di Roberto Maiocchi e Davide Fiorello
La rete distributiva
in provincia di Milano
La Tabella 1 fotografa la situazione della rete distributiva in
provincia di Milano alla fine del 1993 secondo le diverse tipologie
dei punti vendita. È difficile risalire a un dato certo e attendibile
sul numero di ambulanti esistenti in provincia di Milano; i dati da
noi riportati sono quelli di fonte comunale.
Come è illustrato successivamente, a questa situazione si è giunti
attraverso una lenta erosione del numero di negozi tradizionali e a
una progressiva diffusione dei punti vendita di grandi dimensioni. I
punti vendita tradizionali continuano a detenere un peso rilevante,
ma alla loro riduzione numerica ha corrisposto anche una mutazione
del loro ruolo nel tessuto urbano e sociale. I piccoli negozi vendono
sempre meno beni di prima necessità e sempre più generi voluttuari; i
quartieri, soprattutto quelli dei centri storici, diventano sempre
meno luoghi di vita e sempre più luoghi di consumo.
Come è stato detto, all’interno di ogni tipologia di punto vendita si
ritrovano esercizi di natura parzialmente diversa. In primo luogo, un
supermercato può essere autonomo, ma può essere anche un reparto
alimentari di un grande magazzino; questo è vero per 18 dei 218
supermercati che risultano dalla Tabella 1. Tipicamente, il reparto
supermercato si trova nettamente distinto dal grande magazzino (per
esempio nel piano interrato: si vedano soprattutto alcuni magazzini
del gruppo Standa) in modo da allargare l’offerta ai beni alimentari
senza alterare la fisionomia del punto vendita.
In secondo luogo, supermercati, grandi magazzini e ipermercati
possono essere inseriti all’interno di un centro commerciale; ciò
accade per 3 supermercati, 6 grandi magazzini e 12 ipermercati (sui
19 complessivi) della provincia di Milano. Nel corso degli ultimi
anni la diffusione dei centri commerciali è stato un fattore
trainante per l’apertura di nuovi ipermercati.
Infine, tra i centri commerciali vi sono differenze anche molto
rilevanti in termini di dimensione complessiva; alcuni di essi hanno
una superficie commerciale non più grande di quella di un
ipermercato, o anche minore, altri invece si estendono su superfici
molto vaste. La Tabella 2 contiene una classificazione dei centri
commerciali della provincia di Milano in base alla loro dimensione.
Per la classificazione dei soggetti operanti nel settore in base alla
loro forma giuridica, la grande maggioranza dei punti vendita
esistenti in provincia di Milano fa capo a imprese di elevate
dimensioni; tra le altre forme di attività (gruppi di acquisto,
unioni volontarie, cooperative) la sola Coop è presente in misura
rilevante sul mercato. La Tabella 3 mostra il peso dei principali
soggetti presenti sul mercato provinciale; ai gruppi elencati
appartiene il 70% degli esercizi esistenti in provincia di Milano, il
restante 30% è suddiviso tra gruppi minori.
Anche per quanto riguarda i discount è possibile tracciare una mappa
dei soggetti maggiormente presenti in provincia; ai gruppi elencati
nella Tabella 4 fa capo circa il 65% dei punti vendita.
In base ai dati Aspo e Faid si può stimare che nel 1992, il
riferimento temporale più recente a nostra disposizione, il numero
complessivo di occupati in provincia nel settore distributivo fosse
di 140.000 persone, delle quali circa 15.000 (oltre il 10% quindi)
impiegate nella Grande Distribuzione.
L’evoluzione della rete distributiva
negli ultimi anni in Italia
e in provincia di Milano
La tendenza inequivocabile che si evidenzia dai dati relativi agli
esercizi di vendita di prodotti al dettaglio è quella di una
espansione delle grandi superfici di vendita e di una contrazione del
numero di negozi tradizionali.
Il trend nazionale
A livello nazionale il tipo di evoluzione è chiaramente espresso
dalla Figura 1 che illustra il trend del giro d’affari dei negozi
tradizionali, della Grande Distribuzione e dei discount.
