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Impresa & Stato N°31 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LA RETE DISTRIBUTIVA AL DETTAGLIO IN PROVINCIA DI MILANO

di Roberto Maiocchi e Davide Fiorello


Il settore della distribuzione ha ormai da tempo acquisito un ruolo cruciale e un’identità autonoma, non più limitandosi a essere un semplice anello di collegamento nella catena che lega la produzione al consumo. Numerosi elementi concorrono a disegnare un quadro in piena evoluzione e meritano di essere sottolineati. Si avverte innanzitutto l’esistenza di un eccesso di offerta di beni che opprime un mercato già saturo in cui la domanda è stagnante. Ciò comporta come naturale conseguenza l’innescarsi di un’aspra concorrenza sui prezzi, che si fissano su livelli al limite della sopravvivenza delle imprese. Non sorprende che tutto ciò contribuisca a produrre tensioni tra produttori e distributori, anche alla luce di una crescente internazionalizzazione del settore, sia per ciò che riguarda le forniture sia per ciò che riguarda gli insediamenti delle imprese distributive.
Emerge quindi il problema di superare i contrasti e integrare i comportamenti dei produttori e dei distributori, in modo da sintonizzarsi nel modo migliore su un “orientamento al consumatore” che gli analisti del settore giudicano ormai indispensabile per adeguarsi a un consumatore sempre più smaliziato nel destreggiarsi tra la moltiplicazione delle alternative che gli vengono proposte in termini di prezzo, qualità, marca, punto vendita ecc. e quindi, in media, sempre più esigente e propenso a esercitare un diritto di scelta.
Nello sforzo di mantenere intatta la competitività adattandosi alle necessità imposte dai mercati, i connotati del settore distributivo si modificano visibilmente con la progressiva espansione delle grandi superfici commerciali e la contemporanea riduzione del numero di negozi tradizionali. Questo tipo di evoluzione, suggerita dalla necessità di rincorrere una competitività minacciata dai fenomeni ora ricordati induce tuttavia effetti non secondari sulla realtà sociale e territoriale. Va detto innanzitutto che la proliferazione della Grande Distribuzione è avvenuta al di fuori di una chiara opzione di governo del settore e dell’ambito territoriale in cui gli insediamenti commerciali sono sorti. Ma anche al di là di ciò, il modello della Grande Distribuzione decentrata rafforza la dipendenza dall’uso dell’automobile mentre il rapporto tra veicoli e abitanti è ormai quasi di 1 a 1; il livello di saturazione sulle strade è ormai ai limiti di guardia. Tale problema è più rilevante in provincia, dove gli insediamenti della Grande Distribuzione sono generalmente raggiungibili solo attraverso i mezzi privati; in città invece è possibile scegliere tra la rete dei trasporti pubblici o il mezzo proprio, utilizzando in questo caso i parcheggi di cui la maggior parte dei supermercati sono dotati. Nel contempo, la scomparsa dei negozi di quartiere contrasta con le esigenze di quella parte della popolazione, soprattutto anziana, che ha problemi di mobilità; questo proprio mentre le classi anziane accrescono il loro peso all’interno della struttura della popolazione.
In questa sede si è inteso raccogliere una serie di dati e informazioni utili a discutere gli aspetti sopra richiamati ponendo una particolare attenzione alle caratteristiche del sistema distributivo in provincia di Milano. Il nostro obiettivo potrà dirsi raggiunto se riusciremo a fornire alle amministrazioni pubbliche (Comune, Provincia, Regione) elementi oggettivi attorno a cui discutere e orientare scelte politiche di indirizzo del settore e a fornire nel contempo materia di riflessione e di confronto ai tradizionali interlocutori camerali (imprese, associazioni del settore) oltre che a tutti gli altri soggetti (rappresentanze dei consumatori in primo luogo) chiamati in causa dagli aspetti presentati in queste pagine.
