Impresa & Stato n°36
PER LA DEMOCRAZIA DEGLI
INTERESSI, CULTURA D'IMPRESA
Entro il nuovo Consiglio, un clima di collaborazione leale,
trasparenza, efficienza e concretezza per governare senza verticismi.
di
GABRIELE LANFREDINI
La costituzione del
Consiglio camerale tramite una rappresentanza mediata dalle associazioni
era probabilmente una soluzione obbligata, che si riconnette con il problema
di fondo di chi sia legittimato all'esercizio della funzione di tutela
e di rappresentanza delle diverse categorie economiche. In effetti, se
si risale agli archetipi storici delle istituzioni nate a tale scopo (e
qui tralasciando la matricula mercatorum di epoca romana) le corporazioni
tardo-medievali avevano una natura libero-associativa, e solo in seguito
acquisirono una crescente valenza pubblicistica, sino a essere sostituite,
dopo la loro soppressione, dalle chambres de commerce napoleoniche.
L'accentuazione del carattere pubblico proseguì poi, come noto,
anche in Italia con la legislazione della prima metà di questo secolo,
con la conseguenza di un sostanziale abbandono, quanto meno di fatto, di
molti degli scopi delle istituzioni associative originarie. In questo spazio
era dunque inevitabile che nascessero (ed è un bene che siano nate)
nuove strutture associative spontporsi il fine di un più intenso
collegamento con le categorie economiche operanti nel territorio, non si
poteva non tener conto della realtà attuale e della funzione positiva,
ineliminabile e ormai consolidata che svolgono le associazioni. I membri
del Consiglio troveranno nelle associazioni di provenienza importanti strumenti
di supporto e consulenza tecnica per esercitare in modo più efficiente
il proprio mandato; mentre il rischio di contrapposizioni d'interesse tra
le categorie, indubbiamente esistente, non sarebbe certo minore se i membri
del Consiglio fossero eletti dalla base delle categorie stesse. In tale
prospettiva, anzi, le associazioni potrebbero essere chiamate a esercitare
opera di moderazione e mediazione. Ciò a cui comunque si dovrà
soprattutto badare sarà di evitare che settori forti e con una forte
rappresentanza nel Consiglio assumano una predominanza nei confronti di
altre categorie, ritenute "minori" (anche se fondamentali nel
nostro sistema economico).Questo dovrà essere compito, prima di
tutto, della Presidenza.esentanza nel Consiglio assumano una predominanza
nei confronti di altre categorie, ritenute "minori" (anche se
fondamentali nel nostro sistema economico).Questo dovrà essere compito,
prima di tutto, della Presidenza.
La premessa che si è fatta aiuta a comprendere anche come le Camere
di Commercio dovranno porsi nei confronti dell'esterno. Nei confronti degli
enti pubblici territoriali non potranno che essere un tramite fondamentale
per rappresentare le esigenze delle categorie economiche, nonché
per formulare proposte ed elaborare studi nell'ambito delle proprie competenze
tecniche e instaurando con le associazioni un indispensabile clima di reciproci
stimoli tecnico-culturali, per agevolare altresì le più opportune
mediazioni, ove necessarie, fra le diverse rappresentanze degli interessi.
Questo è, d'altronde, il modo migliore per porsi nei confronti della
cosiddetta business community (ma perché non usare la bellissima
espressione italiana "comunità degli affari"?), che è
in definitiva rappresentata dal complesso delle associazioni di categoria;
nonché della prospettata funzione di "autogoverno" di
detta comunità: accettabile purché si eviti qualunque verticismo
e purché si accetti di "governare" con il consenso e con
la mediazione fra gli interessi rappresentati. La classe dirigente chiamata
ai nuovi compiti dovrà dare prova di una grande elasticità
intellettuale e di grande apertura mentale. Ma soprattutto dovrà
autotrasformarsi aprendosi, senza prevenzioni psicologiche o preclusioni
corporative, all'apporto, nelle forme più ampie e diversificate,
di specialisti provenienti dalle professioni, dalle università,
dal mondo della cultura in genere.
L'articolazione su base settoriale delle rappresentanze non è di
per sé in contrasto con la necessità di tener conto anche
dell'articolazione territoriale. In primo luogo, mostrerà anche
da questo punto di vista aspetti molto positivi la scelta della rappresentanza
mediata tramite le associazioni, che hanno una loro ben organizzata struttura
articolata sul territorio. A ciò si aggiunga l'opportunità,
già richiamata, di mantenere stretti rapporti con gli enti pubblici
territoriali (Comuni, Provincia). Naturalmente la Camera di Commercio potrà,
ove appaia opportuno, sviluppare la propria organizzazione sul piano territoriale
evitando inutili sovrapposizioni, con funzioni già svolte dalle
associazioni, alle quali, potranno essere delegati, su base convenzionale,
compiti da svolgere sul territorio.
