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Impresa & Stato n°34

AUTONOMIE FUNZIONALI
A SOVRANITA' LIMITATA

di
GIUSEPPE ROMA

L'organizzazione "per competenza" dei poteri dello Stato
non può governare una società complessa.
Ma alle autonomie funzionali manca una vera autonomia manageriale.

Mai pericolo maggiore corrono in Italia le riforme quando godono di un'apparente unanimità d'accordo. Delle necessità di riservare maggiore spazio alle decisioni e ai poteri di livello locale sembrano tutti convinti. Eppure nonostante diversi governi si siano succeduti, comprendenti tecnici e l'intera gamma degli schieramenti parlamentari (Lega compresa), si fa fatica a immaginare un percorso credibile di riconversione dell'architettura statuale dal centralismo alla responsabilità decentrata. Poco condivisibile è la critica radicale che attribuisce l'inerzia solo ai poteri centrali, in particolare al Parlamento, che eserciterebbero una resistenza a oltranza nella difesa di prerogative e poteri di cui dovrebbero privarsi.
In questi ultimi anni sindaci e classe dirigente locale sono riusciti a rappresentare un riferimento di tipo nazionale, una forte presenza nella dialettica politica, mentre le stesse Regioni esercitano una rappresentanza di poteri addirittura eccedente la propria effettiva capacità di governare i processi reali dei propri territori.
Esiste, quindi, almeno sulla carta un "contro-potere" delle istituzioni decentrate che potrebbe dare indirizzo e maggiore spinta per una sostanziale modifica dell'organizzazione pubblica. Nei fatti, invece, il sovrapporsi di elementi disomogenei pur se riconducibili al rapporto centro-periferia, rende contraddittoria la base stessa di analisi e la puntualizzazione dei problemi da risolvere. Restano, infatti, in sospeso alcune questioni, afferenti al modello di funzionamento del settore pubblico:
- il rapporto fra Stato (in tutte le sue diverse articolazioni) e cittadino che è questione certamente legata all'autonomia dei poteri locali, ma è essa stessa un tema trasversale non necessariamente risolto da una nuova architettura di poteri;
- la gerarchia di responsabilità fra i diversi protagonisti cui dare un nuovo fondamento, per evitare, come già successo nel caso del decentramento regionale, che a un vertice romano se ne sostituiscano altri più molecolari ma egualmente sovrapposti e inefficienti;
- le differenziazioni territoriali, in termini di produzione delle risorse, di impiego della spesa pubblica e di ricostituzione di un pieno contesto di socialità per il benessere complessivo del Paese. Un modello istituzionale che procede dal basso valorizzando l'organizzazione sociale, imprenditoriale e politica ha la necessità di mettere al centro il cittadino, l'impresa, l'associazione. Il citizen care dovrà sostituire gradatamente la logica inquisitoria, che per gran parte caratterizza le relazioni burocratiche della sfera pubblica con un'impronta di servizio e di responsabilità reciproca fra chi eroga e chi utilizza prestazioni sociali.
È un processo che attiene alla drastica riduzione delle leggi, al rafforzamento dell'organizzazione rispetto alla gestione di procedure, all'introduzione di tecnologie. Un'amministrazione con meno giuristi e più ingegneri, uomini di comunicazione, più management e meno tecnocrazia. Pensare che i Comuni o gli altri enti siano esenti da queste problematiche sarebbe errato (basti pensare ai tempi per ottenere una decisione su concessioni edilizie o su interventi infrastrutturali). Tuttavia è questo un terreno di mutamento da non confondere con lo sviluppo di maggiori autonomie di livello locale.
Ma anche il secondo punto e cioè il riordino delle diverse istituzioni periferiche rappresenta una questione del tutto peculiare. Non c'è infatti un fronte unico, né tanto meno una precisa collocazione di ciascuno. Se partissimo dalle identità, resta ancora fortemente vincente la dimensione nazionale od europea, certamente non quella regionale, su cui prevale quella comunale e cittadina. Nell'ambito delle istituzioni decentrate non mancano contraddizioni e spaccature.

