Si è generalizzata negli ordinamenti contemporanei la tendenza
a risolvere i gravi problemi della giustizia civile, dovuti principalmente
all'incremento della litigiosità, mediante il ricorso a
forme alternative di risoluzione delle controversie: alternative,
s'intende, rispetto alla giustizia dello Stato. Si tratta di procedimenti
di mediazione, di conciliazione e di arbitrato, che possono far
capo a iniziative "pubbliche" in senso lato, in quanto
promosse o controllate da enti pubblici, come pure a iniziative
private.
Anche se le ottimistiche previsioni, maturate negli anni '70,
sull'efficacia di questi metodi alternativi si sono in qualche
misura allentate per le difficoltà di varia natura emerse
nel loro funzionamento, si continua a ritenere che solo per questa
via sia possibile far fronte al fenomeno della litigation explosion,
che caratterizza le società attuali. Si può, anzi,
rilevare la recente tendenza ad affidare allo Stato stesso il
compito di promuovere i procedimenti alternativi, anche per assicurare
la loro correttezza, pur restando fermo che ai cittadini non può
comunque essere sottratto il diritto alla tutela giurisdizionale
dello Stato. Il Paese in cui il movimento per le alternative
ha avuto le sue più rilevanti manifestazioni è indubbiamente
gli Stati Uniti, nei quali la court congestion, dovuta
all'incremento della litigiosità in settori come la responsabilità
civile si è aggravata per le caratteristiche del sistema
processuale che hanno avuto il loro culmine, in termini di costi
e di durata, principalmente nelle procedure preparatorie del dibattimento
centrate sulla pre-trial discovery. La tendenza al diffondersi
di forme alternative di soluzione delle controversie è
culminata, nel 1990, con l'entrata in vigore del Civil Justice
Reform Act, che ha imposto alle Corti federali di adottare
procedure alternative, con la finalità precipua di ridurre
la durata e i costi della giustizia nonché il carico del
lavoro giudiziario.
STATI UNITI: IL RIMEDIO ALLA COURT CONGESTION
I settori in cui si era verificato il maggior incremento della
conflittualità erano, oltre alla già citata responsabilità
civile (soprattutto la medical malpractice), la responsabilità
del produttore (e, quindi, la tutela del consumatore) e la protezione
dell'ambiente. Conseguenza rilevante di tale fenomeno è
stata, sul piano sociale, la discriminazione nelle concrete possibilità
di accesso alle corti, a danno dei soggetti privi dei mezzi economici
necessari per sopportare il costo, anche in termini di durata,
della giustizia.
Le forme assunte da queste procedure alternative sono state le
più varie, dai mini trials alla mediazione, diretta
da un tecnico neutrale incaricato dal giudice, a forme di court-annexed
arbitration, previste per le cause di minor valore in tema
di risarcimento danni: modalità di tutela che potremmo
considerare come una forma di arbitrato obbligatorio, tuttavia
non vincolante, in quanto le parti, dopo la pronuncia del lodo,
possono non accettarlo e chiedere la riapertura del trial.
Ma, secondo i dati conosciuti, solo il 10% delle decisioni arbitrali
non viene accettata dalle parti.
Le aspettative circa l'impatto delle procedure alternative sul
carico di lavoro delle Corti federali non hanno però trovato
il conforto dell'esperienza pratica, tanto che negli anni '90
la fiducia nel loro impiego si è molto attenuata. La stessa
conclusione, tuttavia, non vale per le alternative fondate sulla
iniziativa privata, come quelle che concernono la responsabilità
del medico, che dà luogo ad un numero rilevante di controversie.
Presso taluni grandi ospedali sono stati istituiti appositi uffici
per la soluzione delle liti con i pazienti, previamente informati
sia dei loro diritti che delle possibili incidenze negative delle
terapie. Secondo dati abbastanza recenti, circa la metà
delle controversie relative alla medical malpractice viene
risolta per questa via. In Europa l'esperienza più rilevante
è senza dubbio quella dell'Inghilterra, anche perché
in questo Paese il crescente interesse per le alternative al processo
si accompagna con l'intensificarsi dell'attenzione per la tutela
del consumatore, sulla premessa della idoneità del giudizio
ordinario quale strumento per la protezione del contraente economicamente
e socialmente debole. Le modalità di risoluzione non giudiziale
delle controversie si distinguono in "contenziose",
rappresentate essenzialmente dall'arbitrato, e "non contenziose",
a loro volta distinte nelle due modalità principali della
conciliation e della mediation; la prima caratterizzata
da una negoziazione nella quale il terzo imparziale assiste le
parti nelle loro trattative; la seconda da una presa di posizione
più incisiva del terzo, che si esprime in poteri di raccomandazione
e di formulazione di ipotesi di accordo conciliativo, presupponendo,
quindi, una più penetrante valutazione del merito della
controversia.
