di Laura Zanfrini
LA CONFIGURAZIONE EMERGENTE DEL SISTEMA ECONOMICO MONDIALE
In base a questa nuova impostazione, i diversi sistemi produttivi
locali possono essere individuati e classificati a partire dalla
funzione che ciascuno di essi svolge nell’ambito del sistema
complessivo; ciò implica, come si è appena sottolineato, l’esistenza
di precisi rapporti gerarchici tra di essi e una conseguente
ripartizione squilibrata degli stessi benefici dello sviluppo.
Dematteis,5 per esempio, descrive il funzionamento dell’economia
mondiale sulla base della distinzione di due tipi di sistemi locali:
quelli territoriali a forma areale autocontenuta e costituiti da
insiemi limitati di luoghi contigui, e quelli transterritoriali a
forma di rete aperta e composti da insiemi di nodi connessi da flussi
e interazioni. I primi hanno principalmente la funzione di produrre
beni e servizi, resa possibile dalle relazioni di tipo verticale che
le radicano a specifici contesti (milieu); i secondi fungono invece da
connettori dei diversi sistemi territoriali.
Questi ultimi potrebbero essere astrattamente descritti come
organizzazioni a rete composte da più nodi localizzati in sistemi
territoriali diversi (ciò significa che non si tratta di sistemi
delocalizzati, ma piuttosto a localizzazione mutevole).
I cosiddetti “nodi”, più o meno autonomi a seconda del tipo di
organizzazione nella quale sono inseriti, presentano una duplice
identità: da un lato appartengono alla rete translocale, ma dall’altro
afferiscono a un determinato sistema territoriale. Questa duplice
identità è proprio la caratteristica che consente loro di svolgere la
fondamentale funzione di “scambiatori” tra gli spazi della produzione
e quelli della circolazione e del controllo.
Questa strutturazione dello spazio permette di spiegare il paradosso
per cui, pur nel contesto di un’economia sempre più controllata dalle
reti globali, è possibile osservare una crescente autonomia dei
sistemi locali territoriali.
Lo stesso Dematteis sottolinea inoltre come le reti transterritoriali
possano essere ordinate secondo livelli diversi di gerarchia che
strutturano lo spazio economico a tutte le scale e che tendono a
tradurre i loro rapporti gerarchici in gerarchie territoriali.
Partendo dal livello superiore troviamo le reti globali, definibili
come organizzazioni transnazionali che controllano la circolazione e
la riproduzione cumulativa del capitale finanziario e
dell’informazione strategica a scala planetaria.6 I nodi principali di
queste reti si concentrano nelle cosiddette “città globali”, che
ospitano le funzioni “quaternarie”. Via via che si passa ai livelli
inferiori si incontrano invece quelle reti che, pur essendo
multilocalizzate e generalmente transnazionali, possiedono una
capacità di controllo decisamente più limitata, sia dal punto di vista
dell’estensione geografica sia da quello della capacità di comando.
Questa schematizzazione dei rapporti tra sistemi locali e reti globali
in termini di interazione – assicurata dalla presenza di nodi
scambiatori – tra sistemi locali autonomi autoreferenziali operanti
gli uni nello spazio dei luoghi e gli altri nello spazio dei flussi è
in grado di fornire una parziale soluzione a una serie di problemi
logici che lo stesso Dematteis individua indagando sulle prospettive
dei distretti industriali della Terza Italia:7 il legame di
interdipendenza tra i due tipi di sistemi consente infatti l’apertura
funzionale di sistemi operativamente chiusi; in altre parole, il
massimo di chiusura operativa è la condizione necessaria a raggiungere
i migliori livelli di apertura funzionale. In questo modello, dunque,
i cammini di sviluppo dei sistemi locali sono di due tipi: di tipo
endogeno, cioè basati sulla ricchezza delle loro dotazioni, ma anche
di tipo esogeno, cioè connessi alla posizione dentro la struttura
gerarchica globale; tra i due complessi di condizioni si colloca lo
spazio di manovra del fattore organizzativo e delle politiche di
intervento, quanto meno nel breve-medio periodo.
