"Il processo civile è diventato un mezzo per la perpetuazione
dell'ingiustizia". Sembra di trovarsi di fronte a uno slogan
appartenente al bagaglio propagandistico di una setta anarchica.
Si tratta invece di una constatazione amara, scaturita da una
prestigiosa tribuna istituzionale. La parte che ha torto può
speculare sulle siderali durate del processo e quella che ha ragione
può solo sperare di avere una soddisfazione poco più
che platonica, approfittando di una nuova professionalità
che va emergendo nel nostro Paese. Si rivolgerà a un avvocato
specializzato in ricorsi alla Corte europea dei diritti dell'uomo
affinché domandi la condanna del Governo per non essere
in grado di garantire una durata ragionevole dei processi, secondo
quanto prescrive l'art. 6 della Convenzione. Offrirà così
il suo contributo al raggiungimento di un risultato paradossale,
cui cospirano le centinaia di analoghi ricorsi inoltrati dai suoi
concittadini: la congestione della Corte europea, che non sarà
più in grado di smaltire in tempi ragionevoli i propri
processi.
Come accade in altri settori, l'Italia è un caso estremo
di una situazione di disagio diffusa in tutti i Paesi avanzati.
L'ordinaria giustizia togata rischia di rimanere schiacciata sotto
il peso di una domanda di giustizia in costante progressione,
in un periodo storico in cui la crisi fiscale dello Stato impedisce
l'adeguamento delle risorse in uomini e strutture. Senza contare
gli altri inconvenienti da cui essa è afflitta, a cominciare
dagli eccessi di formalismo e burocratismo, per finire con i costi,
mirabolanti in alcuni Paesi, della difesa tecnica. La moderna
società complessa non può più accontentarsi
dei modi tramandati di amministrare la giustizia, applicando il
diritto dato, ovvero "creandolo" nei precedenti, a opera
di giudici "tradizionali" in un contesto processuale
altamente formalizzato che richiede la mediazione di specialisti
costosi. Occorre battere altre strade, più veloci, più
economiche, più semplici, più vicine ai bisogni
e, perché no, anche ai modi di sentire dei cittadini (o
meglio, di alcune categorie di cittadini) coinvolti in una controversia.
In certe situazioni è opportuno oggi "fuggire"
dalla giurisdizione. Affrontare in modi alternativi numerose
categorie di controversie sarebbe vantaggioso per gli utenti,
ma anche per l'amministrazione della giustizia ordinaria. Essa
finirebbe con il recuperare efficienza concentrandosi sulle materie
per le quali il suo intervento è insostituibile. Si spiega
così il fiorire di tendenze indirizzate ad accreditare
nuovi modelli agiurisdizionali di risoluzione dei conflitti.
All'avanguardia troviamo gli Stati Uniti, dove è nato in
questi ultimi anni un imponente movimento, con le sue riviste,
i suoi organi, numerosi istituti e fondazioni molto ben finanziate
per lo studio e l'attuazione di programmi sperimentali, la propensione
a propagandare il verbo in lussuosi e affollati convegni internazionali
e, persino, il proprio acronimo: ADR (Alternative Dispute Resolution).
Sotto questo nome collettivo vengono a dire il vero raggruppati
fenomeni molto eterogenei, semplicemente accomunati dall'elemento
negativo di essere estranei all'esercizio della potestà
giurisdizionale dello Stato.
Un'elencazione probabilmente incompleta raggruppa i seguenti istituti:
Arbitration, volontaria ovvero obbligatoria (chiamata anche
"Court annexed arbitration"), il cui lodo
può venir disconosciuto a differenza che nel primo caso,
peraltro con conseguenze negative in ordine alle spese, se davanti
al giudice non si riesce a migliorare sostanzialmente il risultato
ottenuto davanti all'arbitro. Mediation, definibile come
una procedura privata, volontaria e informale, dove un terzo scelto
dalle parti le assiste nel tentativo di raggiungere un accordo
accettabile da entrambi, ma non è legittimato a rendere
una decisione, a differenza dell'arbitro. Il mediatore può
incontrare le parti in sedute separate (c.d caucuses).