Mentre alla fine degli anni Ottanta il giro d’affari dei negozi
tradizionali era ancora superiore a quello della Grande
Distribuzione, a partire dal 1990 si determina la situazione inversa.
Nel 1994 il giro d’affari della Grande Distribuzione era valutabile
in 85.500 miliardi, ben oltre il doppio dei 37.700 dei negozi
tradizionali. I discount sono passati nel giro di due anni da zero a
4500 miliardi e si prevede possano arrivare a 11.000 nel 1997.
Queste cifre illustrano come meglio non si potrebbe la perdita di
ruolo dei negozi al dettaglio tradizionali di piccola dimensione e la
loro progressiva sostituzione con punti vendita della Grande
Distribuzione. I gruppi che operano nel mercato delle grandi
superfici hanno visto crescere il loro fatturato in modo rilevante,
come mostra anche la Tabella 5 che si riferisce ai primi 20 gruppi
della distribuzione in Italia.
Dal punto di vista numerico sono le Figure 2 e 3 a ribadire i
concetti ora espressi: l’emorragia di punti vendita di piccola
dimensione e il moltiplicarsi delle grandi superfici.
Infine, la Figura 4 mostra la proliferazione dei punti vendita
discount. Il grafico parte dal 1992 perché prima di tale data il
fenomeno era virtualmente inesistente.
Come si vede, anche le previsioni per i prossimi anni confermano che
il numero di grandi magazzini, supermercati, ipermercati e centri
commerciali è destinato a crescere. Anticipando un po’ i confronti
con altri Paesi europei che presenteremo più avanti, possiamo dire
che la tendenza in atto potrà portare l’Italia ad avere nel 2000 una
diffusione delle grandi superfici paragonabile a quella attualmente
esistente in Francia.
La crescita dei discount è stata impetuosa fino agli ultimi mesi, nei
quali sembra di assistere a un suo rallentamento. Diverse catene di
distribuzione (Coop, A&O-Selex, ad esempio) stanno rivedendo i loro
piani di espansione in questo settore e alcuni punti vendita sono
stati costretti alla chiusura. Tuttavia, la quota di mercato dei
discount è tuttora in espansione; sul mercato dei prodotti
confezionati di largo consumo è passata dal 7,5% di dicembre 1994 al
10,6% di giugno 1995 e raggiunge o supera il 15% per alcuni prodotti.
Vi sono dunque ragioni per ritenere che il processo di espansione di
questa categoria di punti vendita non possa considerarsi esaurita
anche se è ragionevole supporre che il settore dovrà selezionare le
imprese più solide e attrezzate per continuare la sua espansione.
Il trend in provincia di Milano
Le Figure 5, 6 e 7 mostrano la crescita del numero dei punti vendita
della Grande Distribuzione e della loro superficie negli ultimi anni
in provincia di Milano. Si tratta di una crescita evidente, ma non
particolarmente pronunciata se messa a confronto con il trend
nazionale; il numero di punti vendita non si è incrementato
sensibilmente, anzi, il picco è stato raggiunto nel 1990 e da
quell’anno c’è stato un lieve calo. Del resto, la crescita nel resto
del Paese non poteva non essere più intensa, dal momento che si è
partiti da una dotazione di grandi superfici molto più ridotta di
quella già esistente in provincia di Milano all’inizio del periodo
considerato.
Prendendo in considerazione la superficie di vendita si può meglio
osservare come il trend espansivo abbia comunque interessato anche la
provincia di Milano. La superficie di vendita complessiva era di
440.000 m2 nel 1987 ed è diventata di 560.000 m2 nel 1993, con un
incremento dunque del 27 per cento. La Figura 7 evidenzia come il
contributo più importante a questa espansione sia venuto dai centri
commerciali, che hanno visto crescere del 250% la loro superficie
commerciale.
Bisogna osservare, inoltre, che il tasso di crescita sarebbe stato
sicuramente più elevato se il settore non avesse incontrato ostacoli
di tipo amministrativo (vincoli alla destinazione d’uso dei terreni,
limiti alla superficie commerciale nel singolo comune ecc.) che hanno
spesso precluso la possibilità di far sorgere nuovi punti vendita.