Questo lavoro, inoltre, vuole anche essere la prima testimonianza della volontà della Camera di Commercio di Milano di impegnarsi a monitorare con continuità un settore avente una tale importanza strategica; importanza che è ancora maggiore nella nostra provincia dal momento che in essa sono ubicate le cinque maggiori aziende italiane di distribuzione per fatturato. Allo stesso modo, per i motivi ora esposti, è nostra intenzione avviare un monitoraggio dell’evoluzione degli stili di acquisto dei consumatori della provincia.

La rete distributiva in provincia di Milano
La Tabella 1 fotografa la situazione della rete distributiva in provincia di Milano alla fine del 1993 secondo le diverse tipologie dei punti vendita. È difficile risalire a un dato certo e attendibile sul numero di ambulanti esistenti in provincia di Milano; i dati da noi riportati sono quelli di fonte comunale.
Come è illustrato successivamente, a questa situazione si è giunti attraverso una lenta erosione del numero di negozi tradizionali e a una progressiva diffusione dei punti vendita di grandi dimensioni. I punti vendita tradizionali continuano a detenere un peso rilevante, ma alla loro riduzione numerica ha corrisposto anche una mutazione del loro ruolo nel tessuto urbano e sociale. I piccoli negozi vendono sempre meno beni di prima necessità e sempre più generi voluttuari; i quartieri, soprattutto quelli dei centri storici, diventano sempre meno luoghi di vita e sempre più luoghi di consumo.
Come è stato detto, all’interno di ogni tipologia di punto vendita si ritrovano esercizi di natura parzialmente diversa. In primo luogo, un supermercato può essere autonomo, ma può essere anche un reparto alimentari di un grande magazzino; questo è vero per 18 dei 218 supermercati che risultano dalla Tabella 1. Tipicamente, il reparto supermercato si trova nettamente distinto dal grande magazzino (per esempio nel piano interrato: si vedano soprattutto alcuni magazzini del gruppo Standa) in modo da allargare l’offerta ai beni alimentari senza alterare la fisionomia del punto vendita.
In secondo luogo, supermercati, grandi magazzini e ipermercati possono essere inseriti all’interno di un centro commerciale; ciò accade per 3 supermercati, 6 grandi magazzini e 12 ipermercati (sui 19 complessivi) della provincia di Milano. Nel corso degli ultimi anni la diffusione dei centri commerciali è stato un fattore trainante per l’apertura di nuovi ipermercati.
Infine, tra i centri commerciali vi sono differenze anche molto rilevanti in termini di dimensione complessiva; alcuni di essi hanno una superficie commerciale non più grande di quella di un ipermercato, o anche minore, altri invece si estendono su superfici molto vaste. La Tabella 2 contiene una classificazione dei centri commerciali della provincia di Milano in base alla loro dimensione.
Per la classificazione dei soggetti operanti nel settore in base alla loro forma giuridica, la grande maggioranza dei punti vendita esistenti in provincia di Milano fa capo a imprese di elevate dimensioni; tra le altre forme di attività (gruppi di acquisto, unioni volontarie, cooperative) la sola Coop è presente in misura rilevante sul mercato. La Tabella 3 mostra il peso dei principali soggetti presenti sul mercato provinciale; ai gruppi elencati appartiene il 70% degli esercizi esistenti in provincia di Milano, il restante 30% è suddiviso tra gruppi minori.
Anche per quanto riguarda i discount è possibile tracciare una mappa dei soggetti maggiormente presenti in provincia; ai gruppi elencati nella Tabella 4 fa capo circa il 65% dei punti vendita.
In base ai dati Aspo e Faid si può stimare che nel 1992, il riferimento temporale più recente a nostra disposizione, il numero complessivo di occupati in provincia nel settore distributivo fosse di 140.000 persone, delle quali circa 15.000 (oltre il 10% quindi) impiegate nella Grande Distribuzione.

L’evoluzione della rete distributiva negli ultimi anni in Italia e in provincia di Milano
La tendenza inequivocabile che si evidenzia dai dati relativi agli esercizi di vendita di prodotti al dettaglio è quella di una espansione delle grandi superfici di vendita e di una contrazione del numero di negozi tradizionali.