Le strategie agibili entro questo spazio di manovra possono essere
descritte attingendo a un recente articolo scritto a quattro mani da
Becattini e Rullani.8 Sinteticamente, i due economisti presentano
ciascun sistema locale come identificativo di un particolare segmento
del processo produttivo globale, dotato di una propria parziale
autonomia e riconoscibilità – che gli derivano dall’identità – e che
finalizza i processi competitivi innescati dalla dinamica competitiva
globale. Nella loro concettualizzazione il processo produttivo ha
inoltre una natura circolare, tale per cui esso non si esaurisce nella
trasformazione di determinati input in output, ma implica la
riproduzione dei presupposti umani e materiali sui quali il processo
produttivo si fonda. Tutto ciò dipende dalla capacità di integrazione
di due differenti sfere cognitive: quella locale, legata al contesto,
e quella globale, legata ai codici. "Il processo di produzione di nuova conoscenza" – precisano Becattini e Rullani – "non potrebbe riprodursi a livello locale se non esistesse un meccanismo che consente di sposare la conoscenza esplicita, codificata, che circola nella rete globale, con la conoscenza tacita, contestuale, del singolo sistema locale. Questo meccanismo, che è poi l'applicasione del sapere scientifico e tecnologico alla risoluzione dei problemi della vita e dell'industria, ha un ruolo essenziale nella generazione dei vantaggi competitivi, in quanto dal suo esito dipende la sopravvivenza e lo sviluppo delle imprese che costituiscono il sistema locale» (pagina 37).
Il circuito di conversione che codifica e de-codifica le conoscenze,
connettendo il locale con il globale, si sostanzia in un procedimento
che i due autori definiscono di integrazione versatile; le forme di
questa procedura sono evolute nel tempo nel passaggio dalle fasi
iniziali del capitalismo, all’epoca fordista e fino all’attuale
contesto post-fordista.
Oggi l’integrazione è di tipo comunicativo e relazionale, non può cioè
prescindere dalla comunicazione interpersonale che si svolge nei
sistemi locali o nei luoghi virtuali, e assume inoltre una forma
diffusa, pluri-contestuale. I sistemi locali sono chiamati
direttamente in causa nello svolgimento di questa critica funzione
cognitiva, e per svolgerla attingono al proprio sapere contestuale,
alle competenze sedimentate nel tempo, ai valori e alle istituzioni
tipiche per filtrare, metabolizzare e finalizzare il sapere
trasferibile rilevante in ordine alle esigenze di competitività e di
riproducibilità del sistema economico. Gli integratori versatili sono
singoli uomini o gruppi di uomini situati nel territorio, sono essi
che presiedono alle funzioni di codifica e de-codifica delle
conoscenze, ed è a partire da essi che possono essere previste,
analizzate e indirizzate le forme di conversione delle conoscenze.
Considerazioni come quelle che precedono ci portano a osservare che,
nonostante queste riflessioni abbiano preso le mosse – quanto meno in
senso metaforico – dalla riscoperta della dimensione locale dello
sviluppo, la nozione di uno spazio strettamente “locale” esige oggi di
essere problematizzata. Dematteis, nella sua descrizione della
configurazione che viene assumendo il sistema economico mondiale, si
rifà a una nozione reticolare dello spazio, una nozione che cioè
valorizza la funzione dei network nel connettere i diversi sistemi
produttivi locali che altrimenti sarebbero destinati al ripiegamento
su se stessi e all’involuzione. Altri autori9 propendono invece per
una nozione di spazio virtuale, che enfatizza la delocalizzazione dei
processi produttivi e degli stessi riferimenti identitari degli attori
dello sviluppo. Da parte nostra ci appare invece pertinente una
nozione di spazio relazionale, adeguata a descrivere dinamiche di
sviluppo differenti dal punto di vista delle soluzioni organizzative e
dell’estensione del territorio di riferimento: uno spazio inteso come
il luogo in cui si realizzano relazioni, non esclusivamente di natura
mercantile, tra i diversi attori dello sviluppo. Una nozione di spazio
atta a rendere conto della riemergenza, nell’attuale congiuntura
storica, della categoria di “azione” quale "processo di rivelazione di sé agli altri uomini e di assunzione di significato in quanto individuo". 10
RUOLO E CONTRADDIZIONI DELLE CITTÀ GLOBALI
Ma, lo strutturarsi di uno spazio “relazionale” sembra non potersi
interamente affidare a meccanismi di tipo spontaneo; richiede invece
l’intervento di un’azione regolativa, pena il suo risolversi in uno
spazio certamente “ricco” dal punto di vista della qualità delle
relazioni, ma altrettanto selettivo dal punto di vista delle chances
di partecipazione che è in grado di offrire. Un’esemplificazione di
quanto stiamo dicendo ci è offerta dall’analisi di quelle che più
sopra abbiamo definito le “città globali”, cioè di quei nodi
nevralgici per il funzionamento dell’economia mondiale, ma che
finiscono anche con l’incarnarne i limiti e le contraddizioni.
