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Impresa & Stato N°31 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

L'INDICE DEI PREZZI DELLE MATERIE PRIME PER L'ITALIA: CCIAA-IRS

di Alessandra Romanò


All’interno del ruolo di promozione del sistema economico, ribadito anche dalla Legge di riforma 580/93, e quindi al fine di essere operativi per fornire nuovi e validi strumenti di monitoraggio della realtà economica che consentano di adeguare i dispositivi d’intervento a seguito della crescente complessità e competitività dei sistemi moderni, la Camera di Commercio di Milano ha condotto uno studio in collaborazione con l’Irs finalizzato a individuare un numero indice dei prezzi delle materie prime per l’Italia, basato sulle quotazioni effettivamente pagate dall’industria nazionale.
Le tensioni che hanno investito negli ultimi mesi l’area dei prezzi anche se o proprio perché nell’ambito della ripresa economica ormai consolidata sia a livello nazionale che locale, hanno fatto riaccendere l’attenzione sugli strumenti che permettono di individuare e quantificare l’esistenza di situazioni di pericolo o di preoccupazione sui prezzi delle merci nelle successive fasi della commercializzazione.
L’effetto della cosiddetta "inflazione importata", in particolare attraverso il canale delle materie prime, ha avuto e continua ad avere un peso considerevole sulla dinamica inflazionistica italiana. In seguito al forte deprezzamento della nostra moneta innescatosi nel settembre ’92 e alla rapida crescita dei costi delle materie prime in dollari, si è accentuata l’esigenza degli operatori e delle autorità di politica economica di disporre di un indice che misuri i costi effettivi sostenuti dall’industria italiana per l’approvvigionamento di materie prime.
A un anno dalla svalutazione, contrariamente alle aspettative, il tasso d’inflazione aveva perso quasi un punto percentuale essendo spinto al ribasso da un insieme di cause quali la moderazione salariale e la recessione economica che hanno comportato un abbassamento nel livello della domanda interna di beni di consumo. Sull’andamento dell’inflazione ha influito molto probabilmente anche il fatto che il deprezzamento della nostra valuta non si sia riflesso integralmente e immediatamente sui costi in lire effettivamente pagati dall’industria utilizzatrice per l’acquisto di materie prime. I ritardi temporali con cui avviene questo trasferimento sono quindi fondamentali per lo studio del fenomeno inflativo. Inoltre, non è detto che i tempi siano costanti, ma è anzi probabile che dipendano fortemente dalla fase ciclica attraversata dall’economia importatrice.
La carenza informativa in questo ambito è essenzialmente da imputare alla difficoltà nel reperimento di quotazioni delle materie prime in lire e, conseguentemente, gli indici attualmente disponibili si basano su quotazioni di mercato internazionale, denominate nella valuta d’origine, principalmente il dollaro, alle quali viene poi applicato il tasso di cambio mensile.
L’indice Confindustria - il più utilizzato nel nostro Paese insieme all’indice Economist - viene infatti diffuso sia in dollari che in lire e nel passaggio, oltre all’applicazione del tasso di cambio, vi è l’adeguamento della struttura di ponderazione alle importazioni nazionali.
La metodologia impiegata per la costruzione degli indicatori esistenti assume quindi implicitamente l’immediato trasferimento di variazioni del tasso di cambio e delle quotazioni internazionali sui costi per le materie prime pagate dall’industria nazionale. Nel lungo periodo e quindi a regime, l’elasticità di queste variabili deve essere unitaria, cioè le oscillazioni dei tassi di cambio e delle quotazioni internazionali devono riflettersi integralmente sui costi sostenuti dall’industria nazionale. Tuttavia, l’esistenza di vincoli che scaturiscono dalla contrattualistica dei rapporti di fornitura, fa sì che il prezzo pagato dall’industria nazionale non corrisponda al costo delle materie prime indicato dalle quotazioni che emergono giornalmente sui mercati internazionali. Il gap esistente tra i differenti costi e i ritardi temporali con cui avviene il trasferimento delle variazioni, sono determinanti per la dinamica dell’inflazione interna e per la profittabilità delle imprese.
Per ovviare a questi inconvenienti e quindi poter disporre di un indicatore che valuti i costi effettivamente sostenuti dall’industria nazionale per l’acquisto di materie prime, si sono utilizzate le quotazioni delle merci aventi mercato internazionale rilevate nei Mercuriali della Camera di Commercio di Milano. Tra i compiti istituzionali della Camera di Commercio vi è, infatti, quello di rilevare i prezzi all’ingrosso delle merci. Per quanto riguarda la metodologia di raccolta e di aggregazione dei dati si osserva che l’Istat lascia ampia discrezionalità a causa delle difficoltà intrinseche della rilevazione stessa nei differenti mercati. In particolare le quotazioni della Camera di Commercio di Milano sono predisposte da specifiche Commissioni le quali, attraverso un contraddittorio, simulano la formazione del prezzo sul mercato; una minoranza delle quotazioni sono invece fornite direttamente tramite informatori. La costruzione di un indicatore che si basa sui prezzi dei Bollettini valorizza il patrimonio informativo camerale ampliandone le prospettive di utilizzo.
Le assunzioni a priori che sono state effettuate per la costruzione dell’indice sono che la piazza di Milano sia rappresentativa del mercato di acquisto di materie prime italiane - ipotesi verosimile in quanto sulla piazza milanese viene trattata la maggior parte delle merci importate - e che i prezzi rilevati nei Bollettini sopra citati, siano rappresentativi per la realtà che si vuole sintetizzare - si ritiene che, anche nel caso in cui le quotazioni siano affette da bias per la tipologia della rilevazione, la non sistematicità degli errori dovrebbe consentire all’indicatore aggregato di non essere eventualmente inficiato.
Disponendo di un indice così costruito si può misurare lo shock da offerta cui è sottoposta la nostra economia che, non essendo competitiva per quanto riguarda la disponibilità di questi prodotti, ne subisce completamente gli effetti sui costi di approvvigionamento. Il valore aggiunto del nuovo indice rispetto agli altri indicatori risiede nel fatto che sono rese esplicite le modalità e i tempi con cui i costi interni riflettono le oscillazioni sui mercati internazionali e le variazioni dei tassi di cambio.

