Tra il 1993 e il 1994 l'industria manifatturiera milanese, come
è ormai noto, ha riaggiustato i suoi conti, sfruttando
le opportunità della ripresa congiunturale che ha iniziato
a profilarsi a partire dal primo trimestre '94 e ritornando a
conseguire un utile di bilancio. Con il ricorso all'analisi della
contabilità generale, che l'Ufficio Studi ha svolto su
un campione rappresentativo di 342 bilanci di società di
capitali sotto i 500 dipendenti, questo risultato sintetico e
riassuntivo può essere inscritto all'interno di una più
ampia e articolata rappresentazione della struttura finanziaria
e della performance economico-produttiva delle PMI manifatturiere
milanesi nel biennio in esame, che la stratificazione del campione
per fasce dimensionali e per ramo produttivo consente anche di
declinare per le diverse classi di imprese esaminate.
Più nel dettaglio, le classi dimensionali considerate sono
quelle della micro (1-19 dipendenti), della piccola (20-49 e 50-99)
e della media impresa (100-499). La classificazione adottata a
livello settoriale fa invece riferimento ai rami dell'industria
manifatturiera individuati da Ateco81. Nel ramo 2 rientrano principalmente
produzioni capital-intensive, a ciclo continuo ed elevata
integrazione verticale (chimica, metallurgica). Il ramo 3 è
composto da tutti i settori in cui si articola l'industria metalmeccanica
(ad eccezione della siderurgia compresa nel ramo 2), dalle macchine
utensili all'informatica, tendenzialmente caratterizzata da un
buon livello di competitività internazionale e di redditività
dei propri prodotti. Al ramo 4 appartiene invece per larga parte
l'industria cosiddetta tradizionale (tessile, cuoio, abbigliamento,
legno ecc.), a maggior intensità di lavoro e strategicamente
più orientata alla compressione dei costi e allo sfruttamento
di economie di scala.
I risultati di questa analisi, che esponiamo qui in forma sintetica
facendo ricorso a una classica tipologia di indici di bilancio,
portano in prima battuta a evidenziare tra le caratteristiche
economico-produttive dell'industria manifatturiera milanese
una crescita sostenuta del fatturato (+8,4%) e, in misura minore,
del valore aggiunto (+4,6%), la cui incidenza sui ricavi risulta
però in diminuzione, portandosi dal 28,6% al 27,6%.
Se il primo fenomeno è facilmente contestualizzabile nel
quadro generale di ripresa congiunturale - assumendo peraltro
dimensioni più ridotte rispetto ad altre aree territoriali
come il Nord Ovest (+18%, senza Milano) e il Triveneto (+14%)
- il secondo evidenzia una tendenza, leggibile in tutti i settori
e in tutte le classi dimensionali considerate, verso una progressiva
erosione del valore creato all'interno dell'impresa a vantaggio
di quello distribuito ai fornitori di input del ciclo produttivo.
L'incidenza del valore aggiunto sul valore prodotto al 1994 risulta
dal nostro campione inversamente proporzionale alla dimensione,
variando dal 29% delle microimprese al 26% delle medie, e risente
ovviamente delle differenze strutturali tra settori, dal 31,4%
dell'industria a ciclo continuo ed elevata integrazione verticale
(ramo 2) al 25,8% di quella manifatturiera più tradizionale
(ramo 4), mentre la riduzione più significativa di questo
indice si ha tra il 1993 e il 1994 nel ramo metalmeccanico (-1,8
punti percentuali).
MEDIA IMPRESA, PIU' OUTSOURCING
Nella misura in cui è plausibile assumere il valore aggiunto
come proxy dell'integrazione verticale dell'impresa e -
in termini inversamente proporzionali - del ricorso a processi
di decentramento/outsourcing, se ne può quindi dedurre
che questi ultimi fenomeni, comuni a tutta la struttura industriale
milanese, risultano particolarmente accentuati da un lato nella
media impresa, per la quale probabilmente l'outsourcing
risponde in buona parte a finalità strategiche di medio-lungo
termine che prevedono la conservazione al proprio interno del
core-business e l'esternalizzazione a fornitori specializzati
delle altre attività (Milano produttiva, 1995), dall'altro
nell'impresa pressata dalla concorrenza di prezzo delle produzioni
labour-intensive dei NICs, che verosimilmente ricorre al
decentramento (anche negli stessi NICs) di alcune fasi del ciclo
produttivo per perseguire soprattutto obiettivi a breve termine
di riduzione dei costi.