Il trend nazionale
A livello nazionale il tipo di evoluzione è chiaramente espresso dalla Figura 1 che illustra il trend del giro d’affari dei negozi tradizionali, della Grande Distribuzione e dei discount.
Mentre alla fine degli anni Ottanta il giro d’affari dei negozi tradizionali era ancora superiore a quello della Grande Distribuzione, a partire dal 1990 si determina la situazione inversa. Nel 1994 il giro d’affari della Grande Distribuzione era valutabile in 85.500 miliardi, ben oltre il doppio dei 37.700 dei negozi tradizionali. I discount sono passati nel giro di due anni da zero a 4500 miliardi e si prevede possano arrivare a 11.000 nel 1997.
Queste cifre illustrano come meglio non si potrebbe la perdita di ruolo dei negozi al dettaglio tradizionali di piccola dimensione e la loro progressiva sostituzione con punti vendita della Grande Distribuzione. I gruppi che operano nel mercato delle grandi superfici hanno visto crescere il loro fatturato in modo rilevante, come mostra anche la Tabella 5 che si riferisce ai primi 20 gruppi della distribuzione in Italia.
Dal punto di vista numerico sono le Figure 2 e 3 a ribadire i concetti ora espressi: l’emorragia di punti vendita di piccola dimensione e il moltiplicarsi delle grandi superfici.
Infine, la Figura 4 mostra la proliferazione dei punti vendita discount. Il grafico parte dal 1992 perché prima di tale data il fenomeno era virtualmente inesistente.
Come si vede, anche le previsioni per i prossimi anni confermano che il numero di grandi magazzini, supermercati, ipermercati e centri commerciali è destinato a crescere. Anticipando un po’ i confronti con altri Paesi europei che presenteremo più avanti, possiamo dire che la tendenza in atto potrà portare l’Italia ad avere nel 2000 una diffusione delle grandi superfici paragonabile a quella attualmente esistente in Francia.
La crescita dei discount è stata impetuosa fino agli ultimi mesi, nei quali sembra di assistere a un suo rallentamento. Diverse catene di distribuzione (Coop, A&O-Selex, ad esempio) stanno rivedendo i loro piani di espansione in questo settore e alcuni punti vendita sono stati costretti alla chiusura. Tuttavia, la quota di mercato dei discount è tuttora in espansione; sul mercato dei prodotti confezionati di largo consumo è passata dal 7,5% di dicembre 1994 al 10,6% di giugno 1995 e raggiunge o supera il 15% per alcuni prodotti. Vi sono dunque ragioni per ritenere che il processo di espansione di questa categoria di punti vendita non possa considerarsi esaurita anche se è ragionevole supporre che il settore dovrà selezionare le imprese più solide e attrezzate per continuare la sua espansione.

Il trend in provincia di Milano
Le Figure 5, 6 e 7 mostrano la crescita del numero dei punti vendita della Grande Distribuzione e della loro superficie negli ultimi anni in provincia di Milano. Si tratta di una crescita evidente, ma non particolarmente pronunciata se messa a confronto con il trend nazionale; il numero di punti vendita non si è incrementato sensibilmente, anzi, il picco è stato raggiunto nel 1990 e da quell’anno c’è stato un lieve calo. Del resto, la crescita nel resto del Paese non poteva non essere più intensa, dal momento che si è partiti da una dotazione di grandi superfici molto più ridotta di quella già esistente in provincia di Milano all’inizio del periodo considerato.
Prendendo in considerazione la superficie di vendita si può meglio osservare come il trend espansivo abbia comunque interessato anche la provincia di Milano. La superficie di vendita complessiva era di 440.000 m2 nel 1987 ed è diventata di 560.000 m2 nel 1993, con un incremento dunque del 27 per cento. La Figura 7 evidenzia come il contributo più importante a questa espansione sia venuto dai centri commerciali, che hanno visto crescere del 250% la loro superficie commerciale.