La caduta del paradigma urbano-industriale non ha decretato il declino
della città, ma piuttosto una rinnovata enfasi sull’importanza
dell’agglomerazione ai fini dello sviluppo, sottolineata in
particolare dai contributi precursori dei geografi americani Scott e
Storper. Negli ultimi anni sono divenuti via via più frequenti le
analisi che si occupano del rapporto tra i processi di
internazionalizzazione e l’emergenza delle città – o meglio delle
metropoli – nell’attuale contesto politico-economico.11 Seguendo
l’impostazione di Bonneville12 si possono distinguere un filone di
approcci teso all’identificazione di indicatori supposti idonei a
misurare il grado di internazionalizzazione delle varie città,13 uno
che legge il processo di internazionalizzazione delle città a partire
dalla loro integrazione nella divisione internazionale del lavoro,14
un ulteriore filone in cui convergono analisi di tipo storico e
teorico dell’evoluzione della città dando conto della dimensione e
della natura dei processi di internazionalizzazione,15 un filone che
focalizza l’attenzione sulla natura e il ruolo delle élite sociali
emerse dai processi di internazionalizzazione16 o, viceversa, la
rilevanza economica delle comunità straniere immigrate, in opposizione
alle concezioni élitarie dell’internazionalizzazione17 e un ultimo
filone composto dagli approcci “sociali” al tema
dell’internazionalizzazione delle città.18
È in particolare quest’ultimo filone di approcci al tema delle
evoluzioni in corso nelle città quello che ci offre le maggiori
sollecitazioni per le considerazioni che qui vogliamo svolgere.
In un primo senso, si tratta di riconoscere come si diano molteplici
traiettorie di internazionalizzazione, differenti nel loro divenire e
nei loro esiti, che però producono una gerarchizzazione accresciuta a
beneficio di poche grandi città, relegando le altre a un ruolo
secondario.19 Si dà cioè, una polarizzazione a vantaggio di alcune
città,20 il cui destino si autonomizza sempre più da quello delle
stesse economie nazionali.21 In considerazione di questa evoluzione,
si constata un progressivo esaurimento di quella funzione
“fertilizzatrice” che le teorie tradizionali erano solite attribuire
al “centro” nei confronti della “periferia”. L’inscrizione delle città
globali in network transnazionali ha l’effetto di emarginare i
territori circostanti dalle dinamiche innovative,22 e di attribuire
loro l’espletamento di compiti subalterni.
In un secondo senso, nel contesto delle stesse città globali, si è
ormai da tempo segnalata23 un’evoluzione verso la contrapposizione di
un’élite avvantaggiata dai processi di internazionalizzazione da un
lato e la classe media e l’underclass dall’altro, non soltanto escluse
ma addirittura vittime dei processi di sviluppo. In conseguenza della
logica di eccellenza élitaria che rischia di prevalere nelle economie
metropolitane, come è stato provocatoriamente affermato,24 le grandi
città sembrano non avere più bisogno di tutti i loro abitanti: molti
di essi sarebbero in realtà divenuti dei fardelli ingombranti e
costosi, caso mai relegati al ruolo di consumatori assistiti.
L’uguaglianza delle opportunità è un principio posto sempre più a
repentaglio, in particolare alla luce delle evoluzioni del mercato del
lavoro e della casa.