Si distingue una "rights-based mediation", con
lo scopo di arrivare a una sistemazione che tenga conto delle
rispettive posizioni giuridiche delle parti, da una interests-based
mediation, che si concentra sui loro bisogni e interessi,
guardando oltre la specifica controversia, cercando piuttosto
di fornire gli strumenti per comporre anche futuri eventuali conflitti.
"Neutral Fact-Finding", modo meno formale, in
confronto a quanto avviene seguendo le procedure dell'adversary
system, per risolvere complesse questioni di fatto che richiedono
l'intervento di un esperto.
MINI-TRIAL & MOCK JURY
Mini-trial, procedimento privato e consensuale, dove le
contrapposte posizioni vengono "giuocate" in una sorta
di giudizio simulato, e un advisor neutrale tenta prima
di tutto la conciliazione e, non riuscendoci, rende un parere
non vincolante circa il probabile esito del giudizio vero. Summary
Jury Trial, omologo del Mini-trial davanti ad una mock
jury di soli sei membri, scelti dalle liste normali. La giuria
emana un advisory verdict, che fornisce alle parti una
base affidabile su cui costruire una sistemazione della lite reciprocamente
accettabile. Moderated Settlement Conference, dove i difensori
delle parti presentano in contraddittorio le rispettive posizioni
ad un collegio di terzi imparziali, generalmente giuristi, che
dopo averle valutate, rendono una consultazione non vincolante
destinata a fornire un indirizzo nelle trattative per una conciliazione.
Ombudsman, terzo imparziale scelto da una istituzione
(ad esempio, una università, una banca, un ospedale, un'agenzia
governativa) per indagare su lamentele e denunce presentate da
persone a vario titolo entrate in rapporto con essa.
I diversi programmi di ADR oggi attivati negli Stati Uniti sia
in via sperimentale sia a seguito di espresse previsioni di leggi
statali e federali (più di 300 nel 1990) sono classificabili
in tre categorie, dal punto di vista dei rapporti con gli organi
della giurisdizione. Court annexed programs, sponsorizzati,
finanziati e spesso dotati di personale fornito dalle corti e
da queste direttamente amministrati (il caso più tipico
è quello della c.d. Multi-door Courthouse). Court-linked
programs, contrattati con le Corti o altre agenzie pubbliche
per fornire servizi supplementari di ADR. Indipendent programs
forniti da istituzioni private, con o senza scopo di lucro, per
rispondere a più specifiche esigenze, ad esempio per la
tutela dei consumatori.
La tipologia delle controversie che gli istituti di ADR aspirano
ad assorbire è estremamente varia: secondo un elenco non
esaustivo, possono avere ad oggetto i rapporti familiari, i rapporti
di lavoro, i rapporti commerciali anche internazionali, i rapporti
di locazione, l'educazione scolastica, la salute, la responsabilità
del produttore, la responsabilità del medico, il credito
agricolo, la proprietà intellettuale, i servizi legali,
l'ambiente, lo sfruttamento delle risorse naturali, la sicurezza
sociale, i trasporti, il disagio giovanile, la criminalità
minore, i diritti dei detenuti, gli appalti pubblici.
Per quanto riguarda l'Europa, con l'eccezione dell'arbitrato,
che in verità merita comunque un posto a parte, lo sviluppo
di sistemi di informal justice appare assai più
lento.
Giocano qui numerosi fattori frenanti. Prima di tutto il peso
di una tradizione millenaria a favore della giustizia togata.
In secondo luogo il connesso mito dell'unità della giurisdizione,
che fa vedere con estrema diffidenza qualunque tentativo di erosione
del monopolio attribuito ai giudici statali. Infine, per quanto
riguarda i Paesi di civil law, forse anche il fatto che
le procedure formali davanti agli organi giudiziari comuni danno
luogo a minori problemi in ordine ai costi e alle difficoltà
tecniche - penso soprattutto a Francia e Germania - rispetto a
quanto accade entro l'adversary system.