Peraltro, accanto alla lettura della dinamica del rapporto valore
aggiunto/fatturato in termini di variazione del ricorso al decentramento,
occorre considerare anche un altro fattore in grado di spiegare
il valore assunto da questo indicatore, ovvero quantità
e prezzi delle materie prime acquistate. A questo proposito, l'analisi
delle voci più significative dei costi di produzione consente
di quantificare con maggior precisione la rilevanza di queste
due determinanti dell'andamento del valore aggiunto all'interno
delle diverse classi di imprese.
Nel 1994, il valore della voce "servizi e godimento di beni
di terzi" (determinato in larga parte dai servizi produttivi
acquistati all'esterno) incide per quasi il 33% sui ricavi nel
ramo 4 (a fronte di un 18,5% di incidenza del costo del lavoro
"interno") contro il 19,1% e il 20,1% dei rami 2 e 3,
mostrandosi inoltre stazionario rispetto al 1993 nel ramo 4 a
fronte invece di una riduzione negli altri settori. Nell'impresa
media, inoltre, questo rapporto risulta pari al 30,4% (+0,4% rispetto
al 1993), decisamente superiore ai valori assunti nelle altre
classi dimensionali (compresi tra il 18 e il 25% e in calo tra
i due esercizi). Dunque, si verifica effettivamente che la media
impresa e i settori più tradizionali rappresentano le classi
di imprese nelle quali la limitata e decrescente incidenza del
valore aggiunto sul fatturato è più riconducibile
ai sopra ricordati processi di decentramento/outsourcing,
mentre negli altri rami produttivi e nelle micro e piccole imprese
essi risultano utilizzati in misura inferiore e decrescente.
MATERIE PRIME PIU' CARE
Accanto a queste disomogeneità nel ricorso al decentramento,
che si accentuano ulteriormente tra il 1993 e il 1994 e che nel
loro insieme producono comunque una lieve contrazione dell'incidenza
del fenomeno (dal 25,9% al 25,4%), la riduzione della quota di
valore prodotta internamente risente in maniera generalizzata
del secondo fattore che abbiamo ricordato, e cioè il forte
incremento sul fatturato del peso degli acquisti di materie prime.
Questo indice si aggrava per tutte le classi di imprese, passando
mediamente dal 45 al 48,4%, e raggiungendo livelli più
critici nelle imprese metalmeccaniche appartenenti al ramo 3 (53,4%,
+3,3 punti percentuali) e nelle piccole imprese tra i 20 e i 50
dipendenti (55,7%, +3,6 punti percentuali). Il deprezzamento della
valuta italiana, che come è noto ha avuto inizio con l'uscita
dallo SME nel 1992, ha probabilmente concorso a peggiorare in
queste imprese la struttura dei costi e quindi a ridurre più
significativamente la quota di valore aggiunto sulla ricchezza
prodotta.
Per quanto riguarda l'apporto del fattore lavoro alla creazione
della ricchezza di impresa, esso risulta in forte crescita per
l'effetto combinato dell'incremento della produttività
per addetto (+6% in termini di valore aggiunto pro capite) e del
contenimento della dinamica del costo del lavoro per dipendente
(+1,1%), oltre che della riduzione stessa degli organici. Andamenti
di intensità difforme dalla media si possono osservare
nel ramo 4, dove l'incremento di produttività misurato
dal rapporto valore aggiunto/costo del lavoro è stato più
limitato (+2,5%) rispetto alla media complessiva, ma che mantiene
comunque il valore più elevato di questo indicatore, e
nella microimpresa (sotto i 20 addetti), che beneficiando di un
costo del lavoro pro capite del 22% inferiore a quello della media
presenta le performance migliori in termini di produttività
del lavoro così misurata. Nel suo complesso, l'industria
milanese sembra convalidare sulla base di questi risultati alcune
delle riflessioni già consolidate per l'economia italiana
relativamente alla perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni
dei lavori dipendenti, alla dinamica della produttività
del lavoro superiore a quella della produzione e alla misura limitata
della traduzione in incrementi monetari per i lavoratori degli
incrementi di produttività conseguiti. Tutto questo costituisce
una conferma empirica del fatto che gli accordi di politica dei
redditi del luglio '93 hanno effettivamente calmierato il costo
del lavoro e consentito forti incrementi di produttività
anche alle imprese manifatturiere milanesi, favorendo il rafforzamento
della competitività sui mercati internazionali non meno
di quanto abbia consentito il deprezzamento della lira (dagli
esiti peraltro ambigui, come si è visto dal dato sul sensibile
aumento dell'incidenza dei costi delle materie prime), e comportando
comunque un onere principalmente a carico del fattore lavoro.
