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Impresa & Stato n°33

NON BASTA TORNARE A TOQUEVILLE

di
ETTORE A. ALBERTONI

Il federalismo sarà innovatore
solo se saprà favorire l'autonomia sociale e l'autogoverno.
Impariamo dalle esperienze degli altri Paesi

Nella transizione politica che l'Italia sta oggi attraversando il tema del federalismo è entrato a fare parte dei programmi di tutti i partiti e, sino al limite della consunzione verbalistica, dei discorsi quotidiani dei parlamentari e dei leaders politici. Ma, almeno a mio avviso, le idee sull'argomento non sono state ancora ben chiarite. Risulta, infatti, subito evidente che a livello della percezione ed elaborazione politica l'accostamento al federalismo sta avvenendo in modo frammentario, convulso e, fondamentalmente, ambiguo sia da parte di molti asseriti suoi sostenitori che di non meno numerosi quanto occulti oppositori. Ne sta conseguendo che le esigenze della tattica quotidiana e del puro verbalismo hanno prevalso e prevalgono tuttora rispetto alla concretezza ancora piuttosto evanescente degli appena abbozzati progetti di riforma istituzionale. E', infatti, bene essere avvertiti che quando si parla in Italia di federalismo il nucleo dell'interesse consiste oggi soprattutto nella "riforma dello stato" e nel correlato cambiamento dei rapporti tra una società robusta, che deve lavorare e produrre con tranquillità e determinazione, e uno Stato che deve essere profondamente rinnovato per essere capace di interpretarla e sorreggerla.
Il federalismo - in ogni sua forma - si presenta come una dottrina assai attuale ma ha radici antiche ed esige per discuterla una sensibilità storica e filosofica unita a una basilare cultura giuridica ma anche economico-sociale. Esige la disponibilità culturale e psicologica ad affrontare i problemi irrisolti e complessi che sono presenti nelle Istituzioni e nella loro organizzazione, nella varietà delle economie e nei contrasti sociali, nella vita delle organizzazioni partitiche e sindacali e negli sviluppi della lotta politica. é, perciò, evidente che il federalismo esige di essere conosciuto e studiato dottrinariamente nella sua essenza - concettuale e storica - ed empiricamente nelle ormai numerose realtà statuali attraverso le quali si è realizzato e vive. Francamente la pretesa di volere in qualche modo confezionare federalismi "all'italiana" appare piuttosto stupefacente giacché sul piano comparativo il federalismo di cui tanto si parla (a proposito o meno) trova già referenti precisi, verificabili e giudicabili nella peculiare realtà storica e attuale degli ordinamenti federali statunitensi, svizzeri, canadesi, germanici, austriaci, belgi e, almeno in parte, spagnoli. Si tratta di realtà ambientali e geo-politiche diverse che dal punto di vista socio-politico ed economico-produttivo sono assai vicine all'attuale situazione italiana e si prestano proprio per questo a un'utile conoscenza. Non essendo, però possibile, condurre qui una simile analisi rinvio il lettore che ne fosse interessato al recente volume che ho curato sull'argomento e che esamina ampiamente queste stesse soluzioni federative europee e nord-americane (Il federalismo nel pensiero politico e nelle istituzioni, Euroedizione, Milano, 1995).
Nello spazio disponibile vorrei, invece, sul piano della riflessione storico-dottrinaria ma anche nel tentativo di abbozzare un'analisi comparativistica non meramente descrittiva cercare di sottolineare almeno alcuni aspetti significativi di quella federalità primaria ed imprescindibile che costituisce la matrice di ogni federalismo sia teorico-politico che empirico-istituzionale esistente o, in futuro, possibile. Con la parola federalità indico l'assai complesso fenomeno culturale, sociale, economico, psicologico e comportamentale, che ha sempre portato a edificare le basi plurali di quelle comunità umane che rifiutano l'uniformità e il monocentrismo a favore della varietà e della poliarchia. Mi riferisco a quelle società (come gli Usa e la Svizzera) che si sono sviluppate attraverso processi associativi virtuosi, fondati sulla responsabilità individuale e, collettivamente, sull'esercizio dell'autonomia e dell'autogoverno. Sono queste le basi sociali e poliarchiche che sempre hanno preceduto e dato vigore a ogni formale e giuridico ordinamento federativo-territoriale. Non c'è, infatti, dubbio che il federalismo abbia sempre avuto questa originaria caratteristica sociale e istituzionale a partire proprio dall'intimo significato del termine, cioè da quel foedus che è: accordo, patto, convenzione. Territoriale e sociale era, infatti, il foedus aequum, vero e proprio Trattato con il quale Roma e altre comunità politiche che avevano e mantenevano individualità, spazio fisico, usi, leggi, ordinamenti, tutti distinti, rinunciavano a una parte ben precisata dei loro poteri a favore dell'unione federativa che venivano così a istituire tra loro. Dal foedus romano al covenant nord-americano l'idea di un patto costitutivo non solo di processi di federalizzazione intercomunitari ma anche intracomunitari ha sviluppato nei secoli il dato della federalità sociale come premessa per lo sviluppo di quell'ordinamento complesso e composito che è lo Stato federale. Tuttavia va anche notato che se la Statualità è dal punto di vista istituzionale il connotato assorbente e dominante dell'età moderna (cioè a partire dalla fine del XV secolo e, soprattutto, dal XVI) lo Stato federale nei suoi modelli più puri (Stati Uniti d'America e Svizzera post-1848) non è sfuggito tuttavia anch'esso al processo di istituzionalizzazione normativa piuttosto rigida, tendenzialmente monocentrica e non poliarchica, che è diventata propria di tutti gli ordinamenti statuali e che oggi è dominante in modo che non può che preoccupare. E', quindi, evidente che, rispetto alla Statualità tradizionale, il federalismo può assumere un rilievo fortemente innovatore solo se appare idoneo a favorire e sviluppare ulteriori, differenziati e risoluti processi di autonomia sociale e di autogoverno. E' proprio qui che si apre, almeno a mio parere, accanto al più noto federalismo istituzionale lo scenario in gran parte ancora inedito e inesplorato di un federalismo funzionale, capace cioè di operare nella società civile sviluppando autonomie plurime e diverse. E ciò attraverso gli enti che lo articolano istituzionalmente e organizzativamente (come Banche di emissione, Università, Camere di Commercio, Agenzie, ecc.), ma anche attraverso comunità particolarmente significative dal punto di vista sociale quali: Chiese, istituzioni morali, associazioni educative e formative, società non-profit, interi gruppi economico-sociali non rappresentati, come, ad esempio, avviene oggi in Italia per le piccole e medie imprese, per l'artigianato e per i gruppi di professionisti agenti con rilevante influenza etica (dal mondo dei media a quello dei professionisti più tradizionali).