GRAN BRETAGNA, OMBDUSMAN PER TUTTI GLI USI
L'aspetto più interessante dell'esperienza inglese è
dato, peraltro, dalla ampia recezione, nell'ambito delle iniziative
private di composizione delle controversie, dell'esperienza svedese
dell'ombdusman, operante in materia di rapporti contrattuali
di assicurazione, di controversie inerenti ai contratti bancari,
di controversie tra gli agenti immobiliari ed i propri clienti.
Fin qui siamo nel campo delle iniziative private, ma in anni più
recenti è intervenuto anche il legislatore, istituendo
nel 1991 il pension ombdusman, come procedura alternativa
ai giudizi in materia pensionistica, e il legal services ombdusman,
per la soluzione delle controversie in materia di prestazioni
di assistenza legale, fatta esclusione della difesa giudiziale
da parte del barrister.
Nel primo caso, l'intervento del ombdusman, in caso di
mancato accordo, dà luogo ad una decisione vincolante per
le parti, mentre nel secondo caso si limita ad una mera raccomandazione,
diretta all'ordine professionale. Aggiungo che nel campo delle
procedure alternative inglesi, opera anche l'associazione dei
solicitors, la Law Society, che ha istituito a Manchester
e a Londra delle Small Claims Courts, con funzioni arbitrali,
soprattutto in materia di responsabilità civile.
Da USA e GB provengono, in materia di alternative, gli esempi
più importanti e progrediti, certo distanti anni luce dalle
nostre modeste iniziative. Non mancano, tuttavia, in questi Paesi
valutazioni critiche sul funzionamento delle procedure alternative,
che si ritiene possano accentuare la disuguaglianza socio-economica
tra le parti, soprattutto quando i relativi istituti siano supportati
dallo Stato. Si tratta, in ogni caso, di esperienze preziose,
anche perché la loro evoluzione è stata analizzata
dagli studiosi con l'impiego di tecniche di indagine che muovono
dall'approccio sociologico al funzionamento delle istituzioni
giudiziarie, in tutte le sue implicazioni. Gli ostacoli, etici
e psicologici, al successo della mediation, sono stati
attentamente considerati, così come le implicazioni di
policy, ossia di politica del diritto, che sono insite
nell'adozione di metodi alternativi.
IL CONTINENTE SI AFFIDA AL GIUDICE
Nell'Europa continentale prevale l'idea che la funzione conciliatrice
sia più efficace se l'opera di mediazione tra le parti
sia svolta dal giudice della causa, che è in grado di richiamare
l'attenzione dei litiganti sulle prospettive della controversia.
Tutte le codificazioni, come è noto, prevedono l'intervento
conciliatore del giudice, talvolta facendolo rientrare nelle sue
funzioni essenziali. L'art. 21 del nuovo codice di procedura civile
francese enumera tra i principali direttivi del processo "la
mission du juge de concilier les parties". Questo riconoscimento
di principio, tuttavia, ha da sempre incontrato l'ostacolo rappresentato
dalla difficoltà di salvaguardare la neutralità
istituzionale del giudice di fronte all'esigenza di illustrare
alle parti le prospettive della causa, al fine di vincere la loro
resistenza alla composizione amichevole. Il problema ha dato
luogo, soprattutto in Germania, a vivaci dibattiti, dei quali
diede conto in Italia quel grande studioso che fu Gerardo Santini,
discutendo sui limiti del dovere di pace del giudice civile; limiti
che venivano individuati, appunto, nell'esigenza che il giudice
salvaguardi la sua neutralità di fronte alla causa. Roger
Perrot, il maggiore dei processualisti francesi viventi, si è
chiesto se il giudice, chiamato a decidere la causa ove il il
tentativo di conciliazione fallisca, sia nella posizione psicologica
idonea a suggerire soluzioni transattive che, dal punto di vista
delle parti, potrebbero essere considerate come un'anticipazione
della decisione. Chiunque abbia esperienza di cause civili, sa
bene che in queste difficoltà, anche se non solo in queste,
sta la limitata efficacia del tentativo di conciliazione, che
la recente riforma del codice di procedura civile ha reso obbligatorio.
