Mai pericolo maggiore corrono in Italia le riforme quando godono
di un'apparente unanimità d'accordo. Delle necessità
di riservare maggiore spazio alle decisioni e ai poteri di livello
locale sembrano tutti convinti. Eppure nonostante diversi governi
si siano succeduti, comprendenti tecnici e l'intera gamma degli
schieramenti parlamentari (Lega compresa), si fa fatica a immaginare
un percorso credibile di riconversione dell'architettura statuale
dal centralismo alla responsabilità decentrata. Poco condivisibile
è la critica radicale che attribuisce l'inerzia solo ai
poteri centrali, in particolare al Parlamento, che eserciterebbero
una resistenza a oltranza nella difesa di prerogative e poteri
di cui dovrebbero privarsi.
In questi ultimi anni sindaci e classe dirigente locale sono riusciti
a rappresentare un riferimento di tipo nazionale, una forte presenza
nella dialettica politica, mentre le stesse Regioni esercitano
una rappresentanza di poteri addirittura eccedente la propria
effettiva capacità di governare i processi reali dei propri
territori.
Esiste, quindi, almeno sulla carta un "contro-potere"
delle istituzioni decentrate che potrebbe dare indirizzo e maggiore
spinta per una sostanziale modifica dell'organizzazione pubblica.
Nei fatti, invece, il sovrapporsi di elementi disomogenei pur
se riconducibili al rapporto centro-periferia, rende contraddittoria
la base stessa di analisi e la puntualizzazione dei problemi da
risolvere. Restano, infatti, in sospeso alcune questioni, afferenti
al modello di funzionamento del settore pubblico:
- il rapporto fra Stato (in tutte le sue diverse articolazioni)
e cittadino che è questione certamente legata all'autonomia
dei poteri locali, ma è essa stessa un tema trasversale
non necessariamente risolto da una nuova architettura di poteri;
- la gerarchia di responsabilità fra i diversi protagonisti
cui dare un nuovo fondamento, per evitare, come già successo
nel caso del decentramento regionale, che a un vertice romano
se ne sostituiscano altri più molecolari ma egualmente
sovrapposti e inefficienti;
- le differenziazioni territoriali, in termini di produzione delle
risorse, di impiego della spesa pubblica e di ricostituzione di
un pieno contesto di socialità per il benessere complessivo
del Paese. Un modello istituzionale che procede dal basso valorizzando
l'organizzazione sociale, imprenditoriale e politica ha la necessità
di mettere al centro il cittadino, l'impresa, l'associazione.
Il citizen care dovrà sostituire gradatamente la
logica inquisitoria, che per gran parte caratterizza le relazioni
burocratiche della sfera pubblica con un'impronta di servizio
e di responsabilità reciproca fra chi eroga e chi utilizza
prestazioni sociali.
È un processo che attiene alla drastica riduzione delle
leggi, al rafforzamento dell'organizzazione rispetto alla gestione
di procedure, all'introduzione di tecnologie. Un'amministrazione
con meno giuristi e più ingegneri, uomini di comunicazione,
più management e meno tecnocrazia. Pensare che i Comuni
o gli altri enti siano esenti da queste problematiche sarebbe
errato (basti pensare ai tempi per ottenere una decisione su concessioni
edilizie o su interventi infrastrutturali). Tuttavia è
questo un terreno di mutamento da non confondere con lo sviluppo
di maggiori autonomie di livello locale.
Ma anche il secondo punto e cioè il riordino delle diverse
istituzioni periferiche rappresenta una questione del tutto peculiare.
Non c'è infatti un fronte unico, né tanto meno una
precisa collocazione di ciascuno. Se partissimo dalle identità,
resta ancora fortemente vincente la dimensione nazionale od europea,
certamente non quella regionale, su cui prevale quella comunale
e cittadina. Nell'ambito delle istituzioni decentrate non mancano
contraddizioni e spaccature.
