di Giorgio Ferraresi
ECOPOLIS: LA RETE TRA SOGGETTI SOCIALI, LA PROGETTAZIONE INTERATTIVA, LA RICERCA UNIVERSITARIA
Ecopolis è una associazione volontaria che è sorta negli ultimi anni
Ottanta con la seguente denominazione più estesa: "Ecopolis, idee per
la città, forum per la promozione e produzione di progetti ecologici
socialmente fondati"; il tema trattato in termini sostantivi è la
qualità urbana e la qualità di vita nella città, anche dal punto di
vista ecologico ma non solo (Ecopolis è "eco" ma è anche "polis");
attorno alla ipotesi fondamentale della costruzione di una "città
dell’abitare".
Ciò che inoltre caratterizza Ecopolis è la modalità della propria
azione, che mira al coinvolgimento della popolazione e dei molteplici
soggetti sociali, prevalentemente locali, nei processi di
pianificazione e progettazione in quanto li considera portatori di
risorse e di saperi pertinenti alla soluzione dei problemi urbani e
innanzitutto alla definizione (alla strutturazione) di tali problemi;
in questo, anticipo, sono particolarmente d’accordo con quanto
sostiene Fareri: il nodo principale delle politiche e dell’azione
dell’Urban Center è la costruzione dei problemi.
L’esperienza di Ecopolis ha attraversato sostanzialmente due fasi. La
prima, attorno al ’90, è stata caratterizzata da un’azione di
attivazione di reti, dal networking tra i soggetti sociali, comitati
di quartiere, associazioni ambientaliste e non, volontariato e via
dicendo, producendo sostanzialmente "quell’in più" progettuale che le
singole associazioni non riuscivano a esprimere o a mettere in
circuito. In particolare proponendo "idee di città" proprio per quel
superamento dell’atteggiamento Nimby (Not In My Backyard) di cui
tratta anche la ricerca qui discussa, ma sempre perseguendo una
valorizzazione del "locale" come connotazione essenziale (naturalmente
non intendendo per locale "piccolo" ma richiamando la derivazione di
questo aggettivo da "luogo", cioè "spazio dotato di caratteri
distintivi", portatore di significati propri, non omologato al
globale).
La seconda fase di Ecopolis, tuttora in atto, è relativa
prevalentemente a una sperimentazione diretta di progetti
“partecipati” o meglio di progettazione interattiva; rivolta alla
gente comune, piuttosto che ai soggetti intermedi già organizzati,
comitati o associazioni. Quindi una azione di costruzione radicale,
dal basso, di istanze progettuali; e di interrelazione (come
sistematico tentativo, connotato o meno da successo) con gli attori
istituzionali e di mercato.
L’altra informazione che intendo fornire e che mi sembra rilevante in
ordine ad alcune implicazioni teoriche dell’azione, riguarda lo
stretto rapporto di Ecopolis con la ricerca universitaria (ricordo tra
l’altro che io insegno Urbanistica al Politecnico di Milano).
Ecopolis è infatti anche un punto di sperimentazione progettuale
dell’elaborazione che si svolge in Università, in particolare
nell’ambito di ricerche Murst e Cnr, di cui sono responsabile a Milano
(Magnaghi a Firenze e coordinatore di altre sedi in Italia) e che
lavorano attorno ai temi propri della nostra scuola "territorialista":
la critica allo sviluppo illimitato e la proposta delle ipotesi
dell’ecosviluppo e dello sviluppo locale; approcci che si estendono a
quell’altro approccio interconnesso che consiste nel considerare
essenziale il coinvolgimento dei soggetti all’interno del processo di
pianificazione e di progettazione in quanto la stessa società
insediata è territorio e quindi soggetto attivo della valorizzazione
territoriale e della città.