Nel commentare la nuova disposizione, Michele Taruffo ha formulato
la previsione che continueranno «a dominare le concezioni
tradizionali, secondo le quali nel tentativo di conciliazione
il giudice dovrebbe essere essenzialmente passivo, per evitare
di influire sulla volontà delle parti, e di cadere in qualche
pericolosa anticipazione di giudizio». Si è posta
così l'esigenza che il giudice affidi ad un terzo imparziale
il compito di promuovere la conciliazione; esigenza che è
sfociata, in Francia, nel progetto legge sulla médiation,
che attribuisce al giudice il potere di nominare, d'ufficio, o
su istanza di parte, in qualunque fase della causa, un médiateur,
col compito di ascoltare le parti, confrontare le loro pretese
e proporre una soluzione conciliativa. Allo scopo di incentivare
la disponibilità delle parti all'opera di conciliazione,
si prevede che sia gli accertamenti del mediatore che le dichiarazioni
da lui raccolte non possano, se le parti non vi consentono, essere
utilizzate, in caso di fallimento della mediazione, nel corso
del giudizio: una disposizione che ritroviamo, nella sostanza,
nel progetto Fazzalari. Il médiateur francese riprende,
quindi, la figura dell'ombdusman, facendo affidamento sull'autorità
morale del soggetto incaricato dal giudice, ai fini di un'efficace
pressione psicologica sui litiganti.
EUROPA: PIU' TUTELA PER IL CONSUMATORE
Se queste sono le esperienze più significative nei Paesi
europei nel campo delle alternative, va anche ricordata l'opera
promozionale svolta a livello comunitario, nel campo della tutela
del consumatore, a partire dal rapporto Sutherland del 1992. Il
rapporto prospettava alla Commissione europea l'opportunità
di istituire, sia sul piano comunitario che nei singoli Stati
membri, un ombdusman, o médiateur, col compito
di favorire la tutela dei consumatori, semplificando le procedure
e agevolando la composizione delle controversie. La Commissione
europea presentò al Consiglio nel 1986 un morandum sul
tema e nel 1993 pubblicò un Libro Verde sul tema "Accesso
dei consumatori alla giustizia e soluzioni dei litigi e delle
controversie dei consumatori nel mercato unico". A questo
ha fatto riferimento il progetto-pilota "Accesso dei consumatori
alla giustizia", promosso dalla Commissione europea e realizzato
dal Comitato difesa consumatori di Milano. Analoghi esperimenti,
come è noto, erano stati in precedenza avviati in altri
stati membri della Comunità, come Germania, Gran Bretagna,
Belgio e Portogallo.
Per quanto concerne le iniziative italiane, oltre al ricordato
progetto-pilota, possono essere menzionati la procedura di "conciliazione
e arbitrato", di cui al protocollo sottoscritto nel 1989
dalla SIP e da 12 associazioni di tutela dei consumatori; l'Ufficio
Reclami della clientela e dell'ombdusman bancario, istituito
ad opera del Consiglio e del Comitato esecutivo dell'Associazione
bancaria italiana. Si tratta, nel complesso, di iniziative che
tendono a operare prevalentemente nel campo della microconflittualità,
perché destinate alla tutela del consumatore (ossia del
soggetto che, secondo la definizione del D. L. 15 gennaio 1992
n. 50, «agisce per scopi che possono considerarsi estranei
alla propria attività professionale»), piuttosto che
all'operatore commerciale. Diverse sono le prospettive aperte
dalla legge n. 580/1993 all'intervento in questo settore delle
Camere di Commercio, poiché l'art. 2, IV comma prevede
che la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative abbia
per finalità la risoluzione delle controversie anche "tra
imprese". Il problema centrale, rispetto alla effettiva
funzionalità dei procedimenti alternativi è dunque
quello che concerne le modalità di incentivazione del ricorso
a tali procedimenti da parte degli utenti della giustizia. Una
volta garantito che la scelta dei soggetti cui attribuire la funzione
conciliativa e arbitrale, nonché le modalità del
relativo procedimento, rispondano a criteri di competenza, imparzialità
e correttezza, si tratta di inserire i procedimenti stessi in
un quadro normativo che solleciti il loro impiego. L'esperienza
del nostro ordinamento consente di sottolineare alcuni punti preliminari.