Queste conseguenze appaiono tanto più gravi ed evidenti soprattutto in
quei contesti in cui il declino del sistema produttivo fordista ha
posto in crisi tutto un modello di funzionamento e di regolazione
dell’economia e della società, e la fiducia nelle sue capacità
inclusive e integrative. Nel panorama europeo, il caso della Francia
risulta forse più di ogni altro esemplare.
In questo Paese, che è legittimo definire la “patria della
centralizzazione” in ragione del peso che vi ha tradizionalmente
assunto l’intervento del Governo centrale nell’economia, si assiste
oggi, curiosamente, a una diffusa tendenza alla “municipalizzazione”
delle politiche e dei processi di sviluppo. È come se al tradizionale
centralismo andasse via via sostituendosi una sorta di campanilismo
che è espressione della medesima cultura ma che al tempo stesso,
instaurando una competizione tra le diverse società locali, finisce
col contraddire uno degli obiettivi centrali della tradizione
interventista francese: l’eliminazione degli squilibri territoriali.
Gli stessi interessi nazionali rischiano col risultare parzialmente
asserviti a quelli delle società locali di cui sono espressione i
titolari dei mandati politici,25 i comuni più grandi e più ricchi –
oltre che più capaci di voice – attirano non solo i maggiori
investimenti privati, ma anche il volume più elevato di finanziamenti
pubblici. Queste tendenze rischiano anche di inibire uno dei
principali auspici della decentralizzazione amministrativa avviata
all’inizio degli anni Ottanta, quello di mobilitare, “dalla base”, le
energie e le risorse delle comunità locali. In realtà, si assiste
invece a una sorta di monopolizzazione delle iniziative periferiche da
parte delle municipalità (e in particolare da parte della figura del
sindaco, a cui lo sviluppo delle città francesi è stato
tradizionalmente associato), a discapito della capacità di attivazione
autonoma dei raggruppamenti societari locali e a discapito, altresì,
di quelle categorie sociali svantaggiate che sono vittime di un
deficit di cittadinanza, cioè a dire di un mancato senso di
appartenenza alla società di cui le politiche per lo sviluppo sono
espressione.
L’esperienza francese, dunque, dimostra come l’utopia prospettata da
Sabel e Zeitlin sia destinata a fare i conti con capacità di
partecipazione agli obiettivi di competitività delle imprese e di
negoziazione con le autorità statali e sovra-nazionali inequamente
distribuite tra le diverse regioni: la frontiera tra sviluppo e sotto-
sviluppo attraversa ogni Paese capitalistico, effetto congiunto della
selettività dei processi di crescita e della crisi dello Stato
assistenziale. Questa evoluzione risulta in Francia particolarmente
evidente, perché trova le collettività locali come suggestionate da
tutta una retorica modernista e produttivista, che pone al di sopra di
tutto i valori della competizione e del mercato, svalorizzando al
tempo stesso una tradizione di intervento pubblico fondata
sull’universalismo, il formalismo, il controllo, ma anche l’equità e
la solidarietà.26
Il senso di appartenenza rischia di tramutarsi in localismo, con tutte
le conseguenze che sono state attribuite alla tendenza verso la
localizzazione della politica: il rafforzamento dei sistemi locali può
certamente significare una maggiore partecipazione dal basso, ma anche
un restringimento degli orizzonti politici e culturali; una
semplificazione della regolazione sociale svolta a livello locale, che
però limita la regolazione sociale complessiva; in sintesi,
l’espressione di una razionalità locale che può condurre sulla strada
dell’irrazionalità globale.27 L’analogia tra lo sviluppo locale e
l’inclusività o democraticità dello sviluppo stesso appare più
l’effetto di una operazione ideologica che di un’attenta analisi
empirica. La società francese rischia di decomporsi in un complesso di
sistemi locali narcisisticamente ripiegati su se stessi, lasciando ai
propri margini una frangia consistente di popolazione in condizioni di
precarietà e di esclusione.28
CONCLUSIONI
Quelle che seguono più che conclusioni si propongono come
considerazioni intermedie tra quanto precede e lo sforzo, in termini
di ricerca empirica e di riflessione teorica, che dovrebbe essere
fatto per rendere ancora più conosciute le implicazioni sociali delle
attuali dinamiche di sviluppo metropolitane e per suggerire i
possibili interventi atti a prevenire e a gestire i rischi di
squilibrio sociale, economico e territoriale di cui queste dinamiche
possono risultare foriere.
