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Impresa & Stato N°31 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

SVILUPPO LOCALE E "CITTA' GLOBALI"

di Laura Zanfrini


A DISPETTO DI UNA PROSPETTIVA d’interpretazione dei processi di sviluppo locale, condivisa da più di uno studioso, tendente a leggere lo sviluppo locale in termini di sostanziale analogia con lo sviluppo endogeno, dall’analisi della letteratura più recente si evince l’ormai acquisita consapevolezza di come la localizzazione delle funzioni produttive e innovative non rappresenta affatto una sorta di ritorno all’autarchia, bensì un processo strettamente integrato con quello della cosiddetta globalizzazione (o internazionalizzazione) dell’economia.
Gli stessi studi sui distretti della Terza Italia (cioè sulla realtà empirica che più di ogni altra ha sollecitato l’attenzione per le risorse endogene in ordine allo strutturarsi di dinamiche di sviluppo su base locale) suggeriscono un progressivo esaurimento delle capacità strategiche connesse con il localismo1 e la necessità, per i sistemi produttivi locali che vogliano sopravvivere e continuare a svilupparsi, di essere contemporaneamente “chiusi” e “aperti”, cioè di conservare la propria specifica identità ma promuovendo, al tempo stesso, le funzioni di retroazione in rapporto a un mondo esterno nel quale le distanze fisiche sono divenute meno rilevanti e il mutamento appare sempre più accelerato.
E ciò implica, è bene ricordarlo, un ripensamento anche del ruolo della regolazione politica di livello locale, nel senso di un suo intervento diretto nell’erogazione di specifici servizi alle imprese e di una sua effettiva partecipazione alle scelte di sviluppo, laddove esso si è invece tradizionalmente sostanziato nell’erogazione di un “salario sociale locale”,2 cioè in un contributo alla cosiddetta “costruzione sociale del mercato”, come dice Bagnasco;3 in altre parole, (pagina 29).
Oggi, invece, la stessa “offerta di identità” di cui le subculture politiche distrettuali si sono nel passato fatte carico deve essere ridefinita, vuoi perché i sistemi locali conoscono una crescente diversificazione degli interessi degli attori che li compongono, vuoi perché il tradizionale “spazio dei luoghi”, custode di una determinata storia sociale ed economica, tende a prolungarsi in uno “spazio dei flussi” entro il quale i confini spaziali e temporali diventano virtuali.
Una delle conseguenze di questa evoluzione è stata quella che poteva a prima vista apparire come una paradossale convergenza tra le analisi dedicate allo studio dei sistemi produttivi locali e la riflessione attorno alla configurazione emergente del sistema economico mondiale. Le letture di quest’ultima giungono generalmente a schematizzazioni ben lontane dallo scenario annunciato qualche anno fa da Sabel e Zeitlin,4 ossia l’avvento di un nuovo sistema fondato sulle regioni quali unità integrate di produzione interconnesse da network solidaristici per lo scambio di conoscenze e risorse. Oggi si tende invece a riconoscere l’esistenza di una sorta di gerarchia tra i territori (e tra le categorie sociali che questi territori abitano), ponendo in tal modo implicitamente in discussione quella tensione inclusiva tradizionalmente attribuita alla localizzazione delle dinamiche di crescita economica.

LA CONFIGURAZIONE EMERGENTE DEL SISTEMA ECONOMICO MONDIALE

In base a questa nuova impostazione, i diversi sistemi produttivi locali possono essere individuati e classificati a partire dalla funzione che ciascuno di essi svolge nell’ambito del sistema complessivo; ciò implica, come si è appena sottolineato, l’esistenza di precisi rapporti gerarchici tra di essi e una conseguente ripartizione squilibrata degli stessi benefici dello sviluppo.
Dematteis,5 per esempio, descrive il funzionamento dell’economia mondiale sulla base della distinzione di due tipi di sistemi locali: quelli territoriali a forma areale autocontenuta e costituiti da insiemi limitati di luoghi contigui, e quelli transterritoriali a forma di rete aperta e composti da insiemi di nodi connessi da flussi e interazioni. I primi hanno principalmente la funzione di produrre beni e servizi, resa possibile dalle relazioni di tipo verticale che le radicano a specifici contesti (milieu); i secondi fungono invece da connettori dei diversi sistemi territoriali.
