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Impresa & Stato N°31 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

L'URBAN CENTER E L'ESPERIENZA DI ECOPOLIS

di Giorgio Ferraresi


INTENDO INIZIARE facendo qualche riferimento alle posizioni e all’esperienza di Ecopolis (e alla connessa ricerca universitaria) che mi sembrano propriamente pertinenti al tema. Infatti, come dirò tra poco, la vicenda di Ecopolis può essere anche letta come una anticipazione, una parziale sperimentazione di una sorta di Urban Center costruito socialmente, una esperienza di supporto, interazione, attivazione di attori nella città.
Inoltre credo necessario fornire qualche informazione in proposito perché temo che (anche in ordine alla mancanza di un più strutturato luogo dello scambio tra diversi livelli di azione) vi sia una scarsa comunicazione della esperienza di Ecopolis fuori dal proprio mileau, quello dei movimenti sociali, dove la sua azione è assai nota. Questo è già un primo motivo per entrare subito nel merito e affermare che la formazione di un tale luogo della interazione quale può essere l’Urban Center sembra assolutamente essenziale agli attori sociali nella città.

ECOPOLIS: LA RETE TRA SOGGETTI SOCIALI, LA PROGETTAZIONE INTERATTIVA, LA RICERCA UNIVERSITARIA

Ecopolis è una associazione volontaria che è sorta negli ultimi anni Ottanta con la seguente denominazione più estesa: "Ecopolis, idee per la città, forum per la promozione e produzione di progetti ecologici socialmente fondati"; il tema trattato in termini sostantivi è la qualità urbana e la qualità di vita nella città, anche dal punto di vista ecologico ma non solo (Ecopolis è "eco" ma è anche "polis"); attorno alla ipotesi fondamentale della costruzione di una "città dell’abitare".
Ciò che inoltre caratterizza Ecopolis è la modalità della propria azione, che mira al coinvolgimento della popolazione e dei molteplici soggetti sociali, prevalentemente locali, nei processi di pianificazione e progettazione in quanto li considera portatori di risorse e di saperi pertinenti alla soluzione dei problemi urbani e innanzitutto alla definizione (alla strutturazione) di tali problemi; in questo, anticipo, sono particolarmente d’accordo con quanto sostiene Fareri: il nodo principale delle politiche e dell’azione dell’Urban Center è la costruzione dei problemi.
L’esperienza di Ecopolis ha attraversato sostanzialmente due fasi. La prima, attorno al ’90, è stata caratterizzata da un’azione di attivazione di reti, dal networking tra i soggetti sociali, comitati di quartiere, associazioni ambientaliste e non, volontariato e via dicendo, producendo sostanzialmente "quell’in più" progettuale che le singole associazioni non riuscivano a esprimere o a mettere in circuito. In particolare proponendo "idee di città" proprio per quel superamento dell’atteggiamento Nimby (Not In My Backyard) di cui tratta anche la ricerca qui discussa, ma sempre perseguendo una valorizzazione del "locale" come connotazione essenziale (naturalmente non intendendo per locale "piccolo" ma richiamando la derivazione di questo aggettivo da "luogo", cioè "spazio dotato di caratteri distintivi", portatore di significati propri, non omologato al globale).
La seconda fase di Ecopolis, tuttora in atto, è relativa prevalentemente a una sperimentazione diretta di progetti “partecipati” o meglio di progettazione interattiva; rivolta alla gente comune, piuttosto che ai soggetti intermedi già organizzati, comitati o associazioni. Quindi una azione di costruzione radicale, dal basso, di istanze progettuali; e di interrelazione (come sistematico tentativo, connotato o meno da successo) con gli attori istituzionali e di mercato.
L’altra informazione che intendo fornire e che mi sembra rilevante in ordine ad alcune implicazioni teoriche dell’azione, riguarda lo stretto rapporto di Ecopolis con la ricerca universitaria (ricordo tra l’altro che io insegno Urbanistica al Politecnico di Milano).
Ecopolis è infatti anche un punto di sperimentazione progettuale dell’elaborazione che si svolge in Università, in particolare nell’ambito di ricerche Murst e Cnr, di cui sono responsabile a Milano (Magnaghi a Firenze e coordinatore di altre sedi in Italia) e che lavorano attorno ai temi propri della nostra scuola "territorialista": la critica allo sviluppo illimitato e la proposta delle ipotesi dell’ecosviluppo e dello sviluppo locale; approcci che si estendono a quell’altro approccio interconnesso che consiste nel considerare essenziale il coinvolgimento dei soggetti all’interno del processo di pianificazione e di progettazione in quanto la stessa società insediata è territorio e quindi soggetto attivo della valorizzazione territoriale e della città.
Voglio qui annotare (perché anche ciò ci fornisce elementi per non considerare isolato l’approccio con cui stiamo trattando il tema in discussione) che questo lavoro teorico e sperimentale sembra consolidarsi e influenzare il mondo scientifico: non mi riferisco solo alle pubblicazioni della nostra scuola ma anche alla crescita del dibattito su questi temi; ad esempio la rivista "Urbanistica" dedica il recente n. 103 quasi interamente a saggi e materiali su esperienze sul tema della "costruzione sociale" del piano (pubblica anche materiali di Ecopolis).