GEOMETRIA ASIMMETRICA E CONFUSA
Il movimento dei sindaci diverge dalle Regioni non riconoscendo nei fatti a esse una funzione di raccordo intermedio. Ma fra le città, le metropoli e le grandi aree urbane sono alquanto lontane dal rappresentare unitariamente i fabbisogni dei Comuni.
Le città medie, quelle più vitali ed efficienti, finiscono in una posizione di secondo piano, nella dialettica prevalente fra Stato centrale e città-metropoli. È una dinamica da cui tendono a essere estromesse le Province, nonostante che il loro minor sovraccarico di competenze in taluni casi risulti un elemento positivo nella capacità di promuovere ed aggregare le domande provenienti dal territorio.
Si tratta, comunque, di una geometria asimmetrica e in taluni casi confusa. Ancora oggi, infatti, non si può che registrare un'anomala ripartizione di poteri. Pensiamo alle attrezzature territoriali e alle infrastrutture. Grandi reti di interesse internazionale (ferroviarie, autostradali, etc.) possono essere oggi bloccate dal più piccolo dei Comuni attraversato da una linea di interconnessione a grande distanza. Ma allo stesso tempo i Ministeri continuano a pesare anche sulle decisioni più banali afferenti alle realtà locali. Si decide in sede ministeriale di piste ciclabili, metropolitane, parcheggi, tram, di recupero urbano, ma anche di scavo di fondali per l'efficienza dei porti, di restauri di monumenti e così via. Bisognerebbe molto più drasticamente conferire una piena responsabilità al Comune, per quanto attiene al suo sviluppo civile e urbanistico, fidando in una condivisa cultura di salvaguardia delle risorse ambientali, culturali e monumentali, ma anche in una più trasparente responsabilità di fronte ai cittadini. Nonostante la spinta dei sindaci, i Comuni restano sotto tutela, con un grave condizionamento alla loro efficienza. Infine, valorizzare la dimensione funzionale del decentramento non può che riverberarsi utilmente per la risoluzione del principale elemento di instabilità sociale e produttiva del Paese e cioè la marginalità che in Italia si esprime grandemente a livello territoriale. Uno Stato per molti versi ancora centralistico ed assistenziale nel suo concreto operare non è in grado di sostenere un processo di avvicinamento nei livelli di produzione fra Sud e Nord. Se, infatti, fra i parametri di convergenza europea ci fosse ad esempio anche il tasso di disoccupazione, le azioni per entrare in Europa dovrebbero riguardare proprio il Mezzogiorno dove si producono gli effetti di maggiore negatività.
È ormai verificata una incapacità di agire centralmente, mentre le uniche innovazioni derivano dall'autorganizzazione locale dei Patti territoriali o degli accordi d'area.
In un panorama ancora irrisolto di reinvenzione legislativa e di mutamento istituzionale, alcune prime conclusioni possono comunque essere tratte e in particolare:
- vince la responsabilità nell'azione amministrativa solo in quanto si dispieghi una reale autonomia degli attori pubblici;
- prevale l'efficienza ed anche la legittimazione sociale dell'organismo che opera con finalità pubblica solo in quanto si persegua l'ottenimento di concreti risultati, al di là del formalismo delle procedure;
- emergono innovazioni e miglioramenti nelle performance degli attori pubblici solo in quanto si valorizzano gli aspetti funzionali e non si applicano semplicemente le competenze derivanti da leggi o dal decentramento verso i poteri locali.
La logica delle autonomie funzionali sembra quindi l'unica possibile linea operativa per rinnovare completamente l'intervento pubblico. A partire dagli anni '90, infatti, assistiamo alla realizzazione di un nuovo modello di gestione di alcune importanti funzioni di tradizionale competenza pubblica: nell'economia, con la riforma delle Camere di Commercio; nel credito, dove una parte non secondaria delle iniziative socio-culturali di livello locale vede come protagonisti le Fondazioni bancarie nella loro accezione di operating foundation; nel sistema delle infrastrutture, dove alcuni dei nodi dove si sviluppa gran parte dell'attività logistica vengono gestiti da enti autonomi e responsabili di specifiche funzioni di sviluppo e management come aeroporti, porti, interporti; nella gestione delle risorse ambientali, dove nuove funzioni di coordinamento, integrazione e sviluppo sono state attribuite ad Autorità di bacino e agli Enti Parco; nella articolazione del sistema formativo-educativo con la recente attribuzione di autonomia alle Università e con il progetto per estendere tale principio alle unità scolastiche; nella sanità in cui è stata definitivamente sancita (con la recente riforma) la centralità delle Aziende sanitarie locali nella gestione di funzioni e servizi sanitari.
