certificazione e il momento dell'indagine consente di verificare se alcune delle aspettative in base alle quali le imprese avevano deciso di adottare la certificazione ambientale si siano effettivamente concretizzate. Al contrario, un'indagine rivolta a imprese che avessero appena ottenuto la certificazione si sarebbe necessariamente dovuta limitare all'analisi delle motivazione e degli eventuali problemi in fase di implementazione. I risultati che vengono riportati nel seguito fanno riferimento, in particolare, all'analisi di 13 siti produttivi su 17, appartenenti alle 12 imprese che si sono dichiarate disponibili a collaborare.# (cfr. tabella 1). 
L'effetto della certificazione ambientale è stato in particolare analizzato con riferimento a: 
1) politica ambientale; 
2) attività della catena del valore influenzate dalla certificazione; 
3) struttura organizzativa; 
4) gestione delle risorse umane; e 
5) sistema di gestione ambientale. 

1) Un'impresa, per ottenere la certificazione ambientale, deve esplicitare la propria politica nei confronti dell'ambiente. In tabella 2 viene evidenziato come 7 imprese disponessero di una politica ambientale già prima della certificazione, a livello di società operativa o a livello corporate. Ciò che è più interessante, però, è che per 5 imprese la certificazione ambientale ha costituito l'occasione di definire in modo formalizzato la propria politica nei confronti dell'ambiente; essa ha quindi rappresentato un vero e proprio fattore di cambiamento strategico. 
Anche per quanto riguarda le attività della catena di valore si rileva la coesistenza di situazioni consolidamento e di cambiamento. Solo in tre imprese, in particolare, la certificazione non ha richiesto interventi significativi in alcuna fase della catena del valore; in due casi, in particolare (Dame e Lati), si tratta di piccole imprese operanti nel campo dello stoccaggio dei combustibili, quindi con processi estremamente semplici. 
In tutte le altre imprese, la certificazione ha spinto ad affrontare il problema della catena logistica, con riferimento soprattutto ai fornitori. Il tema è estremamente critico ed è destinato a diventarlo ancora di più nel futuro. é quasi naturale, infatti, che le prime imprese che vogliano certificare il proprio sistema di gestione ambientale non possano rivolgersi a fornitori "già certificati"; di conseguenza, può essere ritenuto sufficiente il semplice coinvolgimento dei fornitori, fornendo loro informazioni sulla politica ambientale che l'azienda intende seguire e l'introduzione di alcuni controlli sulle prassi da essi utilizzate. Nel prossimo futuro, è probabile invece che le imprese, per essere certificate, debbano disporre di fornitori a loro volta certificati. 
Il problema coinvolge in particolare le grandi imprese multinazionali, che rischiano di trovarsi di fronte a un effetto boomerang. In passato, infatti, esse hanno teso ad esternalizzare le attività a maggior rischio ambientale. 
In tal modo, sono migliorate le prestazioni ambientali "interne", ma a prezzo di un deterioramento complessivo dell'ambiente; spesso, infatti, le attività sono state esternalizzate ad aziende di piccole dimensioni, che, per ridurre i costi, hanno fatto ricorso a soluzioni produttive maggiormente inquinanti. Poiché il processo di certificazione non si limiterà ad analizzare le prestazioni "interne" all'impresa, ma sarà rivolto all'intera catena del valore, le grandi imprese multinazionali dovranno in futuro garantire l'adozione, presso i propri fornitori, di standard almeno pari a quelli che venivano prima adottati al loro interno. 

3) Dal punto di vista della struttura organizzativa, quasi tutte le imprese disponevano di un'unità incaricata di coordinare le problematiche di carattere ambientale; solo in due casi le responsabilità ambientali erano demandate, prima della certificazione, alla produzione. 
Come prevedibile, inoltre, la certificazione ha richiesto un approccio interfunzionale; nella Castrol, ad esempio, il piano ambientale viene definito da un comitato costituito da rappresentanti di tutte le unità funzionali; soluzioni analoghe sussistono anche in tutte le altre imprese analizzate. 
Interessante è invece notare che la certificazione non ha di fatto comportato un aumento del potere delle unità incaricate di gestire le problematiche ambientali; solo in Montell Italia, vi è stato un aumento delle risorse umane e finanziarie ad essa assegnate. Ciò può far pensare che in alcune imprese la certificazione ambientale sia stata vista più come un momento di arrivo che come un segnale dell'importanza strategica delle problematiche ambientali. 

