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Impresa & Stato n°34

CONCILIAZIONE

Fuga dalla giustizia ingiusta


In tutti i Paesi, la crisi della giustizia statale favorisce strumenti alternativi.
Ma per il successo della conciliazione occorrono organi specializzati.
E non tutto si può conciliare.

di
SERGIO CHIARLONI

"Il processo civile è diventato un mezzo per la perpetuazione dell'ingiustizia". Sembra di trovarsi di fronte a uno slogan appartenente al bagaglio propagandistico di una setta anarchica. Si tratta invece di una constatazione amara, scaturita da una prestigiosa tribuna istituzionale. La parte che ha torto può speculare sulle siderali durate del processo e quella che ha ragione può solo sperare di avere una soddisfazione poco più che platonica, approfittando di una nuova professionalità che va emergendo nel nostro Paese. Si rivolgerà a un avvocato specializzato in ricorsi alla Corte europea dei diritti dell'uomo affinché domandi la condanna del Governo per non essere in grado di garantire una durata ragionevole dei processi, secondo quanto prescrive l'art. 6 della Convenzione. Offrirà così il suo contributo al raggiungimento di un risultato paradossale, cui cospirano le centinaia di analoghi ricorsi inoltrati dai suoi concittadini: la congestione della Corte europea, che non sarà più in grado di smaltire in tempi ragionevoli i propri processi.
Come accade in altri settori, l'Italia è un caso estremo di una situazione di disagio diffusa in tutti i Paesi avanzati. L'ordinaria giustizia togata rischia di rimanere schiacciata sotto il peso di una domanda di giustizia in costante progressione, in un periodo storico in cui la crisi fiscale dello Stato impedisce l'adeguamento delle risorse in uomini e strutture. Senza contare gli altri inconvenienti da cui essa è afflitta, a cominciare dagli eccessi di formalismo e burocratismo, per finire con i costi, mirabolanti in alcuni Paesi, della difesa tecnica. La moderna società complessa non può più accontentarsi dei modi tramandati di amministrare la giustizia, applicando il diritto dato, ovvero "creandolo" nei precedenti, a opera di giudici "tradizionali" in un contesto processuale altamente formalizzato che richiede la mediazione di specialisti costosi. Occorre battere altre strade, più veloci, più economiche, più semplici, più vicine ai bisogni e, perché no, anche ai modi di sentire dei cittadini (o meglio, di alcune categorie di cittadini) coinvolti in una controversia.
In certe situazioni è opportuno oggi "fuggire" dalla giurisdizione. Affrontare in modi alternativi numerose categorie di controversie sarebbe vantaggioso per gli utenti, ma anche per l'amministrazione della giustizia ordinaria. Essa finirebbe con il recuperare efficienza concentrandosi sulle materie per le quali il suo intervento è insostituibile. Si spiega così il fiorire di tendenze indirizzate ad accreditare nuovi modelli agiurisdizionali di risoluzione dei conflitti. All'avanguardia troviamo gli Stati Uniti, dove è nato in questi ultimi anni un imponente movimento, con le sue riviste, i suoi organi, numerosi istituti e fondazioni molto ben finanziate per lo studio e l'attuazione di programmi sperimentali, la propensione a propagandare il verbo in lussuosi e affollati convegni internazionali e, persino, il proprio acronimo: ADR (Alternative Dispute Resolution).
Sotto questo nome collettivo vengono a dire il vero raggruppati fenomeni molto eterogenei, semplicemente accomunati dall'elemento negativo di essere estranei all'esercizio della potestà giurisdizionale dello Stato.
Un'elencazione probabilmente incompleta raggruppa i seguenti istituti:
Arbitration, volontaria ovvero obbligatoria (chiamata anche "Court annexed arbitration"), il cui lodo può venir disconosciuto a differenza che nel primo caso, peraltro con conseguenze negative in ordine alle spese, se davanti al giudice non si riesce a migliorare sostanzialmente il risultato ottenuto davanti all'arbitro. Mediation, definibile come una procedura privata, volontaria e informale, dove un terzo scelto dalle parti le assiste nel tentativo di raggiungere un accordo accettabile da entrambi, ma non è legittimato a rendere una decisione, a differenza dell'arbitro. Il mediatore può incontrare le parti in sedute separate (c.d caucuses). Si distingue una "rights-based mediation", con lo scopo di arrivare a una sistemazione che tenga conto delle rispettive posizioni giuridiche delle parti, da una interests-based mediation, che si concentra sui loro bisogni e interessi, guardando oltre la specifica controversia, cercando piuttosto di fornire gli strumenti per comporre anche futuri eventuali conflitti. "Neutral Fact-Finding", modo meno formale, in confronto a quanto avviene seguendo le procedure dell'adversary system, per risolvere complesse questioni di fatto che richiedono l'intervento di un esperto.