Questi ultimi potrebbero essere astrattamente descritti come organizzazioni a rete composte da più nodi localizzati in sistemi territoriali diversi (ciò significa che non si tratta di sistemi delocalizzati, ma piuttosto a localizzazione mutevole).
I cosiddetti “nodi”, più o meno autonomi a seconda del tipo di organizzazione nella quale sono inseriti, presentano una duplice identità: da un lato appartengono alla rete translocale, ma dall’altro afferiscono a un determinato sistema territoriale. Questa duplice identità è proprio la caratteristica che consente loro di svolgere la fondamentale funzione di “scambiatori” tra gli spazi della produzione e quelli della circolazione e del controllo.
Questa strutturazione dello spazio permette di spiegare il paradosso per cui, pur nel contesto di un’economia sempre più controllata dalle reti globali, è possibile osservare una crescente autonomia dei sistemi locali territoriali.
Lo stesso Dematteis sottolinea inoltre come le reti transterritoriali possano essere ordinate secondo livelli diversi di gerarchia che strutturano lo spazio economico a tutte le scale e che tendono a tradurre i loro rapporti gerarchici in gerarchie territoriali.
Partendo dal livello superiore troviamo le reti globali, definibili come organizzazioni transnazionali che controllano la circolazione e la riproduzione cumulativa del capitale finanziario e dell’informazione strategica a scala planetaria.6 I nodi principali di queste reti si concentrano nelle cosiddette “città globali”, che ospitano le funzioni “quaternarie”. Via via che si passa ai livelli inferiori si incontrano invece quelle reti che, pur essendo multilocalizzate e generalmente transnazionali, possiedono una capacità di controllo decisamente più limitata, sia dal punto di vista dell’estensione geografica sia da quello della capacità di comando.
Questa schematizzazione dei rapporti tra sistemi locali e reti globali in termini di interazione – assicurata dalla presenza di nodi scambiatori – tra sistemi locali autonomi autoreferenziali operanti gli uni nello spazio dei luoghi e gli altri nello spazio dei flussi è in grado di fornire una parziale soluzione a una serie di problemi logici che lo stesso Dematteis individua indagando sulle prospettive dei distretti industriali della Terza Italia:7 il legame di interdipendenza tra i due tipi di sistemi consente infatti l’apertura funzionale di sistemi operativamente chiusi; in altre parole, il massimo di chiusura operativa è la condizione necessaria a raggiungere i migliori livelli di apertura funzionale. In questo modello, dunque, i cammini di sviluppo dei sistemi locali sono di due tipi: di tipo endogeno, cioè basati sulla ricchezza delle loro dotazioni, ma anche di tipo esogeno, cioè connessi alla posizione dentro la struttura gerarchica globale; tra i due complessi di condizioni si colloca lo spazio di manovra del fattore organizzativo e delle politiche di intervento, quanto meno nel breve-medio periodo.
Le strategie agibili entro questo spazio di manovra possono essere descritte attingendo a un recente articolo scritto a quattro mani da Becattini e Rullani.8 Sinteticamente, i due economisti presentano ciascun sistema locale come identificativo di un particolare segmento del processo produttivo globale, dotato di una propria parziale autonomia e riconoscibilità – che gli derivano dall’identità – e che finalizza i processi competitivi innescati dalla dinamica competitiva globale. Nella loro concettualizzazione il processo produttivo ha inoltre una natura circolare, tale per cui esso non si esaurisce nella trasformazione di determinati input in output, ma implica la riproduzione dei presupposti umani e materiali sui quali il processo produttivo si fonda. Tutto ciò dipende dalla capacità di integrazione di due differenti sfere cognitive: quella locale, legata al contesto, e quella globale, legata ai codici. "Il processo di produzione di nuova conoscenza" – precisano Becattini e Rullani – "non potrebbe riprodursi a livello locale se non esistesse un meccanismo che consente di sposare la conoscenza esplicita, codificata, che circola nella rete globale, con la conoscenza tacita, contestuale, del singolo sistema locale. Questo meccanismo, che è poi l'applicasione del sapere scientifico e tecnologico alla risoluzione dei problemi della vita e dell'industria, ha un ruolo essenziale nella generazione dei vantaggi competitivi, in quanto dal suo esito dipende la sopravvivenza e lo sviluppo delle imprese che costituiscono il sistema locale» (pagina 37).
Il circuito di conversione che codifica e de-codifica le conoscenze, connettendo il locale con il globale, si sostanzia in un procedimento che i due autori definiscono di integrazione versatile; le forme di questa procedura sono evolute nel tempo nel passaggio dalle fasi iniziali del capitalismo, all’epoca fordista e fino all’attuale contesto post-fordista.