4) Il ruolo critico che le risorse umane assumono nel consentire un miglioramento delle prestazioni ambientali delle imprese è ben noto; le imprese che hanno introdotto la certificazione ambientale ne appaiono del resto perfettamente consapevoli. 
In particolare, tutte le imprese interessate hanno introdotto programmi formativi specifici rivolti all'ambiente, spesso accompagnati dalla messa a punto di materiale informativo, mentre in più del 50% dei casi il miglioramento delle prestazioni ambientali è diventato uno degli elementi considerati dal sistema di incentivi. 
In Ciba, ad esempio, obiettivi ambientali, che in passato erano assegnati alla sola produzione, interessano oggi tutte le attività aziendali. In particolare, vengono dapprima definiti gli obiettivi per l'azienda nel suo complesso, che vengono poi scomposti, in cascata, in sotto-obiettivi, assegnati a tutti i livelli organizzativi. 
 E' interessante notare che quattro imprese hanno sottolineato la difficoltà di far accettare al proprio interno la certificazione ambientale. 
 
5) In Dow e in Azko, ad esempio, vi è una forte resistenza ad assimilare le nuove procedure previste dal sistema di gestione ambientale da parte dei più anziani; in particolare, si tende a vedere come una perdita di tempo la continua registrazione di livelli di emissioni "normali", che viene quindi spesso trascurata#. Anche Montell e Room&Haas segnalano la difficoltà a far accettare al personale gli aspetti burocratici e procedurali connessi con la certificazione ambientale. 
Per essere certificate, tutte le imprese hanno dovuto adottare un sistema di gestione ambientale. Può essere interessante, tuttavia, osservare la situazione preesistente in termini di 1) sistema qualità, 2) componenti del SGA, 3) comunicazione formalizzata relativamente al sistema di prestazioni ambientale, per comprendere quanto la certificazione abbia richiesto un cambiamento significativo delle attività dell'impresa e quanto invece abbia rappresentato principalmente l'attestazione di risultati già ottenuti. 
Da questo punto di vista si osserva, in particolare, che tutte le imprese analizzate disponevano di un sistema di qualità che sembra quindi un facilitatore, se non un prerequisito, per l'adozione di un sistema di gestione ambientale. Del resto, sia nel British Standard che nelle normative ISO, esistono numerosi punti di sovrapposizione tra sistemi di qualità e sistemi ambientali. L'impressione sulle relazioni tra qualità e ambiente è peraltro confermata dal fatto che l'80% delle imprese britanniche che hanno adottato lo standard BS 7750 disponevano di un sistema di qualità ben strutturato. 
Per quanto riguarda invece le componenti del sistema di gestione ambientale, la situazione appare molto più a macchia di leopardo. In particolare, per le imprese più grandi la certificazione ambientale si è di fatto inserita su una situazione precedente già orientata alla gestione eco-efficiente; le altre imprese, invece, presentavano carenze più o meno accentuate, che hanno dovuto essere colmate prima di ottenere la certificazione. 
Infine, è a nostro avviso importante sottolineare i problemi di comunicazione che sono connessi con la certificazione. Le grandi imprese, in particolare, già da tempo dispongono di un bilancio ambientale esterno, disponibile al pubblico; al contrario, le imprese più piccole non hanno neppure strumenti formalizzati di comunicazione interna. 
Questa differenza può costituire un problema particolarmente rilevante se, nel prossimo futuro, prevarranno sistemi di certificazione basati sull'EMAS, che impone alle imprese la pubblicazione della dichiarazione ambientale. 

