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Impresa & Stato n°34

CONCILIAZIONE

Giustizia:
l'Europa ci insegna le alternative


Le esperienze dei Paesi più avanzati nella "giustizia alternativa".
Cosa occorre per sviluppare conciliazione e arbitrato.
Quale ruolo per le Camera di Commercio?

di
VITTORIO DENTI

Si è generalizzata negli ordinamenti contemporanei la tendenza a risolvere i gravi problemi della giustizia civile, dovuti principalmente all'incremento della litigiosità, mediante il ricorso a forme alternative di risoluzione delle controversie: alternative, s'intende, rispetto alla giustizia dello Stato. Si tratta di procedimenti di mediazione, di conciliazione e di arbitrato, che possono far capo a iniziative "pubbliche" in senso lato, in quanto promosse o controllate da enti pubblici, come pure a iniziative private.
Anche se le ottimistiche previsioni, maturate negli anni '70, sull'efficacia di questi metodi alternativi si sono in qualche misura allentate per le difficoltà di varia natura emerse nel loro funzionamento, si continua a ritenere che solo per questa via sia possibile far fronte al fenomeno della litigation explosion, che caratterizza le società attuali. Si può, anzi, rilevare la recente tendenza ad affidare allo Stato stesso il compito di promuovere i procedimenti alternativi, anche per assicurare la loro correttezza, pur restando fermo che ai cittadini non può comunque essere sottratto il diritto alla tutela giurisdizionale dello Stato. Il Paese in cui il movimento per le alternative ha avuto le sue più rilevanti manifestazioni è indubbiamente gli Stati Uniti, nei quali la court congestion, dovuta all'incremento della litigiosità in settori come la responsabilità civile si è aggravata per le caratteristiche del sistema processuale che hanno avuto il loro culmine, in termini di costi e di durata, principalmente nelle procedure preparatorie del dibattimento centrate sulla pre-trial discovery. La tendenza al diffondersi di forme alternative di soluzione delle controversie è culminata, nel 1990, con l'entrata in vigore del Civil Justice Reform Act, che ha imposto alle Corti federali di adottare procedure alternative, con la finalità precipua di ridurre la durata e i costi della giustizia nonché il carico del lavoro giudiziario.

STATI UNITI: IL RIMEDIO ALLA COURT CONGESTION
I settori in cui si era verificato il maggior incremento della conflittualità erano, oltre alla già citata responsabilità civile (soprattutto la medical malpractice), la responsabilità del produttore (e, quindi, la tutela del consumatore) e la protezione dell'ambiente. Conseguenza rilevante di tale fenomeno è stata, sul piano sociale, la discriminazione nelle concrete possibilità di accesso alle corti, a danno dei soggetti privi dei mezzi economici necessari per sopportare il costo, anche in termini di durata, della giustizia.
Le forme assunte da queste procedure alternative sono state le più varie, dai mini trials alla mediazione, diretta da un tecnico neutrale incaricato dal giudice, a forme di court-annexed arbitration, previste per le cause di minor valore in tema di risarcimento danni: modalità di tutela che potremmo considerare come una forma di arbitrato obbligatorio, tuttavia non vincolante, in quanto le parti, dopo la pronuncia del lodo, possono non accettarlo e chiedere la riapertura del trial. Ma, secondo i dati conosciuti, solo il 10% delle decisioni arbitrali non viene accettata dalle parti.
Le aspettative circa l'impatto delle procedure alternative sul carico di lavoro delle Corti federali non hanno però trovato il conforto dell'esperienza pratica, tanto che negli anni '90 la fiducia nel loro impiego si è molto attenuata. La stessa conclusione, tuttavia, non vale per le alternative fondate sulla iniziativa privata, come quelle che concernono la responsabilità del medico, che dà luogo ad un numero rilevante di controversie. Presso taluni grandi ospedali sono stati istituiti appositi uffici per la soluzione delle liti con i pazienti, previamente informati sia dei loro diritti che delle possibili incidenze negative delle terapie. Secondo dati abbastanza recenti, circa la metà delle controversie relative alla medical malpractice viene risolta per questa via. In Europa l'esperienza più rilevante è senza dubbio quella dell'Inghilterra, anche perché in questo Paese il crescente interesse per le alternative al processo si accompagna con l'intensificarsi dell'attenzione per la tutela del consumatore, sulla premessa della idoneità del giudizio ordinario quale strumento per la protezione del contraente economicamente e socialmente debole. Le modalità di risoluzione non giudiziale delle controversie si distinguono in "contenziose", rappresentate essenzialmente dall'arbitrato, e "non contenziose", a loro volta distinte nelle due modalità principali della conciliation e della mediation; la prima caratterizzata da una negoziazione nella quale il terzo imparziale assiste le parti nelle loro trattative; la seconda da una presa di posizione più incisiva del terzo, che si esprime in poteri di raccomandazione e di formulazione di ipotesi di accordo conciliativo, presupponendo, quindi, una più penetrante valutazione del merito della controversia.