La tutela di lavoratori e consumatori appare per il momento il
settore in via di maggiore sviluppo in Europa. Vi sono al riguardo
programmi in sede CEE. Per l'Italia possiamo ricordare il procedimento
di conciliazione e d'arbitrato messo a disposizione in via sperimentale
dalla Telecom, per le controversie con gli utenti riguardanti
il servizio, l'Ombdusman per la soluzione delle dispute
tra banche e clienti, le Camere di conciliazione e di arbitrato
in via di realizzazione ad opera delle Camere di Commercio seguendo
indicazioni contenute nell'art. 2 della recente legge sul loro
riordinamento e soprattutto (cfr. artt. 410 e 411 c.p.c.) la conciliazione
davanti all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione,
che arriva ad assorbire una percentuale notevolissima di controversie
di lavoro.
VIA LIBERA ALL'INIZIATIVA PRIVATA
Come si collocano in questo quadro gli istituti indirizzati alla
conciliazione-mediazione tra le parti e quale sviluppo è
prevedibile nel futuro?
Qualche considerazione interessante può nascere da una
analisi critica dell'esistente.
Non ho ricordato di proposito, nel presentare il panorama delle
conciliazioni stragiudiziali, la competenza, oggi del Giudice
di pace e fino a poco fa del Conciliatore per la conciliazione
in sede non contenziosa. Come è noto, a questi giudici
è stata attribuita dal legislatore una competenza generale
ad adoperarsi per la conciliazione delle controversie su materia
disponibile, senza limiti di valore. Ma è anche noto che
l'istituto è rimasto scritto sulla carta e non sono sicuro
che ad esso possa venir insufflata la vita, grazie alle interessanti
novità proposte da un disegno di legge frutto del lavoro
della commissione ministeriale istituita con d.m. 15 dicembre
1993 per la "individuazione di strumenti non giurisdizionali
di composizione delle controversie civili" e presieduta da
Elio Fazzalari.
In verità, l'esperienza dice che il successo degli organi
di conciliazione è strettamente legato alla loro "specializzazione"
e al connesso legame con i settori della società civile
da cui nascono le controversie bisognose di composizione.
Di conseguenza, è opportuno che lo Stato rinunci all'illusione
di poter dare direttamente un contributo importante alla conciliazione
non contenziosa e incoraggi l'iniziativa privata o semipubblica
(penso alle Camere di Commercio), preoccupandosi semmai, con una
legge quadro semplicissima, di prevedere, al momento di istituire
eventuali incentivi, anche finanziari, le garanzie di terzietà-imparzialità
degli organi di conciliazione, di effettiva partecipazione degli
interessati al procedimento conciliativo, nonché il rilievo
giuridico da attribuire da un lato in sede esecutiva, dopo gli
opportuni controlli di regolarità formale, al verbale che
consacra la conciliazione e, dall'altro, in sede giurisdizionale
contenziosa, all'opposto verbale che documenta l'insuccesso del
tentativo di conciliazione-mediazione.
Su quali tipologie di controversie si può più utilmente
esercitare l'attività di un organo di conciliazione-mediazione?
Premetto che la critica appena operata nei confronti di un organo
a competenza generale ci dice che le liti indifferenziate a sfondo
economico tra astratti cittadini non si prestano a interventi
di composizione amichevole. La ragione è semplice. In queste
liti, tutte le volte che davvero il litigante è esclusivamente
concentrato sull'esito, c'è quasi sempre una parte interessata
a procrastinare nel tempo la decisione e pertanto incline a speculare
sulla durata del procedimento contenzioso, rifiutando l'approccio
conciliativo.
Per cogliere l'inclinazione e anzi l'interesse alla conciliazione
bisogna andare a vedere da vicino questi astratti cittadini, scoprire
chi si nasconde dietro le figure destinate ad assumere nel teatro
processuale le maschere di attore e di convenuto, e cercare di
capire se c'è in campo qualche interesse ulteriore, oltre
a quello di aver ragione il più presto possibile e, simmetricamente,
di veder dichiarato il proprio torto il più tardi possibile.
Il rapporto tra le imprese, nonché tra le imprese e il
mondo dei consumatori, appare subito il settore privilegiato nel
quale è ragionevole prevedere un forte sviluppo dell'attività
di organi di conciliazione, ben al di là degli scarsi livelli
attuali.