a) Per quanto concerne l'arbitrato, è esclusa la possibilità
di prevedere forme di obbligatorietà, quantomeno sino a
un mutamento degli orientamenti in proposito della Corte Costituzionale,
che ha ravvisato nell'arbitrato obbligatorio una forma giurisdizionale
speciale vietata dalla carta costituzionale. Si tratta di un orientamento
frutto di un eccessivo garantismo, d'altronde non isolato nella
giurisprudenza della Corte. Nella giurisprudenza comunitaria il
ricorso, da parte dei legislatori nazionali, a forme di arbitrato
obbligatorio non è di per sé ritenuto incompatibile
con le disposizioni dell'art. 6 della Convenzione europea, a condizione
che siano rispettati, nel procedimento arbitrale, i canoni dell'equo
processo, ovvero sia previsto, contro il lodo arbitrale, "un
ricorso di piena giurisdizione" avanti a un tribunale. Il
caso italiano, quindi, appare isolato nel panorama europeo che,
specialmente nelle legislazioni economiche di settore, attribuisce
grande importanza all'arbitrato obbligatorio, come modalità
di tutela alternativa rispetto alla giurisdizione dello Stato.
Il dilemma: giurisdizione speciale o arbitrato facoltativo, una
volta esclusa la prima soluzione in forza del divieto sancito
dall'art. 102 della Costituzione, costituisce un vicolo cieco
dal quale sarebbe opportuno uscire in tempi ragionevolmente brevi.
b) Procedimenti di conciliazione preliminari rispetto alla
tutela giurisdizionale sono previsti in determinati settori, quali
le controversie agrarie, le controversie sui canoni di locazione,
le controversie sui licenziamenti nelle unità produttive
minori ecc. L'esperienza circa la funzionalità di tali
procedimenti è stata nel complesso negativa, poiché
nella maggior parte dei casi, sia che si svolgano davanti a organi
amministrativi (Uffici del Lavoro, SPAFA), sia che vengano promossi
dal giudice, il risultato pratico è prevalentemente senza
esito ai fini della composizione della lite.
c) Recenti riforme, come la legge istitutiva del giudice di
pace, si sono proposte la finalità di potenziare quelle
funzioni di conciliazione c. d. non contenziosa che già
erano affidate al soppresso giudice conciliatore. L'esperienza
in materia non è riconducibile a dati validi per tutto
il territorio nazionale. In occasione di recenti convegni, infatti,
è stato posto in evidenza che in determinate aree geografiche
(per esempio in Trentino-Alto Adige) un giudice strettamente collegato
con la popolazione, come il conciliatore, svolgeva una rilevante
funzione di composizione delle controversie, soprattutto se si
trattava di un soggetto dotato di autorità morale. Molto
probabilmente, in questo come in altri casi, l'adozione di un
modello uniforme per tutto il territorio nazionale rappresenta
una soluzione non idonea, sul piano socio-economico, a dare una
efficiente risposta al bisogno di giustizia. L'istituzione del
giudice di pace, anche sotto il profilo della competenza territoriale,
non ha tenuto conto delle differenze, legate alla dislocazione
delle sedi di pretura e, quindi, risalenti ad una situazione in
gran parte legata agli ordinamenti pre-unitari, non adeguata all'evoluzione
del Paese. Si deve lamentare, anche in questa materia, l'insufficienza
dei lavori preparatori delle riforme in materia di ordinamento
giudiziario; riforme che in altri Paesi europei sono preparate
da approfondite ricerche e inchieste sul campo, oltre a essere
precedute, talvolta, da fasi di sperimentazione in sedi scelte
come campione.
d) Occorre sottolineare, al fine di una adeguata valutazione
della funzione conciliatrice del giudice, le difficoltà
insite nell'efficacia delle "pressioni" che il giudice
può essere portato ad esercitare al fine di indurre le
parti alla conciliazione. Gerardo Santini, nello scritto già
ricordato, sulla base di un caso deciso dalla Corte federale tedesca,
si era posto il problema se la conciliazione possa essere annullata
quando le pressioni del giudice, accompagnate dall'anticipazione
di una decisione negativa, abbiano indotto una parte ad accettare
un componimento che altrimenti non avrebbe concluso, o avrebbe
concluso in termini diversi. A prescindere dalle soluzioni ipotizzabili
sul piano dei vizi della volontà contrattuale, resta pur
sempre una difficoltà di grande peso all'esercizio dei
poteri conciliativi del giudice.
