Nella transizione politica che l'Italia sta oggi attraversando
il tema del federalismo è entrato a fare parte dei programmi
di tutti i partiti e, sino al limite della consunzione verbalistica,
dei discorsi quotidiani dei parlamentari e dei leaders politici.
Ma, almeno a mio avviso, le idee sull'argomento non sono state
ancora ben chiarite. Risulta, infatti, subito evidente che a livello
della percezione ed elaborazione politica l'accostamento al federalismo
sta avvenendo in modo frammentario, convulso e, fondamentalmente,
ambiguo sia da parte di molti asseriti suoi sostenitori che di
non meno numerosi quanto occulti oppositori. Ne sta conseguendo
che le esigenze della tattica quotidiana e del puro verbalismo
hanno prevalso e prevalgono tuttora rispetto alla concretezza
ancora piuttosto evanescente degli appena abbozzati progetti di
riforma istituzionale. E', infatti, bene essere avvertiti che
quando si parla in Italia di federalismo il nucleo dell'interesse
consiste oggi soprattutto nella "riforma dello stato"
e nel correlato cambiamento dei rapporti tra una società
robusta, che deve lavorare e produrre con tranquillità
e determinazione, e uno Stato che deve essere profondamente rinnovato
per essere capace di interpretarla e sorreggerla.
Il federalismo - in ogni sua forma - si presenta come una dottrina
assai attuale ma ha radici antiche ed esige per discuterla una
sensibilità storica e filosofica unita a una basilare cultura
giuridica ma anche economico-sociale. Esige la disponibilità
culturale e psicologica ad affrontare i problemi irrisolti e complessi
che sono presenti nelle Istituzioni e nella loro organizzazione,
nella varietà delle economie e nei contrasti sociali, nella
vita delle organizzazioni partitiche e sindacali e negli sviluppi
della lotta politica. é, perciò, evidente che il
federalismo esige di essere conosciuto e studiato dottrinariamente
nella sua essenza - concettuale e storica - ed empiricamente
nelle ormai numerose realtà statuali attraverso le quali
si è realizzato e vive. Francamente la pretesa di volere
in qualche modo confezionare federalismi "all'italiana"
appare piuttosto stupefacente giacché sul piano comparativo
il federalismo di cui tanto si parla (a proposito o meno) trova
già referenti precisi, verificabili e giudicabili nella
peculiare realtà storica e attuale degli ordinamenti federali
statunitensi, svizzeri, canadesi, germanici, austriaci, belgi
e, almeno in parte, spagnoli. Si tratta di realtà ambientali
e geo-politiche diverse che dal punto di vista socio-politico
ed economico-produttivo sono assai vicine all'attuale situazione
italiana e si prestano proprio per questo a un'utile conoscenza.
Non essendo, però possibile, condurre qui una simile analisi
rinvio il lettore che ne fosse interessato al recente volume che
ho curato sull'argomento e che esamina ampiamente queste stesse
soluzioni federative europee e nord-americane (Il federalismo
nel pensiero politico e nelle istituzioni, Euroedizione, Milano,
1995).
Nello spazio disponibile vorrei, invece, sul piano della riflessione
storico-dottrinaria ma anche nel tentativo di abbozzare un'analisi
comparativistica non meramente descrittiva cercare di sottolineare
almeno alcuni aspetti significativi di quella federalità
primaria ed imprescindibile che costituisce la matrice di ogni
federalismo sia teorico-politico che empirico-istituzionale esistente
o, in futuro, possibile. Con la parola federalità indico
l'assai complesso fenomeno culturale, sociale, economico, psicologico
e comportamentale, che ha sempre portato a edificare le basi plurali
di quelle comunità umane che rifiutano l'uniformità
e il monocentrismo a favore della varietà e della poliarchia.
Mi riferisco a quelle società (come gli Usa e la Svizzera)
che si sono sviluppate attraverso processi associativi virtuosi,
fondati sulla responsabilità individuale e, collettivamente,
sull'esercizio dell'autonomia e dell'autogoverno.
Sono queste le basi sociali e poliarchiche che sempre hanno preceduto
e dato vigore a ogni formale e giuridico ordinamento federativo-territoriale.
Non c'è, infatti, dubbio che il federalismo abbia sempre
avuto questa originaria caratteristica sociale e istituzionale
a partire proprio dall'intimo significato del termine, cioè
da quel foedus che è: accordo, patto, convenzione.
