Alcuni dati della ricerca potrebbero indurre a giudizi più
pessimistici del necessario sulla salute e la vitalità
del sistema imprenditoriale. Ma i dati vanno visti alla luce della
composizione del campione delle imprese, che comprende artigiani,
commercianti, piccoli industriali, terziario. Per esempio, il
fatto che "solo" il 20% delle imprese intervistate sia
entrato in rapporti di joint venture, tenendo presente
il campione, può essere valutato come un dato positivo.
Altri aspetti positivi sono il permanere della tendenza alla creazione
di nuove imprese e il ruolo della famiglia come luogo di stimolo,
di formazione culturale e valoriale che crea le condizioni per
l'inizio di una impresa. Positivo anche il fatto che il profitto
non sia più considerato l'obiettivo primario, ma una condizione,
necessaria, ma non sufficiente, da ottemperare per essere un buon
imprenditore; che il ruolo dell'imprenditore venga percepito come
agente generatore di ricchezza, e attore dello sviluppo del Paese.
Ciò indica una importante maturazione culturale. Emerge
anche una minoranza di imprenditori disposti ad assumersi responsabilità
in prima persona in campo politico-amministrativo. Anche questo
è un fatto nuovo e positivo, come pure l'atteggiamento
verso il ruolo dello Stato, la richiesta di una solidarietà
non da ridurre ma da rendere efficiente.
Forse il dato più importante è quello relativo alla
soddisfazione dell'imprenditore riguardo alla propria vita: un
indice elevato, che esprime fiducia e volontà positiva
nei confronti delle sfide della vita e della professione.
Vi sono tuttavia anche aspetti negativi. In particolare, la riduzione
delle possibilità di creazione di nuova impresa per chi
ha meno opportunità in termini culturali, familiari, di
risorse finanziarie. È un cambiamento preoccupante, dopo
un trentennio contrassegnato da una estrema vitalità imprenditoriale
non condizionata dallo status sociale. Significa che la
nostra società, invece di andare verso un modello di società
aperta alle opportunità, si sta chiudendo.
A mio avviso vi sono quattro fattori che oggi contribuiscono a
rendere più difficile la via imprenditoriale a chi non
parta da uno status sociale almeno medio.
Il primo è il problema del collegamento tra sistema educativo-formativo
e mondo del lavoro. Negli USA l'università è uno
dei fulcri principali dove nascono e si esprimono nuove figure
imprenditoriali. La ricerca applicata è estremamente diffusa
e sostenuta, spesso finanziata da aziende, e da Fondazioni. Gli
imprenditori escono dall'università o da scuole professionali.
Tutto ciò avviene in maniera molto remota in Italia. Il
secondo è di tipo finanziario. In molti altri Paesi il
venture capital è favorito dall'ambiente culturale,
finanziario, legislativo. È ritenuto normale e giusto che
un investitore venga adeguatamente remunerato per il rischio di
finanziare nuove idee, avventure imprenditoriali; perciò
è incentivato a farlo e il nuovo imprenditore può
accedere al capitale. In Italia il finanziamento dello start up
viene ancora troppo spesso solo dalla famiglia, o dai circuiti
delle amicizie; altrimenti è difficilissimo iniziare nuove
attività, soprattutto quelle manifatturiere che richiedono
investimenti iniziali elevati. E infatti la ricerca evidenzia
che proprio nelle attività manifatturiere si riduce il
numero di nuovi imprenditori. Il terzo è il rapporto con
la Pubblica amministrazione. Tutto è complicato e irrigidito,
ogni procedura ha un insieme di vincoli e di norme che si traducono
in costi; le sovrastrutture legislative, normative, burocratiche,
amministrative costituiscono una barriera per chi vorrebbe iniziare
un'attività imprenditoriale.
Infine c'è un problema generale di cultura. È scioccante
che metà degli intervistati, per esempio, dichiari di non
sapere lingue straniere. Come è possibile iniziare un'impresa
qualsiasi in un mercato globale dove occorre confrontarsi e interloquire
con tutto il mondo? C'è poi il problema culturale della
trasparenza nei confronti del mercato finanziario e delle banche,
della capacità di superare la dimensione familiare, dell'incapacità
di delegare ai collaboratori e così via. Se si vuole rivitalizzare
la creazione di nuove imprese, occorre agire soprattutto su queste
aree. Non occorre, d'altra parte, inventare nulla di nuovo, basta
prendere esempio da ciò che si fa nei Paesi vicini a noi:
per esempio in Spagna, dove è stato annunciato un piano
molto ben articolato per favorire il risparmio e l'investimento,
per risolvere il problema del passaggio generazionale dell'azienda,
per dare maggiore solidità patrimoniale alle piccole aziende,
per creare nuova occupazione; in Germania, dove il neo-imprenditore
trova in molte città uffici, strutture di appoggio, informazioni,
ricerche di mercato a un costo limitatissimo per un periodo di
alcuni mesi, per permettergli di partire con nuove attività;
o in Francia dove esistono agenzie per dare ai nuovi imprenditori,
soprattutto ai giovani, consulenza amministrativa e fiscale, per
l'impostazione dell'inizio dell'attività aziendale. Mi
piace ricordare ad esempio che la città di Parigi, per
incoraggiare lo spostamento delle imprese all'esterno dell'area
cittadina, ha favorito la creazione di consorzi fra i comuni circostanti
per realizzare aree industriali perfettamente attrezzate, gestite
privatisticamente anche se a controllo pubblico. Ogni consorzio
dispone di un suo BIC, un Parco scientifico tecnologico integrato
con l'Università della capitale, uno sportello unico per
i rapporti con la Pubblica amministrazione, ecc. Vi è
un ultimo punto che merita attenzione: il problema del passaggio
generazionale dell'azienda. In Italia è difficile trasmettere
l'azienda dai padri ai figli o mantenerne la solidità quando
ci sono più soci. Ecco perché molto spesso le aziende
si sfasciano o vengono vendute. In alcuni Paesi esistono regole
e strutture (Fondazioni, trust, ecc.) organismi e istituzioni
che permettono alle aziende una più serena continuità
nel tempo, valorizzando quanto di positivo c'è nell'azienda
familiare, e limitandone gli aspetti negativi: quali l'incapacità
di far crescere il management, di aprirsi al mercato, con le banche
e con la Borsa.
Se si vuole favorire la nascita di nuove imprese, non occorre
inventare nulla di nuovo: basta guardare cosa stanno facendo i
Paesi più dinamici, basta imparare dai nostri errori passati,
basta avere più fiducia nei nostri giovani e soprattutto
creare un contratto culturale, normativo ed economico affinché
la loro creatività, la loro propensione al rischio d'impresa,
la loro voglia di sacrificio per un progetto, possano esprimersi
al meglio.