Lo scenario dei poteri appare quindi profondamente mutato con lo sviluppo della fitta rete di autonomie funzionali. Si affermano nuove reti di soggetti, dotati di autonomia e personalità giuridica, destinati a svolgere funzioni precedentemente di competenza delle istituzioni statali o locali. Il modello di distribuzione dei "poteri per competenza" e il processo di disarticolazione dello Stato non appaiono più in grado di garantire lo sviluppo di processi operativi sempre più stretti tra lo Stato, nelle sue diverse articolazioni amministrative, e le imprese, il mondo del lavoro e le diverse forme della convivenza collettiva.
Tuttavia se non c'è dubbio sul carattere innovativo del modello delle autonomie funzionali, la sua affermazione appare per certi versi ostacolata essenzialmente dalla sovrapposizione tra competenze amministrative attribuite ai diversi organismi e soprattutto dalla assenza di reali spazi di autonomia nel management della principale risorsa disponibile, ovvero quella del personale.
A questo si aggiunge, nella inevitabile proliferazione di centri decisionali (circa 120mila soggetti tra la dimensione centrale e periferica), la quasi totale assenza di strategie di indirizzo e coordinamento, che indebolisce quindi il ruolo stesso dell'innovazione introdotta.
Sul piano istituzionale, il modello di decentramento, che vede nella Regione il principale interlocutore nella riarticolazione dello Stato centralistico, subisce, proprio negli ultimi anni, un rapido processo di invecchiamento.
La Regione ha, in altre parole, riprodotto le stesse storture dello Stato "soggetto", essendo stata solo marginalmente interessata dal processo di innovazione istituzionale e ha finito, negli ultimi anni, per condividere la crisi dei modelli di gestione della Pubblica amministrazione e dei servizi di interesse collettivo.
Viene dunque a prefigurarsi una sovrapposizione tra due diverse logiche di Governo:
- quella legata al modello di decentramento e organizzata per enumerazione di competenze in cui tuttavia (anche per ragioni di vincoli nella spesa) non sono garantiti sempre e comunque gli strumenti adeguati allo sviluppo di specifiche funzioni;
- quella legata al modello delle autonomie organizzate per funzioni, che al contrario, pur registrando una maggiore vitalità ed efficienza, non dispongono dei poteri necessari per una piena libertà d'azione.
Facciamo ad esempio il caso delle Autorità portuali. Vi sono casi concreti (Venezia, Ancona, Livorno) dove l'adeguamento della infrastruttura conseguente all'attività promozionale degli enti è resa impossibile dal perdurante dominio dei ministeri "competenti" (Lavori Pubblici, Ambiente, Trasporti). L'Autorità gestisce con efficienza, promuove nuovi flussi di traffico, ma è limitata nella sua azione dalla competenza collocata altrove. Potrebbe operare in proprio, anche con propri fondi ma non può perché i poteri sono altrove.
C'è un secondo ordine di problemi che impedisce il pieno sviluppo delle autonomie funzionali e le sottopone ad una sorta di sovranità limitata. È questo il caso della scuola, della Università e della ASL laddove l'impossibilità di gestire in modo flessibile le risorse umane finisce per minarne l'efficienza.
Per avere un'idea di quale possa essere il peso di tale questione nello sviluppo delle autonomie funzionali è sufficiente rammentare il ruolo che il fattore "personale" ha assunto nel dibattito sull'autonomia delle istituzioni scolastiche forse in assoluto la prova più impegnativa per l'affermazione della nuova logica dello Stato-funzione. In un contesto in cui oltre il 97% delle risorse disponibili viene destinato alla copertura delle spese per il personale il processo di attribuzione di autonomia funzionaleappare decisamente più difficile. Analoga situazione pesa sul trasporto locale e sulle ASL.
Solo un'accentuazione dell'autonomia decisionale renderà possibile una parallela presa in carico di responsabilità da parte degli organismi pubblici.
Bisogna sfuggire dalle tentazioni neo-centralistiche, di semplificazione, quanto invece è opportuno fornire un costante riferimento e realizzare il monitoraggio del complesso affermarsi di modi diversi di operare. Il tentativo del Censis di approfondire una tematica peraltro sottoposta all'attenzione dell'opinione pubblica proprio dall'iniziativa della Camera di Commercio è stato quello di fissare una prima mappa per settori e livelli. L'attenzione passa ora alle strumentazioni legislative e istituzionali, tendenti non tanto a una ulteriore regolamentazione quanto alla abrogazione di vincoli e ostruzioni che impediscono il pieno dispiegamento dell'agire secondo prestazioni e funzioni di servizio al territorio, al cittadino e all'impresa.