Voglio qui annotare (perché anche ciò ci fornisce elementi per non
considerare isolato l’approccio con cui stiamo trattando il tema in
discussione) che questo lavoro teorico e sperimentale sembra
consolidarsi e influenzare il mondo scientifico: non mi riferisco solo
alle pubblicazioni della nostra scuola ma anche alla crescita del
dibattito su questi temi; ad esempio la rivista "Urbanistica" dedica
il recente n. 103 quasi interamente a saggi e materiali su esperienze
sul tema della "costruzione sociale" del piano (pubblica anche
materiali di Ecopolis).
L’URBAN CENTER COME LUOGO DELL’INTERAZIONE TRA ATTORI
Si capisce bene allora che, muovendo da queste posizioni ed
esperienze, non possiamo che esprimere una valutazione assai positiva
della ricerca Irs qui presentata; non soltanto in termini di generale
apprezzamento del lavoro di Fareri (si tratta di un’ottima ricerca,
assai ben strutturata) ma anche e soprattutto in termini di
condivisione di quella che sembra essere la tesi dominante della
proposta di Fareri: il concepire cioè l’Urban Center come un luogo
dell’interazione sociale. L’istituzione quindi di un rapporto stretto
tra education e advocacy, tra fornitura di informazione sui dati e sui
processi e creazione di strumenti e condizioni per l’attivazione reale
dei soggetti (i soggetti deboli in particolare) e per istituire
relazioni interattoriali efficaci.
Vorrei qui citare direttamente dalla ricerca un passaggio che mi
sembra assai appropriato, quasi esemplare: il ruolo dell’Urban Center
dovrebbe essere "...quello di distribuire agli attori coinvolti risorse utili a strutturare modalità di interazione che, superando la logica del confrontation game, siano orientate verso approcci negoziali quando non cooperativi, verso un uso strategico del conflitto e della complessità in quanto risorse del processo" .
E poi ancora più avanti: "...favorire la costruzione di problemi consensuali..."; "...favorire lo sviluppo di un dibattito ampio attorno ai problemi, prima ancora che attorno alle soluzioni; sviluppare cioè negli attori la coscienza che i problemi più che i progetti costituiscono il nodo cruciale attorno al quale costruire l'interazione..."; "...favorire lo sviluppo di una capacità propositiva, progettuale, da parte di tutti gli attori che non possiedono autonomamente le risorse necessarie a sviluppare tali capacità...".
A me pare che queste indicazioni siano decisive per definire una
struttura e un ruolo dell’Urban Center: si ritiene cioè che
l’estensione degli attori e la messa in campo di ulteriori risorse
sociali siano l’elemento strategicamente essenziale per perseguire
l’efficacia delle politiche sulla città; appunto "assegnazione di
risorse ulteriori al processo".
Bisogna constatare come questa impostazione del tema Urban Center
superi radicalmente altre precedenti e più riduttive interpretazioni
che si limitavano al contrario a individuare il ruolo del centro in
termini di fornitura di informazioni, di creazione di condizioni di
trasparenza ecc.; qui si tratta di qualcosa di decisivamente
ulteriore. Se posso aggiungere un riferimento ai casi americani
trattati considero più coerenti con questa impostazione da una parte
il caso dello Spur e d’altro canto, proprio per la prossimità alla
esperienza che ho qui illustrato, quello del Pratt Institute Center in
ordine alla sua azione di supporto ai progetti locali, che nascono
dalla base della popolazione, che coinvolgono la gente comune.
Un tema centrale interno a questa impostazione della ricerca, credo
sia (riprendo quanto già accennavo prima brevemente) il considerare
"la costruzione del problema" come il passaggio essenziale del lavoro
dell’Urban Center. In questo mi discosto nettamente da alcune
impostazioni sostenute negli interventi pubblicati in questo numero e
mi avvicino molto a quanto sostiene Fareri in alcune notazioni del suo
lavoro. Mi sembra che non si possa pensare l’Urban Center come luogo
di discussione di progetti già preconfigurati nel chiuso delle stanze
degli esperti o degli uffici comunali o negli studi delle associazioni
imprenditoriali; espressione autonoma quindi di attività tecnica
esperta che solo poi viene messa in discussione socialmente. Credo al
contrario che si tratti proprio, per costruire condizioni di efficacia
(ma anche di legittimità, condizione che si sovrappone alla prima e
quasi coincide con essa) di mettere in discussione il problema
dall’inizio, nelle sue radici, quando si forma il meccanismo di
configurazione delle politiche prima ancora della decisione.