IMPRESA SNELLA CORRE DI PIU'
Il rapporto tra capitale investito e fatturato generato è
elevato e crescente, come testimonia la sua alta velocità
di circolazione, ma si nota anche una riduzione dell'incidenza
dell'investimento in macchinari e tecnologie sul totale del capitale
aziendale (dal 20,2% al 19,8%), che può forse lasciare
qualche dubbio sulla velocità o l'intensità dell'irrobustimento
dell'apparato produttivo. Segnali positivi emergono invece da
alcuni indicatori che misurano aspetti della trasformazione organizzativa
in atto nella direzione stilizzata dal pattern dell'impresa
snella e della lean production. La velocità di rotazione
del capitale investito (che è misurata dal rapporto tra
ricavi e capitale investito, e che indica la capacità dell'impresa
di far fruttare quest'ultimo in termini di generazione di fatturato)
risulta in crescita in ogni classe dimensionale ma soprattutto
nella microimpresa. In quest'ultima, infatti, l'indice passa da
1,18 a 1,24, e la velocità di rotazione del solo capitale
circolante balza all'1,74, con un incremento di 0,09 punti percentuali
a fronte di variazioni nelle altre classi dimensionali contenute
entro 0,03 p.p. A livello settoriale l'unico segnale negativo
proviene dal ramo 2 (siderurgia e chimica), dove entrambi gli
indicatori si riducono sensibilmente, pur restando comunque al
di sopra dei convenzionali livelli di guardia.
PIU' VELOCI DAL MAGAZZINO AL MERCATO
Aumenta inoltre la velocità di rotazione del magazzino
di materie prime. Si tratta di un indice particolarmente adeguato
per valutare il grado di alleggerimento della struttura produttiva
e la capacità di adeguamento a modelli organizzativi ispirati
alla logica del just in time, che comporta - come è
noto - una continua "tensione" verso la riduzione dei
punti di discontinuità all'interno del ciclo produttivo,
siano essi i magazzini - che fungono da polmoni dove stazionano
materiali e merci prima di essere immessi nel ciclo produttivo
e sul mercato - o i tempi di inattività e di mancata saturazione
degli uomini e delle macchine. L'indice in questione (misurato
dal rapporto tra consumi di materie prime e valore del magazzino
di materie prime) sale da 5,76 a 6,33 (con una conseguente riduzione
della giacenza media di magazzino da 63 a 58 giorni), mostrando
un peggioramento solo nel ramo 2.
Anche l'indice di rotazione del magazzino di prodotti finiti (valore
produzione/magazzino prodotti finiti) segna un andamento positivo
comune a tutti i settori, passando nel complesso da 11,62 a 12,30,
con una riduzione della giacenza media da 31 a 29 giorni. Dunque,
una razionalizzazione che garantisce una riduzione significativa
del tempo di attraversamento complessivo del prodotto, incidendo
sia a monte sul magazzino materie prime e quindi sul rapporto
con i fornitori - sempre più improntato a una pressione
sulla consegna rapida e frequente degli inputs produttivi
- che a valle sul magazzino prodotti finiti e il rapporto con
il cliente finale, più incentrato sull'effettiva e diversificata
domanda di beni da parte di quest'ultimo e quindi meno compatibile
con la produzione a magazzino di grossi lotti di produzione standardizzati.