GEOMETRIA ASIMMETRICA E CONFUSA
Il movimento dei sindaci diverge dalle Regioni non riconoscendo
nei fatti a esse una funzione di raccordo intermedio. Ma fra
le città, le metropoli e le grandi aree urbane sono alquanto
lontane dal rappresentare unitariamente i fabbisogni dei Comuni.
Le città medie, quelle più vitali ed efficienti,
finiscono in una posizione di secondo piano, nella dialettica
prevalente fra Stato centrale e città-metropoli. È
una dinamica da cui tendono a essere estromesse le Province, nonostante
che il loro minor sovraccarico di competenze in taluni casi risulti
un elemento positivo nella capacità di promuovere ed aggregare
le domande provenienti dal territorio.
Si tratta, comunque, di una geometria asimmetrica e in taluni
casi confusa. Ancora oggi, infatti, non si può che registrare
un'anomala ripartizione di poteri. Pensiamo alle attrezzature
territoriali e alle infrastrutture. Grandi reti di interesse
internazionale (ferroviarie, autostradali, etc.) possono essere
oggi bloccate dal più piccolo dei Comuni attraversato da
una linea di interconnessione a grande distanza. Ma allo stesso
tempo i Ministeri continuano a pesare anche sulle decisioni più
banali afferenti alle realtà locali. Si decide in sede
ministeriale di piste ciclabili, metropolitane, parcheggi, tram,
di recupero urbano, ma anche di scavo di fondali per l'efficienza
dei porti, di restauri di monumenti e così via. Bisognerebbe
molto più drasticamente conferire una piena responsabilità
al Comune, per quanto attiene al suo sviluppo civile e urbanistico,
fidando in una condivisa cultura di salvaguardia delle risorse
ambientali, culturali e monumentali, ma anche in una più
trasparente responsabilità di fronte ai cittadini. Nonostante
la spinta dei sindaci, i Comuni restano sotto tutela, con un grave
condizionamento alla loro efficienza. Infine, valorizzare la dimensione
funzionale del decentramento non può che riverberarsi utilmente
per la risoluzione del principale elemento di instabilità
sociale e produttiva del Paese e cioè la marginalità
che in Italia si esprime grandemente a livello territoriale. Uno
Stato per molti versi ancora centralistico ed assistenziale nel
suo concreto operare non è in grado di sostenere un processo
di avvicinamento nei livelli di produzione fra Sud e Nord. Se,
infatti, fra i parametri di convergenza europea ci fosse ad esempio
anche il tasso di disoccupazione, le azioni per entrare in Europa
dovrebbero riguardare proprio il Mezzogiorno dove si producono
gli effetti di maggiore negatività.
È ormai verificata una incapacità di agire centralmente,
mentre le uniche innovazioni derivano dall'autorganizzazione locale
dei Patti territoriali o degli accordi d'area.
In un panorama ancora irrisolto di reinvenzione legislativa e
di mutamento istituzionale, alcune prime conclusioni possono comunque
essere tratte e in particolare:
- vince la responsabilità nell'azione amministrativa solo
in quanto si dispieghi una reale autonomia degli attori pubblici;
- prevale l'efficienza ed anche la legittimazione sociale dell'organismo
che opera con finalità pubblica solo in quanto si persegua
l'ottenimento di concreti risultati, al di là del formalismo
delle procedure;
- emergono innovazioni e miglioramenti nelle performance degli
attori pubblici solo in quanto si valorizzano gli aspetti funzionali
e non si applicano semplicemente le competenze derivanti da leggi
o dal decentramento verso i poteri locali.
La logica delle autonomie funzionali sembra quindi l'unica possibile
linea operativa per rinnovare completamente l'intervento pubblico.