Negli ultimi due anni anche la provincia di Milano è stata
interessata dalla rapida diffusione dei punti vendita discount. Non
disponiamo di dati puntuali raffrontabili a quelli nazionali, ma
possiamo dire che il tasso di apertura è stato superiore a quello
medio nazionale. I 90 discount esistenti in provincia di Milano sono
quasi un terzo di tutti quelli aperti in Lombardia (circa 300) e poco
meno del 6% dei 1600 in Italia.
Naturalmente, anche a Milano a fronte della diffusione delle grandi
superfici si registra un significativo calo del numero di esercizi
tradizionali al dettaglio, che secondo i dati Aspo sono passati dai
circa 58.000 del 1981 ai circa 52.000 del 1993.
La riduzione ha interessato in varia misura le diverse tipologie di
negozio, così come mostrano le Tabelle 6 e 7. A subire un
ridimensionamento sono stati soprattutto i negozi di generi
alimentari (latterie, panetterie, fruttivendoli) e di abbigliamento,
vale a dire quelli su cui i cittadini contano per
l’approvvigionamento dei beni di prima necessità. Il loro posto è
stato preso in parte dai negozi di accessori per abbigliamento, dalle
profumerie, dai fiorai, dagli autoaccessori – cioè dagli articoli
voluttuari – e dai bar. Come si può osservare, la variazione in
negativo più evidente riguarda le latterie. Il fenomeno va
ricondotto, a nostro parere, alla difficoltà da parte degli operatori
economici a riconvertirsi in nuove modalità di servizio che
potrebbero incontrare gli interessi dell’utenza che si è dimostrata
molto favorevole all’avvio di attività quali: gelaterie, yogurterie e
altre che utilizzano una materia prima, il latte, molto valida dal
punto di vista nutrizionale. Da parte delle rivendite del pane si è
verificato, in questo senso, una maggiore e più brillante capacità di
riconversione e valorizzazione (paninoteche, focaccerie ecc.) di un
prodotto di largo consumo la cui caduta di domanda avrebbe potuto
essere molto più rilevante di quella dei latticini e dei loro
derivati.
È opportuno inoltre osservare che a questo fenomeno non è naturalmente
estraneo l’innalzamento del reddito complessivo della popolazione e
lo spostamento verso tipologie di consumo diverse da quelle dei beni
di prima necessità.
Ulteriori indizi sulla natura dell’evoluzione che ha interessato il
settore della distribuzione in provincia di Milano si possono
ottenere dall’osservazione che nel 1981 l’80% delle imprese di
vendita al dettaglio erano ditte individuali, mentre nel 1992 questa
percentuale scende a poco più del 65 per cento. Inoltre, tra il 1981
e il 1992 si sono persi nelle ditte individuali del settore circa
25.000 posti di lavoro, mentre altrettanti se ne sono creati tra le
società di persone e di capitali (Fonte: nostre stime su dati Aspo).
In particolare, si può stimare che nel 1987 vi fossero circa 11.500
addetti nei punti vendita della Grande Distribuzione mentre nei
negozi tradizionali trovavano lavoro 129.000 persone. Invece, nel
1993 nei negozi tradizionali si contavano 125.000 addetti e la Grande
Distribuzione impiegava 15.000 dipendenti (Fonte: nostre stime su
dati Aspo e Faid).
L’effetto della riduzione dei punti vendita tradizionali a vantaggio
delle grandi superfici sembra in definitiva essere un gioco a somma
zero dal punto di vista occupazionale.
