Impresa & Stato n°37-38
UNA INTERFACCIA COL SISTEMA DELLE IMPRESE
E LA P.A. IL RUOLO DELLE C.D.C. VERSO IL TERZO SETTORE
Interviste a: Giorgio Vittadini, Alessandro Antoniazzi,
Maria Teresa Scherillo
(a cura di Gianni Sibilla)
Impresa &
Stato ha rivolto alcune domande a tre rappresentanti di alcune delle più
importanti associazioni che operano nel terzo settore: Giorgio Vittadini,
Presidente della Compagnia delle Opere, Alessandro Antoniazzi, Presidente
della Fondazione S.Carlo e Maria Teresa Scherillo, Presidente di Sodalitas.
La Compagnia delle Opere nasce nel 1986, sviluppandosi come punto di
aggregazione tra diverse realtà che fanno riferimento al settore
delle piccole e medie imprese e le organizzazioni non-profit, ispirandosi
all'insegnamento in materia di dottrina sociale della Chiesa. A tutt'oggi
vanta 33 sedi in Italia (più numerose rappresentanze all'estero)
e 8000 associati.
La Fondazione S. Carlo è una organizzazione non-profit voluta
dal Vescovo di Milano Card. Martini e promossa e sostenuta dalla Caritas
Ambrosiana e dalla Diocesi di Milano. Nata nel 1994, la sua prima iniziativa
è stato quella di aprire una struttura di seconda accoglienza (con
metà dei posti riservati a immigrati extra-comunitari), mentre quelle
successive riguardano la gestione di un numero di case dello IACP da subaffittare
a persone bisognose, l'avvio di una scuola-bottega e la realizzazione di
una linea di credito speciale per favorire l'inserimento di immigrati in
attività commerciali.
Sodalitas - Associazione per lo sviluppo dell'imprenditoria nel sociale
- nasce nel 1995 su iniziativa di Assolombarda, di 14 imprese ad essa associate
e di un gruppo di manager che si sono impegnati come consulenti volontari.
Due sono le direzioni di lavoro dell'associazione: da un lato l'offerta
di competenze derivate da esperienze d'impresa al settore del non-profit;
dall'altro cerca di coinvolgere le imprese nel sociale.
I&S: In che modo la novità del terzo settore implica una
modifica delle pubbliche istituzioni tradizionalmente legate al settore
sociale? Come dovrà porsi la pubblica amministrazione rispetto al
"terzo settore" ?
Vittadini: In Italia il terzo settore nasce secoli fa, secondo un'idea
di economia civile e vive per secoli come autorganizzazione della società;
si sviluppa poi con il movimento cattolico operaio e adesso prende il nome
di "non-profit", "terzo settore". Quindi ha una entrata positiva nella
realtà sociale. Sono le interpretazioni anglosassoni che lo riducono
a qualcosa di negativo. Da un certo punto di vista basterebbe essere fedeli
ad una tradizione, persa negli ultimi anni di feroce statalismo. Una tradizione
di un sistema di welfare mix, in cui l'Italia non ha risposto solo con
lo stato e con la P.A. ai servizi delle persone; anzi ha sempre usato una
rete preesistente allo stato stesso: si pensi alle comunità di tossicodipendenti,
nate tutte come private. La P.A. deve avere la possibilità di dare
il quadro normativo, avere un controllo; ma ci deve essere in un sistema
in cui può gestire sia la P.A., sia l'impresa sociale. Bisogna che
ci sia la pluralità di soggetti. La P.A. non può essere l'unica
a pensare di poter erogare dei servizi, deve permettere l'entrata del terzo
settore come risposta alla richiesta di servizi.
Antoniazzi: Il modello più diffuso oggi, anche sulla base dell'esempio
dell'esperienza americana, è quello del contracting out. Il settore
pubblico non gestisce direttamente o gestisce pochissimo; ciò non
significa che il pubblico non intervenga o non programmi o non finanzi.
Anzi deve acquisire capacità notevoli di indicare programmi, obiettivi
e misurare l'efficacia dell'intervento. La gestione diretta delle attività
sociali così viene fatta sia da enti privati e soprattutto da fondazioni
e associazioni di carattere non-profit.