Oggi l’integrazione è di tipo comunicativo e relazionale, non può cioè prescindere dalla comunicazione interpersonale che si svolge nei sistemi locali o nei luoghi virtuali, e assume inoltre una forma diffusa, pluri-contestuale. I sistemi locali sono chiamati direttamente in causa nello svolgimento di questa critica funzione cognitiva, e per svolgerla attingono al proprio sapere contestuale, alle competenze sedimentate nel tempo, ai valori e alle istituzioni tipiche per filtrare, metabolizzare e finalizzare il sapere trasferibile rilevante in ordine alle esigenze di competitività e di riproducibilità del sistema economico. Gli integratori versatili sono singoli uomini o gruppi di uomini situati nel territorio, sono essi che presiedono alle funzioni di codifica e de-codifica delle conoscenze, ed è a partire da essi che possono essere previste, analizzate e indirizzate le forme di conversione delle conoscenze.
Considerazioni come quelle che precedono ci portano a osservare che, nonostante queste riflessioni abbiano preso le mosse – quanto meno in senso metaforico – dalla riscoperta della dimensione locale dello sviluppo, la nozione di uno spazio strettamente “locale” esige oggi di essere problematizzata. Dematteis, nella sua descrizione della configurazione che viene assumendo il sistema economico mondiale, si rifà a una nozione reticolare dello spazio, una nozione che cioè valorizza la funzione dei network nel connettere i diversi sistemi produttivi locali che altrimenti sarebbero destinati al ripiegamento su se stessi e all’involuzione. Altri autori9 propendono invece per una nozione di spazio virtuale, che enfatizza la delocalizzazione dei processi produttivi e degli stessi riferimenti identitari degli attori dello sviluppo. Da parte nostra ci appare invece pertinente una nozione di spazio relazionale, adeguata a descrivere dinamiche di sviluppo differenti dal punto di vista delle soluzioni organizzative e dell’estensione del territorio di riferimento: uno spazio inteso come il luogo in cui si realizzano relazioni, non esclusivamente di natura mercantile, tra i diversi attori dello sviluppo. Una nozione di spazio atta a rendere conto della riemergenza, nell’attuale congiuntura storica, della categoria di “azione” quale "processo di rivelazione di sé agli altri uomini e di assunzione di significato in quanto individuo". 10

RUOLO E CONTRADDIZIONI DELLE CITTÀ GLOBALI

Ma, lo strutturarsi di uno spazio “relazionale” sembra non potersi interamente affidare a meccanismi di tipo spontaneo; richiede invece l’intervento di un’azione regolativa, pena il suo risolversi in uno spazio certamente “ricco” dal punto di vista della qualità delle relazioni, ma altrettanto selettivo dal punto di vista delle chances di partecipazione che è in grado di offrire. Un’esemplificazione di quanto stiamo dicendo ci è offerta dall’analisi di quelle che più sopra abbiamo definito le “città globali”, cioè di quei nodi nevralgici per il funzionamento dell’economia mondiale, ma che finiscono anche con l’incarnarne i limiti e le contraddizioni.
La caduta del paradigma urbano-industriale non ha decretato il declino della città, ma piuttosto una rinnovata enfasi sull’importanza dell’agglomerazione ai fini dello sviluppo, sottolineata in particolare dai contributi precursori dei geografi americani Scott e Storper. Negli ultimi anni sono divenuti via via più frequenti le analisi che si occupano del rapporto tra i processi di internazionalizzazione e l’emergenza delle città – o meglio delle metropoli – nell’attuale contesto politico-economico.11 Seguendo l’impostazione di Bonneville12 si possono distinguere un filone di approcci teso all’identificazione di indicatori supposti idonei a misurare il grado di internazionalizzazione delle varie città,13 uno che legge il processo di internazionalizzazione delle città a partire dalla loro integrazione nella divisione internazionale del lavoro,14 un ulteriore filone in cui convergono analisi di tipo storico e teorico dell’evoluzione della città dando conto della dimensione e della natura dei processi di internazionalizzazione,15 un filone che focalizza l’attenzione sulla natura e il ruolo delle élite sociali emerse dai processi di internazionalizzazione16 o, viceversa, la rilevanza economica delle comunità straniere immigrate, in opposizione alle concezioni élitarie dell’internazionalizzazione17 e un ultimo filone composto dagli approcci “sociali” al tema dell’internazionalizzazione delle città.18
È in particolare quest’ultimo filone di approcci al tema delle evoluzioni in corso nelle città quello che ci offre le maggiori sollecitazioni per le considerazioni che qui vogliamo svolgere.