GRAN BRETAGNA, OMBDUSMAN PER TUTTI GLI USI
L'aspetto più interessante dell'esperienza inglese è dato, peraltro, dalla ampia recezione, nell'ambito delle iniziative private di composizione delle controversie, dell'esperienza svedese dell'ombdusman, operante in materia di rapporti contrattuali di assicurazione, di controversie inerenti ai contratti bancari, di controversie tra gli agenti immobiliari ed i propri clienti. Fin qui siamo nel campo delle iniziative private, ma in anni più recenti è intervenuto anche il legislatore, istituendo nel 1991 il pension ombdusman, come procedura alternativa ai giudizi in materia pensionistica, e il legal services ombdusman, per la soluzione delle controversie in materia di prestazioni di assistenza legale, fatta esclusione della difesa giudiziale da parte del barrister.
Nel primo caso, l'intervento del ombdusman, in caso di mancato accordo, dà luogo ad una decisione vincolante per le parti, mentre nel secondo caso si limita ad una mera raccomandazione, diretta all'ordine professionale. Aggiungo che nel campo delle procedure alternative inglesi, opera anche l'associazione dei solicitors, la Law Society, che ha istituito a Manchester e a Londra delle Small Claims Courts, con funzioni arbitrali, soprattutto in materia di responsabilità civile.
Da USA e GB provengono, in materia di alternative, gli esempi più importanti e progrediti, certo distanti anni luce dalle nostre modeste iniziative. Non mancano, tuttavia, in questi Paesi valutazioni critiche sul funzionamento delle procedure alternative, che si ritiene possano accentuare la disuguaglianza socio-economica tra le parti, soprattutto quando i relativi istituti siano supportati dallo Stato. Si tratta, in ogni caso, di esperienze preziose, anche perché la loro evoluzione è stata analizzata dagli studiosi con l'impiego di tecniche di indagine che muovono dall'approccio sociologico al funzionamento delle istituzioni giudiziarie, in tutte le sue implicazioni. Gli ostacoli, etici e psicologici, al successo della mediation, sono stati attentamente considerati, così come le implicazioni di policy, ossia di politica del diritto, che sono insite nell'adozione di metodi alternativi.

