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Impresa & Stato n°37-38
 
EURO INFO CENTER

I fondi strutturali: come utilizzarli

 
Le inefficienze amministrative impediscono di utilizzare 
i fondi comunitari per le imprese. 
Il ruolo di supporto dei "patti territoriali" e di Euro Info Centre

a cura della
DIREZIONE GENERALE XVI DELLA COMMISSIONE EUROPEA 
POLITICHE REGIONALI E COESIONE

In Italia, le disparità esistenti tra le regioni sono molto più pronunciate che negli altri Paesi europei. Nel Nord, ad esempio, il PIL per abitante supera la media francese o tedesca, mentre il Sud appare economicamente dipendente ed in ritardo, con un settore agricolo preponderante ed un settore manifatturiero poco sviluppato. I Fondi strutturali rappresentano la principale fonte di finanziamento dell'Unione per sostenere le regioni con maggiori problemi di sviluppo.
 La specificità della situazione italiana consiste nella permanenza di notevoli differenze di sviluppo fra regioni, di molto superiori a quelle rilevate nella maggior parte degli altri Stati membri. Nel Mezzogiorno, il PIL per abitante corrisponde al 60% di quello delle regioni del Centro-Nord. Tutti gli indicatori socio-economici riflettono queste differenze, in particolare il tasso di disoccupazione: nell'aprile del 1996, era del 18,8% nel Mezzogiorno mentre nel resto del paese era del 7,5% (contro una media comunitaria del 10 %). Nelle regioni del sud, inoltre, il tasso di disoccupazione giovanile supera in certi casi il 45%.
Il sistema di produzione del Mezzogiorno non riesce a soddisfare la domanda interna, come risulta dal tasso di importazioni del 20% del PIL, mentre il livello dei consumi è prossimo al 100%. Altre disparità appaiono anche nella demografia nazionale: dal 1981 al 1991 nel Centro-Nord, si è verificato un calo demografico, nonostante le correnti di emigrazione, mentre il Sud ha presentato un saldo demografico positivo. Da qualche anno a questa parte, però, anche nel Sud si registrano cifre negative.
Per quanto concerne i fondi strutturali, quasi il 55% della popolazione italiana può beneficiare degli aiuti regionali della Comunità europea, di cui il 36,6% in virtù dell'Obiettivo 1 (Mezzogiorno), il 10,8% in virtù dell'Obiettivo 2 e l'8,4% in virtù dell'Obiettivo 5b (le zone ammissibili ai sensi di questi ultimi due Obiettivi si trovano nelle regioni Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Liguria, Umbria, Veneto, Toscana, Piemonte e Valle d'Aosta).
La lotta contro la disoccupazione, l'integrazione professionale dei giovani (Obiettivo 3) e l'adeguamento dei lavoratori ai mutamenti industriali (Obiettivo 4) non sono, beninteso, trascurati.
Per l'attuale periodo di programmazione (1994-1999), le risorse destinate all'Italia rappresentano quasi il 13% del totale dei Fondi strutturali, ossia 21,68 miliardi di ECU. Questa "performance" colloca l'Italia in terza posizione tra i paesi che maggiormente usufruiscono di aiuti comunitari, dietro la Spagna e subito dopo la Germania. Nell'ultimo decennio di questo secolo, l'Italia avrà così totalizzato 33,5 miliardi di ECU.
Ricordiamo che il sistema di finanziamento europeo prevede che gli aiuti siano attribuiti attraverso programmi pluriennali stabiliti di comune accordo tra le autorità degli Stati membri e l'UE, e che tali aiuti siano complementari ai finanziamenti nazionali.
Ifinanziamenti attribuiti in tale periodo miravano a correggere gli squilibri che ne ostacolavano lo sviluppo mediante l'ampliamento della base di produzione, il rafforzamento dei crediti destinati alle infrastrutture ed il miglioramento del livello generale di formazione.
Nell'insieme, i programmi prevedevano spese dell'ordine di 17.590 milioni di ECU, dei quali 8.532 (prezzi 1993) provenienti dai Fondi strutturali e corrispondenti all'1,1% del PIL medio annuo del Mezzogiorno. La somma effettivamente attribuita dai Fondi strutturali alla fine del 1993 ammontava però a 8.146 milioni di ECU.
Nonostante le "lungaggini" che hanno ostacolato la realizzazione dei programmi e le difficoltà incontrate al livello delle amministrazioni regionali, i risultati degli interventi sono stati positivi: riduzione del divario tra il PIL del Mezzogiorno e quello del Centro-Nord, rivela perlomeno un'inversione di tendenza; aumento del valore aggiunto prodotto nella regione e 40.000 posti di lavoro supplementari a tempo pieno nel corso di questi 5 anni. Il 20% delle spese direttamente imputabili al programma comunitario inoltre, si sono trasformate in domanda di beni e servizi nell'Italia centrale e settentrionale.

