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Impresa & Stato N°31 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

BOCCIONI E MILANO: IMMAGINI DELLA MODERNITA'

di Tulliola Sparagni


CI SONO ARTISTI il cui lavoro si lega strettamente al paesaggio e all’ambiente circostante, alle immagini quotidiane che diventano qualcosa di più che semplici spunti tematici.
Questo è il caso di Boccioni e Milano. L’artista arrivò nella città lombarda proprio per sfuggire una certa atmosfera e adattò il banale paesaggio urbano milanese alla sua ricerca artistica ed estetica, culminante poi nelle teorie futuriste.
Boccioni si stabilisce a Milano verso la fine del 1907. Ha venticinque anni e una formazione artistica e culturale assolutamente non accademica, potremmo dire da autodidatta. Le sue prime esperienze artistiche si sono compiute a Roma, dove ha conosciuto Balla e Severini, poi a Padova e a Venezia. Tre città con un passato glorioso e sfolgorante, bellissime per monumenti e natura, ma che evidentemente per Boccioni rappresentano l’esatta antitesi di quella modernità cui aspirava. In una celebre pagina del suo Diario, scritta il 14 marzo 1907, Boccioni chiarisce dove vuole arrivare con la sua arte, anche se ancora non sa quali mezzi tecnici usare.
"Sento - così scrive - che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale.Sono nauseato di vecchie mure e di vecchi palazzi, di vecchi motivi, di reminiscenze! Voglio avere sott'occhio la vita d'oggi."
In un altro punto ribadisce questo rifiuto "prefuturista" del passato: "Ora mi sento frutto del mio tempo e mi sembra che qui in Padova tutto sia vecchio. Questa sensazione l'allargo a tutta l'Italia, e ne tiro la conclusione che si vive fuori d'ambiente...In Italia mi sembra tutto in disuso, un'enorme bottega da rigattiere per quelle d'uso. Le vie, le linee, le persone, i sentimenti sentono di ieri con l'aggravante dell'odore indefinibile dell'oggi. Noi viviamo in un sogno stanco. Questa è la delizia dei forestieri che vengono giustamente a riposarsi, ma fa fremere me al pensiero che gli storici del Secolo XX non parleranno d’Italia".
Solo tre anni più tardi Boccioni e i futuristi teorizzeranno la rivolta contro "il culto del passato", l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il "formalismo accademico" (Manifesto dei pittori futuristi, 11 febbraio 1910) e nessuna città italiana meglio di Milano poteva offrire a Boccioni il senso di un mondo nuovo e industrializzato in divenire. Non a caso le parole del marzo 1907 sono state scritte qualche mese prima del suo trasferimento a Milano e qualche mese dopo un breve soggiorno a Parigi, capitale europea della modernità.
Così lo sfondo della zona di Porta Romana, dove l’artista risiedeva assieme alla madre, diventa lo scenario contemporaneamente dell’evoluzione stilistica di Boccioni e dello sviluppo urbano (La città che sale). Nell’autoritratto del 1908 a Brera sono gli anonimi caseggiati di quella periferia d’allora a circondare l’artista; dal balcone della sua casa in via Adige 23 nel corso di tre anni viene ripresa la modificazione di quell’area cittadina. In La sorella al balcone del 1909 si scorge uno spazio vuoto, poi occupato dal cantiere che la madre osserva in La strada entra nella casa del 1911, che a sua volta a lavoro finito mostrerà il riconoscibile ingresso del Mulino Besozzi che fa da sfondo alla madre troneggiante di Materia del 1912.
Come altri artisti francesi (Robert Delaunay con la serie dedicata alla Tour Eiffel o Fernand Léger) e tedeschi (in primo luogo Ludwig Kirchner) anche Boccioni comprende però che il problema della raffigurazione della modernità non consiste nella meccanica sostituzione di paesaggi naturali con sfondi urbani, del lavoro dei campi con quello industriale, ma risiede piuttosto nella rappresentazione delle nuove potenzialità e delle nuove esperienze che appartengono alla vita delle metropoli. La velocità di treni, tram e macchine, ad esempio, differente e superiore a quella delle carrozze modifica il campo percettivo e consente nuove forme visive, così come le luci a gas ed elettriche hanno una qualità luminosa diversa da quella della luce del sole e della luna. "Un paesaggio attraversato in automobile o in treno perde in valore descrittivo ma guadagna in valore di sintesi; la porta della vettura ferroviaria o il parabrezza dell'automobile alterano l'aspetto abituale delle cose. Un uomo moderno registra un numero di impressioni sensoriali cento volte superiore a un artista del XVIII secolo, cosicché, per esempio, siamo indotti a usare un linguaggio pieno di diminutivi e di abbreviazioni. La condensazione della pittura moderna, la sua varietà, la sua frantumazione delle forme, è il risultato di tutto questo.È certo, cioè, che l’evoluzione dei mezzi di trasporto e la loro velocità hanno qualcosa a che fare con il nuovo modo di vedere.» Le parole di Léger del ’14, così vicine alle formulazioni del futurismo dimostrano come la rottura dell’ordine visivo e l’astrazione predicate in arte dall’avanguardia vengano motivate da tutti, futuristi, cubisti ed espressionisti, con la necessità di aderire più intimamente allo spirito della modernità. Cosa poteva suggerire a un uomo del passato la parola "simultaneità", a quali immagini concrete e a quali esperienze individuali e quotidiane poteva agganciarsi? Per Boccioni la città moderna è lo scenario unico e privilegiato della simultaneità, anche solo con il riflettersi della propria immagine nel vetro della finestra guardando dall’alto la strada e le sue innumerevoli presenze (Visioni simultanee, 1911).
"La simultaneità è per noi l'esaltazione lirica, la plastica manifestazione di un nuovo assoluto; la velocità di un nuovo e meraviglioso spettacolo; la vita moderna di una nuova febbre; la scoperta scientifica..."
Come la cupola di S. Pietro simboleggiava con la sua totale visibilità l’idea di una cattolicità ecumenica e trionfante, la Tour Eiffel frazionata e scomposta in tutti i suoi possibili punti di vista diventa per Delaunay l’immagine concreta della simultaneità moderna, dell’obiquità e del dinamismo che ci consentono invenzioni come l’automobile, il telegrafo o poi il telefono. Ma mentre Léger e Delaunay si muovevano nello scenario grandioso ed eccitante di Parigi, Boccioni guardava Milano, che a sua volta rifiutava i futuristi. Questo "miserevole sottoscala della civiltà" (così Carrà definisce Milano in una lettera a Boccioni) diventa nei suoi quadri l’equivalente della capitale francese o delle metropoli americane. Eppure sono proprio le nostre banali periferie... Se Milano ha un posto privilegiato nell’atlante dell’arte moderna, sicuramente lo si deve anche o soprattutto, alla forza di immaginazione e alla passione con cui Boccioni ha rappresentato la sua città d’elezione.