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Impresa &Stato n°33

PMI milanesi ritorno all'utile

Struttura e performance economico-finanziaria delle piccole imprese manifatturiere milanesi.
Le piccole imprese ottengono una redditività più elevata delle imprese medie.
Una ricerca sui bilanci realizzata dall'Ufficio Studi della Camera di Commercio di Milano

di
Giorgio Giaccardi

Tra il 1993 e il 1994 l'industria manifatturiera milanese, come è ormai noto, ha riaggiustato i suoi conti, sfruttando le opportunità della ripresa congiunturale che ha iniziato a profilarsi a partire dal primo trimestre '94 e ritornando a conseguire un utile di bilancio. Con il ricorso all'analisi della contabilità generale, che l'Ufficio Studi ha svolto su un campione rappresentativo di 342 bilanci di società di capitali sotto i 500 dipendenti, questo risultato sintetico e riassuntivo può essere inscritto all'interno di una più ampia e articolata rappresentazione della struttura finanziaria e della performance economico-produttiva delle PMI manifatturiere milanesi nel biennio in esame, che la stratificazione del campione per fasce dimensionali e per ramo produttivo consente anche di declinare per le diverse classi di imprese esaminate.
Più nel dettaglio, le classi dimensionali considerate sono quelle della micro (1-19 dipendenti), della piccola (20-49 e 50-99) e della media impresa (100-499). La classificazione adottata a livello settoriale fa invece riferimento ai rami dell'industria manifatturiera individuati da Ateco81. Nel ramo 2 rientrano principalmente produzioni capital-intensive, a ciclo continuo ed elevata integrazione verticale (chimica, metallurgica). Il ramo 3 è composto da tutti i settori in cui si articola l'industria metalmeccanica (ad eccezione della siderurgia compresa nel ramo 2), dalle macchine utensili all'informatica, tendenzialmente caratterizzata da un buon livello di competitività internazionale e di redditività dei propri prodotti. Al ramo 4 appartiene invece per larga parte l'industria cosiddetta tradizionale (tessile, cuoio, abbigliamento, legno ecc.), a maggior intensità di lavoro e strategicamente più orientata alla compressione dei costi e allo sfruttamento di economie di scala.
I risultati di questa analisi, che esponiamo qui in forma sintetica facendo ricorso a una classica tipologia di indici di bilancio, portano in prima battuta a evidenziare tra le caratteristiche economico-produttive dell'industria manifatturiera milanese una crescita sostenuta del fatturato (+8,4%) e, in misura minore, del valore aggiunto (+4,6%), la cui incidenza sui ricavi risulta però in diminuzione, portandosi dal 28,6% al 27,6%.
Se il primo fenomeno è facilmente contestualizzabile nel quadro generale di ripresa congiunturale - assumendo peraltro dimensioni più ridotte rispetto ad altre aree territoriali come il Nord Ovest (+18%, senza Milano) e il Triveneto (+14%) - il secondo evidenzia una tendenza, leggibile in tutti i settori e in tutte le classi dimensionali considerate, verso una progressiva erosione del valore creato all'interno dell'impresa a vantaggio di quello distribuito ai fornitori di input del ciclo produttivo. L'incidenza del valore aggiunto sul valore prodotto al 1994 risulta dal nostro campione inversamente proporzionale alla dimensione, variando dal 29% delle microimprese al 26% delle medie, e risente ovviamente delle differenze strutturali tra settori, dal 31,4% dell'industria a ciclo continuo ed elevata integrazione verticale (ramo 2) al 25,8% di quella manifatturiera più tradizionale (ramo 4), mentre la riduzione più significativa di questo indice si ha tra il 1993 e il 1994 nel ramo metalmeccanico (-1,8 punti percentuali).