Io vorrei definire, con altri autori, il tema della interazione come
la costituzione e l’attivazione di un triangolo fra tre attori:
l’attore istituzionale, Stato o "Stato locale", l’Ente pubblico;
l’attore di mercato, l’operatore; e il "terzo attore" o attore sociale
che possiamo diversamente definire a seconda del contesto discorsivo,
popolazione, abitanti, gente comune, società civile. Comunque si
tratta di garantire l’espressione di questa interazione ponendo in
grado tutti gli attori di esprimersi adeguatamente, accedendo a
risorse e strumentazioni idonee e consentendo loro di adottare proprie
forme di razionalità.
Si capisce bene come il sostenere la legittimità e l’efficacia di
questa interazione comporti l’implicazione di importanti questioni
teoriche e alcuni decisivi spostamenti nella valutazione delle
politiche, dei progetti e dei piani. In particolare si tratta di
sostenere la pertinenza di saperi sociali diffusi, di negare autonoma
efficacia, come si diceva, allo sguardo tecnico e alla razionalità
scientifica separata dalla razionalità comunicativa, di intravedere
modalità e forme di piano processuali, basate sull’incontro anticipato
con gli attori e che non implichino una arbitraria riduzione dei
soggetti in campo, in particolare escludendo l’attore sociale; come si
vede radicali questioni teoriche che qui non si ha lo spazio di
trattare e per le quali rimando ai miei o nostri lavori ma anche a
quelli di S. Balducci, dello stesso Fareri e di molti altri ancora in
Italia e all’estero.
Qui mi rimane forse lo spazio per un breve riferimento empirico e un
rapido sguardo alla nostra storia recente che rende estremamente
attuali queste questioni.
Si deve riconoscere come a Milano, negli anni Ottanta, si sia
verificato praticamente un caso esemplare di rottura della interazione
reale istituzioni/mercato/attori sociali, che ha comportato la perdita
totale di efficacia e legittimità del piano; e che ha permesso d’altra
parte di intravedere una nuova configurazione del terzo attore e delle
modalità della sua attivazione.
A Milano, appena dopo l’approvazione del Prg ’76-’80 si è instaurata
una politica di "progetti speciali", a partire dal Documento Direttore
del Passante Ferroviario e dai connessi progetti d’area, che
esautorava di fatto il piano appena approvato o lo riduceva a gestione
ordinaria non strategica. Una politica direttamente contrattata tra
istituzioni e mondo economico (essenzialmente finanziario) escludendo
ogni confronto con il terzo attore che non consistesse nella richiesta
di delega alla rappresentanza politica; si è verificata cioè una
straordinaria riduzione della interazione di piano a due soli soggetti
(Stato locale e mercato) con pretesa autocratica/delegata di
interpretazione di interessi generali.
D’altra parte questo processo si accompagnava anche a una
riconfigurazione degli attori sociali. Soggetti che nella formazione
del Prg erano stati articolatamente interessati con molteplici
confronti, dibattiti, a livello istituzionale o meno; ma che allora
erano sostanzialmente ancora concepiti e di fatto configurati come gli
attori sociali storicamente definiti, soggetti generali, popolo,
classe, per quanto riconnotati dal 68/69 e dalle lotte sociali in
atto. Per esempio la politica del recupero, della ristrutturazione
abitativa, che caratterizzava il Piano 76/80, era stata oggetto di un
"contratto sociale" (non scritto ma ampiamente leggibile) con gli
organismi e i movimenti di popolo che operavano sul tema.