Una prima indicazione concerne il fatto che le grandi città sono la
testimonianza più eloquente della non opposizione esistente tra la
territorializzazione delle dinamiche di sviluppo e la globalizzazione
dell’economia: al di là dei limiti, rilevati da più parti, delle
teorie della nuova divisione internazionale del lavoro, sembra
sussistere una certa condivisione rispetto alla configurazione assunta
dal sistema economico mondiale entro il quale le grandi città vengono
ad assumere una funzione strategica. Si tratta, in particolare, di
riconoscere la crucialità delle funzioni del cosiddetto “terziario
avanzato” (o delle funzioni quaternarie, come qualcuno le definisce):
è la presenza di queste funzioni che qualifica una città come “nodo”
scambiatore, che dunque le consente di svolgere una funzione
gerarchicamente non subordinata entro i network transnazionali e di
sopperire alle stesse esigenze, in termini di servizi alle imprese in
senso lato, dei sistemi produttivi locali del proprio Paese.
D’altro canto, la localizzazione di queste funzioni avvantaggia
l’“immagine” della città, ne sostiene la capacità di attrarre nuovi
investimenti e la rende una sede abituale di incontro per quelle élite
emergenti che tanta parte hanno nelle attuali dinamiche dello
sviluppo.
La crucialità di determinate funzioni – alle quali, come si è appena
detto, è associata la stessa immagine di una città – fa sì che i
percorsi di ascesa – cioè di assunzione di un ruolo “di punta” nel
panorama nazionale e internazionale – da parte delle città tendano a
seguire delle traiettorie almeno in parte analoghe e in un certo senso
predefinite, ciò che in ultima analisi svalorizza le peculiarità di
ciascun contesto storico-geografico così come la stessa capacità
creativa degli attori locali. E ciò sembrerebbe un esito decisamente
paradossale se rapportato all’enfasi che in questi ultimi anni è stata
attribuita alle risorse e alle capacità di iniziativa endogene. Se si
considera l’asimmetrica distribuzione del potere che esiste tra le
aziende transnazionali (quelle coinvolte nella gestione delle
tecnologie e delle funzioni realmente innovative) da un lato e le
istituzioni locali dall’altro, si può convenire che "c'è poco che tali istituzioni possano fare per loro proprio conto oltre che fornire un ambiente economico attraente o tentare di stimolare i tipi di attività economiche locali che potrebbero essere incorporate in un network di imprese transnazionali".29
Questa stessa similarità degli itinerari di ascesa e delle immagini
ricercate produce una forte concorrenza fra le città che aspirano al
ruolo di metropoli mondiale e che competono per aggiudicarsi gli
insediamenti più vantaggiosi dal punto di vista economico e da quello
simbolico. Una concorrenza che si nutre della consapevolezza che gli
attuali processi di sviluppo si caratterizzano, in ultima analisi, per
una natura selettiva. I contesti maggiormente sviluppati non
prefigurano più, in questa prospettiva, il futuro dei territori
“decollati” in ritardo, secondo quanto lasciava supporre l’ottimistica
visione di uno sviluppo unilineare e continuo, e neppure corrispondono
a quei sistemi locali integrati celebrati da Sabel e Zeitlin, tanto
coesi e integrati al proprio interno quanto solidaristicamente
orientati verso l’esterno; sono invece i territori che “hanno vinto”30
e che si sono accaparrati la fetta più grande della torta, lasciando
ai “perdenti” una quantità più o meno grande di briciole da spartirsi.
La polarizzazione tra vincitori e perdenti – ma più che a una
polarizzazione è corretto pensare a un’articolata segmentazione degli
spazi, passibile pertanto di essere continuamente ridefinita (le
posizioni raggiunte esigono infatti di essere difese e conservate, non
sono acquisite una volta per tutte) – si declina non solo dal punto di
vista territoriale, ma anche da quello sociale: le nuove dinamiche di
sviluppo, fondate in un certo senso sulla “capacità relazionale” dei
diversi attori individuali e collettivi, non sembrano in grado di
garantire l’inclusione universale della popolazione nei processi di
produzione e di godimento della sua ricchezza.31 E le conseguenze di
ciò appaiono tanto più gravi allorquando si decida di rinunciare alla
protezione universalistica che il welfare state ha tendenzialmente
realizzato – o ha quanto meno tentato di realizzare – nell’epoca della
produzione di massa.
