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Impresa & Stato n°34

CONCILIAZIONE

Dal Giudice conciliatore
alla conciliazione


Per far fronte alla crisi della giustizia il tentativo
di conciliazione dovrebbe essere generalizzato e reso obbligatorio in ogni controversia.

di
FERNANDO DEL RE

Il Giudice conciliatore sta esaurendo le cause pendenti. Con il 30 aprile 1995 è stato "collocato a riposo", dopo oltre 130 anni di attività può risultare interessante qualche cenno su questa figura di Magistrato Onorario appartenente, come tale, all'Ordine Giudiziario. La prima legge dello Stato italiano unitario che introduce e regola questa figura è la legge sull'ordinamento giudiziario del 1865. Il legislatore aveva desunto questa magistratura pressoché interamente dal codice di procedura del Regno delle due Sicilie, pur modellandola diversamente; il processo, che nel regime borbonico era svincolato da molte formalità, è poi diventato processo formale, regolato sia da disposizioni speciali, sia da una norma di clausura che fa rinvio al processo pretorile per tutto ciò che non è espressamente previsto. L'elaborazione legislativa successiva si è risolta in un'opera artigianale che non ha alterato le linee essenziali dell'istituto.
Due le funzioni principali:
1) comporre le controversie quando ne sia richiesto (funzione conciliativa);
2) giudicare le controversie (funzione giurisdizionale).
Da ciò risulta che il Giudice conciliatore aveva due sfere di azione: sotto un aspetto era l'amichevole compositore per esortare i suoi concittadini alla pace e alla concordia e per prevenire e spegnere le loro liti; sotto un altro aspetto era un vero giudice per determinate cause (da ultimo per cause di valore fino a un milione di lire) e costituiva la base della simbolica piramide giudiziale. Carattere peculiare del Giudice conciliatore, in contrapposizione agli altri magistrati effettivi ed onorari, era la sua municipalità. La legge del 1865, quella del 1892 e i successivi ordinamenti giudiziari stabilivano, infatti, che ogni Comune avesse un Giudice conciliatore, che per molti decenni è stato il pilastro che ha sorretto la problematica della giustizia cosiddetta minore. All'inizio del secolo il Conciliatore assorbiva addirittura l'84,5% del lavoro giudiziario.

PIU' GIUDICE CHE MEDIATORE
La funzione giurisdizionale del Giudice conciliatore emerse, pertanto, in via primaria mentre quella di amichevole compositore è stata sempre nettamente secondaria. Nel 1940 il Conciliatore pronunciava ancora due terzi delle sentenze civili di primo grado.
Nel 1975 il lavoro giudiziario era invece così distribuito: il 70,6% al Pretore, il 24% al Tribunale e solo il 4,3% al Conciliatore. Nel dopo-guerra la situazione, quindi, è cambiata radicalmente. Cosa era accaduto? Il legislatore non ha avuto più fiducia nel Giudice Conciliatore perché l'istituto, a mio avviso, aveva perduto la fiducia della cultura dominante del tempo. E infatti stava maturando negli ambienti culturali più impegnati una profonda convinzione: il Giudice Conciliatore era il giudice della società agricola dell'anteguerra, addirittura dell'800, e non poteva più soddisfare la società pluralistica e neoindustriale degli anni '60/'70 e la sua domanda di giustizia.
Il dibattito politico e culturale degli anni '70 accompagnò le diverse proposte di dar vita a un nuovo magistrato onorario: il Giudice di pace. L'istituzione di una nuova Magistratura Onoraria, che potesse deflazionare il carico processuale del Giudice togato appariva come una riforma ineludibile per aggredire i mali della giustizia civile. La riforma dell'ordinamento giudiziario ha preso avvio solo nel maggio 1995 dopo un tormentato iter legislativo.
Come già precisato, l'attività del Giudice conciliatore si è sviluppata pressoché prevalentemente in sede contenziosa. Il sostanziale fallimento dell'istituto della conciliazione in sede non contenziosa è stato posto in relazione alla mancanza di una cosiddetta cultura della conciliazione, ma l'analisi non appare esauriente.
Nel nostro Paese si è visto nel contenzioso, e soprattutto nella decisione, lo sbocco della lite e del contrasto insorto tra le parti. Il tentativo di conciliazione giudiziale era previsto davanti al Giudice conciliatore (oggi al Giudice di pace) come autonomo procedimento ma lo stesso tentativo è contemplato in ogni giudizio civile in tutto il corso del giudizio stesso, se la natura della causa lo consente.
Il Giudice conciliatore poteva in questa sede suggerire e promuovere anziché la composizione legale della lite ovvero la applicazione di una sanzione (scopi propri della giurisdizione), quella composizione della controversia, non iniqua, che era utile alle parti e da loro liberamente accettata.

UN ISTITUTO DA RISCOPRIRE
La conciliazione rimaneva così sempre effetto di una volontà negoziale e la parte poteva, senza conseguenze dannose, rimanere assente all'invito del Giudice. L'istituto andava dunque profondamente rivisto sul piano sanzionatorio.
Le istanze di conciliazione ex art. 321 c.p.c. sono state così assai esigue. Si tratta di un fenomeno riscontrabile, peraltro, in tutta Italia per lo scarso ricorso che i cittadini hanno fatto a questo istituto. Da un lato perché lo ignoravano; dall'altro perché mancava una cultura della conciliazione da parte della classe forense, ma anche per la mancanza di qualsiasi sanzione per chi rimaneva assente dal procedimento conciliativo. A Milano a partire dal 1994, si è scoperto l'esistenza di questo istituto a seguito del progetto pilota della CEE "Accesso dei consumatori alla giustizia".
La Cee sceglieva Milano, e si avvaleva del Comitato Difesa Consumatori, per offrire ai cittadini uno strumento per far valere i loro diritti in controversie di modesta entità con il ricorso all'Ufficio del Giudice conciliatore di Milano, prescelto appunto per questa lodevole iniziativa. Il progetto contemplava un servizio del tutto gratuito svolto dai legali del detto Comitato con utilizzo della procedura ex art.321 c.p.p. I ricorsi sono stati, dopo il primo anno (1991) parecchie centinaia. Si tratta di un numero record, non toccato da nessun altro Ufficio Giudiziario in Italia, ma rimane obiettivamente assi modesto se calato nella realtà di Milano.
È auspicabile che il tentativo di conciliazione sia generalizzato e svolto obbligatoriamente e seriamente in ogni controversia, ove vi sia la disponibilità dei diritti in contesa prima di far ricorso al Giudice in sede contenziosa.
Si tratta di un filtro di indubbia necessità e il legislatore pare lo abbia capito.
La legge di riforma delle Camere di Commercio (580/93) contempla, tra l'altro, la facoltà da parte delle Camere di promuovere la costituzione di commissioni arbitrali o conciliative per le controversie, sia per le imprese, sia fra imprese e consumatori e utenti: ma non prevede sanzioni per chi non ottempera all'invito a comparire.
La Camera di Commercio di Milano, tramite la Camera Arbitrale di Milano, ha dato vita a una Commissione di Conciliazione che sta svolgendo un pregevole lavoro.
È necessario, direi indispensabile, sottrarre "materia imponibile" all'Autorità Giudiziaria giacché la domanda di giustizia rimane troppo a lungo disattesa e la giustizia viene così in pratica negata.