Scherillo: La P.A. deve vedere il terzo settore come una risorsa, organizzata
in unità abbastanza piccole, collocate nel territorio e in grado
di dare un servizio più personalizzato e unico alle esigenze dell'utente.
Laddove la P.A. finanzia questo settore, dovrà riuscire a monitorarlo.
Non tanto controllarlo, quanto acquisire delle capacità per giudicarne
la validità, interpretarne la qualità. E questa è
certo una trasformazione, perché la P.A. non ha fatto molto in questa
direzione in passato. In sostanza , per la P.A si tratta di passare da
funzioni di gestione diretta di servizi a funzioni di regolazione, promozione
e indirizzo.
I&S: Quali sono le forme possibili di partnership e collaborazione
tra pubblico e privato nei servizi sociali? In che modo è possibile
evitare una dicotomia tra questi due poli?
Vittadini: In tutti i paesi del mondo c'è l'idea della detassazione,
cioè che il cittadino che fa una donazione o dei finanziamenti a
imprese del terzo settore può non essere tassato. Questo succede
in tutti paesi del mondo, qualunque sia l'ideologia. La cosa più
sana è proprio questa, perché se io, da privato, erogo i
soldi allo Stato e questi, come le tasse, vengono gestiti da un sistema
partitico, è più facile il clientelismo. Se io decido invece
di dare soldi ad una struttura "benefica", sono detassato. La dicotomia
netta si evita se lo stato fa veramente il suo mestiere, che è quello
della programmazione. Lo stato, ora, invece di programmare, gestisce: così
diminuiscono i fondi e succede che lo stato stesso non riesca più
a rispondere a tutti i bisogni. Lo stato deve creare un vero mercato, perché
sa quale è la domanda, sa quanto è in grado di rispondere
e vede quanto il terzo settore può dare. Così si evita una
dicotomia e c'è una collaborazione.
Antoniazzi: Il pubblico continua ad intervenire, secondo il modello
del ìcontracting outì, ma in un modo diverso dal nostro.
Il pubblico da noi gestisce direttamente ospedali, enti vari nel campo
sociale. C'è qualche settore in cui si applica già il ìcontracting
outì, come quello dei patronati sociali, che per la loro natura
di avvicinamento a determinati settori o categorie richiedevano già
una forma di questo tipo. Questa situazione è avvenuta recentemente,
anche se in forma diversa, nelle comunità di recupero dei tossicodipendenti
o di recupero di minori. Si tratta comunque di esperienze ìpiccoleì,
in cui si sente di più il bisogno del servizio diretto alla persona
dove il pubblico ha più difficoltà di intervento. Bisogna
dire che questo tipo di esperienza non c'è ancora nelle grandi strutture.
I&S: Come è stato modificato l'atteggiamento verso i servizi
sociali dall'avvicinamento al modello dell'impresa privata, soggetto che
è sempre stato escluso da questa dimensione?
Vittadini: Il terzo settore ha sempre avuto un rapporto con l'impresa
privata; tutte le grandi istituzioni per secoli sono state finanziate dagli
imprenditori. Se il terzo settore deve avere un ruolo, come ha sempre avuto,
nella gestione dei servizi alla persona (istruzione, sanità, assistenza,
cultura) deve essere legato all'impresa per avere reddito e capitale. Non
può essere visto semplicemente come un volontariato, pur importantissimo,
perché in questo modo non può svolgere la sua funzione di
erogare servizi. Se io non creo un'impresa sociale, non riesco a fare la
funzione di gestione dei servizi. L'impresa privata è fondamentale
per la connessione con il non-profit.
Antoniazzi: Quello del rapporto con l'impresa privata è un problema
ancora da sviscerare, perché il terzo settore è attualmente
una realtà intermedia tra il pubblico ed il privato, e viene visto
piuttosto come alternativa o sostituzione del settore pubblico nell'area
dei servizi. All'interno dell'area privata sociale si possono talvolta
ottenere dei risultati migliori di quelli dell'impresa privata tout court,
pur operando in modo concorrenziale con quest'ultima. Questo perché
l'associazione privata non-profit può avere forme di partecipazione
della gente o di volontari che l'impresa privata profit non ha.