Bisogna osservare, inoltre, che il tasso di crescita sarebbe stato sicuramente più elevato se il settore non avesse incontrato ostacoli di tipo amministrativo (vincoli alla destinazione d’uso dei terreni, limiti alla superficie commerciale nel singolo comune ecc.) che hanno spesso precluso la possibilità di far sorgere nuovi punti vendita.
Negli ultimi due anni anche la provincia di Milano è stata interessata dalla rapida diffusione dei punti vendita discount. Non disponiamo di dati puntuali raffrontabili a quelli nazionali, ma possiamo dire che il tasso di apertura è stato superiore a quello medio nazionale. I 90 discount esistenti in provincia di Milano sono quasi un terzo di tutti quelli aperti in Lombardia (circa 300) e poco meno del 6% dei 1600 in Italia.
Naturalmente, anche a Milano a fronte della diffusione delle grandi superfici si registra un significativo calo del numero di esercizi tradizionali al dettaglio, che secondo i dati Aspo sono passati dai circa 58.000 del 1981 ai circa 52.000 del 1993.
La riduzione ha interessato in varia misura le diverse tipologie di negozio, così come mostrano le Tabelle 6 e 7. A subire un ridimensionamento sono stati soprattutto i negozi di generi alimentari (latterie, panetterie, fruttivendoli) e di abbigliamento, vale a dire quelli su cui i cittadini contano per l’approvvigionamento dei beni di prima necessità. Il loro posto è stato preso in parte dai negozi di accessori per abbigliamento, dalle profumerie, dai fiorai, dagli autoaccessori – cioè dagli articoli voluttuari – e dai bar. Come si può osservare, la variazione in negativo più evidente riguarda le latterie. Il fenomeno va ricondotto, a nostro parere, alla difficoltà da parte degli operatori economici a riconvertirsi in nuove modalità di servizio che potrebbero incontrare gli interessi dell’utenza che si è dimostrata molto favorevole all’avvio di attività quali: gelaterie, yogurterie e altre che utilizzano una materia prima, il latte, molto valida dal punto di vista nutrizionale. Da parte delle rivendite del pane si è verificato, in questo senso, una maggiore e più brillante capacità di riconversione e valorizzazione (paninoteche, focaccerie ecc.) di un prodotto di largo consumo la cui caduta di domanda avrebbe potuto essere molto più rilevante di quella dei latticini e dei loro derivati.
È opportuno inoltre osservare che a questo fenomeno non è naturalmente estraneo l’innalzamento del reddito complessivo della popolazione e lo spostamento verso tipologie di consumo diverse da quelle dei beni di prima necessità.
Ulteriori indizi sulla natura dell’evoluzione che ha interessato il settore della distribuzione in provincia di Milano si possono ottenere dall’osservazione che nel 1981 l’80% delle imprese di vendita al dettaglio erano ditte individuali, mentre nel 1992 questa percentuale scende a poco più del 65 per cento. Inoltre, tra il 1981 e il 1992 si sono persi nelle ditte individuali del settore circa 25.000 posti di lavoro, mentre altrettanti se ne sono creati tra le società di persone e di capitali (Fonte: nostre stime su dati Aspo).
In particolare, si può stimare che nel 1987 vi fossero circa 11.500 addetti nei punti vendita della Grande Distribuzione mentre nei negozi tradizionali trovavano lavoro 129.000 persone. Invece, nel 1993 nei negozi tradizionali si contavano 125.000 addetti e la Grande Distribuzione impiegava 15.000 dipendenti (Fonte: nostre stime su dati Aspo e Faid).
L’effetto della riduzione dei punti vendita tradizionali a vantaggio delle grandi superfici sembra in definitiva essere un gioco a somma zero dal punto di vista occupazionale.