La scomparsa di numerosi punti vendita tradizionali, e in particolare
di quelli di generi alimentari di base, genera effetti che non
rimangono confinati all’interno del settore, ma hanno profonde
ricadute sull’identità sociale del territorio. In passato la maggior
parte dei quartieri era un’entità complessa, una sorta di comunità
che offriva alloggi, negozi, uffici, servizi ecc., una parte
consistente dei loro abitanti viveva nel quartiere stesso, la loro
necessità di muoversi era ridotta. La tendenza attuale – incoraggiata
dalla diffusione delle automobili e che a sua volta incoraggia la
diffusione delle automobili – è invece quella di creare aree
specializzate (aree residenziali, aree commerciali, aree industriali
ecc.) che inducono spostamenti per ogni necessità e riducono quindi
il grado di integrazione tra l’individuo e il territorio (e i suoi
abitanti). Luoghi di aggregazione diventano piuttosto i centri
commerciali, in cui però la socialità è in qualche modo funzionale al
consumo e dalla quale vengono esclusi i cittadini privi di
possibilità di movimento autonomo (anziani in primo luogo).
Ora, di questo tipo di scenario non si può semplicemente prendere
atto senza domandarsi quale valenza assuma in un contesto sociale e
territoriale che vede crescere sempre di più il peso delle classi
anziane per effetto del calo demografico.
Attualmente circa il 16% della popolazione della provincia di Milano
ha più di 65 anni. Si prevede che questa quota potrà salire oltre il
20% nel 2006 e oltre il 30% nel 2040. La grande maggioranza di
costoro sarà rappresentata da pensionati il cui reddito non potrà
presumibilmente essere molto alto (l’importo medio delle pensioni
erogate in provincia di Milano era di circa 13 milioni di lire nel
1992) e che certamente avranno molte difficoltà per effettuare
spostamenti a lunga distanza. Questo significa che una fetta
rilevante della popolazione, pur trovando nell’organizzazione della
Grande Distribuzione condizioni favorevoli in termini di rapporto
qualitàprezzo e di nastro orario lungo di apertura al pubblico, avrà
bisogno di un servizio a domicilio o comunque nei pressi della
propria abitazione. Ciò richiama innanzitutto alle nuove opportunità
che la telematica lascia intravedere, vale a dire gli acquisti a
distanza (home shopping). Ma pone anche degli interrogativi sul ruolo
degli esercizi tradizionali e dell’ambulantato, messi nell’angolo
dalla Grande Distribuzione e dai discount ma di cui si continuerà con
ogni probabilità a sentire il bisogno.
Inoltre, non si può evitare di porsi alcuni interrogativi sulla
vivibilità di una città in cui ormai ci sono tanti veicoli quanti
abitanti (1 veicolo ogni 1,35 abitanti secondo gli ultimi dati). La
disponibilità di posti auto è ormai una condizione necessaria per
ogni iniziativa commerciale (no parking non business), ma i crescenti
livelli di congestione e di inquinamento costituiscono veri e propri
prezzi aggiuntivi, che non vengono percepiti dal consumatore, ma che
devono essere pagati dall’intera collettività.
L’evoluzione degli stili di acquisto
La trasformazione in atto nel settore distributivo si intreccia
strettamente all’evoluzione degli stili di acquisto dei consumatori.
Lo sviluppo delle grandi superfici despecializzate e la metamorfosi
della struttura dei negozi tradizionali esistenti – meno negozi di
generi di base più negozi di generi voluttuari – rispondono alle
esigenze di acquirenti mediamente più ricchi, mediamente più
informati, mediamente più disponibili a spostarsi, mediamente con
meno tempo a disposizione per gli acquisti.
Chi non rientra in questa fascia di medietà è marginalizzato, escluso
dal nuovo modello di distribuzione. Si tratta soprattutto di anziani
e di famiglie povere o con limitate capacità d’acquisto; per quanto
marginali rispetto alla figura prevalente di consumatore, essi
rappresentano comunque una fetta consistente della popolazione.
Questa fascia di consumatori, come già si segnalava precedentemente,
non ha molte alternative al negozio tradizionale. Una parte
consistente, la più debole del Paese, subisce dunque conseguenze
negative dal processo
di riorganizzazione del settore produttivo, nel quale il piccolo
dettagliante è costretto a orientarsi verso prodotti di nicchia per
sopravvivere alla concorrenza delle grandi superfici e dei discount
depauperando il territorio di un servizio di base.