VALORI COMUNI ALLA BASE DI OGNI FEDERALITA'
E' proprio in questo ulteriore ambito che si possono dispiegare e valutare appieno tutti gli effetti innovatori della federalità che è oltre che costume e gusto della responsabilità e dell'iniziativa, anche il tessuto forte di una rete significativa di rapporti fondati congiuntamente su interessi e valori.
L'analisi comparativistica condotta nel volume citato non conduce, tuttavia, a individuare al riguardo e sul piano istituzionale grandi innovazioni. Semmai il contrario! E' noto il processo di rafforzamento del potere federale, centrale, avvenuto negli USA a partire dalla Guerra di Secessione nel secolo scorso (1861-1865). Esso si è sviluppato nel segno di un restringimento progressivo della notevolissima e capillare federalità rappresentata dalla società civile e dagli Stati federali. Il processo di federalizzazione istituzionale in Germania si è sviluppato dal 1949 secondo linee caratterizzate da un ben mirato interventismo statuale giustificato dalla ricostruzione di un Paese distrutto e solo in parte bilanciato da una certa salvaguardia delle autonomie proprie dei Länder. La federalità germanica (che è realtà assai diversa dallo storico ordinamento plurale del Sacro Romano Impero) si è sviluppata entro i limiti propri di un Grundgesetz (= legge fondamentale) che sul piano formale non è ancora una Costituzione in senso tecnico ma, piuttosto, l'insieme delle norme che reggono un nuovo ordinamento per un periodo transitorio e in attesa di un esito ultimo che ancora non si è realizzato. Le pur rilevanti leggi francesi di decentralizzazione e di "democrazia locale" (mi riferisco soprattutto alle leggi 2 maggio 1982 e 6 febbraio 1992) nulla hanno a che vedere con la federalità ma attengono senz'altro alla modernizzazione del più realizzato ed efficiente Stato centralista europeo. Da tutto quanto elencato emerge chiaramente che le Istituzioni statuali e centralizzatrici hanno prevalso ormai sulla federalità sociale e culturale e che conseguentemente si è sviluppata oltre misura la tendenza a rendere formali e statali anche tutti i processi più radicali di autonomia funzionale che per loro natura non dovrebbero entrare entro le gabbie della burocratizzazione statalista (penso, ad esempio, al ruolo funzionale e concorrenziale della scuola libera, non-statale).
Avanzando un giudizio sintetico debbo dire che, allo Stato delle cose, anche negli ordinamenti federali gli esempi di un federalismo funzionale che non sia una pura articolazione organizzativa della federalizzazione istituzionale scarseggiano o, addirittura, mancano. Tutt'al più sono appena abbozzati e incerti. Qualche spunto positivo e praticamente operoso si può trovare nella pratica politica ed economica della "democrazia concertata" elvetica, ossia nelle relazioni autorevoli e di stampo corporativo, tra il governo (Consiglio Federale) e le cinque maggiori organizzazioni che riuniscono commercianti, industriali, banchieri, contadini e operai. Oppure, per quanto riguarda il versante teorico, nel "diritto all'autonomia delle Nazionalità e delle Regioni" sancito dalla Costituzione spagnola del 1978, oppure, ancora, nell'architettura articolata e plurale dell'ordinamento nato dalla recentissima revisione costituzionale in senso federale del Belgio (1993).