In un primo senso, si tratta di riconoscere come si diano molteplici traiettorie di internazionalizzazione, differenti nel loro divenire e nei loro esiti, che però producono una gerarchizzazione accresciuta a beneficio di poche grandi città, relegando le altre a un ruolo secondario.19 Si dà cioè, una polarizzazione a vantaggio di alcune città,20 il cui destino si autonomizza sempre più da quello delle stesse economie nazionali.21 In considerazione di questa evoluzione, si constata un progressivo esaurimento di quella funzione “fertilizzatrice” che le teorie tradizionali erano solite attribuire al “centro” nei confronti della “periferia”. L’inscrizione delle città globali in network transnazionali ha l’effetto di emarginare i territori circostanti dalle dinamiche innovative,22 e di attribuire loro l’espletamento di compiti subalterni.
In un secondo senso, nel contesto delle stesse città globali, si è ormai da tempo segnalata23 un’evoluzione verso la contrapposizione di un’élite avvantaggiata dai processi di internazionalizzazione da un lato e la classe media e l’underclass dall’altro, non soltanto escluse ma addirittura vittime dei processi di sviluppo. In conseguenza della logica di eccellenza élitaria che rischia di prevalere nelle economie metropolitane, come è stato provocatoriamente affermato,24 le grandi città sembrano non avere più bisogno di tutti i loro abitanti: molti di essi sarebbero in realtà divenuti dei fardelli ingombranti e costosi, caso mai relegati al ruolo di consumatori assistiti. L’uguaglianza delle opportunità è un principio posto sempre più a repentaglio, in particolare alla luce delle evoluzioni del mercato del lavoro e della casa.
Queste conseguenze appaiono tanto più gravi ed evidenti soprattutto in quei contesti in cui il declino del sistema produttivo fordista ha posto in crisi tutto un modello di funzionamento e di regolazione dell’economia e della società, e la fiducia nelle sue capacità inclusive e integrative. Nel panorama europeo, il caso della Francia risulta forse più di ogni altro esemplare.
In questo Paese, che è legittimo definire la “patria della centralizzazione” in ragione del peso che vi ha tradizionalmente assunto l’intervento del Governo centrale nell’economia, si assiste oggi, curiosamente, a una diffusa tendenza alla “municipalizzazione” delle politiche e dei processi di sviluppo. È come se al tradizionale centralismo andasse via via sostituendosi una sorta di campanilismo che è espressione della medesima cultura ma che al tempo stesso, instaurando una competizione tra le diverse società locali, finisce col contraddire uno degli obiettivi centrali della tradizione interventista francese: l’eliminazione degli squilibri territoriali. Gli stessi interessi nazionali rischiano col risultare parzialmente asserviti a quelli delle società locali di cui sono espressione i titolari dei mandati politici,25 i comuni più grandi e più ricchi – oltre che più capaci di voice – attirano non solo i maggiori investimenti privati, ma anche il volume più elevato di finanziamenti pubblici. Queste tendenze rischiano anche di inibire uno dei principali auspici della decentralizzazione amministrativa avviata all’inizio degli anni Ottanta, quello di mobilitare, “dalla base”, le energie e le risorse delle comunità locali. In realtà, si assiste invece a una sorta di monopolizzazione delle iniziative periferiche da parte delle municipalità (e in particolare da parte della figura del sindaco, a cui lo sviluppo delle città francesi è stato tradizionalmente associato), a discapito della capacità di attivazione autonoma dei raggruppamenti societari locali e a discapito, altresì, di quelle categorie sociali svantaggiate che sono vittime di un deficit di cittadinanza, cioè a dire di un mancato senso di appartenenza alla società di cui le politiche per lo sviluppo sono espressione.