MEDIA IMPRESA, PIU' OUTSOURCING
Nella misura in cui è plausibile assumere il valore aggiunto come proxy dell'integrazione verticale dell'impresa e - in termini inversamente proporzionali - del ricorso a processi di decentramento/outsourcing, se ne può quindi dedurre che questi ultimi fenomeni, comuni a tutta la struttura industriale milanese, risultano particolarmente accentuati da un lato nella media impresa, per la quale probabilmente l'outsourcing risponde in buona parte a finalità strategiche di medio-lungo termine che prevedono la conservazione al proprio interno del core-business e l'esternalizzazione a fornitori specializzati delle altre attività (Milano produttiva, 1995), dall'altro nell'impresa pressata dalla concorrenza di prezzo delle produzioni labour-intensive dei NICs, che verosimilmente ricorre al decentramento (anche negli stessi NICs) di alcune fasi del ciclo produttivo per perseguire soprattutto obiettivi a breve termine di riduzione dei costi.
Peraltro, accanto alla lettura della dinamica del rapporto valore aggiunto/fatturato in termini di variazione del ricorso al decentramento, occorre considerare anche un altro fattore in grado di spiegare il valore assunto da questo indicatore, ovvero quantità e prezzi delle materie prime acquistate. A questo proposito, l'analisi delle voci più significative dei costi di produzione consente di quantificare con maggior precisione la rilevanza di queste due determinanti dell'andamento del valore aggiunto all'interno delle diverse classi di imprese.
Nel 1994, il valore della voce "servizi e godimento di beni di terzi" (determinato in larga parte dai servizi produttivi acquistati all'esterno) incide per quasi il 33% sui ricavi nel ramo 4 (a fronte di un 18,5% di incidenza del costo del lavoro "interno") contro il 19,1% e il 20,1% dei rami 2 e 3, mostrandosi inoltre stazionario rispetto al 1993 nel ramo 4 a fronte invece di una riduzione negli altri settori. Nell'impresa media, inoltre, questo rapporto risulta pari al 30,4% (+0,4% rispetto al 1993), decisamente superiore ai valori assunti nelle altre classi dimensionali (compresi tra il 18 e il 25% e in calo tra i due esercizi). Dunque, si verifica effettivamente che la media impresa e i settori più tradizionali rappresentano le classi di imprese nelle quali la limitata e decrescente incidenza del valore aggiunto sul fatturato è più riconducibile ai sopra ricordati processi di decentramento/outsourcing, mentre negli altri rami produttivi e nelle micro e piccole imprese essi risultano utilizzati in misura inferiore e decrescente.

MATERIE PRIME PIU' CARE
Accanto a queste disomogeneità nel ricorso al decentramento, che si accentuano ulteriormente tra il 1993 e il 1994 e che nel loro insieme producono comunque una lieve contrazione dell'incidenza del fenomeno (dal 25,9% al 25,4%), la riduzione della quota di valore prodotta internamente risente in maniera generalizzata del secondo fattore che abbiamo ricordato, e cioè il forte incremento sul fatturato del peso degli acquisti di materie prime. Questo indice si aggrava per tutte le classi di imprese, passando mediamente dal 45 al 48,4%, e raggiungendo livelli più critici nelle imprese metalmeccaniche appartenenti al ramo 3 (53,4%, +3,3 punti percentuali) e nelle piccole imprese tra i 20 e i 50 dipendenti (55,7%, +3,6 punti percentuali). Il deprezzamento della valuta italiana, che come è noto ha avuto inizio con l'uscita dallo SME nel 1992, ha probabilmente concorso a peggiorare in queste imprese la struttura dei costi e quindi a ridurre più significativamente la quota di valore aggiunto sulla ricchezza prodotta.
Per quanto riguarda l'apporto del fattore lavoro alla creazione della ricchezza di impresa, esso risulta in forte crescita per l'effetto combinato dell'incremento della produttività per addetto (+6% in termini di valore aggiunto pro capite) e del contenimento della dinamica del costo del lavoro per dipendente (+1,1%), oltre che della riduzione stessa degli organici. Andamenti di intensità difforme dalla media si possono osservare nel ramo 4, dove l'incremento di produttività misurato dal rapporto valore aggiunto/costo del lavoro è stato più limitato (+2,5%) rispetto alla media complessiva, ma che mantiene comunque il valore più elevato di questo indicatore, e nella microimpresa (sotto i 20 addetti), che beneficiando di un costo del lavoro pro capite del 22% inferiore a quello della media presenta le performance migliori in termini di produttività del lavoro così misurata. Nel suo complesso, l'industria milanese sembra convalidare sulla base di questi risultati alcune delle riflessioni già consolidate per l'economia italiana relativamente alla perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni dei lavori dipendenti, alla dinamica della produttività del lavoro superiore a quella della produzione e alla misura limitata della traduzione in incrementi monetari per i lavoratori degli incrementi di produttività conseguiti. Tutto questo costituisce una conferma empirica del fatto che gli accordi di politica dei redditi del luglio '93 hanno effettivamente calmierato il costo del lavoro e consentito forti incrementi di produttività anche alle imprese manifatturiere milanesi, favorendo il rafforzamento della competitività sui mercati internazionali non meno di quanto abbia consentito il deprezzamento della lira (dagli esiti peraltro ambigui, come si è visto dal dato sul sensibile aumento dell'incidenza dei costi delle materie prime), e comportando comunque un onere principalmente a carico del fattore lavoro.