IL CONTINENTE SI AFFIDA AL GIUDICE
Nell'Europa continentale prevale l'idea che la funzione conciliatrice sia più efficace se l'opera di mediazione tra le parti sia svolta dal giudice della causa, che è in grado di richiamare l'attenzione dei litiganti sulle prospettive della controversia. Tutte le codificazioni, come è noto, prevedono l'intervento conciliatore del giudice, talvolta facendolo rientrare nelle sue funzioni essenziali. L'art. 21 del nuovo codice di procedura civile francese enumera tra i principali direttivi del processo "la mission du juge de concilier les parties". Questo riconoscimento di principio, tuttavia, ha da sempre incontrato l'ostacolo rappresentato dalla difficoltà di salvaguardare la neutralità istituzionale del giudice di fronte all'esigenza di illustrare alle parti le prospettive della causa, al fine di vincere la loro resistenza alla composizione amichevole. Il problema ha dato luogo, soprattutto in Germania, a vivaci dibattiti, dei quali diede conto in Italia quel grande studioso che fu Gerardo Santini, discutendo sui limiti del dovere di pace del giudice civile; limiti che venivano individuati, appunto, nell'esigenza che il giudice salvaguardi la sua neutralità di fronte alla causa. Roger Perrot, il maggiore dei processualisti francesi viventi, si è chiesto se il giudice, chiamato a decidere la causa ove il il tentativo di conciliazione fallisca, sia nella posizione psicologica idonea a suggerire soluzioni transattive che, dal punto di vista delle parti, potrebbero essere considerate come un'anticipazione della decisione. Chiunque abbia esperienza di cause civili, sa bene che in queste difficoltà, anche se non solo in queste, sta la limitata efficacia del tentativo di conciliazione, che la recente riforma del codice di procedura civile ha reso obbligatorio. Nel commentare la nuova disposizione, Michele Taruffo ha formulato la previsione che continueranno «a dominare le concezioni tradizionali, secondo le quali nel tentativo di conciliazione il giudice dovrebbe essere essenzialmente passivo, per evitare di influire sulla volontà delle parti, e di cadere in qualche pericolosa anticipazione di giudizio». Si è posta così l'esigenza che il giudice affidi ad un terzo imparziale il compito di promuovere la conciliazione; esigenza che è sfociata, in Francia, nel progetto legge sulla médiation, che attribuisce al giudice il potere di nominare, d'ufficio, o su istanza di parte, in qualunque fase della causa, un médiateur, col compito di ascoltare le parti, confrontare le loro pretese e proporre una soluzione conciliativa. Allo scopo di incentivare la disponibilità delle parti all'opera di conciliazione, si prevede che sia gli accertamenti del mediatore che le dichiarazioni da lui raccolte non possano, se le parti non vi consentono, essere utilizzate, in caso di fallimento della mediazione, nel corso del giudizio: una disposizione che ritroviamo, nella sostanza, nel progetto Fazzalari. Il médiateur francese riprende, quindi, la figura dell'ombdusman, facendo affidamento sull'autorità morale del soggetto incaricato dal giudice, ai fini di un'efficace pressione psicologica sui litiganti.