L’esperienza francese, dunque, dimostra come l’utopia prospettata da Sabel e Zeitlin sia destinata a fare i conti con capacità di partecipazione agli obiettivi di competitività delle imprese e di negoziazione con le autorità statali e sovra-nazionali inequamente distribuite tra le diverse regioni: la frontiera tra sviluppo e sotto- sviluppo attraversa ogni Paese capitalistico, effetto congiunto della selettività dei processi di crescita e della crisi dello Stato assistenziale. Questa evoluzione risulta in Francia particolarmente evidente, perché trova le collettività locali come suggestionate da tutta una retorica modernista e produttivista, che pone al di sopra di tutto i valori della competizione e del mercato, svalorizzando al tempo stesso una tradizione di intervento pubblico fondata sull’universalismo, il formalismo, il controllo, ma anche l’equità e la solidarietà.26
Il senso di appartenenza rischia di tramutarsi in localismo, con tutte le conseguenze che sono state attribuite alla tendenza verso la localizzazione della politica: il rafforzamento dei sistemi locali può certamente significare una maggiore partecipazione dal basso, ma anche un restringimento degli orizzonti politici e culturali; una semplificazione della regolazione sociale svolta a livello locale, che però limita la regolazione sociale complessiva; in sintesi, l’espressione di una razionalità locale che può condurre sulla strada dell’irrazionalità globale.27 L’analogia tra lo sviluppo locale e l’inclusività o democraticità dello sviluppo stesso appare più l’effetto di una operazione ideologica che di un’attenta analisi empirica. La società francese rischia di decomporsi in un complesso di sistemi locali narcisisticamente ripiegati su se stessi, lasciando ai propri margini una frangia consistente di popolazione in condizioni di precarietà e di esclusione.28

CONCLUSIONI

Quelle che seguono più che conclusioni si propongono come considerazioni intermedie tra quanto precede e lo sforzo, in termini di ricerca empirica e di riflessione teorica, che dovrebbe essere fatto per rendere ancora più conosciute le implicazioni sociali delle attuali dinamiche di sviluppo metropolitane e per suggerire i possibili interventi atti a prevenire e a gestire i rischi di squilibrio sociale, economico e territoriale di cui queste dinamiche possono risultare foriere.
Una prima indicazione concerne il fatto che le grandi città sono la testimonianza più eloquente della non opposizione esistente tra la territorializzazione delle dinamiche di sviluppo e la globalizzazione dell’economia: al di là dei limiti, rilevati da più parti, delle teorie della nuova divisione internazionale del lavoro, sembra sussistere una certa condivisione rispetto alla configurazione assunta dal sistema economico mondiale entro il quale le grandi città vengono ad assumere una funzione strategica. Si tratta, in particolare, di riconoscere la crucialità delle funzioni del cosiddetto “terziario avanzato” (o delle funzioni quaternarie, come qualcuno le definisce): è la presenza di queste funzioni che qualifica una città come “nodo” scambiatore, che dunque le consente di svolgere una funzione gerarchicamente non subordinata entro i network transnazionali e di sopperire alle stesse esigenze, in termini di servizi alle imprese in senso lato, dei sistemi produttivi locali del proprio Paese.
D’altro canto, la localizzazione di queste funzioni avvantaggia l’“immagine” della città, ne sostiene la capacità di attrarre nuovi investimenti e la rende una sede abituale di incontro per quelle élite emergenti che tanta parte hanno nelle attuali dinamiche dello sviluppo.
La crucialità di determinate funzioni – alle quali, come si è appena detto, è associata la stessa immagine di una città – fa sì che i percorsi di ascesa – cioè di assunzione di un ruolo “di punta” nel panorama nazionale e internazionale – da parte delle città tendano a seguire delle traiettorie almeno in parte analoghe e in un certo senso predefinite, ciò che in ultima analisi svalorizza le peculiarità di ciascun contesto storico-geografico così come la stessa capacità creativa degli attori locali. E ciò sembrerebbe un esito decisamente paradossale se rapportato all’enfasi che in questi ultimi anni è stata attribuita alle risorse e alle capacità di iniziativa endogene. Se si considera l’asimmetrica distribuzione del potere che esiste tra le aziende transnazionali (quelle coinvolte nella gestione delle tecnologie e delle funzioni realmente innovative) da un lato e le istituzioni locali dall’altro, si può convenire che "c'è poco che tali istituzioni possano fare per loro proprio conto oltre che fornire un ambiente economico attraente o tentare di stimolare i tipi di attività economiche locali che potrebbero essere incorporate in un network di imprese transnazionali".29
Questa stessa similarità degli itinerari di ascesa e delle immagini ricercate produce una forte concorrenza fra le città che aspirano al ruolo di metropoli mondiale e che competono per aggiudicarsi gli insediamenti più vantaggiosi dal punto di vista economico e da quello simbolico. Una concorrenza che si nutre della consapevolezza che gli attuali processi di sviluppo si caratterizzano, in ultima analisi, per una natura selettiva. I contesti maggiormente sviluppati non prefigurano più, in questa prospettiva, il futuro dei territori “decollati” in ritardo, secondo quanto lasciava supporre l’ottimistica visione di uno sviluppo unilineare e continuo, e neppure corrispondono a quei sistemi locali integrati celebrati da Sabel e Zeitlin, tanto coesi e integrati al proprio interno quanto solidaristicamente orientati verso l’esterno; sono invece i territori che “hanno vinto”30 e che si sono accaparrati la fetta più grande della torta, lasciando ai “perdenti” una quantità più o meno grande di briciole da spartirsi.