IMPRESA SNELLA CORRE DI PIU'
Il rapporto tra capitale investito e fatturato generato è elevato e crescente, come testimonia la sua alta velocità di circolazione, ma si nota anche una riduzione dell'incidenza dell'investimento in macchinari e tecnologie sul totale del capitale aziendale (dal 20,2% al 19,8%), che può forse lasciare qualche dubbio sulla velocità o l'intensità dell'irrobustimento dell'apparato produttivo. Segnali positivi emergono invece da alcuni indicatori che misurano aspetti della trasformazione organizzativa in atto nella direzione stilizzata dal pattern dell'impresa snella e della lean production. La velocità di rotazione del capitale investito (che è misurata dal rapporto tra ricavi e capitale investito, e che indica la capacità dell'impresa di far fruttare quest'ultimo in termini di generazione di fatturato) risulta in crescita in ogni classe dimensionale ma soprattutto nella microimpresa. In quest'ultima, infatti, l'indice passa da 1,18 a 1,24, e la velocità di rotazione del solo capitale circolante balza all'1,74, con un incremento di 0,09 punti percentuali a fronte di variazioni nelle altre classi dimensionali contenute entro 0,03 p.p. A livello settoriale l'unico segnale negativo proviene dal ramo 2 (siderurgia e chimica), dove entrambi gli indicatori si riducono sensibilmente, pur restando comunque al di sopra dei convenzionali livelli di guardia.

PIU' VELOCI DAL MAGAZZINO AL MERCATO
Aumenta inoltre la velocità di rotazione del magazzino di materie prime. Si tratta di un indice particolarmente adeguato per valutare il grado di alleggerimento della struttura produttiva e la capacità di adeguamento a modelli organizzativi ispirati alla logica del just in time, che comporta - come è noto - una continua "tensione" verso la riduzione dei punti di discontinuità all'interno del ciclo produttivo, siano essi i magazzini - che fungono da polmoni dove stazionano materiali e merci prima di essere immessi nel ciclo produttivo e sul mercato - o i tempi di inattività e di mancata saturazione degli uomini e delle macchine. L'indice in questione (misurato dal rapporto tra consumi di materie prime e valore del magazzino di materie prime) sale da 5,76 a 6,33 (con una conseguente riduzione della giacenza media di magazzino da 63 a 58 giorni), mostrando un peggioramento solo nel ramo 2.
Anche l'indice di rotazione del magazzino di prodotti finiti (valore produzione/magazzino prodotti finiti) segna un andamento positivo comune a tutti i settori, passando nel complesso da 11,62 a 12,30, con una riduzione della giacenza media da 31 a 29 giorni. Dunque, una razionalizzazione che garantisce una riduzione significativa del tempo di attraversamento complessivo del prodotto, incidendo sia a monte sul magazzino materie prime e quindi sul rapporto con i fornitori - sempre più improntato a una pressione sulla consegna rapida e frequente degli inputs produttivi - che a valle sul magazzino prodotti finiti e il rapporto con il cliente finale, più incentrato sull'effettiva e diversificata domanda di beni da parte di quest'ultimo e quindi meno compatibile con la produzione a magazzino di grossi lotti di produzione standardizzati.