A partire dagli anni '90, infatti, assistiamo alla realizzazione
di un nuovo modello di gestione di alcune importanti funzioni
di tradizionale competenza pubblica: nell'economia, con la riforma
delle Camere di Commercio; nel credito, dove una parte non secondaria
delle iniziative socio-culturali di livello locale vede come protagonisti
le Fondazioni bancarie nella loro accezione di operating foundation;
nel sistema delle infrastrutture, dove alcuni dei nodi dove si
sviluppa gran parte dell'attività logistica vengono gestiti
da enti autonomi e responsabili di specifiche funzioni di sviluppo
e management come aeroporti, porti, interporti; nella gestione
delle risorse ambientali, dove nuove funzioni di coordinamento,
integrazione e sviluppo sono state attribuite ad Autorità
di bacino e agli Enti Parco; nella articolazione del sistema formativo-educativo
con la recente attribuzione di autonomia alle Università
e con il progetto per estendere tale principio alle unità
scolastiche; nella sanità in cui è stata definitivamente
sancita (con la recente riforma) la centralità delle Aziende
sanitarie locali nella gestione di funzioni e servizi sanitari.
Lo scenario dei poteri appare quindi profondamente mutato con
lo sviluppo della fitta rete di autonomie funzionali. Si affermano
nuove reti di soggetti, dotati di autonomia e personalità
giuridica, destinati a svolgere funzioni precedentemente di competenza
delle istituzioni statali o locali. Il modello di distribuzione
dei "poteri per competenza" e il processo di disarticolazione
dello Stato non appaiono più in grado di garantire lo sviluppo
di processi operativi sempre più stretti tra lo Stato,
nelle sue diverse articolazioni amministrative, e le imprese,
il mondo del lavoro e le diverse forme della convivenza collettiva.
Tuttavia se non c'è dubbio sul carattere innovativo del
modello delle autonomie funzionali, la sua affermazione appare
per certi versi ostacolata essenzialmente dalla sovrapposizione
tra competenze amministrative attribuite ai diversi organismi
e soprattutto dalla assenza di reali spazi di autonomia nel management
della principale risorsa disponibile, ovvero quella del personale.
A questo si aggiunge, nella inevitabile proliferazione di centri
decisionali (circa 120mila soggetti tra la dimensione centrale
e periferica), la quasi totale assenza di strategie di indirizzo
e coordinamento, che indebolisce quindi il ruolo stesso dell'innovazione
introdotta.
Sul piano istituzionale, il modello di decentramento, che vede
nella Regione il principale interlocutore nella riarticolazione
dello Stato centralistico, subisce, proprio negli ultimi anni,
un rapido processo di invecchiamento.
La Regione ha, in altre parole, riprodotto le stesse storture
dello Stato "soggetto", essendo stata solo marginalmente
interessata dal processo di innovazione istituzionale e ha finito,
negli ultimi anni, per condividere la crisi dei modelli di gestione
della Pubblica amministrazione e dei servizi di interesse collettivo.
Viene dunque a prefigurarsi una sovrapposizione tra due diverse
logiche di Governo:
- quella legata al modello di decentramento e organizzata per
enumerazione di competenze in cui tuttavia (anche per ragioni
di vincoli nella spesa) non sono garantiti sempre e comunque gli
strumenti adeguati allo sviluppo di specifiche funzioni;
- quella legata al modello delle autonomie organizzate per funzioni,
che al contrario, pur registrando una maggiore vitalità
ed efficienza, non dispongono dei poteri necessari per una piena
libertà d'azione.
Facciamo ad esempio il caso delle Autorità portuali. Vi
sono casi concreti (Venezia, Ancona, Livorno) dove l'adeguamento
della infrastruttura conseguente all'attività promozionale
degli enti è resa impossibile dal perdurante dominio dei
ministeri "competenti" (Lavori Pubblici, Ambiente, Trasporti).
L'Autorità gestisce con efficienza, promuove nuovi flussi
di traffico, ma è limitata nella sua azione dalla competenza
collocata altrove. Potrebbe operare in proprio, anche con propri
fondi ma non può perché i poteri sono altrove.