Territoriale e sociale era, infatti, il foedus aequum,
vero e proprio Trattato con il quale Roma e altre comunità
politiche che avevano e mantenevano individualità, spazio
fisico, usi, leggi, ordinamenti, tutti distinti, rinunciavano
a una parte ben precisata dei loro poteri a favore dell'unione
federativa che venivano così a istituire tra loro. Dal
foedus romano al covenant nord-americano l'idea
di un patto costitutivo non solo di processi di federalizzazione
intercomunitari ma anche intracomunitari ha sviluppato nei secoli
il dato della federalità sociale come premessa per
lo sviluppo di quell'ordinamento complesso e composito che è
lo Stato federale. Tuttavia va anche notato che se la Statualità
è dal punto di vista istituzionale il connotato assorbente
e dominante dell'età moderna (cioè a partire dalla
fine del XV secolo e, soprattutto, dal XVI) lo Stato federale
nei suoi modelli più puri (Stati Uniti d'America e Svizzera
post-1848) non è sfuggito tuttavia anch'esso al processo
di istituzionalizzazione normativa piuttosto rigida, tendenzialmente
monocentrica e non poliarchica, che è diventata propria
di tutti gli ordinamenti statuali e che oggi è dominante
in modo che non può che preoccupare. E', quindi, evidente
che, rispetto alla Statualità tradizionale, il federalismo
può assumere un rilievo fortemente innovatore solo se appare
idoneo a favorire e sviluppare ulteriori, differenziati e risoluti
processi di autonomia sociale e di autogoverno. E' proprio qui
che si apre, almeno a mio parere, accanto al più noto federalismo
istituzionale lo scenario in gran parte ancora inedito e inesplorato
di un federalismo funzionale, capace cioè di operare nella
società civile sviluppando autonomie plurime e diverse.
E ciò attraverso gli enti che lo articolano istituzionalmente
e organizzativamente (come Banche di emissione, Università,
Camere di Commercio, Agenzie, ecc.), ma anche attraverso comunità
particolarmente significative dal punto di vista sociale quali:
Chiese, istituzioni morali, associazioni educative e formative,
società non-profit, interi gruppi economico-sociali
non rappresentati, come, ad esempio, avviene oggi in Italia per
le piccole e medie imprese, per l'artigianato e per i gruppi di
professionisti agenti con rilevante influenza etica (dal mondo
dei media a quello dei professionisti più tradizionali).
VALORI COMUNI ALLA BASE DI OGNI FEDERALITA'
E' proprio in questo ulteriore ambito che si possono dispiegare
e valutare appieno tutti gli effetti innovatori della federalità
che è oltre che costume e gusto della responsabilità
e dell'iniziativa, anche il tessuto forte di una rete significativa
di rapporti fondati congiuntamente su interessi e valori.
L'analisi comparativistica condotta nel volume citato non conduce,
tuttavia, a individuare al riguardo e sul piano istituzionale
grandi innovazioni. Semmai il contrario! E' noto il processo di
rafforzamento del potere federale, centrale, avvenuto negli USA
a partire dalla Guerra di Secessione nel secolo scorso (1861-1865).
Esso si è sviluppato nel segno di un restringimento progressivo
della notevolissima e capillare federalità rappresentata
dalla società civile e dagli Stati federali. Il processo
di federalizzazione istituzionale in Germania si è sviluppato
dal 1949 secondo linee caratterizzate da un ben mirato interventismo
statuale giustificato dalla ricostruzione di un Paese distrutto
e solo in parte bilanciato da una certa salvaguardia delle autonomie
proprie dei Länder. La federalità germanica (che è
realtà assai diversa dallo storico ordinamento plurale
del Sacro Romano Impero) si è sviluppata entro i limiti
propri di un Grundgesetz (= legge fondamentale) che sul
piano formale non è ancora una Costituzione in senso tecnico
ma, piuttosto, l'insieme delle norme che reggono un nuovo ordinamento
per un periodo transitorio e in attesa di un esito ultimo che
ancora non si è realizzato. Le pur rilevanti leggi francesi
di decentralizzazione e di "democrazia locale" (mi riferisco
soprattutto alle leggi 2 maggio 1982 e 6 febbraio 1992) nulla
hanno a che vedere con la federalità ma attengono senz'altro
alla modernizzazione del più realizzato ed efficiente Stato
centralista europeo. Da tutto quanto elencato emerge chiaramente
che le Istituzioni statuali e centralizzatrici hanno prevalso
ormai sulla federalità sociale e culturale e che
conseguentemente si è sviluppata oltre misura la tendenza
a rendere formali e statali anche tutti i processi più
radicali di autonomia funzionale che per loro natura non
dovrebbero entrare entro le gabbie della burocratizzazione statalista
(penso, ad esempio, al ruolo funzionale e concorrenziale della
scuola libera, non-statale).