PICCOLI E SOTTOCAPITALIZZATI
La struttura finanziaria appare più solida al crescere della dimensione dell'impresa, mentre la microimpresa (tra 1 e 19 dipendenti) mostra ancora un'evidente sottocapitalizzazione: in essa infatti si riscontra non solo il rapporto più sfavorevole tra mezzi di terzi e mezzi propri (3,7), ma anche una tendenziale stazionarietà a fronte invece del miglioramento intervenuto tra i due esercizi nelle altre classi di imprese. L'analisi effettuata porta comunque a ridimensionare, o quantomeno a ridefinire questo tipo di criticità. Integrando argomentazioni di natura teorica al supporto empirico offerto da alcuni risultati di bilancio, infatti, si può ritenere che il patrimonio netto della microimpresa sottostimi l'effettiva disponibilità di mezzi propri, che si potrebbe estendere anche a quel "capitale surrettizio" - alimentato da fattori di convenienza fiscale - fornito dai soci mediante prestiti obbligazionari e non o con il ricorso a operazioni triangolari (costituzione in pegno presso le banche di titoli di stato di proprietà dei soci a fronte della concessione di finanziamenti). Queste considerazioni portano quindi a focalizzare il problema finanziario per la microimpresa milanese - limitatamente alle S.p.A. e S.r.l. - non tanto in termini di squilibrio patrimoniale o di costo complessivo dell'indebitamento (che scende dal 9 al 7,6%), quanto piuttosto di difficoltà nell'accesso al capitale di rischio, che, se anche non risulta particolarmente penalizzante nel breve termine, costituisce un limite oggettivo alle strategie di crescita di questa classe di imprese.
Nell'insieme delle PMI manifatturiere locali, peraltro, si profila un deciso miglioramento della situazione finanziaria, sia in termini quantitativi complessivi (riduzione dell'indebitamento totale e di quello verso le banche) che di composizione del debito (allungamento della scadenza del debito oneroso). In primo luogo, questo consente una forte riduzione degli oneri finanziari tra i due esercizi (-21%), la cui incidenza sul fatturato si riduce dal 4,8% al 3,5%. Inoltre migliorano gli indici di copertura propria (patrimonio netto/ immobilizzazioni) - e totale (patrimonio netto + passività a lungo/immobilizzazioni). Essi esprimono il grado di equilibrio tra scadenza degli impieghi e delle fonti, evidenziando la capacità delle imprese di finanziare con mezzi propri la struttura fissa, o viceversa la necessità di ricorrere a tal fine all'indebitamento a lungo o a breve, con conseguente aumento - specie nel secondo caso - degli oneri finanziari ed erosione della liquidità. Per tutte le classi dimensionali (tranne una lieve contrazione nelle imprese tra i 50 e i 100 addetti), entrambi gli indicatori registrano tra i due esercizi un incremento, mentre a livello settoriale si registra una riduzione dell'indice di copertura totale nel ramo 3 e un deciso aumento nel ramo 4, l'unico a essere riuscito a conseguire un allungamento nella composizione temporale del debito.