L’indice Cciaa-Irs - note metodologiche
Per la costruzione dell’indice dei prezzi delle materie prime Cciaa Irs, le scelte che sono state effettuate riguardano essenzialmente quattro ordini di fattori:
- la scelta delle merci rappresentative dell’import italiano;
- la scelta delle varietà significative tra quelle rilevate sui Bollettini della Camera di Commercio;
- la numerosità campionaria;
- la procedura di aggregazione degli indici elementari.
Per la scelta delle merci da inserire nel paniere è stato effettuato uno studio sulla composizione dell’import italiano nell’ultimo decennio al fine di individuare quelle più rappresentative. È stato contemporaneamente fissato il vettore dei pesi del commercio internazionale utile per l’aggregazione degli indicatori elementari.
La scelta delle varietà, tra quelle disponibili sui Bollettini camerali, è stata effettuata essenzialmente sulla base di tre considerazioni: la continuità della rilevazione, l’omogeneità merceologica delle quotazioni rilevate e i riscontri quantitativi desunti dalle statistiche di commercio internazionale. L’ampiezza campionaria totale è stata decisa a priori considerando essenziale l’esigenza di facile aggiornamento dell’indice stesso. Sono stati selezionati 43 prodotti aventi mercato internazionale.
Per l’attribuzione delle numerosità in termini relativi, e cioè per stabilire il numero di merci da afferire a ogni sottogruppo merceologico, si è tenuto conto sia della rilevanza in termini di valore delle importazioni di ciascun sottogruppo, sia del grado di correlazione fra le diverse varietà; cioè più elevato è il valore delle importazioni di ogni singola merce, maggiore è il numero delle varietà scelte per rappresentare il gruppo merceologico; più elevata è la correlazione tra le diverse varietà, minore è il numero di varietà necessarie per rappresentare adeguatamente il sottogruppo merceologico.
Per l’aggregazione degli indici elementari è stata utilizzata la procedura di Laspeyres, dopo aver verificato che i valori ottenuti con strutture di pesi variabili non risultano significativamente diversi. L’anno base è il 1990; come è noto, l’anno di riferimento è fondamentale in quanto determina la struttura di ponderazione degli indici elementari in sede di aggregazione. L’opportunità di modificare la struttura dei pesi dovrà essere valutata sulla base dell’evoluzione della composizione dell’import italiano.
L’indice totale risulta quindi essere costruito considerando un paniere di 43 prodotti di base, ciascuno ponderato per i pesi del commercio internazionale. In particolare il comparto degli alimentari rappresenta il 20,8 % del totale, quello dei non alimentari il 39,9% e gli energetici coprono circa il restante 40 per cento.
Sono stati computati sette indici settoriali - bevande, cereali, carni, grassi, fibre, vari industriali e metalli - che consentono di verificare l’andamento dei costi delle materie prime nei diversi comparti.
Nella Tabella 1 sono sintetizzati i valori storici dell’indice per i comparti generali e le successive disaggregazioni.