RAFFORZARE LE ZONE FRAGILI
Nelle regioni industriali del Centro-Nord, sono stati realizzati progetti di diversificazione economica a Genova, Prato, Pesaro, Urbino ed in Valle d'Aosta, grazie a diverse forme di sostegno accordate alle PMI. Nelle regioni di antica tradizione industriale è però più difficile operare un cambiamento strutturale. Nell'ambito dello sforzo di riconversione dei lavoratori, circa 35.000 persone hanno beneficiato di programmi di formazione.
Tra il 1988 ed il 1992, nelle zone rurali fragili, la quota di persone occupate in attività agricole è passata dal 12,2% al 9,8%. Parallelamente, grazie alla diversificazione delle attività economiche, venivano creati 7.500 posti di lavoro e ne venivano mantenuti altri 33.000. Per questo nuovo periodo di programmazione (1994-1999), le risorse messe a disposizione del Mezzogiorno sono decisamente più consistenti: ad un insieme di azioni multiregionali - la cui realizzazione si svolge sotto il controllo dell'amministrazione centrale - sono stati assegnati 7.574 milioni di ECU, mentre agli otto programmi regionali, sono stati assegnati in totale 7.286 milioni di ECU, per la realizzazione di attività di sviluppo regionale. Globalmente (tra finanziamenti comunitari, nazionali e privati), i fondi destinati alle otto regioni meridionali ammontano a 32.438 milioni di ECU. La strategia di sviluppo adottata in questo caso si articola soprattutto attorno al rafforzamento del sistema produttivo ed all'innalzamento del livello delle imprese. Viene inoltre dato particolare rilievo allo sviluppo delle risorse umane, della ricerca e del turismo. 
Uno dei problemi da risolvere è quello della distanza geografica del Mezzogiorno rispetto agli altri paesi dell'Unione. Sarebbe opportuno sfruttare la sua posizione favorevole nel bacino del Mediterraneo per svilupparne il ruolo di interfaccia tra Nord e Sud.
Le regioni in declino industriale (Obiettivo 2) si suddividono in due gruppi: da una parte, quelle che subiscono la crisi generale delle grandi industrie statali e delle grandi imprese private della prima generazione, ed in cui la disoccupazione cresce costantemente nonostante un PIL elevato ; dall'altra, quelle in cui lo sviluppo industriale è più recente e si basa sulla presenza di numerose PMI. Anche queste regioni, pur presentando il PIL più elevato d'Italia, sono in difficoltà perché le loro attività dipendono in ampia misura dai grandi settori in crisi (settore tessile, siderurgico, automobilistico).
L'azione dei Fondi strutturali in queste regioni è focalizzata sulla riconversione dei settori in crisi, sullo sviluppo dei servizi e sulla protezione dell'ambiente. L'obiettivo della creazione di posti di lavoro deve essere al centro di tutte le azioni. L'insieme delle risorse strutturali ammonta a 684 milioni di ECU per i primi 3 anni e a 798 milioni di ECU per i 3 anni successivi, ossia 1.482.000.000 ECU per l'intero periodo. Per la seconda metà del periodo, vi sono stati alcuni cambiamenti riguardo alle zone ammissibili agli aiuti strutturali: si sono aggiunti il porto di Trieste e quello di Marittima (Venezia), la zona di Castel Romano, Fucecchio (Pisa) ed alcune zone di Arese, Lainate e Garbagnate (Varese/Milano) e di Ro Ferrarese, Copparo e Ferrara (Reggio Emilia/Modena), mentre il Quartiere 5 di Pisa, Vegiate, Rescaldina (Milano) e altre zone quali quelle di Correggio, Carpi e Reggio Emilia non sono più ammissibili.
In totale, sono 6.300.000 le persone beneficiarie degli interventi dell'Obiettivo 2.
 Gli operatori socioeconomici locali (sindacati, associazioni aziendali, amministrazioni locali) sono stati coinvolti fin dalle primissime fasi nella elaborazione dei programmi d'azione e la loro collaborazione ha dato risultati molto soddisfacenti. I programmi rivolgono un'attenzione particolare allo sviluppo locale, al sostegno delle PMI, alla ricerca, alla formazione ed alla diversificazione del sistema di produzione. Gli interventi finanziati dal FESR e quelli finanziati dal FSE sono meglio integrati che in passato, ma, purtroppo, anche in questo caso, l'utilizzo dei Fondi strutturali è stato molto lento e gli investimenti finanziari hanno sofferto delle stesse difficoltà incontrate per il Mezzogiorno.
Per il periodo in esame, le zone rurali fragili dell'Italia (Obiettivo 5 b) beneficiano di 901 milioni di ECU, mentre i potenziali beneficiari delle azioni comunitarie in queste zone sono 4.800.000. Gli obiettivi delle azioni comunitarie sono generalmente lo sviluppo delle infrastrutture locali, la riduzione dell'impatto negativo delle attività agricole sull'ambiente e la garanzia di un reddito stabile per gli abitanti.