La scomparsa di numerosi punti vendita tradizionali, e in particolare di quelli di generi alimentari di base, genera effetti che non rimangono confinati all’interno del settore, ma hanno profonde ricadute sull’identità sociale del territorio. In passato la maggior parte dei quartieri era un’entità complessa, una sorta di comunità che offriva alloggi, negozi, uffici, servizi ecc., una parte consistente dei loro abitanti viveva nel quartiere stesso, la loro necessità di muoversi era ridotta. La tendenza attuale – incoraggiata dalla diffusione delle automobili e che a sua volta incoraggia la diffusione delle automobili – è invece quella di creare aree specializzate (aree residenziali, aree commerciali, aree industriali ecc.) che inducono spostamenti per ogni necessità e riducono quindi il grado di integrazione tra l’individuo e il territorio (e i suoi abitanti). Luoghi di aggregazione diventano piuttosto i centri commerciali, in cui però la socialità è in qualche modo funzionale al consumo e dalla quale vengono esclusi i cittadini privi di possibilità di movimento autonomo (anziani in primo luogo).
Ora, di questo tipo di scenario non si può semplicemente prendere atto senza domandarsi quale valenza assuma in un contesto sociale e territoriale che vede crescere sempre di più il peso delle classi anziane per effetto del calo demografico.
Attualmente circa il 16% della popolazione della provincia di Milano ha più di 65 anni. Si prevede che questa quota potrà salire oltre il 20% nel 2006 e oltre il 30% nel 2040. La grande maggioranza di costoro sarà rappresentata da pensionati il cui reddito non potrà presumibilmente essere molto alto (l’importo medio delle pensioni erogate in provincia di Milano era di circa 13 milioni di lire nel 1992) e che certamente avranno molte difficoltà per effettuare spostamenti a lunga distanza. Questo significa che una fetta rilevante della popolazione, pur trovando nell’organizzazione della Grande Distribuzione condizioni favorevoli in termini di rapporto qualitàprezzo e di nastro orario lungo di apertura al pubblico, avrà bisogno di un servizio a domicilio o comunque nei pressi della propria abitazione. Ciò richiama innanzitutto alle nuove opportunità che la telematica lascia intravedere, vale a dire gli acquisti a distanza (home shopping). Ma pone anche degli interrogativi sul ruolo degli esercizi tradizionali e dell’ambulantato, messi nell’angolo dalla Grande Distribuzione e dai discount ma di cui si continuerà con ogni probabilità a sentire il bisogno.
Inoltre, non si può evitare di porsi alcuni interrogativi sulla vivibilità di una città in cui ormai ci sono tanti veicoli quanti abitanti (1 veicolo ogni 1,35 abitanti secondo gli ultimi dati). La disponibilità di posti auto è ormai una condizione necessaria per ogni iniziativa commerciale (no parking non business), ma i crescenti livelli di congestione e di inquinamento costituiscono veri e propri prezzi aggiuntivi, che non vengono percepiti dal consumatore, ma che devono essere pagati dall’intera collettività.

L’evoluzione degli stili di acquisto
La trasformazione in atto nel settore distributivo si intreccia strettamente all’evoluzione degli stili di acquisto dei consumatori. Lo sviluppo delle grandi superfici despecializzate e la metamorfosi della struttura dei negozi tradizionali esistenti – meno negozi di generi di base più negozi di generi voluttuari – rispondono alle esigenze di acquirenti mediamente più ricchi, mediamente più informati, mediamente più disponibili a spostarsi, mediamente con meno tempo a disposizione per gli acquisti.
Chi non rientra in questa fascia di medietà è marginalizzato, escluso dal nuovo modello di distribuzione. Si tratta soprattutto di anziani e di famiglie povere o con limitate capacità d’acquisto; per quanto marginali rispetto alla figura prevalente di consumatore, essi rappresentano comunque una fetta consistente della popolazione. Questa fascia di consumatori, come già si segnalava precedentemente, non ha molte alternative al negozio tradizionale. Una parte consistente, la più debole del Paese, subisce dunque conseguenze negative dal processo di riorganizzazione del settore produttivo, nel quale il piccolo dettagliante è costretto a orientarsi verso prodotti di nicchia per sopravvivere alla concorrenza delle grandi superfici e dei discount depauperando il territorio di un servizio di base.