SONO PICCOLA, PAGO DOPO
La liquidità delle PMI milanesi risente positivamente di un incremento delle attività correnti in misura superiore a quello delle passività a breve, rafforzando così la capacità di soddisfare l'indebitamento a breve senza la necessità di ricorrere a dismissioni di capitale immobilizzato. Essa assume valori direttamente proporzionali alla dimensione di impresa, ma il gap tra micro e media si riduce tra i due esercizi, e anzi risulta più favorevole alla prima se tra le attività correnti si considerano solo le risorse liquide e non invece il magazzino (molto più "pesante" nella media che nella microimpresa).
Sulla disponibilità di liquidità incide anche la capacità finanziaria di gestire in maniera efficace il rapporto con clienti e fornitori, in termini di equilibrio tra la dilazione temporale della riscossione dei crediti e quella del pagamento dei debiti di natura commerciale. Nell'insieme delle imprese esaminate i due valori si trovano nel 1993 molto vicini (circa 95 giorni medi per la riscossione dei crediti e poco meno di 97 per il pagamento dei debiti); nel 1994 calano entrambi, evidenziando così una riduzione del tempo medio di risoluzione delle situazioni creditorie e debitorie di natura commerciale o - in altre parole - una maggior pressione tra i vari soggetti della catena fornitore-cliente per poter incrementare la propria liquidità, ma al tempo stesso si divarica leggermente la forbice tra il tempo medio di riscossione dei crediti e quello di saldo dei debiti, con un peggioramento quindi dell'effetto netto delle due tendenze.
Osservando il fenomeno per classi di imprese, emerge in maniera piuttosto inaspettata che lo scarto tra l'indice di dilazione ai clienti e quello ai fornitori è molto più favorevole alle piccole che alle medie imprese, dal momento che fino ai 100 dipendenti risulta sempre maggiore la dilazione ottenuta dalle imprese per il pagamento dei debiti ai fornitori rispetto al tempo atteso per l'incasso dei crediti commerciali. La microimpresa, in particolare, mostra il saldo più vantaggioso, dato che, a fronte di un prevedibilmente basso indice di dilazione sui debiti di fornitura (69 giorni), che riflette lo scarso potere contrattuale del piccolo produttore nei confronti dei fornitori, riesce a farsi liquidare dai clienti in tempi decisamente brevi (48,6 giorni). Man mano che la dimensione aumenta, mentre non risultano andamenti univoci della dilazione ottenuta da parte dei fornitori (che aumenta fino ai 100 dipendenti per poi ridursi nella media impresa), si allungano invece costantemente i tempi di riscossione dei crediti commerciali, con un forte salto di continuità tra la microimpresa e le altre, fino ad arrivare ai 106,5 giorni della media impresa, che è poi l'unica a veder peggiorare tra il 1993 e il 1994 il saldo tra i due indici. Il segnale che si può trarre sulla base di questi dati di bilancio non è quindi di univoca lettura. Se da un lato si potrebbero infatti inferirne difficoltà maggiori per le medie imprese a riscuotere i crediti commerciali, dall'altro si potrebbero ipotizzare, da parte di queste ultime, scelte strategiche di natura commerciale più orientate alla concessione di lunghi termini di pagamento ai clienti, laddove la microimpresa si troverebbe in qualche modo costretta a premere su tempi rapidi di pagamento da parte dei clienti per fronteggiare le esigenze di liquidità, di fronte ad una scadenza del debito verso i fornitori molto ridotta e, tra il 1993 e il 1994, in ulteriore contrazione (da 78,6 a 68,8 giorni). Resta comunque un dato di fatto il maggior vantaggio che la microimpresa manifatturiera milanese trae rispetto a quella media in termini di liquidità, per effetto della gestione delle scadenze dei crediti e dei debiti commerciali. In netto recupero infine la redditività, che mostra però risultati significativamente diversi nelle varie gestioni. L'attività caratteristica (cioè la produzione) genera un risultato positivo ma stazionario tra i due esercizi in rapporto al fatturato (il Ros si attesta sul 5%), dato che l'incremento dei prezzi delle materie prime ha mediamente neutralizzato i vantaggi della riduzione relativa del costo del lavoro, rivelandosi inoltre nel 1994 inversamente proporzionale alla dimensione di impresa. Anche misurando la redditività della gestione caratteristica in rapporto al capitale investito in essa (Roi caratteristico), il miglioramento presenta un'entità solo leggermente superiore (dal 6,15% al 6,5%) e legata alla ridotta dinamica degli investimenti in immobilizzazioni tecniche che incide negativamente sul denominatore. Questi risultati presentano poi differenze significative tra le diverse classi di imprese. A livello dimensionale, nel 1994 si manifesta una capacità di generare reddito operativo inversamente proporzionale alla dimensione di impresa, che per il Ros scende progressivamente dal 6,15 della microimpresa al 3,82 della media, e per il Roi caratteristico dal 7,9 al 5,6.

ROE-ROI: MEGLIO I BOT
La differenza è spiegata soprattutto dal maggior ricorso della media impresa al mercato per l'acquisto di servizi produttivi, che come abbiamo visto ne comprime il valore aggiunto, mentre il monte salari incide allo stesso modo sui ricavi nella media e nella micro impresa, anche se in quest'ultima è molto più basso il costo del lavoro pro capite. A livello settoriale, invece la redditività operativa maggiore si rileva nell'industria chimica e siderurgica, avvantaggiata in questo senso da una forte integrazione verticale, e nelle imprese a più basso valore aggiunto dell'alimentare, tessile, abbigliamento ecc. (ramo 4) nelle quali è soprattutto il ridotto costo del lavoro a determinare una redditività operativa superiore a quella delle imprese metalmeccaniche.
Al contrario, il risultato operativo - che include gli effetti della gestione non caratteristica, e che vede crescere la sua incidenza sul fatturato dal 4,9% al 5,6% - risulta migliore nella media impresa (5,9% in crescita) che nella micro (4,3% in calo). Il vantaggio della media impresa in termini di gestione non caratteristica è dovuto soprattutto ai maggiori ricavi atipici e agli elevati investimenti finanziari effettuati (8,7% dell'attivo contro il 3,6% della microimpresa), grazie ai quali ottiene proventi finanziari pari all'1,5% del fatturato contro lo 0,9% della microimpresa. La peggiore performance della gestione extracaratteristica nella microimpresa è inoltre legata alla forte incidenza sul fatturato degli "oneri diversi di gestione", pari al 3,9% contro il 2,3-2,4% della piccola impresa e lo 0,8% della media. Dal momento che normalmente la maggior parte di questa voce di spesa riguarda i compensi agli amministratori e agli altri organi direttivi e di controllo, se ne può inferire che più la dimensione dell'impresa è piccola, maggiore è la quota di ricchezza distribuita a questi ultimi. Questo risultato, peraltro intuitivo dato che è del tutto plausibile che operi una sorta di economia di scala gestionale che riduce l'incidenza dei costi di amministrazione all'aumentare della dimensione, renderebbe meno significativa e meno problematica l'inferiorità del Roi complessivo presso la microimpresa; poiché infatti al suo interno le figure di amministratore e socio spesso coincidono, l'assenza di redditività della gestione non caratteristica può nascondere in parte una distribuzione di utili sotto forma di compensi agli amministratori.
L'utile netto, infine, torna in tutte le classi di imprese a essere positivo, ma in rapporto al capitale investito dai soci determina un rendimento (misurato dal Roe) che, se risulta in crescita grazie alla riduzione dell'indebitamento, degli oneri finanziari e al miglioramento del Roi, appare ancora troppo basso (3,1%) per essere competitivo con altre forme di investimento. I migliori risultati sono comunque messi a segno dalla piccola impresa tra i 20 e i 50 dipendenti, mentre nella media (100-500 dipendenti) il Roe è quasi nullo e nella micro molto basso (anche per le ragioni appena ricordate relativamente a forme alternative di remunerazione dei soci-amministratori).