IL RUOLO DELLE CAMERE DI COMMERCIO
Tutto ciò porta a considerare l'opportunità di affidare
la funzione conciliatrice in sede non contenziosa ad organi non
giudiziali. L'art.13 del già ricordato Progetto elaborato
dalla Commissione Fazzalari prevedeva che la conciliazione delle
controversie potesse essere promossa anche «dinanzi ad organismi
appositamente istituiti da enti pubblici o privati» garantendo
in ogni caso la imparzialità nella composizione dell'organismo
di conciliazione e il rispetto del principio del contraddittorio
davanti al medesimo. Previsione, questa che presenta particolare
interesse, nel quadro delle funzioni attribuite alle Camere di
Commercio dalla citata Legge n. 580/1993. La proposta del progetto
Fazzalari era stata ripresa nel Disegno di Legge n.2814/C, presentato
alla Camera dal Ministero della Giustizia nel giugno del 1995
e il cui art. 10 specificava che l'organismo di conciliazione
poteva essere costituito anche da rappresentanti delle categorie
interessate alla controversia, dovendo in ogni caso la sua composizione
offrire alle parti garanzia di imparzialità. Una posizione
che riecheggia le disposizioni dell'ordinamento francese che concernono
la formazione di giurisdizioni di tipo corporativo, quali i tribunali
di commercio, i probiviri in materia di lavoro, le giurisdizioni
in materia sociale ecc. La partecipazione, a tali organi giurisdizionali,
di membri designati dalle categorie interessate, infatti, prevede
modalità selettive intese a salvaguardare la loro indipendenza
e imparzialità. Il problema centrale resta, quindi, quello
della incentivazione del ricorso a tali procedimenti conciliativi.
Anche il citato Disegno di legge del 1995 fa perno sulla rilevanza
del comportamento delle parti, prevedendone la valutazione soltanto
ai fini della decisione del giudice successivamente adito sulle
spese processuali. E ciò sia nel caso di mancata comparizione
delle parti dinanzi alla commissione di conciliazione, sia in
caso di ingiustificato rifiuto della conciliazione stessa. Tuttavia,
anche in questo caso ha prevalso la prudenza, in quanto l'art.
8 del Disegno di legge aggiunge: «Non possono essere desunti
argomenti di prova dalle risposte date, dalle posizioni assunte
ai fini della conciliazione e, in generale, dal contegno tenuto
dalle parti nel procedimento di conciliazione». Si tratta,
come è agevole rilevare, di una soluzione ancora una volta
viziata per eccessivo garantismo. Sarebbe auspicabile, infatti,
la soluzione opposta, ossia la possibilità, per il giudice,
di valutare negativamente il comportamento delle parti in sede
di procedimento conciliativo.
La conclusione è che senza revisioni drastiche, sia nel
campo legislativo che nel campo giurisdizionale, sia difficile
fare affidamento sulla auspicabile effettività dei procedimenti
alternativi. Le linee sulle quali muoversi dovrebbero essere le
seguenti:
- la revisione delle giurisprudenza che chiude la via all'arbitrato
obbligatorio, riconoscendone l'ammissibilità, in linea
con le tendenze prevalenti nell'ordinamento comunitario;
- la previsione del potere giuridico, nel corso del procedimento,
di designare un "mediatore", sul modello francese, col
compito di tentare la composizione conciliativa della lite;
- il potere del giudice di valutare, nel caso di mancata conciliazione,
il comportamento delle parti nel corso della procedura conciliativa;
- la obbligatorietà del procedimento dinanzi agli organi
di conciliazione per le parti che fanno capo, a vario titolo,
alle categorie che tali organismi esprimono.
In questo quadro, la funzione degli organismi arbitrali presso
le Camere di Commercio appare fondamentale.