Questa capacità relazionale che nella forma canonica del distretto
industriale si alimenta della prossimità geografica tra gli attori può
esprimersi anche entro uno spazio virtuale: la “cittadinanza
itinerante” delle élite che emergono dai processi di
internazionalizzazione dell’economia si accompagna a una rottura dei
tessuti di sociabilità urbana e alla sostituzione delle prossimità
sociali e geografiche con le prossimità funzionali, tutto ciò a
detrimento delle possibilità di integrazione nelle comunità
residenziali e della stabilità, nel tempo, dei legami e delle
relazioni. Forzando i termini del discorso si potrebbe affermare che
mentre la prossimità geografica resta, in un certo qual senso, la
“forza dei poveri”32 – come emblaticamente dimostra il fenomeno delle
cosiddette enclaves etniche –, i “ricchi” sono in grado di prescindere
da quest’ultima e di vivere una modalità di inserimento urbano
definita attraverso la dualità dei loro rapporti con lo spazio e con
il tempo,33 “abitando” e incontrandosi in luoghi “deterritorializzati”
quali sono, per esempio, gli aerei e i centri congressi.
Ne risulta che i veri poveri sono quelli che non hanno accesso, a
causa dell’insufficienza delle loro risorse economiche e culturali, ai
reticoli di prossimità funzionale, e che non sono nemmeno, o non sono
ancora, in grado di avvantaggiarsi di quelli di prossimità geografica
e sociale. I veri poveri sono gli homeless, gli immigrati stranieri
privi del sostegno dei connazionali, ma sono anche gli abitanti delle
periferie urbane degradate – quelli che i francesi hanno definito il
“quarto mondo” –, i disoccupati di lunga durata rimasti ai margini dei
programmi di riqualificazione professionale, gli psicolabili incapaci
di relazionarsi agli altri in maniera normale, e così via. È chiaro
che questo discorso ci condurrebbe, se protratto, a inoltrarci in
questioni che esulano dagli scopi che ci siamo proposti con questa
nostra riflessione. Ma questo breve richiamo valga a ricordarci i
rischi che da sempre il mito della “mano invisibile” porta con sé, e a
ribadire l’imprescindibilità della regolazione politica per un
equilibrato funzionamento dell’economia.
NOTE
1) E. Ritaine, Prato ou l’exaspération de la diffusion industrielle,
in Sociologie du Travail, XXIX, n. 2, 1987, pp. 139-156.
2) C. Trigilia, La regolazione localistica: economia e politica nelle
aree di piccola impresa, in Stato e Mercato, n. 14, agosto 1985, pp.
181-228.
3) A. Bagnasco, La costruzione sociale del mercato: strategie di
impresa ed esperimenti di scala in Italia, in Stato e Mercato, n.
13, aprile 1985, pp. 9-45.
4) C.F. Sabel, J. Zeitlin, Alternative storiche alla produzione di
massa, in Stato e Mercato, n. 5, 1982, pp. 213-258.
5) G. Dematteis, Sistemi locali e reti globali, relazione al Corso
“Sviluppo locale e mercato globale”, Artimino (Firenze), 30 giugno,
12-17 settembre 1994, stesura provvisoria.
6) J. Goddard, The geography of information economy, Pict Policy
Research Papers, University of Newcastle Upon Tyne, 1990.