La polarizzazione tra vincitori e perdenti – ma più che a una polarizzazione è corretto pensare a un’articolata segmentazione degli spazi, passibile pertanto di essere continuamente ridefinita (le posizioni raggiunte esigono infatti di essere difese e conservate, non sono acquisite una volta per tutte) – si declina non solo dal punto di vista territoriale, ma anche da quello sociale: le nuove dinamiche di sviluppo, fondate in un certo senso sulla “capacità relazionale” dei diversi attori individuali e collettivi, non sembrano in grado di garantire l’inclusione universale della popolazione nei processi di produzione e di godimento della sua ricchezza.31 E le conseguenze di ciò appaiono tanto più gravi allorquando si decida di rinunciare alla protezione universalistica che il welfare state ha tendenzialmente realizzato – o ha quanto meno tentato di realizzare – nell’epoca della produzione di massa.
Questa capacità relazionale che nella forma canonica del distretto industriale si alimenta della prossimità geografica tra gli attori può esprimersi anche entro uno spazio virtuale: la “cittadinanza itinerante” delle élite che emergono dai processi di internazionalizzazione dell’economia si accompagna a una rottura dei tessuti di sociabilità urbana e alla sostituzione delle prossimità sociali e geografiche con le prossimità funzionali, tutto ciò a detrimento delle possibilità di integrazione nelle comunità residenziali e della stabilità, nel tempo, dei legami e delle relazioni. Forzando i termini del discorso si potrebbe affermare che mentre la prossimità geografica resta, in un certo qual senso, la “forza dei poveri”32 – come emblaticamente dimostra il fenomeno delle cosiddette enclaves etniche –, i “ricchi” sono in grado di prescindere da quest’ultima e di vivere una modalità di inserimento urbano definita attraverso la dualità dei loro rapporti con lo spazio e con il tempo,33 “abitando” e incontrandosi in luoghi “deterritorializzati” quali sono, per esempio, gli aerei e i centri congressi.
Ne risulta che i veri poveri sono quelli che non hanno accesso, a causa dell’insufficienza delle loro risorse economiche e culturali, ai reticoli di prossimità funzionale, e che non sono nemmeno, o non sono ancora, in grado di avvantaggiarsi di quelli di prossimità geografica e sociale. I veri poveri sono gli homeless, gli immigrati stranieri privi del sostegno dei connazionali, ma sono anche gli abitanti delle periferie urbane degradate – quelli che i francesi hanno definito il “quarto mondo” –, i disoccupati di lunga durata rimasti ai margini dei programmi di riqualificazione professionale, gli psicolabili incapaci di relazionarsi agli altri in maniera normale, e così via. È chiaro che questo discorso ci condurrebbe, se protratto, a inoltrarci in questioni che esulano dagli scopi che ci siamo proposti con questa nostra riflessione. Ma questo breve richiamo valga a ricordarci i rischi che da sempre il mito della “mano invisibile” porta con sé, e a ribadire l’imprescindibilità della regolazione politica per un equilibrato funzionamento dell’economia.

NOTE

1) E. Ritaine, Prato ou l’exaspération de la diffusion industrielle, in Sociologie du Travail, XXIX, n. 2, 1987, pp. 139-156.
2) C. Trigilia, La regolazione localistica: economia e politica nelle aree di piccola impresa, in Stato e Mercato, n. 14, agosto 1985, pp. 181-228.
3) A. Bagnasco, La costruzione sociale del mercato: strategie di impresa ed esperimenti di scala in Italia, in Stato e Mercato, n. 13, aprile 1985, pp. 9-45.
4) C.F. Sabel, J. Zeitlin, Alternative storiche alla produzione di massa, in Stato e Mercato, n. 5, 1982, pp. 213-258.