MA, L'ITALIA NON SA SPERDERE
Le difficoltà nell'utilizzo dei fondi attribuiti all'Italia sono oramai note e sono da attribuire all'incapacità di mobilitare le risorse nazionali destinate a cofinanziare gli interventi comunitari. In particolare, l'applicazione dei principi generali delle politiche strutturali è spesso carente. Così, la programmazione a lungo termine degli interventi è debole, ed è spesso sostituita da interventi settoriali e congiunturali. D'altra parte, sono state notevolmente estese le responsabilità degli operatori locali, che, invece, erano scarsamente preparati a far fronte ai loro nuovi obblighi di programmazione.
Il principio di partenariato non sembra essere stato tradotto in maniera ottimale nella legislazione nazionale, né in termini di coordinamento interministeriale, né al livello di una struttura regionale adeguata, né in maniera verticale attraverso l'opportuna integrazione delle parti economiche e sociali.
Altri fattori, come l'instabilità politica o la fragilità delle strutture amministrative, comprese quelle regionali, compromettono le possibilità di azione, sia in fase di pianificazione che in fase di realizzazione. Infine, quando la complessità delle procedure amministrative regionali, nazionali e comunitarie si cumula alle carenze inerenti all'organizzazione o alle competenze, si arriva alla paralisi dell'azione sia pubblica che privata. Comunque sia, l'utilizzo dei Fondi strutturali ha incontrato una serie di ostacoli che hanno provocato ritardi ed in certi casi la perdita delle risorse comunitarie stanziate.
Per il periodo 1989-1993, la Commissione europea aveva investito nel Mezzogiorno alla fine del 1995 il 100% dei fondi comunitari, mentre a livello nazionale era stato investito solo il 95%. Sempre alla fine del 1995, erano stati effettuati solo il 73% dei pagamenti, con il rischio di perdere una parte dei fondi disponibili. La Commissione europea ha accettato di prorogare una parte dei programmi operativi rinviando i pagamenti fino alla fine del '96 o, in certi casi, alla fine del '97.
L'inizio del periodo 1994-99 è stato quindi influenzato dai ritardi accumulati in precedenza che hanno di conseguenza assorbito una parte delle capacità operative delle amministrazioni responsabili. Alla fine del 1996, il ritardo accumulato rispetto alle previsioni ammontava a più di 1.500.000.000 ECU, di cui circa 600 milioni per il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), 600 milioni per il Fondo sociale europeo (FSE) e 300 milioni per il Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia Agricola (FEOGA). Al 30 settembre 1996, il 21,9% dei crediti attribuiti al Mezzogiorno erano stati investiti ed i pagamenti erano del 10,5%. Il ritmo dei pagamenti nelle regioni del Centro-Nord (Obiettivo 2) era ancora meno sostenuto (7,6%).
Attualmente, è stato speso solo il 14,3% dei crediti accordati per tutto il periodo. Il ritardo è particolarmente grave nella regione Campania, dove è stato speso solo lo 0,7% delle somme previste. A titolo di esempio, non è stato speso nulla per i sottoprogrammi turismo, costruzione di strade ed attrezzature dei porti di Crotone e Manfredonia.