EUROPA: PIU' TUTELA PER IL CONSUMATORE
Se queste sono le esperienze più significative nei Paesi europei nel campo delle alternative, va anche ricordata l'opera promozionale svolta a livello comunitario, nel campo della tutela del consumatore, a partire dal rapporto Sutherland del 1992. Il rapporto prospettava alla Commissione europea l'opportunità di istituire, sia sul piano comunitario che nei singoli Stati membri, un ombdusman, o médiateur, col compito di favorire la tutela dei consumatori, semplificando le procedure e agevolando la composizione delle controversie. La Commissione europea presentò al Consiglio nel 1986 un morandum sul tema e nel 1993 pubblicò un Libro Verde sul tema "Accesso dei consumatori alla giustizia e soluzioni dei litigi e delle controversie dei consumatori nel mercato unico". A questo ha fatto riferimento il progetto-pilota "Accesso dei consumatori alla giustizia", promosso dalla Commissione europea e realizzato dal Comitato difesa consumatori di Milano. Analoghi esperimenti, come è noto, erano stati in precedenza avviati in altri stati membri della Comunità, come Germania, Gran Bretagna, Belgio e Portogallo.
Per quanto concerne le iniziative italiane, oltre al ricordato progetto-pilota, possono essere menzionati la procedura di "conciliazione e arbitrato", di cui al protocollo sottoscritto nel 1989 dalla SIP e da 12 associazioni di tutela dei consumatori; l'Ufficio Reclami della clientela e dell'ombdusman bancario, istituito ad opera del Consiglio e del Comitato esecutivo dell'Associazione bancaria italiana. Si tratta, nel complesso, di iniziative che tendono a operare prevalentemente nel campo della microconflittualità, perché destinate alla tutela del consumatore (ossia del soggetto che, secondo la definizione del D. L. 15 gennaio 1992 n. 50, «agisce per scopi che possono considerarsi estranei alla propria attività professionale»), piuttosto che all'operatore commerciale. Diverse sono le prospettive aperte dalla legge n. 580/1993 all'intervento in questo settore delle Camere di Commercio, poiché l'art. 2, IV comma prevede che la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative abbia per finalità la risoluzione delle controversie anche "tra imprese". Il problema centrale, rispetto alla effettiva funzionalità dei procedimenti alternativi è dunque quello che concerne le modalità di incentivazione del ricorso a tali procedimenti da parte degli utenti della giustizia. Una volta garantito che la scelta dei soggetti cui attribuire la funzione conciliativa e arbitrale, nonché le modalità del relativo procedimento, rispondano a criteri di competenza, imparzialità e correttezza, si tratta di inserire i procedimenti stessi in un quadro normativo che solleciti il loro impiego. L'esperienza del nostro ordinamento consente di sottolineare alcuni punti preliminari.
a) Per quanto concerne l'arbitrato, è esclusa la possibilità di prevedere forme di obbligatorietà, quantomeno sino a un mutamento degli orientamenti in proposito della Corte Costituzionale, che ha ravvisato nell'arbitrato obbligatorio una forma giurisdizionale speciale vietata dalla carta costituzionale. Si tratta di un orientamento frutto di un eccessivo garantismo, d'altronde non isolato nella giurisprudenza della Corte. Nella giurisprudenza comunitaria il ricorso, da parte dei legislatori nazionali, a forme di arbitrato obbligatorio non è di per sé ritenuto incompatibile con le disposizioni dell'art. 6 della Convenzione europea, a condizione che siano rispettati, nel procedimento arbitrale, i canoni dell'equo processo, ovvero sia previsto, contro il lodo arbitrale, "un ricorso di piena giurisdizione" avanti a un tribunale. Il caso italiano, quindi, appare isolato nel panorama europeo che, specialmente nelle legislazioni economiche di settore, attribuisce grande importanza all'arbitrato obbligatorio, come modalità di tutela alternativa rispetto alla giurisdizione dello Stato. Il dilemma: giurisdizione speciale o arbitrato facoltativo, una volta esclusa la prima soluzione in forza del divieto sancito dall'art. 102 della Costituzione, costituisce un vicolo cieco dal quale sarebbe opportuno uscire in tempi ragionevolmente brevi.
b) Procedimenti di conciliazione preliminari rispetto alla tutela giurisdizionale sono previsti in determinati settori, quali le controversie agrarie, le controversie sui canoni di locazione, le controversie sui licenziamenti nelle unità produttive minori ecc. L'esperienza circa la funzionalità di tali procedimenti è stata nel complesso negativa, poiché nella maggior parte dei casi, sia che si svolgano davanti a organi amministrativi (Uffici del Lavoro, SPAFA), sia che vengano promossi dal giudice, il risultato pratico è prevalentemente senza esito ai fini della composizione della lite.
c) Recenti riforme, come la legge istitutiva del giudice di pace, si sono proposte la finalità di potenziare quelle funzioni di conciliazione c. d. non contenziosa che già erano affidate al soppresso giudice conciliatore. L'esperienza in materia non è riconducibile a dati validi per tutto il territorio nazionale. In occasione di recenti convegni, infatti, è stato posto in evidenza che in determinate aree geografiche (per esempio in Trentino-Alto Adige) un giudice strettamente collegato con la popolazione, come il conciliatore, svolgeva una rilevante funzione di composizione delle controversie, soprattutto se si trattava di un soggetto dotato di autorità morale. Molto probabilmente, in questo come in altri casi, l'adozione di un modello uniforme per tutto il territorio nazionale rappresenta una soluzione non idonea, sul piano socio-economico, a dare una efficiente risposta al bisogno di giustizia. L'istituzione del giudice di pace, anche sotto il profilo della competenza territoriale, non ha tenuto conto delle differenze, legate alla dislocazione delle sedi di pretura e, quindi, risalenti ad una situazione in gran parte legata agli ordinamenti pre-unitari, non adeguata all'evoluzione del Paese. Si deve lamentare, anche in questa materia, l'insufficienza dei lavori preparatori delle riforme in materia di ordinamento giudiziario; riforme che in altri Paesi europei sono preparate da approfondite ricerche e inchieste sul campo, oltre a essere precedute, talvolta, da fasi di sperimentazione in sedi scelte come campione.
d) Occorre sottolineare, al fine di una adeguata valutazione della funzione conciliatrice del giudice, le difficoltà insite nell'efficacia delle "pressioni" che il giudice può essere portato ad esercitare al fine di indurre le parti alla conciliazione. Gerardo Santini, nello scritto già ricordato, sulla base di un caso deciso dalla Corte federale tedesca, si era posto il problema se la conciliazione possa essere annullata quando le pressioni del giudice, accompagnate dall'anticipazione di una decisione negativa, abbiano indotto una parte ad accettare un componimento che altrimenti non avrebbe concluso, o avrebbe concluso in termini diversi. A prescindere dalle soluzioni ipotizzabili sul piano dei vizi della volontà contrattuale, resta pur sempre una difficoltà di grande peso all'esercizio dei poteri conciliativi del giudice.