5) G. Dematteis, Sistemi locali e reti globali, relazione al Corso “Sviluppo locale e mercato globale”, Artimino (Firenze), 30 giugno, 12-17 settembre 1994, stesura provvisoria.
6) J. Goddard, The geography of information economy, Pict Policy Research Papers, University of Newcastle Upon Tyne, 1990.
7) Dematteis individua tre ordini di problemi logici che possono essere letti come altrettante ipoteche sul futuro dei sistemi locali: a) la chiusura operativa, richiesta dalla specifica forma organizzativa dei sistemi locali, è anche condizione per la specializzazione del sistema nel contesto del mercato globale, ciò che comporta una forte apertura: i sistemi locali devono pertanto, come si è già ricordato, essere al tempo stesso chiusi e aperti; b) l’apertura dei sistemi locali li porta a essere i nodi di una rete globale di flussi di beni, capitali, persone, informazioni, nella quale la composizione funzionale dei nodi rileva più della prossimità. La chiusura operativa si realizza invece secondo una rete di interazioni tra gli attori locali che funziona secondo una logica territoriale di prossimità e radicamento (è ciò a cui prima ci siamo riferiti parlando di contrapposizione tra lo spazio dei luoghi e lo spazio dei flussi); c) il terzo ordine di problemi rimanda infine alla necessità, da parte dei sistemi locali, di conservare la propria identità in un tempo storico che ha caratteristiche di discontinuità e in un sistema globale che cambia rapidamente.
8) G. Becattini, E. Rullani, Sistema locale e mercato globale, in Economia e politica industriale, n. 80, 1993, pp. 25-48.
9) Cfr., per esempio: R. Bianchi, Il sistema locale visto dall’economista, relazione al Corso “Sviluppo locale e mercato globale”, Artimino (Firenze), 30 giugno, 12-17 settembre 1994.
10) H. Arendt, The Human Condition, The University of Chicago Press, Chicago, 1958.
11) Cfr., tra gli altri, P. Beckouche, M. Savy, P. Veltz, Nouvelle économie, nouveaux territories, Ertes-Caisse des Depots et Consignations, Parigi, 1987; R. Knight, G. Gappert (eds.), Cities in a global society, Sage, Newbury Park, 1989.
12) M. Bonneville, Une revue des recherches sur les villes et l’internationalisation, in Revue d’Economie Régionale et Urbaine, n. 2, 1994, pp. 133-157.
13) J. Labasse, La notion de la ville internationale, comunicazione alla Conférence Permanente sur l’Aménagement et l’Urbanisme de Bordeaux, 1989; P. Soldatos, La nouvelle génération des villes internationales dans un monde internationalisé: éléments d’analyse et de planification stratégique de leur déploiement, comunicazione al Colloquio “Processus d’internationalisation des villes”, Centre J. Cartier, Lione, dicembre 1989.
14) Datar, Villes internationales, villes mondiales, Travaux de Recherche et Perspective, Parigi, 1986; M. Polese, Le role des services dans l’internationalisation des villes: un modèle évolutif, comunicazione al Colloquio “Processus d’internationalisation des villes”, Centre J. Cartier, Lione, dicembre 1989; P.Y. Leo, M.C. Monnoyer-Longe, J. Philippe, Métropoles régionales et Pme: l’enjeu international, Serdeco, Aix-en-Provence, 1990.
15) P. Hall, National capitals, world cities and the new division of labour, in AA.VV., The Future of Metropolis, W. de Gruyter, Berlino- New York, 1986, pp. 135-145; L.H.Klaassen, L. Berg, J. Meer, The city: engine behind economic recovery, Gower Publishing Group, Avebury, Aldershot, 1989; P. Chesire, Explaining the recent performance of the European Community’s Major Urban Regions, in Urban Studies, n. 3, 1990, pp. 311-333; S. Conti, G. Spriano, Strutture urbane, innovazione tecnologica e reti urbane internazionali, Seminario Internazionale della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 20-21 aprile 1989.
16) Friedmann - Wolff, J. Labasse, La notion de la ville internationale, cit.; A. Tarrius, Les espaces circulatoires des élites éuropéennes: vers de nouvelles morphologies urbaines et sociales, Inrets, 1989.