Potrebbero esserci un domani importanti forme di collaborazione tra
attività private e del terzo settore ma, a mio avviso, questa è
la parte teoricamente e culturalmente meno sviluppata del terzo settore.
Oggi si sta lavorando piuttosto sulle forme di superamento delle vecchie
forme dello stato sociale.
Scherillo: Sodalitas è una iniziativa sostenuta dal mondo delle
imprese private per far sì che il terzo settore si sviluppi incorporando
anche la cultura d'impresa, cioè competenze gestionali, manageriali,
etc. Non si tratta tanto dell'impresa privata che agisce nel sociale, quanto
proprio di dare delle competenze alle cooperative sociali e al mondo del
volontariato, e noi abbiamo trovato un accoglienza molto positiva. Con
nostra sorpresa abbiamo scoperto un mondo in cui era maturata una domanda
e una consapevolezza che per far bene un lavoro sociale è necessario
un certo saper fare che poteva venire dal mondo dell'impresa privata.
I&S: Come è possibile applicare all'impresa sociale criteri
di valutazione dei servizi e come questi vanno confrontati con criteri
di mercato tradizionali?
Vittadini: Per quanto riguarda la valutazione dei servizi, il terzo
settore viene penalizzato nel momento in cui si misura l'efficienza e non
l'efficacia. In questo campo facciamo dei servizi alla persona, e ne va
valutata l'efficacia, cioè quanto il benessere della persona è
migliorato. Nel momento in cui valuto l'efficacia, cioè la qualità,
è come se fossi nel mercato ma con criteri diversi dall'impresa
dovuti semplicemente ad un ricavo.
L'unico pericolo che c'è per il non-profit è che sia
usato dal profit per grandi concentrazioni di capitale per investire e
diventare padroni del non-profit stesso. Ma nel momento in cui ci sia una
legge molto chiara - che al momento non c'è - che impedisca concentrazioni
in questo campo e impedisca anche la distribuzione degli utili, penso che
il mercato stesso sia un punto dove il terzo settore può confrontarsi.
Antoniazzi: Nel settore sociale, se si usassero forme tradizionalmente
privatistiche si finirebbe con il coprire una parte limitatissima della
domanda; l'intervento privatistico nel sociale rischia di essere un intervento
per ìricchiì. Invece c'è tutta una domanda solvibile,
ma a dei costi ìeconomiciì, che può realizzarsi a
determinate condizioni, con contributi da parte del settore pubblico, sgravi
fiscali o una partecipazione del volontariato. Ci vogliono alcune condizioni
che consentano di diminuire i costi. é quello che Ruffolo e Carniti
chiamano welfare market, un settore con delle condizioni particolari.
Scherillo: Questa esigenza di misurare in modo comparativo i servizi
sociali è presente. Essendo la gran parte di questi servizi in convenzione
con il pubblico, se non c'è un qualche criterio che permetta di
valutare l'efficacia dei servizi stessi, l'unico criterio finisce con l'essere
quello del prezzo; questo può andare a svantaggio dell'utente finale.
La ricerca di processi di funzionamento e di indicatori che consentano
di tener sotto controllo la qualità nei servizi in generale (e in
quelli sociali, in particolare) è una questione importante e complessa
che richiede approfondimenti caso per caso.
I&S: Il terzo settore, in quanto campo relativamente nuovo, necessita
di una regolamentazione. Chi dovrà occuparsene e secondo quali criteri?
Vittadini: Si parla dell'organismo di controllo che la legge delega
prevede. C'è un subsistema che funziona bene, ed è quello
cooperativo, in cui il controllo è dello. Stato, che però
lavora con alcune agenzie. Si tratta delle tre o quattro centrali cooperative,
che collaborano al controllo stesso perché hanno il loro interesse
nel fatto che non esista il ìladroì che rovina tutto quanto.
Secondo me il controllo deve essere fatto con un sistema dello stato, ma
anche di un autocontrollo delle grandi agenzie. Un sistema di controllo
integrato, quindi, in cui lo stato ha i suoi controllori in collaborazione
con le agenzie che vogliono assicurare criteri di qualità.
