Le piccole imprese subiscono, oltre a tutti i vincoli e costi
"da burocrazia" (oltre 14.000 miliardi, con i quali
si potrebbero creare 200.000 posti di lavoro), anche le conseguenze
dell'inefficienza della giustizia civile e dell'eccessivo numero
di processi accumulatisi nel corso degli anni.
I dati emersi da una recente indagine di Confartigianato sul fenomeno
dei crediti insoluti sono, a questo proposito, estremamente significativi:
ogni anno, gli artigiani rinunciano a recuperare ben 3.500 miliardi
dai clienti e dai committenti a causa soprattutto dei tempi lunghi
della giustizia e degli alti costi di un'azione legale.
Le disfunzioni della macchina burocratica impediscono così
al cittadino-imprenditore di esercitare i propri diritti, oltre
a sottrargli risorse preziose per svolgere la propria attività,
per effettuare investimenti, per creare occupazione e sviluppo.
Ora le imprese artigiane hanno finalmente un'arma per difendersi
dai cattivi pagatori e dall'inefficienza del "pubblico":
possono cioè avvalersi della facoltà di chiedere
il decreto ingiuntivo, come previsto nella legge di riforma del
processo civile, la n. 534 del 20 dicembre 1995. In questo modo
viene sanata una palese discriminazione a danno degli artigiani
che, d'ora in poi, sulla base dell'emissione della fattura potranno
chiedere all'autorità competente (Giudice di pace o pretore)
il provvedimento d'urgenza nei confronti dei debitori.
Anche le procedure fallimentari non sono immuni dalla lentezza,
dagli eccessi burocratici, dalle contraddizioni normative che
caratterizzano il funzionamento della Pubblica amministrazione.
Pochi mesi fa, nel corso di un convegno organizzato da Confartigianato
a Genova sul tema "Fallimento: il danno e la beffa",
abbiamo presentato una ricerca dalla quale emerge che in Italia
la durata media di un fallimento va dai 4 ai 7 anni, ma in alcune
zone si può arrivare anche a 10 o addirittura a 20 anni.
La complessità e i tempi della burocrazia si fanno pagare
cari dagli imprenditori. Infatti dopo una lunga attesa, non vi
è nemmeno la certezza di recuperare i propri crediti, visto
che solo il 3,5% dei fallimenti si chiude con il pagamento integrale
dei debiti.
Se il problema riguarda tutto il sistema imprenditoriale, a essere
maggiormente penalizzato è l'imprenditore artigiano che,
per quanto riguarda il fallimento, si trova stretto in una sorta
di "tenaglia". Da un lato, a causa di vincoli e ambiguità
legislative, non sa cosa potrà accadergli in un momento
di difficoltà e se potrà essere escluso dal fallimento.
Dall'altro, come creditore di aziende fallite, gli viene in molti
casi negato dalla giurisprudenza un diritto, peraltro riconosciuto
dalla legge, all'ammissione al credito privilegiato. La conseguenza
di questa schizofrenia legislativa si traduce, in molti casi,
in danni devastanti per la stessa impresa artigiana creditrice
spesso costretta al fallimento a causa del fallimento altrui.
Oltre al danno, dunque, la beffa. Senza dimenticare che i tempi
biblici per chiudere un fallimento provocano il deperimento delle
merci, l'obsolescenza di macchine e attrezzature, cioè
il dissolvimento del patrimonio imprenditoriale, con perdite di
migliaia di miliardi. Un aspetto paradossale che si scontra con
gli interessi sia dell'azienda fallita che del creditore. Non
solo: spesso i gravi limiti e i ritardi della burocrazia e della
giustizia civile finiscono per alimentare "circuiti specializzati"
che approfittano delle situazioni di fallimento. Per sanare questa
grave situazione, è indispensabile agire su due fronti.