I discount dal canto loro hanno potuto contare soprattutto sulla fascia dei consumatori che insegue ovunque il prezzo più basso senza badare alla qualità.
Chi soprattutto si trova a suo agio tra ipermercati e discount è il consumatore che conta sui beni di consumo per accrescere la propria identità, ma non ha un potere d’acquisto molto elevato. Le promozioni, l’assortimento e quant’altro viene offerto dalla grande superficie trovano in questa categoria di consumatore un bersaglio sicuro.
Un discorso simile vale anche per coloro che puntano sugli acquisti, soprattutto di marca, per ostentare il proprio status, si rivolgono alla Grande Distribuzione, ma anche ai punti vendita di piccole dimensioni specializzati: ecco dunque il fiorire di negozi di accessori, profumerie eccetera.
Queste due ultime categorie rappresentano insieme un terzo della popolazione e condizionano pesantemente l’orientamento del settore.
Una categoria emergente di consumatori è quella di chi non considera l’acquisto un momento qualificante, preferendo affidare la propria realizzazione al lavoro o alla cura del corpo e della salute. Proprio il fatto di avere molto tempo occupato sul lavoro fa sì che vengano prediletti i luoghi in cui l’acquisto può essere veloce: sono quindi ancora una volta le grandi superfici despecializzate in cui si può trovare di tutto a essere preferite.
Dunque, lo sviluppo della Grande Distribuzione tende a seguire, ma anche a incentivare, la nascita di un consumatore meno abitudinario e più propenso a scegliere il punto di vendita che gli garantisce maggiore soddisfazione per un motivo o per un altro (prezzo, assortimento, novità ecc.) e che non trova più nel negozio tradizionale una meta soddisfacente. Di ciò fanno però spese tutti coloro che non sono in condizioni di scegliere e per i quali il negozio sotto casa rappresenta un po’ una meta obbligata.
Va precisato comunque che le analisi di carattere sociologico formulate dagli esperti di analisi di mercato non sempre trovano riscontro e conferma da parte dei responsabili della Grande Distribuzione secondo i quali risultano molto più complesse di quanto sopra illustrato le relazioni tra tipi di consumatori e forme distributive.

La rete distributiva della provincia milanese a raffronto con altre esperienze
Le superfici di vendita di grandi magazzini, supermercati, ipermercati e centri commerciali della provincia di Milano sono riportate nella Tabella 8. Questi dati possono essere confrontati con quelli riportati nella Tabella 9 e che si riferiscono a Italia, Francia, Germania e Spagna. Per questi tre Paesi europei sono infatti disponibili dati aggiornati e confrontabili; inoltre la Francia è caratterizzata da un modello di evoluzione del sistema distributivo molto vicino a quello italiano.
Prendendo in considerazione supermercati e ipermercati, per i quali disponiamo di dati di confronto, si nota come il loro peso in provincia di Milano sia complessivamente maggiore che nel resto del Paese. Infatti, a livello provinciale queste due tipologie di esercizio sono presenti con quasi 81 m2 di superficie di vendita per 1000 abitanti contro i 73 m2 a livello nazionale.
La diffusione delle grandi superfici di vendita nella provincia milanese rimane però abbondantemente inferiore a quella che si registra nei Paesi esteri presi in considerazione, per lo meno in base alla superficie di vendita per 1000 abitanti. Agli 81 m2 della provincia di Milano si contrappongono i 223 m2 della Francia e i 200 m2 della Germania.