IL RUOLO DELLE CAMERE DI COMMERCIO
Tutto ciò porta a considerare l'opportunità di affidare la funzione conciliatrice in sede non contenziosa ad organi non giudiziali. L'art.13 del già ricordato Progetto elaborato dalla Commissione Fazzalari prevedeva che la conciliazione delle controversie potesse essere promossa anche «dinanzi ad organismi appositamente istituiti da enti pubblici o privati» garantendo in ogni caso la imparzialità nella composizione dell'organismo di conciliazione e il rispetto del principio del contraddittorio davanti al medesimo. Previsione, questa che presenta particolare interesse, nel quadro delle funzioni attribuite alle Camere di Commercio dalla citata Legge n. 580/1993. La proposta del progetto Fazzalari era stata ripresa nel Disegno di Legge n.2814/C, presentato alla Camera dal Ministero della Giustizia nel giugno del 1995 e il cui art. 10 specificava che l'organismo di conciliazione poteva essere costituito anche da rappresentanti delle categorie interessate alla controversia, dovendo in ogni caso la sua composizione offrire alle parti garanzia di imparzialità. Una posizione che riecheggia le disposizioni dell'ordinamento francese che concernono la formazione di giurisdizioni di tipo corporativo, quali i tribunali di commercio, i probiviri in materia di lavoro, le giurisdizioni in materia sociale ecc. La partecipazione, a tali organi giurisdizionali, di membri designati dalle categorie interessate, infatti, prevede modalità selettive intese a salvaguardare la loro indipendenza e imparzialità. Il problema centrale resta, quindi, quello della incentivazione del ricorso a tali procedimenti conciliativi. Anche il citato Disegno di legge del 1995 fa perno sulla rilevanza del comportamento delle parti, prevedendone la valutazione soltanto ai fini della decisione del giudice successivamente adito sulle spese processuali. E ciò sia nel caso di mancata comparizione delle parti dinanzi alla commissione di conciliazione, sia in caso di ingiustificato rifiuto della conciliazione stessa. Tuttavia, anche in questo caso ha prevalso la prudenza, in quanto l'art. 8 del Disegno di legge aggiunge: «Non possono essere desunti argomenti di prova dalle risposte date, dalle posizioni assunte ai fini della conciliazione e, in generale, dal contegno tenuto dalle parti nel procedimento di conciliazione». Si tratta, come è agevole rilevare, di una soluzione ancora una volta viziata per eccessivo garantismo. Sarebbe auspicabile, infatti, la soluzione opposta, ossia la possibilità, per il giudice, di valutare negativamente il comportamento delle parti in sede di procedimento conciliativo.
La conclusione è che senza revisioni drastiche, sia nel campo legislativo che nel campo giurisdizionale, sia difficile fare affidamento sulla auspicabile effettività dei procedimenti alternativi. Le linee sulle quali muoversi dovrebbero essere le seguenti:
- la revisione delle giurisprudenza che chiude la via all'arbitrato obbligatorio, riconoscendone l'ammissibilità, in linea con le tendenze prevalenti nell'ordinamento comunitario;
- la previsione del potere giuridico, nel corso del procedimento, di designare un "mediatore", sul modello francese, col compito di tentare la composizione conciliativa della lite;
- il potere del giudice di valutare, nel caso di mancata conciliazione, il comportamento delle parti nel corso della procedura conciliativa;
- la obbligatorietà del procedimento dinanzi agli organi di conciliazione per le parti che fanno capo, a vario titolo, alle categorie che tali organismi esprimono.
In questo quadro, la funzione degli organismi arbitrali presso le Camere di Commercio appare fondamentale.