Avanzando un giudizio sintetico debbo dire che, allo Stato delle
cose, anche negli ordinamenti federali gli esempi di un federalismo
funzionale che non sia una pura articolazione organizzativa della
federalizzazione istituzionale scarseggiano o, addirittura, mancano.
Tutt'al più sono appena abbozzati e incerti. Qualche spunto
positivo e praticamente operoso si può trovare nella pratica
politica ed economica della "democrazia concertata"
elvetica, ossia nelle relazioni autorevoli e di stampo corporativo,
tra il governo (Consiglio Federale) e le cinque maggiori organizzazioni
che riuniscono commercianti, industriali, banchieri, contadini
e operai. Oppure, per quanto riguarda il versante teorico, nel
"diritto all'autonomia delle Nazionalità e delle Regioni"
sancito dalla Costituzione spagnola del 1978, oppure, ancora,
nell'architettura articolata e plurale dell'ordinamento nato dalla
recentissima revisione costituzionale in senso federale del Belgio
(1993).
NUOVE NORME DI RAPPRESENTANZA
Ne consegue che è solo abbozzata l'esistenza di una federalità
complessiva, cioè dotata dell'intrinseca capacità
di raccordare il federalismo istituzionale con l'autogoverno delle
funzioni e degli interessi culturali, economici
e sociali. Se il realismo dell'analisi esclude l'effettività
resta, però, una potente spinta progettuale verso il presente
e il futuro. Infatti questa integrazione entro una Nuova Statualità,
tutta permeata sia di federalismo istituzionale che di federalità
sociale e funzionale, rappresenta uno dei grandi obiettivi da
soddisfare nel momento in cui la Vetero-Statualità nella
forma peculiare dello Stato nazionale ottocentesco sta finendo
e mentre si sta anche operando ovunque in Europa, dalla Svezia
all'Inghilterra, dalla Germania al Belgio, un drastico ridimensionamento
del Welfare-State novecentesco concepito ormai come una generale
tutela sindacale dei soli lavoratori dipendenti.
Una prospettiva costituente italiana a favore del federalismo
non può, quindi, prescindere dal grande tema, qui di fatto
teoricamente posto, circa le nuove forme di rappresentanza
politica e sociale che sono il portato della federalità
(istituzionale e social-funzionale) sopra tratteggiate. E ciò
con la prospettiva costituente è destinato ad andare istituzionalmente
oltre la consunta Vetero-Statualità, e, sul piano dottrinario-politico,
a ritornare a Johannes Althaus (Altusio, 1557-1638). A un pensatore
che all'inizio del Seicento progettava l'unione fraterna di tutti
gli uomini partendo dalle loro associazioni elementari e territoriali
(famiglie e Comuni) per abbracciare da lì le aggregazioni
più articolate e funzionali di carattere economico-mercantile
e produttivo. Ovvero ritornare anche ad Alexis-Charles Clerel
de Tocqueville (1805-1859) che negli anni '30 del XIX secolo scopriva
e propagava il significato profondo, etico ed educatore, della
capillare e ramificata federalità sociale, culturale e
istituzionale della giovane America che si proiettava verso il
futuro. Ma se occorre certamente rileggere questi classici troppo
trascurati occorre, però, sottolineare che è dominante,
in una situazione generale come quella contemporanea entro la
quale il federalismo perlopiù coincide con il Primo Mondo
dello sviluppo economico e tecnologico, la consapevolezza che
la crisi della Statualità, dello Stato-nazionale e dello
Stato-tutore e padrone enfatizza per contrapposizione tutti i
ruoli economici e produttivi. Nella crisi profonda della Vetero-Statualità
si pone, perciò, al primissimo posto la funzione sociale
e culturale del sistema delle imprese sul territorio e non si
parla di grandi Corporations, bens" di medie, piccole (o
addirittura piccolissime) imprese ad altissimo spirito di competizione
e d'intrapresa. Il che postula il traguardo già abbozzato
per una fase costituente di nuove forme di rappresentanza, di
una federalità non-costituzionalizzata e non-formalizzata,
ancora tutta da scoprire. Discutere, ad esempio, come si sta facendo
da qualche tempo dell'esistenza e utilità di una composita
ma assai reale e vitalissima Comunità padana non significa
certo costruire barriere e muri verso il resto del Paese ma, piuttosto,
cogliere esattamente il senso delle autentiche e fortissime potenzialità
funzionali che ormai derivano dalle nuove autonomie sociali ed
extra-statuali. Esse devono essere ancora poste adeguatamente
in luce, capite e utilizzate in funzione della ricostruzione di
tessuti comunitari che sono lisi e, addirittura, ormai irrimediabilmente,
lacerati