NUOVE NORME DI RAPPRESENTANZA
Ne consegue che è solo abbozzata l'esistenza di una federalità complessiva, cioè dotata dell'intrinseca capacità di raccordare il federalismo istituzionale con l'autogoverno delle funzioni e degli interessi culturali, economici e sociali. Se il realismo dell'analisi esclude l'effettività resta, però, una potente spinta progettuale verso il presente e il futuro. Infatti questa integrazione entro una Nuova Statualità, tutta permeata sia di federalismo istituzionale che di federalità sociale e funzionale, rappresenta uno dei grandi obiettivi da soddisfare nel momento in cui la Vetero-Statualità nella forma peculiare dello Stato nazionale ottocentesco sta finendo e mentre si sta anche operando ovunque in Europa, dalla Svezia all'Inghilterra, dalla Germania al Belgio, un drastico ridimensionamento del Welfare-State novecentesco concepito ormai come una generale tutela sindacale dei soli lavoratori dipendenti.
Una prospettiva costituente italiana a favore del federalismo non può, quindi, prescindere dal grande tema, qui di fatto teoricamente posto, circa le nuove forme di rappresentanza politica e sociale che sono il portato della federalità (istituzionale e social-funzionale) sopra tratteggiate. E ciò con la prospettiva costituente è destinato ad andare istituzionalmente oltre la consunta Vetero-Statualità, e, sul piano dottrinario-politico, a ritornare a Johannes Althaus (Altusio, 1557-1638). A un pensatore che all'inizio del Seicento progettava l'unione fraterna di tutti gli uomini partendo dalle loro associazioni elementari e territoriali (famiglie e Comuni) per abbracciare da lì le aggregazioni più articolate e funzionali di carattere economico-mercantile e produttivo. Ovvero ritornare anche ad Alexis-Charles Clerel de Tocqueville (1805-1859) che negli anni '30 del XIX secolo scopriva e propagava il significato profondo, etico ed educatore, della capillare e ramificata federalità sociale, culturale e istituzionale della giovane America che si proiettava verso il futuro. Ma se occorre certamente rileggere questi classici troppo trascurati occorre, però, sottolineare che è dominante, in una situazione generale come quella contemporanea entro la quale il federalismo perlopiù coincide con il Primo Mondo dello sviluppo economico e tecnologico, la consapevolezza che la crisi della Statualità, dello Stato-nazionale e dello Stato-tutore e padrone enfatizza per contrapposizione tutti i ruoli economici e produttivi. Nella crisi profonda della Vetero-Statualità si pone, perciò, al primissimo posto la funzione sociale e culturale del sistema delle imprese sul territorio e non si parla di grandi Corporations, bens" di medie, piccole (o addirittura piccolissime) imprese ad altissimo spirito di competizione e d'intrapresa. Il che postula il traguardo già abbozzato per una fase costituente di nuove forme di rappresentanza, di una federalità non-costituzionalizzata e non-formalizzata, ancora tutta da scoprire. Discutere, ad esempio, come si sta facendo da qualche tempo dell'esistenza e utilità di una composita ma assai reale e vitalissima Comunità padana non significa certo costruire barriere e muri verso il resto del Paese ma, piuttosto, cogliere esattamente il senso delle autentiche e fortissime potenzialità funzionali che ormai derivano dalle nuove autonomie sociali ed extra-statuali. Esse devono essere ancora poste adeguatamente in luce, capite e utilizzate in funzione della ricostruzione di tessuti comunitari che sono lisi e, addirittura, ormai irrimediabilmente, lacerati