MINI-TRIAL & MOCK JURY
Mini-trial, procedimento privato e consensuale, dove le contrapposte posizioni vengono "giuocate" in una sorta di giudizio simulato, e un advisor neutrale tenta prima di tutto la conciliazione e, non riuscendoci, rende un parere non vincolante circa il probabile esito del giudizio vero. Summary Jury Trial, omologo del Mini-trial davanti ad una mock jury di soli sei membri, scelti dalle liste normali. La giuria emana un advisory verdict, che fornisce alle parti una base affidabile su cui costruire una sistemazione della lite reciprocamente accettabile. Moderated Settlement Conference, dove i difensori delle parti presentano in contraddittorio le rispettive posizioni ad un collegio di terzi imparziali, generalmente giuristi, che dopo averle valutate, rendono una consultazione non vincolante destinata a fornire un indirizzo nelle trattative per una conciliazione. Ombudsman, terzo imparziale scelto da una istituzione (ad esempio, una università, una banca, un ospedale, un'agenzia governativa) per indagare su lamentele e denunce presentate da persone a vario titolo entrate in rapporto con essa.
I diversi programmi di ADR oggi attivati negli Stati Uniti sia in via sperimentale sia a seguito di espresse previsioni di leggi statali e federali (più di 300 nel 1990) sono classificabili in tre categorie, dal punto di vista dei rapporti con gli organi della giurisdizione. Court annexed programs, sponsorizzati, finanziati e spesso dotati di personale fornito dalle corti e da queste direttamente amministrati (il caso più tipico è quello della c.d. Multi-door Courthouse). Court-linked programs, contrattati con le Corti o altre agenzie pubbliche per fornire servizi supplementari di ADR. Indipendent programs forniti da istituzioni private, con o senza scopo di lucro, per rispondere a più specifiche esigenze, ad esempio per la tutela dei consumatori.
La tipologia delle controversie che gli istituti di ADR aspirano ad assorbire è estremamente varia: secondo un elenco non esaustivo, possono avere ad oggetto i rapporti familiari, i rapporti di lavoro, i rapporti commerciali anche internazionali, i rapporti di locazione, l'educazione scolastica, la salute, la responsabilità del produttore, la responsabilità del medico, il credito agricolo, la proprietà intellettuale, i servizi legali, l'ambiente, lo sfruttamento delle risorse naturali, la sicurezza sociale, i trasporti, il disagio giovanile, la criminalità minore, i diritti dei detenuti, gli appalti pubblici.
Per quanto riguarda l'Europa, con l'eccezione dell'arbitrato, che in verità merita comunque un posto a parte, lo sviluppo di sistemi di informal justice appare assai più lento.
Giocano qui numerosi fattori frenanti. Prima di tutto il peso di una tradizione millenaria a favore della giustizia togata. In secondo luogo il connesso mito dell'unità della giurisdizione, che fa vedere con estrema diffidenza qualunque tentativo di erosione del monopolio attribuito ai giudici statali. Infine, per quanto riguarda i Paesi di civil law, forse anche il fatto che le procedure formali davanti agli organi giudiziari comuni danno luogo a minori problemi in ordine ai costi e alle difficoltà tecniche - penso soprattutto a Francia e Germania - rispetto a quanto accade entro l'adversary system.
La tutela di lavoratori e consumatori appare per il momento il settore in via di maggiore sviluppo in Europa. Vi sono al riguardo programmi in sede CEE. Per l'Italia possiamo ricordare il procedimento di conciliazione e d'arbitrato messo a disposizione in via sperimentale dalla Telecom, per le controversie con gli utenti riguardanti il servizio, l'Ombdusman per la soluzione delle dispute tra banche e clienti, le Camere di conciliazione e di arbitrato in via di realizzazione ad opera delle Camere di Commercio seguendo indicazioni contenute nell'art. 2 della recente legge sul loro riordinamento e soprattutto (cfr. artt. 410 e 411 c.p.c.) la conciliazione davanti all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, che arriva ad assorbire una percentuale notevolissima di controversie di lavoro.