Il confronto con l’indice Confindustria
Il confronto con un indice costruito su quotazioni internazionali - tipicamente l’indice Confindustria - consente di evidenziare il potenziale inflativo presente nella filiera delle materie prime ma non ancora giunto sui prezzi in lire. L’evidenza infatti di un differenziale tra i due indicatori implica che le variazioni intervenute sulle quotazioni internazionali e le oscillazioni dei tassi di cambio non si sono ancora traslate sui costi sostenuti dall’industria importatrice o che, a fronte di modeste oscillazioni alla fonte, il mercato d’importazione stia scontando costi elevati a causa dei ritardi di trasferimento di incrementi precedenti.
L’opportunità di effettuare confronti scindendo l’indice globale in totale esclusi i combustibili ed energetici deriva da una doppia considerazione. In primo luogo si ritiene che le modalità e i tempi di trasferimento di oscillazioni delle quotazioni internazionali e dei tassi di cambio sia sostanzialmente diverso tra i due comparti, secondariamente l’impossibilità di reperire quotazioni in lire tempestive dei combustibili ha portato all’inclusione temporanea nell’indice del petrolio Brent in dollari al quale quindi si applica il tasso di cambio mensile. Si ritiene che questa operazione non introduca andamenti spuri nella valutazione dei prezzi effettivamente pagati dall’industria nazionale in quanto, da analisi effettuate, si evince una strettissima correlazione fra le quotazioni del petrolio Brent e il valore medio unitario all’importazione che rappresenta il costo medio sostenuto dalla nostra economia per l’acquisto delle diverse varietà di petrolio e che viene sostituito nell’indicatore nel momento in cui il dato è reso disponibile. La valutazione separata dei due comparti è inoltre avvalorata dal fatto che il peso relativo della componente petrolifera nell’indice Confindustria è pari al 55,1% mentre nell’indice Cciaa-Irs al 39,3%; l’indice totale Confindustria è quindi fortemente influenzato dalle fluttuazioni delle quotazioni petrolifere, rispecchiando la situazione dell’import italiano di fine anni Ottanta.
Dal confronto tra i nuovi indici con quelli Confindustria (vedi le Figure 1 e 2), emergono le seguenti considerazioni:
- nel lungo periodo i due indici presentano il medesimo andamento;
- i due indici producono le stesse fluttuazioni cicliche;
- l’indice Cciaa-Irs tende a smussare sensibilmente le oscillazioni registrate dall’indice Confindustria.
In particolare si osserva una differenza sostanziale fra gli indici relativi al totale esclusi i combustibili e gli energetici. Per quanto riguarda questi ultimi si ha un andamento solidale per tutto il periodo considerato. Nel confronto fra le due serie storiche degli indici (1990-1995) è stato impiegato per l’indice della Camera di Commercio il valore medio unitario del petrolio, e quindi quotazioni in lire, il che avvalora l’ipotesi precedentemente esposta secondo la quale il rapporto tra andamento delle quotazioni internazionali e dinamica del costo effettivo è molto stretto. Pertanto, il prezzo che l’industria italiana paga per approvvigionarsi di tali prodotti corrisponde sostanzialmente al valore che emerge nei mercati internazionali con l’applicazione del tasso di cambio.
Il confronto relativamente ai due indicatori totali esclusi i combustibili mostra invece una relazione non immediata tra le quotazioni internazionali delle materie prime non combustibili e i costi sostenuti dalla nostra economia per l’approvvigionamento. Il differenziale fra gli indici che emerge dalla fine del 1992 contribuisce ad avvalorare l’ipotesi che la sostanziale stabilità del tasso d’inflazione degli anni ’93 e ’94 - nonostante una delle più forti svalutazioni della nostra storia recente - sia stata dovuta, oltre che a fattori moderatori insiti nella situazione congiunturale, ai ritardi con cui è avvenuta la traslazione delle oscillazioni dei tassi di cambio sui prezzi effettivamente pagati. L’indice Confindustria esclusi i combustibili del settembre ’93 registra un incremento percentuale tendenziale del 26%, contro il 14% dell’indice Cciaa-Irs. A dicembre ’94 la variazione su dicembre ’92 è stata rispettivamente del 50% e del 42% a indicare che quasi tutte le variazioni risentite nei mercati internazionali si sono traslate sui prezzi pagati dalla nostra economia. In seguito alla risalita dei costi delle materie prime avvenuta tra il 1993 e il 1994 il differenziale tra i due indici si è ulteriormente incrementato, evidenziando il potenziale inflativo presente nella filiera delle materie prime ma non ancora giunto ai prezzi in lire.
Nel 1995 esiste ancora una scollatura tra i due indicatori che non sembra ridursi.
L’analisi degli ultimi dati disponibili (Tabella 2) mette in evidenza come nell’ultimo anno le variazioni tendenziali dell’indice Cciaa-Irs totale esclusi i combustibili, siano dal mese di gennaio a giugno sistematicamente superiori rispetto a quelle registrate dall’indice Confindustria. Cioè l’indice che rappresenta il costo pagato dall’industria italiana per l’acquisto di materie prime presenta tassi di crescita maggiori rispetto all’indice Confindustria nei primi mesi dell’anno.
Si assiste a una inversione della tendenza che aveva visto l’indice Confindustria totalizzare variazioni medie sempre superiori a quelle dell’indice Cciaa-Irs. Questo risultato indica che il costo sostenuto dall’industria nazionale per l’acquisto di materie prime non energetiche, ha subìto all’inizio del ’95 degli incrementi anno su anno maggiori rispetto a quelli registrati dalle quotazioni in dollari e dalle oscillazioni del tasso di cambio. Si evidenzia quindi come nel periodo considerato si siano ripercossi sui prezzi pagati per le materie prime gli aumenti, che erano probabilmente antecedenti, delle quotazioni internazionali o le oscillazioni dei tassi di cambio.
Si osserva inoltre come le variazioni congiunturali dei due indici non sempre evidenziano la stessa dinamica, avvalorando ulteriormente l’ipotesi di esistenza di vincoli contrattualistici e clausole che limitano gli effetti del rischio di cambio e di repentine variazioni dei prezzi all’origine.