Per quanto riguarda il rapporto tra imprese, è soprattutto
il settore di quelle piccole e medie nei rapporti reciproci che
può dare molte soddisfazio ni. Qui si riscontra più
facilmente quella tendenziale omogeneità di forze tra i
contendenti che può far da incubatrice della volontà
di pervenire, con l'aiuto di un terzo imparziale, a una composizione
amichevole delle controversie insorte, anche sulla base di calcoli
di opportunità che conducano a rifiutare l'arbitrato, troppo
costoso, e il ricorso alla giurisdizione, troppo inefficiente.
Ma anche le grandi imprese possono essere interessate all'istituto
in esame.
PER LE IMPRESE, PER I CONSUMATORI
Non mi riferisco tanto ai rapporti tra loro, dove sembra essere
ancora destinato a prevalere per lungo tempo l'arbitrato, anche
se alcuni problemi stanno nascendo, almeno per quanto riguarda
il c.d. arbitrato ad hoc, con riguardo ai costi a volte davvero
eccessivi e agli ostacoli che si frappongono nei confronti delle
garanzie di imparzialità dei collegi, il cui presidente
è scelto di necessità entro una collettività
troppo ristretta di specialisti.
Mi riferisco piuttosto ai rapporti con l'universo dei consumatori.
Si profilano tempi in cui il mercato diventa sempre più
difficile e la durezza della competizione si manifesta non solo
nella lotta dei prezzi, ma anche nella quantità e qualità
dei diversi servizi offerti, ad esempio dopo la vendita di un
bene di consumo durevole.
Basti pensare alla tendenza verso la cd. trasparenza contrattuale,
alle facilitazioni di pagamento, all'estensione delle garanzie
e dell'assistenza post-vendita.
In questo contesto è palese che adoperarsi per offrire
ai propri clienti una modalità semplice, rapida, economica
e imparziale per la soluzione delle eventuali controversie può
rappresentare un'arma importante per la conquista del mercato,
portando ad un effetto imitativo tra tutti i concorrenti da cui
consegua la generalizzazione dell'offerta dell'istituto, magari
approfittando dei servizi messi a disposizione da un'istanza associativa.
In un quadro del genere il già ricordato art. 2., della
legge sul riordinamento delle Camere di Commercio può svolgere
una funzione di estrema importanza.
Ai sensi di questa norma le singole Camere di Commercio possono
istituire organi di conciliazione (e di arbitrato) intesi a dirimere
non solo le controversie tra imprese, ma anche tra imprese e consumatori
e utenti. È probabile, alla luce delle considerazioni
esposte, che l'attivazione di questi organi sia suscettibile di
avere molto successo, se opportunamente disegnata soprattutto
con riferimento a costi e facilità di accesso. Bisogna
naturalmente che essa venga seguita da una opportuna attività
di propaganda verso gli associati e di promozione verso i consumatori,
nell'ambito della instaurazione di intensi e continuativi rapporti
con i loro enti esponenziali.
Un ultimo rilievo. Ho parlato di organi di conciliazione-mediazione
per una ragione precisa. Il mediatore non deve limitarsi a cercare
la conciliazione delle parti, prendendo semplicemente atto del
fallimento, nel caso che la conciliazione non riesca. Deve anche
fare una propria proposta, sulla base degli elementi di fatto
e di diritto che gli vengono rappresentati, ed eventualmente,
delle sommarie informazioni che abbia assunto. Alla proposta
(non accettata dalle parti) occorrerà attribuire rilievo
giuridico nell'eventuale successivo giudizio contenzioso, in ordine
al riparto delle spese. Quando la proposta non è accettata
dall'attore, questi dovrà essere condannato alle spese
(o quanto meno vedersele compensate), se non riuscirà a
ottenere davanti al giudice un risultato migliore di quello proposto
dal mediatore. Quando la proposta non è accettata dal convenuto,
questi dovrà essere condannato per responsabilità
aggravata, se la domanda dell'attore verrà accolta in misura
pari o superiore rispetto alla proposta del mediatore.
È superfluo osservare che l'istituzione di rapporti del
tipo appena descritto tra procedimento conciliativo e procedimento
contenzioso, già sperimentati oltretutto negli Stati Uniti,
avrebbe il pregio di incrementare la percentuale delle conciliazioni
riuscite, decongestionando l'amministrazione della giustizia togata.