Antoniazzi: Io direi meno regole possibile, anche se le proposte fatte
vanno in una direzione simile alla regolazione dell'impresa. Ad esempio
adesso una fondazione per nascere ha bisogno di una concessione da parte
dello Stato, mentre l'impresa non ne ha bisogno. Credo che dovremmo fare
altrettanto per le fondazioni.
Si può tentare la via dell'authority, ma questa deve stabilire
delle regole di carattere generale, delle regole di comportamento, a cui
in Italia non siamo abituati. Ma questa è una cultura da far crescere.
Visto che il nome ìterzo settoreì ha riscontro e visto che
non si tratta soltanto di parole ma c'è una materia del contendere
(dai benefici fiscali al lavoro alla privatizzazione della sanità)
c'è bisogno di alcune di garanzie.
Un altro grande punto in sospeso è quello della distribuzione
degli utili, che teoricamente in Italia una fondazione potrebbe fare, mentre
in America costituisce il criterio fondamentale per distinguere un ente
profit da un ente non-profit.
Scherillo: La regolamentazione ovviamente dovrà arrivare dalla
pubblica amministrazione, sentendo però anche le parti in causa.
Ci dovrà quindi essere una grossa componente di autoregolamentazione
dello stesso terzo settore. Sia il settore pubblico che il settore privato
(inteso come imprese private) che terzo settore insistono su un unico contesto,
quindi le regole che si applicano nei vari campi devono essere coerenti
tra di loro. Ci dovrebbe essere sia trasparenza che possibilità,
non solo intersettoriale, di circolazione delle risorse. Mi riferisco,
in prima istanza alle risorse umane.
I&S: Quali sono le prospettive dell'occupazione nel terzo settore?
Vittadini: In Italia su venti milioni di dipendenti, tredici milioni
appartengono ad imprese sotto i quindici dipendenti. é vero quindi
che il problema dell'occupazione può essere svincolato dalla grande
impresa, ed è favorito dalla nascita di tanti piccoli punti. Questa
è esattamente la caratteristica del terzo settore, fatto di piccole
associazioni, piccole realtà con pochi dipendenti. Su un trend in
cui la qualità della vita ed i bisogni della persona stanno crescendo,
il terzo settore sarà un settore ad alto livello di occupazione,
anche perché la tecnologia non ne potrà alterare il rapporto
capitale/lavoro.
Antoniazzi: Ovviamente ce ne sono, senza però enfatizzare troppo
la questione come fa Rifkin, la cui presa di posizione sembra un po' troppo
netta, ìo terzo settore o barbarieì. Creare posti di lavoro
non è mai facile.
A mio avviso ci sono tre tipi di prospettive per l'occupazione nel
terzo settore. Il primo è quello del ìcontracting outì,
che può essere un grande settore di espansione, perché con
cooperative e fondazioni si può creare una rete più efficace,
ovviamente con implicazioni occupazionali. La seconda prospettiva è
quella della cosiddetta ìimpresa socialeì; si tratta di imprese
a tutti gli effetti in grado di competere con il pubblico e con il privato.
La terza prospettiva è quella delle nuove forme del mercato del
lavoro e dei nuovi tipi di contratto di lavoro. Il terzo settore potrebbe
essere una forma di organizzazione un po' meno selvaggia di quella attuale
di questa area.
Scherillo: Una recente ricerca valuta - con un certo ottimismo- il
potenziale del terzo settore in duecentomila nuovi posti di lavoro nell'arco
dei prossimi due o tre anni. Questo in parte come emersione di lavoro sommerso
e in parte come apporto ìnettoì. Certamente c'è un
potenziale per queste attività legate ad una migliore qualità
della vita, dai servizi alla persona a quelli di natura ambientale.
I&S: Che ruolo può avere la Camera di Commercio nello sviluppo
del terzo settore?
Vittadini: Noi abbiamo fatto un convegno a Roma con Unioncamere l'anno
scorso, ricordando prima di tutto che le Camere di Commercio dispongono
dell'archivio delle imprese. Uno dei problemi più gravi, che nessuno
sottolinea, è che ancora adesso non si possono fare stime vere sull'occupazione
nel terzo settore, perché l'Italia dispone solo di dati di seconda
mano. L'archivio delle imprese può estendersi alle imprese non-profit.