Tab.1 - Indici economico-produttivi
1993
1994
Var %
Valore produzione/dipendenti
254.840.608
283.735.289
11,3
Valore aggiunto/dipendenti
72.008.110
76.311.764
6,0
Valore aggiunto/valore prodotto
28,6
27,3
-4,6
Valore aggiunto/costo del lavoro
1,39
1,45
4,0
Costo del lavoro/dipendenti
54.197.879
54.780.548
1,1
Costo del lavoro/ricavi(%)
20,5
19,1
-7,2
Immobilizz. Materiali/tot. Attivo(%)
20,2
19,8
-2,3
Immobilizz. materiali/dipendenti
43.180.724
45.008.001
4,2
Valore produzione/magazzino
prodotti finiti e semilavorati
11,62
12,30
5,8
Consumi materie prime/magazzino materie prime
5,76
6,33
9,9
Ricavi/tot. attivo
1,18
1,22
2,9
Ricavi/circolante
1,67
1,70
1,8
Fonte: elaborazione Ufficio Studi CCIAA Milano su dati Cerved


Tab.2 - Indici di struttura finanziaria e di liquidità
Struttura finanziaria
1993
1994
Var %
Patrimonio netto/tot.passivo (%)
21,5
24,8
15,5
Mezzi di terzi/tot.passivo (%)
78,5
75,2
-4,2
Debiti/tot.passivo(%)
68,0
65,4
-3,9
Mezzi di terzi/patrimonio netto
3,66
3,03
-17,1
Debiti verso banche/tot. debiti(%)
28,8
28,2
-2,1
Debiti finanziari/patrimonio netto
2,13
1,75
-17,9
Patrimonio netto/tot.immobilizzazioni
0,78
0,91
16,6
(Patr.netto + pass.a lungo)/immobilizzazioni
1,22
1,28
5,6
Immobil.finanz. in titoli/tot.immobilizzazioni(%)
3,8
4,0
4,7
Liquidità
1993
1994
Var %
Attivo corrente/passivo a breve
1,22
1,26
2,5
Liquidità/passivo a breve
0,87
0,90
3,4
(Crediti clienti/ricavi)*365
95,1
92,8
-2,4
(Debiti fornitori/acquisti materie prime e servizi)*365
96,9
89,2
-8,0
Fonte: elaborazione Ufficio Studi CCIAA Milano su dati Cerved


Tab.3 - Indici di redditività
1993
1994
Var %
ROS (%)
4,90
5,01
2,3
Ricavi/capitale inv. nell'attività caratteristica
1,25
1,29
3,4
ROI gestione caratteristica (%)
6,14
6,49
5,7
ROI area finanziaria (%)
nd
23,8
nd
ROI totale (%)
5,8
6,9
18,7
ROD (%)
12,5
9,9
-21,0
ROE (%)
-6,4
3,1
Utile netto/reddito operativo (%)
-23,6
11,3
Cash flow
39.149.553.201
85.021.073.222
117,2
Fonte: elaborazione Ufficio Studi CCIAA Milano su dati Cerved