17) T. Cohn, A typology of cities based international involvment: metropolitan case, comunicazione al Colloquio “Processus d’internationalisation des villes”, cit.; E. Fry, Les villes internationales américaines: fonctions économiques, comunicazione al Colloquio “Processus d’internationalisation des villes”, cit.; J. Kincaid, Nuages sur la diplomatie municipale: les dangers liés à des opinions publiques défavorables, in AA.VV., The New International Cities Era, Fry-Radebaugh-Soldatoes Editeurs, Montréal, 1989; M. Roncayolo, La notion de ville internationale, comunicazione alla Conférence Permanente d’Aménagement et d’Urbanisme de Bordeaux, Bordeaux, 1989; ancora A. Tarrius, Les espaces circulatories des élites européennes: vers de nouvelles morphologies urbaines et sociales, Inrets, 1989.
18) Cfr. ancora S. Conti, G. Spriano, Strutture urbane, innovazione tecnologica e reti urbane internazionali, Seminario Internazionale della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 20-21 aprile 1989; E. Borlenghi, L’industria innovativa e la sua città, Seminario Internazionale della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 20-21 aprile 1989; E. Wolleb, The crisis of European cities, rapporto di sintesi per la Federazione Europea di Ricerche Economiche, 1989.
19) M. Bonneville e altri, Villes européennes et internationalisation, Programme Rhone-Alpes de Recherches en Sciences Humaines, Lione, 1991.
20) J. Bonnamy e altri, Internationalisation des services: logiques, processus et structures en réseaux, Rapport pour le Plan Urbain, 1989; A. Mayere, Internationalisation des services, partenariat et mise en réseau, comunicazione al Colloquio “Métropoles en déséquilibre”, Lione, dicembre 1990.
21) M.L. Moss, Telecommunications, world cities and urban policy, in Urban Studies, vol. 24, 1987, pp. 534-546.
22) E. Lavocat, Des villes en réseaux aux réseaux de villes: nouvelles solidarités, nouveaux territoires et impact des télécommunications, in Notes, Ètudes et Travaux sur la Communication, vol. III, n. 2, 1989, pp. 381-403.
23) Cfr., tra gli altri: Friedmann - Wolff, cit.
24) M. Goldsmith, Chicago’s future: economic efficiency or equality, or both?, Atti del Colloquio “L’avenir des villes: excellence et/ou diversité”, Ppsh Rhone-Alpes, Lione, 1993.
25) Y. Meny, L’Etat face à la décentralisation, in Cfdt-Aujourd’hui, n. 110, settembre 1993, pp. 52-61.
26) S. Wachter, Compétences décentralisées et gestion publique locale, in: C. Dupuy, G.P. Gilly (sous la direction de), Industrie et territoires en France, pp. 135-141, “Notes et Etudes documentaires”, n. 4969-70, 1993-4-5.
27) P. Giovannini, Localismo e globalismo: l’analisi dei processi sociali, relazione al Corso “Sviluppo locale e mercato globale”, Artimino (Firenze), 30 giugno, 12-17 settembre 1994.
28) J. Weydert, Individus et communautés, in Project, n. 227, autunno 1991, pp. 16-22.
29) P. Dicken, The Roepke Lecture in Economic Geography: Global-Local Tensions: Firms and States in the Global Space Economy, in Economic Geography, vol. 70, n. 2, aprile 1994, pp. 101-128 (la citazione è a pagina 123).
30) G. Benko, A. Lipietz, Les Régions qui gagnent. Districts et réseaux: les nouveaux paradigmes de la géographie économique, Puf, Parigi, 1992.
31) Valga, a questo proposito, l’esempio della città di Barcellona. Dietro lo stimolo delle Olimpiadi del 1992, l’Amministrazione locale ha condotto una politica molto attiva in campo economico. Accanto agli indubbi effetti positivi che ne sono seguiti – creazione di infrastrutture, sostegno all’occupazione, aumento della qualità della vita ecc. – se ne osservano però altri, di segno negativo, quali il rincaro del costo degli alloggi e una più evidente segmentazione del mercato del lavoro, forieri di aggravare le disuguaglianze sociali (cfr. S. Garcia, Politiques économiques urbaines et autonomie locale: le cas de Barcelone, in Sociologie du Travail, XXXIII, n. 4, 1991, pp. 485-502).
32) Cfr., a questo riguardo: J.F. LaÈ, Economie, culture et sociabilité, in Sociologie du Travail, XXXIV, n. 4, 1992, pp. 451- 467.
33) A. Tarrius, Les espaces circulatoires des élites européennes: vers de nouvelles morphologies urbaines et sociales, Inrets, 1989.