I BENEFICI DELLA CERTIFICAZIONE 
La tabella 3, riportando i valori medi delle valutazioni delle aziende, illustra gli effettivi benefici che le imprese affermano di aver ottenuto grazie alla certificazione. In particolare, a ciascuna impresa si è chiesto di valutare, su una scala 1 - 5 (1 = nessun effetto, 5 = massimo effetto), i risultati ottenuti rispetto ad alcune prestazioni su cui, almeno potenzialmente, la certificazione dovrebbe avere effetto. 
Prima di analizzare i dati, è opportuno sottolineare che essi devono essere presi con qualche cautela; infatti: 
- il periodo di tempo intercorso dalla certificazione (tra i 12 e i 18 mesi) è molto esiguo; di conseguenza, alcune valutazioni potrebbero essere almeno in parte contraddette nel momento in cui si arriverà a una situazione di regime; 
- la valutazione si basa su giudizi qualitativi, espressi da chi, nell'azienda, ha normalmente sostenuto l'adozione della certificazione ambientale e ha guidato il processo per il suo ottenimento. Vi è quindi il rischio che le valutazioni siano basate più su aspettative che sull'effettiva verifica dei miglioramenti prestazionali. 
Una prima considerazione che emerge, almeno in parte inattesa, è il ruolo della certificazione come strumento di cambiamento; in particolare la "motivazione dei lavoratori" ha rappresentato il beneficio mediamente giudicato più rilevante. 
 E' interessante mettere in relazione questo risultato con l'osservazione che l'inerzia delle risorse umane rappresenta uno dei principali ostacoli all'implementazione di una strategia attiva nei confronti dell'ambiente. Per superare questa inerzia, infatti, è necessario introdurre degli stimoli al cambiamento, delle azioni che facciano chiaramente percepire come l'impresa sia disposta a investire effettivamente sull'ambiente e non si sia di fronte ad un semplice slogan. In questo senso, la certificazione ambientale può costituire un effettivo stimolo al cambiamento. 
 E' importante sottolineare come questo stimolo debba poi essere mantenuto nel tempo; il responsabile ambientale di una delle prime imprese certificate in Italia sottolineava recentemente come dopo sei mesi dalla certificazione si potesse notare un primo rilassamento dell'attenzione dei dipendenti nei confronti dell'ambiente. 
Un secondo aspetto importante è rappresentato dalla razionalizzazione delle procedure del sistema di gestione ambientale. Questo risultato era abbastanza prevedibile, poiché la principale differenza tra un sistema di gestione ambientale generico e un sistema certificato è la definizione di un insieme standardizzato di norme e procedure, che può consentire di evitare sprechi, dispersione di informazioni e duplicazioni di operazioni. 
Infine, la certificazione ambientale rappresenta uno strumento di immagine; attraverso di essa le impresa dichiarano effettivamente di aver migliorato la propria immagine esterna. 
Tra i fattori che hanno invece avuto un peso poco significativo, tre appaiono interessanti. 
Innanzi tutto, è contenuto l'effetto benefico della certificazione sulla riduzione del rischio connesso con l'ambiente e sui costi operativi (materiali ed energia). Questo risultato deriva, a nostro avviso, dallo sfasamento temporale esistente, in molte imprese, tra l'implementazione degli interventi di miglioramento delle prestazioni ambientali e la vera e propria certificazione. Di conseguenza, i benefici che derivano dal miglioramento delle prestazioni ambientali erano di fatto, almeno in parte, già stati ottenuti dalle imprese prima della vera e propria certificazione. 
Infine, è opportuno sottolineare come non si segnali sostanzialmente alcun beneficio in termini di accresciuta competitività commerciale. Ciò segnala un ritardo tra il miglioramento di immagine derivante dalla certificazione ambientale e la tradizione di tale miglioramento in incremento degli ordini e premi di prezzo. 
In parte, questo ritardo nasce dalla presenza, nel campione, di imprese che si rivolgono prevalentemente al mercato finale. I produttori di componentistica, invece, dovrebbero essere in grado di tradurre più rapidamente il miglioramento delle caratteristiche ambientali di prodotti e processi in quota di mercato e/o premio di prezzo. 

LA SITUAZIONE IN EUROPA DELLA CERTIFICAZIONE AMBIENTALE 
Può essere interessante confrontare la situazione italiana con quella dei principali paesi dell'Unione Europea. In particolare, considerata la diffusione ancora recente degli schemi di certificazione ambientale, si intende fornire un breve quadro della diffusione della certificazione EMAS in Europa, per la quale esistono dati sufficientemente aggiornati a livello comunitario (cfr. tabella 4). 
L'analisi per paese, in particolare, evidenzia il peso assolutamente preponderante delle imprese tedesche; in Germania, infatti, si trova oltre due terzi dei siti produttivi certificati. 
 E' un risultato che conferma l'attenzione che alle problematiche ambientali rivolgono le imprese tedesche e che è stata più volte sottolineata nel corso del testo. 
I dati relativi agli altri paesi devono invece essere completati dalle seguenti considerazioni: 
- il peso della Gran Bretagna in Europa è sensibilmente sottostimato. La Gran Bretagna, infatti, pur essendo tra i paesi più sensibili all'ambiente, appare agli ultimi posti nell'adozione dell'EMAS. Il motivo è la presenza di uno standard nazionale molto forte, il British Standard 7750, cui di fatto hanno aderito, e continuano ad aderire, la maggior parte delle imprese britanniche. Stime recenti parlano di circa 200 siti certificati BS 7750 in Gran Bretagna; 
- l'Italia, come si è più volte sottolineato, costituisce un caso anomalo, poiché non vi è ancora la possibilità di un accreditamento EMAS. Le principali imprese operanti in Italia si dividono quindi tra: ricorso, recente, all'ISO 14000 (in particolare, per le imprese multinazionali, che preferiscono l'adozione di uno standard valido in ambito sovracontinentale); uso delle BS 7750; possibilità di adottare l'EMAS come "paese extracomunitario", ricorrendo quindi a verificatori accreditati in altri paesi dell'UE. La pluralità di soluzioni rende difficile una stima adeguata del numero di imprese attualmente certificate. 
 