I discount dal canto loro hanno potuto contare soprattutto sulla
fascia dei consumatori che insegue ovunque il prezzo più basso senza
badare alla qualità.
Chi soprattutto si trova a suo agio tra ipermercati e discount è il
consumatore che conta sui beni di consumo per accrescere la propria
identità, ma non ha un potere d’acquisto molto elevato. Le
promozioni, l’assortimento e quant’altro viene offerto dalla grande
superficie trovano in questa categoria di consumatore un bersaglio
sicuro.
Un discorso simile vale anche per coloro che puntano sugli acquisti,
soprattutto di marca, per ostentare il proprio status, si rivolgono
alla Grande Distribuzione, ma anche ai punti vendita di piccole
dimensioni specializzati: ecco dunque il fiorire di negozi di
accessori, profumerie eccetera.
Queste due ultime categorie rappresentano insieme un terzo della
popolazione e condizionano pesantemente l’orientamento del settore.
Una categoria emergente di consumatori è quella di chi non considera
l’acquisto un momento qualificante, preferendo affidare la propria
realizzazione al lavoro o alla cura del corpo e della salute.
Proprio il fatto di avere molto tempo occupato sul lavoro fa sì che
vengano prediletti i luoghi in cui l’acquisto può essere veloce:
sono quindi ancora una volta le grandi superfici despecializzate in
cui si può trovare di tutto a essere preferite.
Dunque, lo sviluppo della Grande Distribuzione tende a seguire, ma
anche a incentivare, la nascita di un consumatore meno abitudinario
e più propenso a scegliere il punto di vendita che gli garantisce
maggiore soddisfazione per un motivo o per un altro (prezzo,
assortimento, novità ecc.) e che non trova più nel negozio
tradizionale una meta soddisfacente. Di ciò fanno però spese tutti
coloro che non sono in condizioni di scegliere e per i quali il
negozio sotto casa rappresenta un po’ una meta obbligata.
Va precisato comunque che le analisi di carattere sociologico
formulate dagli esperti di analisi di mercato non sempre trovano
riscontro e conferma da parte dei responsabili della Grande
Distribuzione secondo i quali risultano molto più complesse di
quanto sopra illustrato le relazioni tra tipi di consumatori e forme
distributive.
La rete distributiva
della provincia milanese
a raffronto con altre esperienze
Le superfici di vendita di grandi magazzini, supermercati,
ipermercati e centri commerciali della provincia di Milano sono
riportate nella Tabella 8. Questi dati possono essere confrontati con
quelli riportati nella Tabella 9 e che si riferiscono a Italia,
Francia, Germania e Spagna. Per questi tre Paesi europei sono infatti
disponibili dati aggiornati e confrontabili; inoltre la Francia è
caratterizzata da un modello di evoluzione del sistema distributivo
molto vicino a quello italiano.
Prendendo in considerazione supermercati e ipermercati, per i quali
disponiamo di dati di confronto, si nota come il loro peso in
provincia di Milano sia complessivamente maggiore che nel resto del
Paese. Infatti, a livello provinciale queste due tipologie di
esercizio sono presenti con quasi 81 m2 di superficie di vendita per
1000 abitanti contro i 73 m2 a livello nazionale.
La diffusione delle grandi superfici di vendita nella provincia
milanese rimane però abbondantemente inferiore a quella che si
registra nei Paesi esteri presi in considerazione, per lo meno in
base alla superficie di vendita per 1000 abitanti. Agli 81 m2 della
provincia di Milano si contrappongono i 223 m2 della Francia e i 200
m2 della Germania.