7) Dematteis individua tre ordini di problemi logici che possono
essere letti come altrettante ipoteche sul futuro dei sistemi
locali: a) la chiusura operativa, richiesta dalla specifica forma
organizzativa dei sistemi locali, è anche condizione per la
specializzazione del sistema nel contesto del mercato globale, ciò
che comporta una forte apertura: i sistemi locali devono pertanto,
come si è già ricordato, essere al tempo stesso chiusi e aperti; b)
l’apertura dei sistemi locali li porta a essere i nodi di una rete
globale di flussi di beni, capitali, persone, informazioni, nella
quale la composizione funzionale dei nodi rileva più della
prossimità. La chiusura operativa si realizza invece secondo una
rete di interazioni tra gli attori locali che funziona secondo una
logica territoriale di prossimità e radicamento (è ciò a cui prima
ci siamo riferiti parlando di contrapposizione tra lo spazio dei
luoghi e lo spazio dei flussi); c) il terzo ordine di problemi
rimanda infine alla necessità, da parte dei sistemi locali, di
conservare la propria identità in un tempo storico che ha
caratteristiche di discontinuità e in un sistema globale che cambia
rapidamente.
8) G. Becattini, E. Rullani, Sistema locale e mercato globale, in
Economia e politica industriale, n. 80, 1993, pp. 25-48.
9) Cfr., per esempio: R. Bianchi, Il sistema locale visto
dall’economista, relazione al Corso “Sviluppo locale e mercato
globale”, Artimino (Firenze), 30 giugno, 12-17 settembre 1994.
10) H. Arendt, The Human Condition, The University of Chicago Press,
Chicago, 1958.
11) Cfr., tra gli altri, P. Beckouche, M. Savy, P. Veltz, Nouvelle
économie, nouveaux territories, Ertes-Caisse des Depots et
Consignations, Parigi, 1987; R. Knight, G. Gappert (eds.), Cities in
a global society, Sage, Newbury Park, 1989.
12) M. Bonneville, Une revue des recherches sur les villes et
l’internationalisation, in Revue d’Economie Régionale et Urbaine, n.
2, 1994, pp. 133-157.
13) J. Labasse, La notion de la ville internationale, comunicazione
alla Conférence Permanente sur l’Aménagement et l’Urbanisme de
Bordeaux, 1989; P. Soldatos, La nouvelle génération des villes
internationales dans un monde internationalisé: éléments d’analyse
et de planification stratégique de leur déploiement, comunicazione
al Colloquio “Processus d’internationalisation des villes”, Centre
J. Cartier, Lione, dicembre 1989.
14) Datar, Villes internationales, villes mondiales, Travaux de
Recherche et Perspective, Parigi, 1986; M. Polese, Le role des
services dans l’internationalisation des villes: un modèle évolutif,
comunicazione al Colloquio “Processus d’internationalisation des
villes”, Centre J. Cartier, Lione, dicembre 1989; P.Y. Leo, M.C.
Monnoyer-Longe, J. Philippe, Métropoles régionales et Pme: l’enjeu
international, Serdeco, Aix-en-Provence, 1990.
15) P. Hall, National capitals, world cities and the new division of
labour, in AA.VV., The Future of Metropolis, W. de Gruyter, Berlino-
New York, 1986, pp. 135-145; L.H.Klaassen, L. Berg, J. Meer, The
city: engine behind economic recovery, Gower Publishing Group,
Avebury, Aldershot, 1989; P. Chesire, Explaining the recent
performance of the European Community’s Major Urban Regions, in
Urban Studies, n. 3, 1990, pp. 311-333; S. Conti, G. Spriano,
Strutture urbane, innovazione tecnologica e reti urbane
internazionali, Seminario Internazionale della Fondazione Giovanni
Agnelli, Torino, 20-21 aprile 1989.
16) Friedmann - Wolff, J. Labasse, La notion de la ville
internationale, cit.; A. Tarrius, Les espaces circulatoires des
élites éuropéennes: vers de nouvelles morphologies urbaines et
sociales, Inrets, 1989.
17) T. Cohn, A typology of cities based international involvment:
metropolitan case, comunicazione al Colloquio “Processus
d’internationalisation des villes”, cit.; E. Fry, Les villes
internationales américaines: fonctions économiques, comunicazione al
Colloquio “Processus d’internationalisation des villes”, cit.; J.
Kincaid, Nuages sur la diplomatie municipale: les dangers liés à des
opinions publiques défavorables, in AA.VV., The New International
Cities Era, Fry-Radebaugh-Soldatoes Editeurs, Montréal, 1989; M.