La presenza, nei Consigli camerali, di rappresentanti delle organizzazioni
dei consumatori è sicuramente un elemento di novità. Tali
rappresentanze, non altereranno la funzione delle Camere come istituzione
rappresentativa del mondo imprenditoriale accentuandone anzi utilmente
la sensibilità ai temi della tutela del lavoro e della clientela.
I motivi per cui ci si possono augurare effetti positivi su tutto il sistema
delle imprese come conseguenza delle nuove modalità di formazione
del Consiglio camerale in realtà si ricavano da tutto quanto detto
finora. Vi è solo da augurarsi che si instauri all'interno dell'organo
un clima di collaborazione, che si affermino sin dall'inizio metodologie
di lavoro efficienti e soprattutto trasparenti sin dal momento dell'istruttoria
delle decisioni, che tutte le componenti mirino a una collaborazione leale
piuttosto che a dannose velleità di prevalere sulle altre. Anche
le riforme eccellenti hanno però sempre dei punti deboli. Non si
tratta nel caso della Legge di riforma n. 580/93 dei nuovi Consigli camerali
di un vero "tallone d'Achille", tale da disperderne l'efficacia
e l'incisività, ma sicuramente qualche pericolo può profilarsi
all'orizzonte. Ciò che colpisce nella riforma è l'estensione
della rappresentanza. Addirittura si potrebbe pensare a una "camera
delle corporazioni". Di "corporazioni" in realtà
non si tratta, perché uno dei risultati della "comunità
degli affari" è che gli interessi sono strettamente interdipendenti
e che non esiste alcuna categoria o soggetto economico privilegiato. Se
c'è sviluppo in una parte c'è lo sviluppo dell'intero. È
un principio verificato sul campo. Una categoria economica può trovare
più inciampi, specie se intercetta una classe politica miope, ma
se una categoria è penalizzata è l'intera società
economica a subirne le conseguenze. La Legge n. 580/93 organizza la rappresentanza
su base settoriale, e ci sembra una buona soluzione. Si era tentato con
i "distretti" onnicomprensivi che non tenevano in dovuto conto
la "vocazione" precipua di una zona. Si attrezzavano enormi aree
industriali, dimenticando magari gli insediamenti artigiani, allargavano
la fascia di presenza dei centri commerciali dimenticando di valorizzare
il commercio al minuto. Il tutto sulla base di un unico modello.
Un tentativo di omologazione che l'esperienza ha mostrato debole e inaffidabile.
Qui il pericolo è evidente: quello di fare delle nuove realtà
camerali dei mini-parlamentini rissosi, votati all'inconcludenza e alla
produzione di massa cartacea che nemmeno gli addetti ai lavori leggeranno,
facendo crescere, in un settore dove la serenità è fondamentale,
il tasso di conflittualità.
Questa "democrazia degli interessi" non dovrà assumere
come propri i metodi della democrazia parlamentare. Non dovrà riprodurre
i meccanismi farraginosi delle istituzioni tradizionali, perché
di "tradizione" stiamo facendo morire la democrazia. A tali istituzioni
è mancata, finora, la cultura della modernità. Spesso, sono
incapaci di governare la complessità perché non sono riuscite
a sintonizzarsi sul nuovo. Ci sarà la fatica della circolazione
delle informazioni, ma le decisioni dovranno essere prese ancor più
velocemente che in passato. Gli unici criteri saranno l'efficienza e l'efficacia
delle decisioni adottate. La cultura dell'impresa è la cultura della
concretezza, e il clima che si dovrà respirare nelle assemblee camerali
non potrà che essere così, regolamenti ridotti all'osso,
con tempi, modalità, interventi rigidamente fissati e osservati.
Risulta chiaro che più gli enti camerali saranno all'altezza del
nuovo compito e più daranno fastidio agli altri luoghi canonici
di formazione della decisione "politica". È inevitabile.
La scommessa con le altre pubbliche istituzioni va fatta sulle capacità
di risolvere i problemi, non su quella di complicarli!
Solo in questo modo ci si potrà "inventare" il nuovo compito
dei Consigli camerali e ogni singola Camera non sarà una sovrastruttura,
ma una realtà vicina al mondo delle imprese.
 
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