C'è un secondo ordine di problemi che impedisce il pieno
sviluppo delle autonomie funzionali e le sottopone ad una sorta
di sovranità limitata. È questo il caso della scuola,
della Università e della ASL laddove l'impossibilità
di gestire in modo flessibile le risorse umane finisce per minarne
l'efficienza.
Per avere un'idea di quale possa essere il peso di tale questione
nello sviluppo delle autonomie funzionali è sufficiente
rammentare il ruolo che il fattore "personale" ha assunto
nel dibattito sull'autonomia delle istituzioni scolastiche forse
in assoluto la prova più impegnativa per l'affermazione
della nuova logica dello Stato-funzione. In un contesto in cui
oltre il 97% delle risorse disponibili viene destinato alla copertura
delle spese per il personale il processo di attribuzione di autonomia
funzionaleappare decisamente più difficile. Analoga situazione
pesa sul trasporto locale e sulle ASL.
Solo un'accentuazione dell'autonomia decisionale renderà
possibile una parallela presa in carico di responsabilità
da parte degli organismi pubblici.
Bisogna sfuggire dalle tentazioni neo-centralistiche, di semplificazione,
quanto invece è opportuno fornire un costante riferimento
e realizzare il monitoraggio del complesso affermarsi di modi
diversi di operare. Il tentativo del Censis di approfondire una
tematica peraltro sottoposta all'attenzione dell'opinione pubblica
proprio dall'iniziativa della Camera di Commercio è stato
quello di fissare una prima mappa per settori e livelli. L'attenzione
passa ora alle strumentazioni legislative e istituzionali, tendenti
non tanto a una ulteriore regolamentazione quanto alla abrogazione
di vincoli e ostruzioni che impediscono il pieno dispiegamento
dell'agire secondo prestazioni e funzioni di servizio al territorio,
al cittadino e all'impresa.
AUTONOMIE FUNZIONALI IN ITALIA | ||||
Camere di Commercio (Cciaa) | * Legge 580/93 | * Funzioni amministrative e di promozione delle imprese | ||
Fondazioni bancarie (Enti conferenti a struttura istituzionale) | * Legge 218/90 | * Funzione di promozione di progetti di pubblica utilità * Funzioni amministrative di Istituti e Società bancarie | ||
Autorità portuali | * Legge 84/94 . | * Indirizzo programmazione e controllo attività portuali * Manutenzione * Affidamento e controllo attività portuali | Comuni | |
Aziende sanitarie locali | * Legge 502/92 * Legge 517/93 | * Tutti i poteri di gestione nonchè la rappresentanza delle Usl | ||
Università | * Legge 537/93 | * Istruzione universitaria e attività di ricerca (indirizzo e sviluppo) | ||
Autorità di bacino | * Legge 183/89 | * Adotta criteri e metodi per l'elaborazione del Piano di bacino * Determina il piano di Bacino * Coordinamento dei piani di risanamento e tutela delle acque | ||
Fonte: elaborazione Censis su dati vari |
SVILUPPO DELLE AUTONOMIE FUNZIONALI | ||||
Ambiente | Sanità | Produzione | Produzione | Produzione |
Sanità | Produzione | Credito | Infrastrutture | Infrastrutture |
Credito | Infrastrutture | Credito | ||
Infrastrutture | Servizi locali | |||
Istruz. Universitaria | ||||
Servizi locali | ||||
Produzione | Ambiente | Sanità | Credito | |
Lavoro | Ambiente | Sanità | ||
Infrastrutture | Trasporto stradale | Istruz. universitaria | ||
Servizi locali | Lavoro | Servizi Locali | ||
Servizi locali | ||||
Credito | Assistenza | Sanità | Istruz. universitaria | Ambiente |
Istruz. superiore | Lavoro | Istruzione | Assistenza | |
Lavoro | ||||
Fonte: indagine Censis, 1996 |