Roncayolo, La notion de ville internationale, comunicazione alla
Conférence Permanente d’Aménagement et d’Urbanisme de Bordeaux,
Bordeaux, 1989; ancora A. Tarrius, Les espaces circulatories des
élites européennes: vers de nouvelles morphologies urbaines et
sociales, Inrets, 1989.
18) Cfr. ancora S. Conti, G. Spriano, Strutture urbane, innovazione
tecnologica e reti urbane internazionali, Seminario Internazionale
della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 20-21 aprile 1989; E.
Borlenghi, L’industria innovativa e la sua città, Seminario
Internazionale della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 20-21
aprile 1989; E. Wolleb, The crisis of European cities, rapporto di
sintesi per la Federazione Europea di Ricerche Economiche, 1989.
19) M. Bonneville e altri, Villes européennes et internationalisation,
Programme Rhone-Alpes de Recherches en Sciences Humaines, Lione,
1991.
20) J. Bonnamy e altri, Internationalisation des services: logiques,
processus et structures en réseaux, Rapport pour le Plan Urbain,
1989; A. Mayere, Internationalisation des services, partenariat et
mise en réseau, comunicazione al Colloquio “Métropoles en
déséquilibre”, Lione, dicembre 1990.
21) M.L. Moss, Telecommunications, world cities and urban policy, in
Urban Studies, vol. 24, 1987, pp. 534-546.
22) E. Lavocat, Des villes en réseaux aux réseaux de villes: nouvelles
solidarités, nouveaux territoires et impact des télécommunications,
in Notes, Ètudes et Travaux sur la Communication, vol. III, n. 2,
1989, pp. 381-403.
23) Cfr., tra gli altri: Friedmann - Wolff, cit.
24) M. Goldsmith, Chicago’s future: economic efficiency or equality,
or both?, Atti del Colloquio “L’avenir des villes: excellence et/ou
diversité”, Ppsh Rhone-Alpes, Lione, 1993.
25) Y. Meny, L’Etat face à la décentralisation, in Cfdt-Aujourd’hui,
n. 110, settembre 1993, pp. 52-61.
26) S. Wachter, Compétences décentralisées et gestion publique locale,
in: C. Dupuy, G.P. Gilly (sous la direction de), Industrie et
territoires en France, pp. 135-141, “Notes et Etudes documentaires”,
n. 4969-70, 1993-4-5.
27) P. Giovannini, Localismo e globalismo: l’analisi dei processi
sociali, relazione al Corso “Sviluppo locale e mercato globale”,
Artimino (Firenze), 30 giugno, 12-17 settembre 1994.
28) J. Weydert, Individus et communautés, in Project, n. 227, autunno
1991, pp. 16-22.
29) P. Dicken, The Roepke Lecture in Economic Geography: Global-Local
Tensions: Firms and States in the Global Space Economy, in Economic
Geography, vol. 70, n. 2, aprile 1994, pp. 101-128 (la citazione è a
pagina 123).
30) G. Benko, A. Lipietz, Les Régions qui gagnent. Districts et
réseaux: les nouveaux paradigmes de la géographie économique, Puf,
Parigi, 1992.
31) Valga, a questo proposito, l’esempio della città di Barcellona.
Dietro lo stimolo delle Olimpiadi del 1992, l’Amministrazione locale
ha condotto una politica molto attiva in campo economico. Accanto
agli indubbi effetti positivi che ne sono seguiti – creazione di
infrastrutture, sostegno all’occupazione, aumento della qualità
della vita ecc. – se ne osservano però altri, di segno negativo,
quali il rincaro del costo degli alloggi e una più evidente
segmentazione del mercato del lavoro, forieri di aggravare le
disuguaglianze sociali (cfr. S. Garcia, Politiques économiques
urbaines et autonomie locale: le cas de Barcelone, in Sociologie du
Travail, XXXIII, n. 4, 1991, pp. 485-502).
32) Cfr., a questo riguardo: J.F. LaÈ, Economie, culture et
sociabilité, in Sociologie du Travail, XXXIV, n. 4, 1992, pp. 451-
467.
33) A. Tarrius, Les espaces circulatoires des élites européennes: vers
de nouvelles morphologies urbaines et sociales, Inrets, 1989.