Visto il suo carattere istituzionale, La Camera di Commercio può
definire gli standard qualitativi, come fa per altri settori. Può
svolgere anche il ruolo di camera di compensazione di diverse forze. La
CdC dovrebbe allargare il suo compito anche alle imprese non-profit.
Antoniazzi: Vista che quella del terzo settore diventerà sempre
più un'attività economica, e visti i buoni rapporti della
Camera di Commercio con le imprese e le stesse attività economiche,
io credo che la Camera di Commercio potrebbe sviluppare la parte di interfaccia
con l'impresa privata, che è quella più dolens del terzo
settore.
Scherillo: Mi sembra che la Camera di commercio stia dimostrando un
certo interesse verso questo settore, come ad esempio con l'intenzione
di fare un censimento di queste attività.
I&S: é già il caso di parlare di forme di rappresentanza
del terzo settore, anche in vista dei nuovi consigli camerali ?
Vittadini: é la conseguenza di ciò ho ho detto prima.
Se la Camera, come è giusto, si deve candidare ad essere il punto
di rappresentanza delle imprese, e quindi anche delle imprese sociali,
è giusto che vi sia rappresentato anche il terzo settore. Qualunque
altro organo peccherebbe di statalismo e di incapacità di controllo.
Le camere sono invece uno dei sistemi più interessanti come democrazia
economica, visto che a livello parlamentare non si è mai sviluppata
una rappresentanza delle forze economiche. In questo senso è interessante
che le camere comprendano anche questo settore.
Antoniazzi: Personalmente io preferirei di no, visto che siamo in una
fase iniziale del settore. Il discorso del terzo settore è appena
iniziato e non vedo nessuno fortemente rappresentativo di queste realtà.
Il rischio è quello di fare una grande gara per il posto di rappresentante,
quando poi invece non c'è un riscontro nella realtà. Bisogna
prima stabilire delle regole fondamentali, altrimenti si rischia di mettere
il carro davanti ai buoi.
Scherillo: Qualcosa per quanto riguarda la rappresentanza sta già
avvenendo. Visto che si parla di una legislazione che favorisca lo sviluppo
del settore, sono in corso delle forme di autorganizzazione, come il Forum
Permanente del Terzo Settore che sta consolidando la propria forma giuridica.
Lo stesso settore avverte la necessità di coordinarsi. Come questo
si combinerà con le diverse forme di rappresentanza è uno
degli aspetti della questione. Di fatto mi pare positivo che un settore
così variegato tenda a darsi una qualche forma di autoriconoscimento
e di comune rappresentanza.
I&S: Come giudica il caso di Milano nell'ambito del terzo settore?
Vittadini: Milano è uno dei punti più ricchi come storia
e tradizione. é ricchissima di istituzioni di tutti i tipi giuridici
che si possono far riferire al terzo settore. Milano è anche il
punto dove associazioni storiche come le ACLI, noi, l'ARCI hanno realtà
molto grandi che lavorano.
E' un laboratorio ideale, anche perché c'è un interesse
del mondo profit al mondo non-profit. In altri punti, dove magari ci sono
meno soldi, parlare di non-profit è già più difficile,
perché dove non c'è capitale, che il poco che c'è
sia usato per queste cose è più difficile. Milano è
anche poi un punto dove il rapporto con la pubblica amministrazione è
sempre stato ottimo, a livello di condizioni, di ìcontracting-outì.
é un laboratorio interessante.
Antoniazzi: Milano ha delle potenzialità enormi ma mi sembra
che sia ferma su questi problemi. Mancano oggi a Milano dei punti di riferimento
di carattere generale, degli input per una trasformazione. Non c'è
un discorso collettivo di prospettiva al quale poi i vari singoli soggetti
si possano collegare.
Scherillo: Certamente molto vitale. Alla vitalità e all'innovatività
dell'approccio milanese può iscriversi anche la nascita di Sodalitas.
Non credo comunque che tutta l'eccellenza stia a Milano. Poi, una delle
caratteristiche virtuose del terzo settore è la sua capacità
di mettersi in rete; quindi ciò che è eccellente in un punto
si può poi collegare facendo sinergia con altre esperienze.
 
|