PICCOLI E SOTTOCAPITALIZZATI
La struttura finanziaria appare più solida al crescere
della dimensione dell'impresa, mentre la microimpresa (tra 1 e
19 dipendenti) mostra ancora un'evidente sottocapitalizzazione:
in essa infatti si riscontra non solo il rapporto più sfavorevole
tra mezzi di terzi e mezzi propri (3,7), ma anche una tendenziale
stazionarietà a fronte invece del miglioramento intervenuto
tra i due esercizi nelle altre classi di imprese. L'analisi effettuata
porta comunque a ridimensionare, o quantomeno a ridefinire questo
tipo di criticità. Integrando argomentazioni di natura
teorica al supporto empirico offerto da alcuni risultati di bilancio,
infatti, si può ritenere che il patrimonio netto della
microimpresa sottostimi l'effettiva disponibilità di mezzi
propri, che si potrebbe estendere anche a quel "capitale
surrettizio" - alimentato da fattori di convenienza fiscale
- fornito dai soci mediante prestiti obbligazionari e non o con
il ricorso a operazioni triangolari (costituzione in pegno presso
le banche di titoli di stato di proprietà dei soci a fronte
della concessione di finanziamenti). Queste considerazioni portano
quindi a focalizzare il problema finanziario per la microimpresa
milanese - limitatamente alle S.p.A. e S.r.l. - non tanto in termini
di squilibrio patrimoniale o di costo complessivo dell'indebitamento
(che scende dal 9 al 7,6%), quanto piuttosto di difficoltà
nell'accesso al capitale di rischio, che, se anche non risulta
particolarmente penalizzante nel breve termine, costituisce un
limite oggettivo alle strategie di crescita di questa classe di
imprese.
Nell'insieme delle PMI manifatturiere locali, peraltro, si profila
un deciso miglioramento della situazione finanziaria, sia in termini
quantitativi complessivi (riduzione dell'indebitamento totale
e di quello verso le banche) che di composizione del debito (allungamento
della scadenza del debito oneroso). In primo luogo, questo consente
una forte riduzione degli oneri finanziari tra i due esercizi
(-21%), la cui incidenza sul fatturato si riduce dal 4,8% al 3,5%.
Inoltre migliorano gli indici di copertura propria (patrimonio
netto/ immobilizzazioni) - e totale (patrimonio netto + passività
a lungo/immobilizzazioni). Essi esprimono il grado di equilibrio
tra scadenza degli impieghi e delle fonti, evidenziando la capacità
delle imprese di finanziare con mezzi propri la struttura fissa,
o viceversa la necessità di ricorrere a tal fine all'indebitamento
a lungo o a breve, con conseguente aumento - specie nel secondo
caso - degli oneri finanziari ed erosione della liquidità.
Per tutte le classi dimensionali (tranne una lieve contrazione
nelle imprese tra i 50 e i 100 addetti), entrambi gli indicatori
registrano tra i due esercizi un incremento, mentre a livello
settoriale si registra una riduzione dell'indice di copertura
totale nel ramo 3 e un deciso aumento nel ramo 4, l'unico a essere
riuscito a conseguire un allungamento nella composizione temporale
del debito.
SONO PICCOLA, PAGO DOPO
La liquidità delle PMI milanesi risente positivamente di
un incremento delle attività correnti in misura superiore
a quello delle passività a breve, rafforzando così
la capacità di soddisfare l'indebitamento a breve senza
la necessità di ricorrere a dismissioni di capitale immobilizzato.
Essa assume valori direttamente proporzionali alla dimensione
di impresa, ma il gap tra micro e media si riduce tra i
due esercizi, e anzi risulta più favorevole alla prima
se tra le attività correnti si considerano solo le risorse
liquide e non invece il magazzino (molto più "pesante"
nella media che nella microimpresa).
Sulla disponibilità di liquidità incide anche la
capacità finanziaria di gestire in maniera efficace il
rapporto con clienti e fornitori, in termini di equilibrio tra
la dilazione temporale della riscossione dei crediti e quella
del pagamento dei debiti di natura commerciale. Nell'insieme delle
imprese esaminate i due valori si trovano nel 1993 molto vicini
(circa 95 giorni medi per la riscossione dei crediti e poco meno
di 97 per il pagamento dei debiti); nel 1994 calano entrambi,
evidenziando così una riduzione del tempo medio di risoluzione
delle situazioni creditorie e debitorie di natura commerciale
o - in altre parole - una maggior pressione tra i vari soggetti
della catena fornitore-cliente per poter incrementare la propria
liquidità, ma al tempo stesso si divarica leggermente la
forbice tra il tempo medio di riscossione dei crediti e quello
di saldo dei debiti, con un peggioramento quindi dell'effetto
netto delle due tendenze.