L'ANELLO MANCANTE: 
LE CABINE DI REGIA
Nel luglio del 1995, nel tentativo di risolvere i problemi legati all'utilizzazione dei Fondi strutturali, la Commissione ed il governo italiano hanno stipulato un accordo in base al quale venivano accordate proroghe in cambio di impegni precisi in materia di efficienza nella gestione dei fondi comunitari.
L'accordo prevedeva anche la creazione di "cabine di regia", cioè di un organismo direttivo nazionale e di organismi direttivi regionali incaricati di rafforzare le strutture amministrative centrali e regionali e di occuparsi del follow-up e del coordinamento delle azioni cofinanziate dai Fondi strutturali. Alle "cabine di regia" sono state affidate anche altre missioni: l'identificazione dei problemi esistenti e la ricerca di soluzioni adeguate, l'organizzazione di un controllo della realizzazione degli interventi e la formulazione di proposte per giungere ad una semplificazione delle procedure.
Tutto ciò dovrebbe essere completato da un ampio ricorso alle possibilità offerte dall'assistenza tecnica cofinanziata dalla Comunità ed alla mobilitazione di risorse finanziarie nazionali nell'intento di valorizzare le risorse umane delle amministrazioni pubbliche italiane. Le Çcabine di regiaÈ dovrebbero costituire l'"anello mancante" tra le istituzioni nazionali e regionali nonché le parti economiche e sociali. Gli Euro Info Center, in particolar modo quelli specializzati in materia di fondi strutturali quale quello della Camera di Commercio di Milano, hanno senza alcun dubbio un importante ruolo da svolgere in questa nuova dinamica destinata a consentire alle imprese ed alle associazioni interessate di conoscere in tempo utile le decisioni inerenti alla fase di programmazione e di realizzazione degli interventi dei Fondi strutturali. 
Nel 1996, un accordo tra la Commissione europea e le autorità nazionali ha consentito di organizzare una metodologia per la riprogrammazione sistematica delle risorse comunitarie al fine di ridistribuirle a progetti in cui la loro utilizzazione risulterà meno problematica.
Durante un recente incontro tra Carlo Azeglio Ciampi, ministro delle Finanze e del Tesoro, e la signora Monika Wulf Mathies, Commissario europeo responsabile delle Politiche regionali, il ministro ha d'altronde dichiarato che era in via di elaborazione una proposta particolareggiata per la destinazione dei crediti non utilizzati. Alcuni crediti saranno ridistribuiti, tra l'altro ai patti territoriali.
I patti territoriali per l'occupazione si basano sulla concentrazione degli sforzi in zone pilota particolarmente colpite dalla disoccupazione. L'idea è di costituire partenariati molto vasti (autorità nazionali, regionali, locali, associazioni, parti sociali, organizzazioni professionali, organismi di formazione, ecc.) e di mobilitarle a favore della creazione di posti di lavoro. L'applicazione di questi patti potrebbe iniziare nella primavera del 1997 con finanziamenti comunitari provenienti, per esempio, dai crediti per l'assistenza tecnica o da prestiti della BEI.
Le "difficoltà italiane" hanno dunque una configurazione ben precisa e un impatto senza alcun dubbio negativo sulla vita della popolazione, ma costituiscono un'occasione per dar prova di creatività in un settore in cui questa, talvolta, è assente. Le procedure europee sono, d'altra parte, a volte complesse e si dovrebbe forse cogliere l'occasione per valutarle a fondo. Il 1997 è d'altronde l'anno del tradizionale "esame a metà percorso", un momento opportuno per procedere alla ridefinizione degli orientamenti.