Ora, già in parte nei tardi anni Settanta e ancora più negli Ottanta,
questi attori si riconfigurano (in rapporto alla crisi postindustriale
e delle narrazioni ideologiche) mentre le rappresentanze accentuano la
loro propensione alla separatezza della politica; una vera debacle
nella connessione società/Stato che porterà a Tangentopoli e alla
irrisolta trasformazione politica in atto.
La nuova soggettività tende a esprimersi come locale, articolata,
informale, legata alla pratica dell’obiettivo, non ideologicamente
rappresentata; quasi un mutamento genetico da "cittadino" ad
"abitante".
Ora, si noti, proprio durante questo distacco/ mutazione si manifesta
una capacità di opposizione sociale che, proprio per la sua non
riducibilità alla rappresentanza e per la connessa incapacità della
rappresentanza di interpretare esigenze sociali "organiche" a essa (da
qui nasce la vocazione agli affari e al sottogoverno), produce
paralisi della capacità di decisione, rottura del rapporto consensuale
o della dialettica produttiva. Sui grandi progetti, sulla Fiera-
Portello, su Tecnocity, sulla Gronda Nord, sul progetto Isola-
Garibaldi, sul Parco Sud, su Montecity, sul Sieroterapico ecc.,
nascono rivendicazioni e capacità di blocco anche di lunga durata; e
spesso emergono progetti (embrionali o sviluppati) dei soggetti
locali. Parallelamente si evidenzia l’inefficienza del sistema
decisionale e la strutturale inefficacia delle soluzioni proposte; con
un andamento di impasse strategica ancora sostanzialmente in atto.
L’esperienza di Ecopolis nasce proprio dentro questo contesto, con i
suoi tentativi difficili, spesso faticosi, di produrre progetto e idee
locali e generali di città a partire dalla espressione di questo
"multiverso" sociale.
IL COINVOLGIMENTO DEL TERZO ATTORE E IL CONTRIBUTO SCIENTIFICO
Da questa storia recente emerge con evidenza che un nuovo
coinvolgimento del terzo attore è essenziale per superare quella crisi
di efficacia dovuta alla rottura del circuito della comunicazione
sociale e della produzione di senso condiviso nella definizione delle
opzioni strategiche; e per rilegittimare un Piano per la città (se
ancora si vuol produrre un Piano, o comunque attività positiva di
pianificazione/progettazione). E che operazioni di pianificazione
interattiva e di progettazione socialmente costruita sembrano essere
l’unica strada per la quale molti soggetti che agiscono al di fuori
della rappresentanza politica riacquistino cittadinanza.
Non sembrano affatto promettere buone cose in tale direzione nuovi
episodi di progettazione istituzionale (o istituzional/esperta)
autoreferente in atto nella città.
Mentre la costruzione dell’Urban Center, inteso come luogo che
supporta l’interazione tra diversi attori, può assumere un ruolo
decisivo in quella ricostruzione di cittadinanza in opera.
Vorrei concludere ribadendo che da parte di Ecopolis e di tutto
l’ambiente sociale e associativo in cui essa si muove e sperimenta vi
è, per gli argomenti che ho sinora sostenuto, la massima disponibilità
nel mettersi a lavorare attorno a questa ipotesi dell’Urban Center;
naturalmente purché si tratti di questa ipotesi interattiva e purché
essa consenta l’emersione e l’empowerment dei soggetti sociali sinora
esclusi dalla costruzione e soluzione dei problemi della città.
Certamente infine vorrei suggerire che in questa operazione fosse
direttamente coinvolta la ricerca universitaria, in prima persona e in
rapporto alla sua capacità di comunicazione con la società; per lo
meno quella ricerca che ha a lungo lavorato sulle ipotesi di
costruzione della città dell’abitare, di questa ulteriore città che
non è la città funzionalista e attorno al tema della pianificazione
interattiva come risorsa strategica, alle sue forme di razionalità e
alla sua ridefinizione metodologica e sostantiva.
Evidentemente questa è una dichiarazione di disponibilità a doppio
livello, sociale e universitario, che mi sembra valga la pena di
cogliere.