Conclusioni
La predisposizione del nuovo indice dei prezzi delle materie prime da parte della Camera di Commercio, sembra soddisfare diversi requisiti.
Innanzitutto l’indicatore assume una doppia valenza: operativa e conoscitiva. Da una parte infatti è uno strumento di sicuro interesse e utilità per gli operatori i quali potranno valutare l’andamento dei costi di approvvigionamento delle materie prime effettivamente sostenuti dalla nostra economia - prescindendo dall’effetto di tutta la contrattualistica dei rapporti di fornitura - e quindi disporre di maggiori informazioni per valutare la dinamica reale del sistema economico e per indirizzare le scelte potilico-economiche.
D’altra parte, l’indice potrebbe essere oggetto d’interesse degli studiosi in quanto, attraverso l’utilizzo di tecniche econometriche, si presta a essere strumento di previsione. Possono quindi essere prospettati scenari e valutate le conseguenze di shock delle variabili esogene sui prezzi per le materie prime pagati dall’industria importatrice, si può inoltre quantificare il potenziale inflativo presente al primo livello della commercializzazione nonché i futuri tempi di trasferimento e quindi aumentare le informazioni disponibili per comprendere la dinamica inflazionistica nazionale.
L’indice dei prezzi delle materie prime costituisce inoltre un esempio tra le possibili valorizzazioni delle potenzialità informative detenute dal sistema camerale. L’utilizzo delle rilevazioni contenute nei Bollettini per la costruzione dell’indicatore aggregato consente infatti di utilizzare una parte del cospicuo patrimonio informativo di cui la Camera dispone in tema di prezzi, il cui risultato può essere sottoposto ad una costante verifica qualitativa, ad esempio attraverso il confronto sull’andamento di lungo periodo con gli indicatori disponibili.L’indice sarà tempestivamente computato e diffuso dalla Camera di Commercio che ne curerà la rappresentatività nel tempo e la verifica della significatività rispetto al fenomeno che vuole sintetizzare. La predisposizione del nuovo indice si colloca quindi tra i servizi diretti che la Camera offre in termini di monitoraggio e di informazione economica e non è escluso che l’indice delle materie prime costituito secondo le linee descrittive diventi un importante punto di riferimento in materia nel nostro Paese.

Alessandra Romanò