Diversa la situazione per quanto riguarda i discount, come è mostrato
dalla Tabella 10. L’Italia – e, fatte le debite proporzioni, anche la
provincia di Milano – sono allo stesso livello di Francia, Spagna e
Gran Bretagna (la Germania fa caso a sé) per quanto riguarda il
numero di punti vendita. Però la dimensione media degli esercizi
italiani è sensibilmente più bassa che all’estero, per cui
l’indicatore numero di metri quadri di vendita per 1000 abitanti vede
l’Italia in coda alla classifica. Invece, questo stesso indicatore
consente di evidenziare come la provincia di Milano abbia visto una
diffusione dei discount molto più rapida rispetto alla media
nazionale, giungendo a una superficie di vendita per 1000 abitanti
superiore a quella della Francia. Il fatto che l’Italia si trovi più
vicina agli altri Paesi per la diffusione dei discount e non per
quella delle grandi superfici può essere dovuta al fatto che il
discount è stato considerato un tipo di attività molto promettente e
che non necessita di particolari condizioni logistiche e
infrastrutture adeguate oltre che di autorizzazioni e altri aspetti
amministrativi che nel nostro Paese sono più difficili da ottenere.
La corsa all’apertura del discount è testimoniata dal grado di
frammentazione del settore; come si può leggere nella Tabella 10,
negli altri Paesi il numero di insegne non supera la mezza dozzina,
mentre in Italia sono 100 e oltre 30 sono attive nella sola provincia
di Milano.
La situazione della rete distributiva della provincia di Milano è
dunque differente rispetto a quella sperimentata in altre realtà a
livello europeo. Tuttavia, un confronto più significativo dovrebbe
tenere conto anche di altri aspetti: la densità della popolazione, la
diffusione dei centri abitati sul territorio, la dotazione di
infrastrutture di viabilità ecc.
La distribuzione territoriale dei punti vendita della Grande
Distribuzione nella provincia di Milano
La dislocazione dei punti vendita della Grande Distribuzione in
provincia di Milano si presenta come un quadro molto variegato. In
generale, le zone più densamente popolate (come la Brianza, la
Cintura Nord o la città di Milano) presentano tendenzialmente un
maggior numero di punti vendita. In ultima analisi, tuttavia, gli
insediamenti commerciali sono sorti laddove i regolamenti comunali
hanno reso possibile la loro costruzione. Questo vale a maggior
ragione per ipermercati e centri commerciali, che hanno bisogno di
vaste superfici edificabili, a differenza dei grandi magazzini e dei
supermercati che spesso sono integrati nel tessuto urbano. Questo
stato di cose ha comportato di fatto una crescita piuttosto
disordinata e priva di una strategia complessiva di integrazione con
il territorio.
I supermercati e i grandi magazzini presenti sul territorio della
provincia sono concentrati per lo più all’interno del Comune di
Milano. Nel capoluogo, infatti, ci sono il 46% dei supermercati (48%
in termini di superficie di vendita) e il 62% dei grandi magazzini
(il 61% della superficie di vendita). Per interpretare queste cifre
può essere utile rammentare che nel capoluogo vive il 37% della
popolazione complessiva della provincia.
Gli ipermercati e i centri commerciali sono invece più diffusi in
provincia. Per la precisione, sono fuori dal capoluogo il 90% dei
metri quadri di superficie di vendita in ipermercati e il 92% della
superficie commerciale dei centri commerciali.
In termini di numero di punti vendita, la Cintura Nord è la zona in
cui sono insediati il maggior numero di centri commerciali (5) e di
ipermercati (5 anche in questo caso, 4 dei quali sono inseriti
all’interno dei centri commerciali). Però, se si considera
l’indicatore dei metri quadri di superficie per abitante si spostano
in testa alla graduatoria zone meno densamente popolate e con
maggiore disponibilità di aree di grande dimensione: Sud Milano (244
metri quadri di superficie commerciale in centri commerciali e 62
metri quadri di superficie di vendita in ipermercato per 1000
abitanti), Direttrice Est (220 m2 e 70 m2 rispettivamente) e
Magentino Abbiatense (92 m2 e 68 m2) (le cartografie delle pagine
seguenti rappresentano le
aree comprensoriali individuate per il progetto Mercurio di
CedCamera).