VIA LIBERA ALL'INIZIATIVA PRIVATA
Come si collocano in questo quadro gli istituti indirizzati alla conciliazione-mediazione tra le parti e quale sviluppo è prevedibile nel futuro?
Qualche considerazione interessante può nascere da una analisi critica dell'esistente.
Non ho ricordato di proposito, nel presentare il panorama delle conciliazioni stragiudiziali, la competenza, oggi del Giudice di pace e fino a poco fa del Conciliatore per la conciliazione in sede non contenziosa. Come è noto, a questi giudici è stata attribuita dal legislatore una competenza generale ad adoperarsi per la conciliazione delle controversie su materia disponibile, senza limiti di valore. Ma è anche noto che l'istituto è rimasto scritto sulla carta e non sono sicuro che ad esso possa venir insufflata la vita, grazie alle interessanti novità proposte da un disegno di legge frutto del lavoro della commissione ministeriale istituita con d.m. 15 dicembre 1993 per la "individuazione di strumenti non giurisdizionali di composizione delle controversie civili" e presieduta da Elio Fazzalari.
In verità, l'esperienza dice che il successo degli organi di conciliazione è strettamente legato alla loro "specializzazione" e al connesso legame con i settori della società civile da cui nascono le controversie bisognose di composizione.
Di conseguenza, è opportuno che lo Stato rinunci all'illusione di poter dare direttamente un contributo importante alla conciliazione non contenziosa e incoraggi l'iniziativa privata o semipubblica (penso alle Camere di Commercio), preoccupandosi semmai, con una legge quadro semplicissima, di prevedere, al momento di istituire eventuali incentivi, anche finanziari, le garanzie di terzietà-imparzialità degli organi di conciliazione, di effettiva partecipazione degli interessati al procedimento conciliativo, nonché il rilievo giuridico da attribuire da un lato in sede esecutiva, dopo gli opportuni controlli di regolarità formale, al verbale che consacra la conciliazione e, dall'altro, in sede giurisdizionale contenziosa, all'opposto verbale che documenta l'insuccesso del tentativo di conciliazione-mediazione.
Su quali tipologie di controversie si può più utilmente esercitare l'attività di un organo di conciliazione-mediazione? Premetto che la critica appena operata nei confronti di un organo a competenza generale ci dice che le liti indifferenziate a sfondo economico tra astratti cittadini non si prestano a interventi di composizione amichevole. La ragione è semplice. In queste liti, tutte le volte che davvero il litigante è esclusivamente concentrato sull'esito, c'è quasi sempre una parte interessata a procrastinare nel tempo la decisione e pertanto incline a speculare sulla durata del procedimento contenzioso, rifiutando l'approccio conciliativo.
Per cogliere l'inclinazione e anzi l'interesse alla conciliazione bisogna andare a vedere da vicino questi astratti cittadini, scoprire chi si nasconde dietro le figure destinate ad assumere nel teatro processuale le maschere di attore e di convenuto, e cercare di capire se c'è in campo qualche interesse ulteriore, oltre a quello di aver ragione il più presto possibile e, simmetricamente, di veder dichiarato il proprio torto il più tardi possibile.
Il rapporto tra le imprese, nonché tra le imprese e il mondo dei consumatori, appare subito il settore privilegiato nel quale è ragionevole prevedere un forte sviluppo dell'attività di organi di conciliazione, ben al di là degli scarsi livelli attuali.
Per quanto riguarda il rapporto tra imprese, è soprattutto il settore di quelle piccole e medie nei rapporti reciproci che può dare molte soddisfazio ni. Qui si riscontra più facilmente quella tendenziale omogeneità di forze tra i contendenti che può far da incubatrice della volontà di pervenire, con l'aiuto di un terzo imparziale, a una composizione amichevole delle controversie insorte, anche sulla base di calcoli di opportunità che conducano a rifiutare l'arbitrato, troppo costoso, e il ricorso alla giurisdizione, troppo inefficiente.
Ma anche le grandi imprese possono essere interessate all'istituto in esame.