Diversa la situazione per quanto riguarda i discount, come è mostrato dalla Tabella 10. L’Italia – e, fatte le debite proporzioni, anche la provincia di Milano – sono allo stesso livello di Francia, Spagna e Gran Bretagna (la Germania fa caso a sé) per quanto riguarda il numero di punti vendita. Però la dimensione media degli esercizi italiani è sensibilmente più bassa che all’estero, per cui l’indicatore numero di metri quadri di vendita per 1000 abitanti vede l’Italia in coda alla classifica. Invece, questo stesso indicatore consente di evidenziare come la provincia di Milano abbia visto una diffusione dei discount molto più rapida rispetto alla media nazionale, giungendo a una superficie di vendita per 1000 abitanti superiore a quella della Francia. Il fatto che l’Italia si trovi più vicina agli altri Paesi per la diffusione dei discount e non per quella delle grandi superfici può essere dovuta al fatto che il discount è stato considerato un tipo di attività molto promettente e che non necessita di particolari condizioni logistiche e infrastrutture adeguate oltre che di autorizzazioni e altri aspetti amministrativi che nel nostro Paese sono più difficili da ottenere.
La corsa all’apertura del discount è testimoniata dal grado di frammentazione del settore; come si può leggere nella Tabella 10, negli altri Paesi il numero di insegne non supera la mezza dozzina, mentre in Italia sono 100 e oltre 30 sono attive nella sola provincia di Milano.
La situazione della rete distributiva della provincia di Milano è dunque differente rispetto a quella sperimentata in altre realtà a livello europeo. Tuttavia, un confronto più significativo dovrebbe tenere conto anche di altri aspetti: la densità della popolazione, la diffusione dei centri abitati sul territorio, la dotazione di infrastrutture di viabilità ecc.

La distribuzione territoriale dei punti vendita della Grande Distribuzione nella provincia di Milano
La dislocazione dei punti vendita della Grande Distribuzione in provincia di Milano si presenta come un quadro molto variegato. In generale, le zone più densamente popolate (come la Brianza, la Cintura Nord o la città di Milano) presentano tendenzialmente un maggior numero di punti vendita. In ultima analisi, tuttavia, gli insediamenti commerciali sono sorti laddove i regolamenti comunali hanno reso possibile la loro costruzione. Questo vale a maggior ragione per ipermercati e centri commerciali, che hanno bisogno di vaste superfici edificabili, a differenza dei grandi magazzini e dei supermercati che spesso sono integrati nel tessuto urbano. Questo stato di cose ha comportato di fatto una crescita piuttosto disordinata e priva di una strategia complessiva di integrazione con il territorio.
I supermercati e i grandi magazzini presenti sul territorio della provincia sono concentrati per lo più all’interno del Comune di Milano. Nel capoluogo, infatti, ci sono il 46% dei supermercati (48% in termini di superficie di vendita) e il 62% dei grandi magazzini (il 61% della superficie di vendita). Per interpretare queste cifre può essere utile rammentare che nel capoluogo vive il 37% della popolazione complessiva della provincia.
Gli ipermercati e i centri commerciali sono invece più diffusi in provincia. Per la precisione, sono fuori dal capoluogo il 90% dei metri quadri di superficie di vendita in ipermercati e il 92% della superficie commerciale dei centri commerciali.
In termini di numero di punti vendita, la Cintura Nord è la zona in cui sono insediati il maggior numero di centri commerciali (5) e di ipermercati (5 anche in questo caso, 4 dei quali sono inseriti all’interno dei centri commerciali). Però, se si considera l’indicatore dei metri quadri di superficie per abitante si spostano in testa alla graduatoria zone meno densamente popolate e con maggiore disponibilità di aree di grande dimensione: Sud Milano (244 metri quadri di superficie commerciale in centri commerciali e 62 metri quadri di superficie di vendita in ipermercato per 1000 abitanti), Direttrice Est (220 m2 e 70 m2 rispettivamente) e Magentino Abbiatense (92 m2 e 68 m2) (le cartografie delle pagine seguenti rappresentano le aree comprensoriali individuate per il progetto Mercurio di CedCamera).