Conclusioni
Il settore della distribuzione è in piena trasformazione. Si assiste
a una riduzione consistente del numero di punti vendita tradizionali
e alla diffusione delle grandi superfici, ma non è soltanto una
questione di dimensioni. L’evoluzione numerica è andata di pari passo
con quella degli stili di vita e di consumo nel nostro Paese, nonché
delle strategie di vendita e di distribuzione dei beni. Nell’ambito
di un mercato sempre più aperto e concorrenziale il settore
distributivo assume un ruolo nuovo e trainante nelle politiche di
vendita e di marketing.
Di fronte alla necessità di agire in una logica di customer
satisfaction l’ipermercato o il centro commerciale permettono non
solo di contenere i costi, e quindi di vendere a prezzi più bassi, ma
si prestano meglio dei negozi tradizionali anche a politiche
promozionali.
Il punto vendita diventa non più soltanto un luogo in cui il
consumatore trova beni in grado di soddisfare una determinata
domanda, ma diventa uno dei veicoli con cui si crea tale domanda, si
inducono bisogni e si incentiva all’acquisto. Inoltre nei centri
commerciali si sviluppa un nuova socialità, diventano dei veri e
propri centri di aggregazione.
Questa modificazione della struttura dei punti vendita comporta
effetti non secondari sul territorio. In generale, mentre in passato
i negozi tendevano a sorgere all’interno delle zone residenziali,
fungendo da servizio per gli abitanti di queste ultime (e
contribuendo anche a favorire le relazioni sociali tra di essi), ora
i punti vendita sorgono come centri autonomi che, come si diceva, non
devono soltanto soddisfare una domanda, ma contribuire anche a
crearla.
Questa separazione tende a “specializzare” il territorio,
tra zone residenziali, zone commerciali, zone industriali eccetera.
Da ciò deriva – soprattutto dove la Grande Distribuzione nasce fuori
dai centri urbani e distante dai servizi metropolitani – una
crescente necessità di spostamenti da parte dei consumatori – e
quindi traffico, congestione e inquinamento – e spesso un ostacolo
alla valorizzazione urbanistica dell’intervento, alla creazione di un
legame con il territorio e con gli altri abitanti dello stesso che
non sia meramente legata all’atto del consumo.
In questo studio sono stati citati dati e proiezioni raccolti presso
gli esponenti più qualificati del settore, ma le prospettive indicate
non potranno passare dalla carta alla realtà senza fare i conti con i
vincoli sociali, urbanistici, culturali, economici di ogni singola
realtà. Sapere che il modello distributivo verso cui il settore
sembra intenzionato a tendere può penalizzare una fascia di
popolazione in crescita come quella degli anziani non è un dato di
cui ci si possa semplicemente limitare a prendere atto.
Lo stesso dicasi per i problemi della mobilità in una realtà come
quella lombarda già fortemente condizionata da fenomeni di densità
residenziale, trasporto delle merci internazionali su gomma e diffusa
propensione all’acquisto di autoveicoli da parte della popolazione.
Si pone insomma un problema di governo del territorio, che tenga
conto in maniera equilibrata di tutti i benefici, ma anche di tutti i
costi – a livello sociale oltre che economico – che le diverse
alternative presentano. Come abbiamo visto, il livello di sviluppo
della Grande Distribuzione è nella provincia di Milano ancora
inferiore a quello che si registra in altri Paesi.
Anche in funzione dello sviluppo demografico ed economico vi sono
dunque diverse opportunità di assistere a un’ulteriore modifica delle
diverse forme della distribuzione; come ha dimostrato la repentina
nascita dei discount, gli scenari dei prossimi anni possono essere
destinati a rapidi cambiamenti e modifiche.
Sarebbe quindi auspicabile che queste future evoluzioni avvenissero
sotto gli auspici di una autocollocazione governata affinché possano
rappresentare un reale progresso per il territorio, per le
imprese, per i consumatori e non invece un rischio di decadimento
sociale, ambientale, oltre che un cattivo investimento per chi
intende misurarsi con questa forma di impresa.
Roberto Maiocchi* e Davide Fiorello
* (Dirigente dell’Azienda informatica della Camera di Commercio di Milano, CedCamera e responsabile dell’Area Informazione Economica dell’Azienda stessa).