PER LE IMPRESE, PER I CONSUMATORI
Non mi riferisco tanto ai rapporti tra loro, dove sembra essere ancora destinato a prevalere per lungo tempo l'arbitrato, anche se alcuni problemi stanno nascendo, almeno per quanto riguarda il c.d. arbitrato ad hoc, con riguardo ai costi a volte davvero eccessivi e agli ostacoli che si frappongono nei confronti delle garanzie di imparzialità dei collegi, il cui presidente è scelto di necessità entro una collettività troppo ristretta di specialisti.
Mi riferisco piuttosto ai rapporti con l'universo dei consumatori. Si profilano tempi in cui il mercato diventa sempre più difficile e la durezza della competizione si manifesta non solo nella lotta dei prezzi, ma anche nella quantità e qualità dei diversi servizi offerti, ad esempio dopo la vendita di un bene di consumo durevole.
Basti pensare alla tendenza verso la cd. trasparenza contrattuale, alle facilitazioni di pagamento, all'estensione delle garanzie e dell'assistenza post-vendita.
In questo contesto è palese che adoperarsi per offrire ai propri clienti una modalità semplice, rapida, economica e imparziale per la soluzione delle eventuali controversie può rappresentare un'arma importante per la conquista del mercato, portando ad un effetto imitativo tra tutti i concorrenti da cui consegua la generalizzazione dell'offerta dell'istituto, magari approfittando dei servizi messi a disposizione da un'istanza associativa.
In un quadro del genere il già ricordato art. 2., della legge sul riordinamento delle Camere di Commercio può svolgere una funzione di estrema importanza.
Ai sensi di questa norma le singole Camere di Commercio possono istituire organi di conciliazione (e di arbitrato) intesi a dirimere non solo le controversie tra imprese, ma anche tra imprese e consumatori e utenti. È probabile, alla luce delle considerazioni esposte, che l'attivazione di questi organi sia suscettibile di avere molto successo, se opportunamente disegnata soprattutto con riferimento a costi e facilità di accesso. Bisogna naturalmente che essa venga seguita da una opportuna attività di propaganda verso gli associati e di promozione verso i consumatori, nell'ambito della instaurazione di intensi e continuativi rapporti con i loro enti esponenziali.
Un ultimo rilievo. Ho parlato di organi di conciliazione-mediazione per una ragione precisa. Il mediatore non deve limitarsi a cercare la conciliazione delle parti, prendendo semplicemente atto del fallimento, nel caso che la conciliazione non riesca. Deve anche fare una propria proposta, sulla base degli elementi di fatto e di diritto che gli vengono rappresentati, ed eventualmente, delle sommarie informazioni che abbia assunto. Alla proposta (non accettata dalle parti) occorrerà attribuire rilievo giuridico nell'eventuale successivo giudizio contenzioso, in ordine al riparto delle spese. Quando la proposta non è accettata dall'attore, questi dovrà essere condannato alle spese (o quanto meno vedersele compensate), se non riuscirà a ottenere davanti al giudice un risultato migliore di quello proposto dal mediatore. Quando la proposta non è accettata dal convenuto, questi dovrà essere condannato per responsabilità aggravata, se la domanda dell'attore verrà accolta in misura pari o superiore rispetto alla proposta del mediatore.
È superfluo osservare che l'istituzione di rapporti del tipo appena descritto tra procedimento conciliativo e procedimento contenzioso, già sperimentati oltretutto negli Stati Uniti, avrebbe il pregio di incrementare la percentuale delle conciliazioni riuscite, decongestionando l'amministrazione della giustizia togata.