Osservando il fenomeno per classi di imprese, emerge in maniera
piuttosto inaspettata che lo scarto tra l'indice di dilazione
ai clienti e quello ai fornitori è molto più favorevole
alle piccole che alle medie imprese, dal momento che fino ai 100
dipendenti risulta sempre maggiore la dilazione ottenuta dalle
imprese per il pagamento dei debiti ai fornitori rispetto al tempo
atteso per l'incasso dei crediti commerciali. La microimpresa,
in particolare, mostra il saldo più vantaggioso, dato che,
a fronte di un prevedibilmente basso indice di dilazione sui debiti
di fornitura (69 giorni), che riflette lo scarso potere contrattuale
del piccolo produttore nei confronti dei fornitori, riesce a farsi
liquidare dai clienti in tempi decisamente brevi (48,6 giorni).
Man mano che la dimensione aumenta, mentre non risultano andamenti
univoci della dilazione ottenuta da parte dei fornitori (che aumenta
fino ai 100 dipendenti per poi ridursi nella media impresa), si
allungano invece costantemente i tempi di riscossione dei crediti
commerciali, con un forte salto di continuità tra la microimpresa
e le altre, fino ad arrivare ai 106,5 giorni della media impresa,
che è poi l'unica a veder peggiorare tra il 1993 e il 1994
il saldo tra i due indici. Il segnale che si può trarre
sulla base di questi dati di bilancio non è quindi di univoca
lettura. Se da un lato si potrebbero infatti inferirne difficoltà
maggiori per le medie imprese a riscuotere i crediti commerciali,
dall'altro si potrebbero ipotizzare, da parte di queste ultime,
scelte strategiche di natura commerciale più orientate
alla concessione di lunghi termini di pagamento ai clienti, laddove
la microimpresa si troverebbe in qualche modo costretta a premere
su tempi rapidi di pagamento da parte dei clienti per fronteggiare
le esigenze di liquidità, di fronte ad una scadenza del
debito verso i fornitori molto ridotta e, tra il 1993 e il 1994,
in ulteriore contrazione (da 78,6 a 68,8 giorni). Resta comunque
un dato di fatto il maggior vantaggio che la microimpresa manifatturiera
milanese trae rispetto a quella media in termini di liquidità,
per effetto della gestione delle scadenze dei crediti e dei debiti
commerciali. In netto recupero infine la redditività, che
mostra però risultati significativamente diversi nelle
varie gestioni. L'attività caratteristica (cioè
la produzione) genera un risultato positivo ma stazionario tra
i due esercizi in rapporto al fatturato (il Ros si attesta sul
5%), dato che l'incremento dei prezzi delle materie prime ha mediamente
neutralizzato i vantaggi della riduzione relativa del costo del
lavoro, rivelandosi inoltre nel 1994 inversamente proporzionale
alla dimensione di impresa. Anche misurando la redditività
della gestione caratteristica in rapporto al capitale investito
in essa (Roi caratteristico), il miglioramento presenta un'entità
solo leggermente superiore (dal 6,15% al 6,5%) e legata alla ridotta
dinamica degli investimenti in immobilizzazioni tecniche che incide
negativamente sul denominatore. Questi risultati presentano poi
differenze significative tra le diverse classi di imprese. A livello
dimensionale, nel 1994 si manifesta una capacità di generare
reddito operativo inversamente proporzionale alla dimensione di
impresa, che per il Ros scende progressivamente dal 6,15 della
microimpresa al 3,82 della media, e per il Roi caratteristico
dal 7,9 al 5,6.
ROE-ROI: MEGLIO I BOT
La differenza è spiegata soprattutto dal maggior ricorso
della media impresa al mercato per l'acquisto di servizi produttivi,
che come abbiamo visto ne comprime il valore aggiunto, mentre
il monte salari incide allo stesso modo sui ricavi nella media
e nella micro impresa, anche se in quest'ultima è molto
più basso il costo del lavoro pro capite. A livello settoriale,
invece la redditività operativa maggiore si rileva nell'industria
chimica e siderurgica, avvantaggiata in questo senso da una forte
integrazione verticale, e nelle imprese a più basso valore
aggiunto dell'alimentare, tessile, abbigliamento ecc. (ramo 4)
nelle quali è soprattutto il ridotto costo del lavoro a
determinare una redditività operativa superiore a quella
delle imprese metalmeccaniche.