Da un lato, occorre maggiore chiarezza e univocità della
normativa e delle sue applicazioni per assicurare una migliore
tutela dell'azienda artigiana, nello spirito dell'art. 45 della
Costituzione che recita: «la legge provvede alla tutela e
allo sviluppo dell'artigianato». Ai fini dell'assoggettabilità
al fallimento, infatti, l'artigianato non può essere definito
solo in base a criteri di guadagno o profitto. Questo poiché,
a differenza di altri tipi di impresa, la componente lavoro ha
una funzione prevalente rispetto al capitale. La ricchezza dell'azienda
artigiana sta nella capacità professionale, nella "cultura
del fare", nella partecipazione diretta dell'imprenditore
al lavoro. L'artigiano, insomma, non può essere assimilato
al resto del mondo imprenditoriale. Spesso a un'impresa corrisponde
una famiglia. E il fallimento di un artigiano corrisponde al fallimento
di una famiglia. Per questi motivi, abbiamo chiesto che siano
rimosse le condizioni eccessivamente rigide imposte dalla legge
attuale che rendono difficile per l'impresa artigiana utilizzare
le procedure concorsuali "conservative" (come l'amministrazione
controllata e il concordato preventivo), in modo che l'azienda
possa essere aiutata a evitare il dramma (irreversibile) del fallimento.
Come del resto avviene per le medie e grandi imprese in crisi
per le quali la legge prevede un trattamento di particolare attenzione
e di sostegno in funzione del loro risanamento e della protezione
dei posti di lavoro.
La nostra seconda proposta riguarda la "patologia" burocratica
che finisce per "uccidere" le imprese. Cinque anni di
attesa, quando non sono 10 o 20, per chiudere un fallimento corrispondono
a un'assurda "condanna a vita" dalla quale non è
facile "uscire vivi".
Ecco, allora, l'esigenza di ricostruire l'infrastruttura pubblica
all'insegna dell'efficienza e della produttività. Per garantire
il rispetto dei diritti dei cittadini "ostaggio" di
200mila leggi e degli "abusi" della burocrazia e assicurare
la libertà d'iniziativa economica, è indispensabile
semplificare e razionalizzare gli adempimenti, eliminare le norme
che ostacolano l'attività imprenditoriale, ottimizzare
le risorse e riorganizzare il pubblico impiego azzerando sprechi
e privilegi. Abbiamo calcolato che, ogni anno, i cittadini italiani
sono costretti a "lavorare" 20 giorni all'anno per ottenere
380 milioni di certificati a causa delle disfunzioni della Pubblica
amministrazione e dell'assenza di dialogo e coordinamento tra
gli uffici pubblici. Gli imprenditori artigiani, in particolare,
sono costretti a far fronte a 292 voci di imposte, tasse, concessioni
e accise equivalenti a 60-100 scadenze l'anno, una ogni cinque
giorni, un pagamento effettivo ogni 11 che "costano"
il 2,50% degli oneri totali dell'azienda. Per muoversi nel labirinto
della burocrazia, un'impresa artigiana spende 5 milioni l'anno
soltanto per la tenuta delle scritture contabili. Ma non è
solo questo. Le stesse imprese perdono 7.000 miliardi in ore/lavoro
per pagare in tempo, per ricorrenze, scadenze e per far fronte
ad adempimenti spesso inutili. Il disagio degli imprenditori è
dunque legato al come si paga, più che al quanto.
Tutto questo per dire che le attuali disfunzioni della macchina
burocratica, il complicato rapporto tra cittadini e Pubblica amministrazione
non sono indifferenti rispetto a una politica di sviluppo dell'imprenditoria
e dell'occupazione.
Gli imprenditori vogliono creare reddito e posti di lavoro, non
perdere tempo e denaro a "produrre" milioni di certificati
e ad attendere per anni di veder riconosciuti i propri diritti.
Confartigianato, da anni impegnata nella battaglia contro l'"abuso
di burocrazia" e per migliorare il rapporto tra Stato e cittadini,
ha promosso la costituzione del "Comitato per l'abolizione
del certificato inutile", presieduto dall'ex Presidente della
Corte Costituzionale Antonio Baldassarre.
Nel denunciare le disfunzioni dell'apparato pubblico, intendiamo
contribuire a semplificare la vita dei cittadini e imprenditori
e consentire di destinare allo sviluppo le risorse oggi sprecate
per "finanziare" la burocrazia.
Il nostro obiettivo consiste nell'aiutare i cittadini a diventare
consapevoli dei propri diritti e a farli valere. Una maggiore
coscienza civica è infatti l'arma più efficace per
innescare la partecipazione, la denuncia e la proposta costruttiva
dei singoli e delle Associazioni.
Ci riterremo soddisfatti se, anche con il nostro impegno, la Pubblica
amministazione riuscirà a raggiungere quegli standard di
efficienza e di produttività che hanno fatto dell'artigianato
e delle piccole imprese italiane un modello apprezzato in tutto
il mondo.