Conclusioni
Il settore della distribuzione è in piena trasformazione. Si assiste a una riduzione consistente del numero di punti vendita tradizionali e alla diffusione delle grandi superfici, ma non è soltanto una questione di dimensioni. L’evoluzione numerica è andata di pari passo con quella degli stili di vita e di consumo nel nostro Paese, nonché delle strategie di vendita e di distribuzione dei beni. Nell’ambito di un mercato sempre più aperto e concorrenziale il settore distributivo assume un ruolo nuovo e trainante nelle politiche di vendita e di marketing.
Di fronte alla necessità di agire in una logica di customer satisfaction l’ipermercato o il centro commerciale permettono non solo di contenere i costi, e quindi di vendere a prezzi più bassi, ma si prestano meglio dei negozi tradizionali anche a politiche promozionali.
Il punto vendita diventa non più soltanto un luogo in cui il consumatore trova beni in grado di soddisfare una determinata domanda, ma diventa uno dei veicoli con cui si crea tale domanda, si inducono bisogni e si incentiva all’acquisto. Inoltre nei centri commerciali si sviluppa un nuova socialità, diventano dei veri e propri centri di aggregazione.
Questa modificazione della struttura dei punti vendita comporta effetti non secondari sul territorio. In generale, mentre in passato i negozi tendevano a sorgere all’interno delle zone residenziali, fungendo da servizio per gli abitanti di queste ultime (e contribuendo anche a favorire le relazioni sociali tra di essi), ora i punti vendita sorgono come centri autonomi che, come si diceva, non devono soltanto soddisfare una domanda, ma contribuire anche a crearla.
Questa separazione tende a “specializzare” il territorio, tra zone residenziali, zone commerciali, zone industriali eccetera. Da ciò deriva – soprattutto dove la Grande Distribuzione nasce fuori dai centri urbani e distante dai servizi metropolitani – una crescente necessità di spostamenti da parte dei consumatori – e quindi traffico, congestione e inquinamento – e spesso un ostacolo alla valorizzazione urbanistica dell’intervento, alla creazione di un legame con il territorio e con gli altri abitanti dello stesso che non sia meramente legata all’atto del consumo.
In questo studio sono stati citati dati e proiezioni raccolti presso gli esponenti più qualificati del settore, ma le prospettive indicate non potranno passare dalla carta alla realtà senza fare i conti con i vincoli sociali, urbanistici, culturali, economici di ogni singola realtà. Sapere che il modello distributivo verso cui il settore sembra intenzionato a tendere può penalizzare una fascia di popolazione in crescita come quella degli anziani non è un dato di cui ci si possa semplicemente limitare a prendere atto.
Lo stesso dicasi per i problemi della mobilità in una realtà come quella lombarda già fortemente condizionata da fenomeni di densità residenziale, trasporto delle merci internazionali su gomma e diffusa propensione all’acquisto di autoveicoli da parte della popolazione.
Si pone insomma un problema di governo del territorio, che tenga conto in maniera equilibrata di tutti i benefici, ma anche di tutti i costi – a livello sociale oltre che economico – che le diverse alternative presentano. Come abbiamo visto, il livello di sviluppo della Grande Distribuzione è nella provincia di Milano ancora inferiore a quello che si registra in altri Paesi.
Anche in funzione dello sviluppo demografico ed economico vi sono dunque diverse opportunità di assistere a un’ulteriore modifica delle diverse forme della distribuzione; come ha dimostrato la repentina nascita dei discount, gli scenari dei prossimi anni possono essere destinati a rapidi cambiamenti e modifiche.
Sarebbe quindi auspicabile che queste future evoluzioni avvenissero sotto gli auspici di una autocollocazione governata affinché possano rappresentare un reale progresso per il territorio, per le imprese, per i consumatori e non invece un rischio di decadimento sociale, ambientale, oltre che un cattivo investimento per chi intende misurarsi con questa forma di impresa.

Roberto Maiocchi* e Davide Fiorello

* (Dirigente dell’Azienda informatica della Camera di Commercio di Milano, CedCamera e responsabile dell’Area Informazione Economica dell’Azienda stessa).