Al contrario, il risultato operativo - che include gli effetti
della gestione non caratteristica, e che vede crescere la sua
incidenza sul fatturato dal 4,9% al 5,6% - risulta migliore nella
media impresa (5,9% in crescita) che nella micro (4,3% in calo).
Il vantaggio della media impresa in termini di gestione non caratteristica
è dovuto soprattutto ai maggiori ricavi atipici e agli
elevati investimenti finanziari effettuati (8,7% dell'attivo contro
il 3,6% della microimpresa), grazie ai quali ottiene proventi
finanziari pari all'1,5% del fatturato contro lo 0,9% della microimpresa.
La peggiore performance della gestione extracaratteristica
nella microimpresa è inoltre legata alla forte incidenza
sul fatturato degli "oneri diversi di gestione", pari
al 3,9% contro il 2,3-2,4% della piccola impresa e lo 0,8% della
media. Dal momento che normalmente la maggior parte di questa
voce di spesa riguarda i compensi agli amministratori e agli altri
organi direttivi e di controllo, se ne può inferire che
più la dimensione dell'impresa è piccola, maggiore
è la quota di ricchezza distribuita a questi ultimi. Questo
risultato, peraltro intuitivo dato che è del tutto plausibile
che operi una sorta di economia di scala gestionale che riduce
l'incidenza dei costi di amministrazione all'aumentare della dimensione,
renderebbe meno significativa e meno problematica l'inferiorità
del Roi complessivo presso la microimpresa; poiché infatti
al suo interno le figure di amministratore e socio spesso coincidono,
l'assenza di redditività della gestione non caratteristica
può nascondere in parte una distribuzione di utili sotto
forma di compensi agli amministratori.
L'utile netto, infine, torna in tutte le classi di imprese a essere
positivo, ma in rapporto al capitale investito dai soci determina
un rendimento (misurato dal Roe) che, se risulta in crescita grazie
alla riduzione dell'indebitamento, degli oneri finanziari e al
miglioramento del Roi, appare ancora troppo basso (3,1%) per essere
competitivo con altre forme di investimento. I migliori risultati
sono comunque messi a segno dalla piccola impresa tra i 20 e i
50 dipendenti, mentre nella media (100-500 dipendenti) il Roe
è quasi nullo e nella micro molto basso (anche per le ragioni
appena ricordate relativamente a forme alternative di remunerazione
dei soci-amministratori).
Valore produzione/dipendenti | |||
Valore aggiunto/dipendenti | |||
Valore aggiunto/valore prodotto | |||
Valore aggiunto/costo del lavoro | |||
Costo del lavoro/dipendenti | |||
Costo del lavoro/ricavi(%) | |||
Immobilizz. Materiali/tot. Attivo(%) | |||
Immobilizz. materiali/dipendenti | |||
Valore produzione/magazzino prodotti finiti e semilavorati | |||
Consumi materie prime/magazzino materie prime | |||
Ricavi/tot. attivo | |||
Ricavi/circolante | |||
Fonte: elaborazione Ufficio Studi CCIAA Milano su dati Cerved |
Struttura finanziaria | |||
Patrimonio netto/tot.passivo (%) | |||
Mezzi di terzi/tot.passivo (%) | |||
Debiti/tot.passivo(%) | |||
Mezzi di terzi/patrimonio netto | |||
Debiti verso banche/tot. debiti(%) | |||
Debiti finanziari/patrimonio netto | |||
Patrimonio netto/tot.immobilizzazioni | |||
(Patr.netto + pass.a lungo)/immobilizzazioni | |||
Immobil.finanz. in titoli/tot.immobilizzazioni(%) | |||
Liquidità | |||
Attivo corrente/passivo a breve | |||
Liquidità/passivo a breve | |||
(Crediti clienti/ricavi)*365 | |||
(Debiti fornitori/acquisti materie prime e servizi)*365 | |||
Fonte: elaborazione Ufficio Studi CCIAA Milano su dati Cerved |
ROS (%) | |||
Ricavi/capitale inv. nell'attività caratteristica | |||
ROI gestione caratteristica (%) | |||
ROI area finanziaria (%) | |||
ROI totale (%) | |||
ROD (%) | |||
ROE (%) | |||
Utile netto/reddito operativo (%) | |||
Cash flow | |||
Fonte: elaborazione Ufficio Studi CCIAA Milano su dati Cerved |