AUTONOMIE FUNZIONALI IN ITALIA
Autonomie funzionali
Legge istitutiva
Funzioni
Possibili sovrapposizioni con:
Autonomia reale
Camere di Commercio (Cciaa) * Legge 580/93 * Funzioni amministrative e di promozione delle imprese
Regione
Alta
Fondazioni bancarie (Enti conferenti a struttura istituzionale) * Legge 218/90* Funzione di promozione di progetti di pubblica utilità
* Funzioni amministrative di Istituti e Società bancarie
Nessuna
Alta
Autorità portuali * Legge 84/94 . * Indirizzo programmazione e controllo attività portuali
* Manutenzione
* Affidamento e controllo attività portuali
Regione
Comuni
Alta
Aziende sanitarie locali * Legge 502/92
* Legge 517/93
* Tutti i poteri di gestione nonchè la rappresentanza delle Usl
Nessuna
Media
Università * Legge 537/93 * Istruzione universitaria e attività di ricerca (indirizzo e sviluppo)
Nessuna
Media
Autorità di bacino * Legge 183/89 * Adotta criteri e metodi per l'elaborazione del Piano di bacino
* Determina il piano di Bacino
* Coordinamento dei piani di risanamento e tutela delle acque
Regioni
Bassa
Fonte: elaborazione Censis su dati vari


SVILUPPO DELLE AUTONOMIE FUNZIONALI
Grado di decentramento
Grado di sviluppo
Autonomia gestionale
Coinvolgimento dei soggetti intermedi
Efficacia
AmbienteSanità ProduzioneProduzioneProduzione
SanitàProduzione CreditoInfrastruttureInfrastrutture
CreditoInfrastrutture Credito
InfrastruttureServizi locali
Istruz. Universitaria
Servizi locali
ProduzioneAmbiente SanitàCredito
Lavoro AmbienteSanità
Infrastrutture Trasporto stradaleIstruz. universitaria
Servizi locali LavoroServizi Locali
Servizi locali
CreditoAssistenzaSanità Istruz. universitariaAmbiente
Istruz. superioreLavoro IstruzioneAssistenza
Lavoro
Fonte: indagine Censis, 1996