  TAB.1 - I PIONIERI DELLA CERTIFICAZIONE AMBIENTALE IN ITALIA 
 

Impresa N° di siti certificati  Settore Fatturato 1995 (miliardi)  Dip.(N°) Data di certificazione 
Akzo Nobel Coating S.p.A. Chimico 55 112  Dicembre 1995
Castrol Italiana S.p.A. Chimico 300 178  Giugno 1995
Ciba Geigy S.p.A. 1 Chimico  260 410 Dicembre 1995 
Dama Petroli S.p.A. 1 Chimico 1,8 Dicembre 1995
Dow Italia S.p.A. 1 Chimico  35 72 Giugno 1995 
ICI Italia 1 Chimico  357 170 Giugno 1995 
Kl(ber Lubrification Italia Chimico 25 36  Dicembre 1995
Lati S.p.A. Luzenac  1 Chimico 160 240  Giugno 1995
Val Chisone S.p.A. 1 Chimico n.d. n.d.  Dicembre 1995
Montell Italia S.p.A. 1 Chimico n.d. 60  Giugno 1995
Rohm&haas Italia S.r.l. Chimico 150 220  Giugno 1995
Zanussi Grandi Impianti Engineering 140 360  Ottobre 1995
n.d: non disponibile
 

TAB.2 - L'ESISTENZA DI UNA POLITICA AMBIENTALE FORMALIZZATA PRIMA DELLA CERTIFICAZIONE 

Impresa
Strategia ambientale 
 
a livello di societa'
a livello
 
operativa
corporate 
Akzo Nobel Coating  
Castrol Italiana  
Ciba Geigy
X
 
Dama Petroli    
Dow Italia
X
 
ICI Italia
X
 
Kluber Lubrification Italia  
X
Lati    
Luzenac Val Chisone    
Montell Italia    
Room&Haas Italia
X
 
Zanussi Grandi Impiantin.    
d: non disponibile
  

TAB.3 - I PRINCIPALI BENEFICI OTTENUTI 

Beneficio Valore medio
Motivazione dei dipendenti 4.0 
Razionalizzazione delle procedure 4.0 
Miglioramento dell'immagine 3.9 
Miglioramento delle prestazioni del sistema di gestione ambientale  3.4
Riduzione dei costi di materiale ed energia  2.9
Riduzione dei rischi ambientali 2.8 
Miglioramento della competitività commerciale  1.9
Legenda: scala 1 - 5 
(1 = nessun effetto; 5 = elevato miglioramento) 

TAB.4 - NUMERO DI SITI PRODUTTIVI CERTIFICATI EMAS NEI DIVERSI PAESI EUROPEI (AL FEBBRAIO 1997) 

Paese N. di siti certificati 
Germania 348
Austria 46
Svezia 43
Regno Unito 25
Norvegia 16
Danimarca 13
Olanda 11
Francia 7
Finlandia 4
Belgio 2
Irlanda 2
Totale 518
 
BIBLIOGRAFIA
  • Azzone, G., Bianchi, R., Mauri, R., Noci, G. (1997) "Defining operating environmental strategies: programmes and plans within Italian industries", Environmental Management and Health, Vol. 8, Part 1., 
  • Azzone, G., Bertelè, U., Bianchi, R., Noci, G., "La dimensione ambientale nella strategia e nella gestione di impresa", Milano, Quaderno MIP (1996). 
  • Draft International Standard ISO/DIS 14001.2, (1996) "Environmental management systems -Specifications with guidance for use". 
  • Porter, M., Van der Linde, C., (1995), "Green and competitive: ending the stalemate", Harvard Business Review, September-October, pp. 120-134. 
  • Wittmann, R., (1996) "Environmental management. Pioneer Experiences with EMAS -the German Situation", Atti del convegno "La dimensione ambientale nelle strategie di impresa", Milano, 3 giugno.