L’URBAN CENTER COME LUOGO DELL’INTERAZIONE TRA ATTORI

Si capisce bene allora che, muovendo da queste posizioni ed esperienze, non possiamo che esprimere una valutazione assai positiva della ricerca Irs qui presentata; non soltanto in termini di generale apprezzamento del lavoro di Fareri (si tratta di un’ottima ricerca, assai ben strutturata) ma anche e soprattutto in termini di condivisione di quella che sembra essere la tesi dominante della proposta di Fareri: il concepire cioè l’Urban Center come un luogo dell’interazione sociale. L’istituzione quindi di un rapporto stretto tra education e advocacy, tra fornitura di informazione sui dati e sui processi e creazione di strumenti e condizioni per l’attivazione reale dei soggetti (i soggetti deboli in particolare) e per istituire relazioni interattoriali efficaci.
Vorrei qui citare direttamente dalla ricerca un passaggio che mi sembra assai appropriato, quasi esemplare: il ruolo dell’Urban Center dovrebbe essere "...quello di distribuire agli attori coinvolti risorse utili a strutturare modalità di interazione che, superando la logica del confrontation game, siano orientate verso approcci negoziali quando non cooperativi, verso un uso strategico del conflitto e della complessità in quanto risorse del processo" .
E poi ancora più avanti: "...favorire la costruzione di problemi consensuali..."; "...favorire lo sviluppo di un dibattito ampio attorno ai problemi, prima ancora che attorno alle soluzioni; sviluppare cioè negli attori la coscienza che i problemi più che i progetti costituiscono il nodo cruciale attorno al quale costruire l'interazione..."; "...favorire lo sviluppo di una capacità propositiva, progettuale, da parte di tutti gli attori che non possiedono autonomamente le risorse necessarie a sviluppare tali capacità...".
A me pare che queste indicazioni siano decisive per definire una struttura e un ruolo dell’Urban Center: si ritiene cioè che l’estensione degli attori e la messa in campo di ulteriori risorse sociali siano l’elemento strategicamente essenziale per perseguire l’efficacia delle politiche sulla città; appunto "assegnazione di risorse ulteriori al processo".
Bisogna constatare come questa impostazione del tema Urban Center superi radicalmente altre precedenti e più riduttive interpretazioni che si limitavano al contrario a individuare il ruolo del centro in termini di fornitura di informazioni, di creazione di condizioni di trasparenza ecc.; qui si tratta di qualcosa di decisivamente ulteriore. Se posso aggiungere un riferimento ai casi americani trattati considero più coerenti con questa impostazione da una parte il caso dello Spur e d’altro canto, proprio per la prossimità alla esperienza che ho qui illustrato, quello del Pratt Institute Center in ordine alla sua azione di supporto ai progetti locali, che nascono dalla base della popolazione, che coinvolgono la gente comune.
Un tema centrale interno a questa impostazione della ricerca, credo sia (riprendo quanto già accennavo prima brevemente) il considerare "la costruzione del problema" come il passaggio essenziale del lavoro dell’Urban Center. In questo mi discosto nettamente da alcune impostazioni sostenute negli interventi pubblicati in questo numero e mi avvicino molto a quanto sostiene Fareri in alcune notazioni del suo lavoro. Mi sembra che non si possa pensare l’Urban Center come luogo di discussione di progetti già preconfigurati nel chiuso delle stanze degli esperti o degli uffici comunali o negli studi delle associazioni imprenditoriali; espressione autonoma quindi di attività tecnica esperta che solo poi viene messa in discussione socialmente. Credo al contrario che si tratti proprio, per costruire condizioni di efficacia (ma anche di legittimità, condizione che si sovrappone alla prima e quasi coincide con essa) di mettere in discussione il problema dall’inizio, nelle sue radici, quando si forma il meccanismo di configurazione delle politiche prima ancora della decisione.
Io vorrei definire, con altri autori, il tema della interazione come la costituzione e l’attivazione di un triangolo fra tre attori: l’attore istituzionale, Stato o "Stato locale", l’Ente pubblico; l’attore di mercato, l’operatore; e il "terzo attore" o attore sociale che possiamo diversamente definire a seconda del contesto discorsivo, popolazione, abitanti, gente comune, società civile. Comunque si tratta di garantire l’espressione di questa interazione ponendo in grado tutti gli attori di esprimersi adeguatamente, accedendo a risorse e strumentazioni idonee e consentendo loro di adottare proprie forme di razionalità.
Si capisce bene come il sostenere la legittimità e l’efficacia di questa interazione comporti l’implicazione di importanti questioni teoriche e alcuni decisivi spostamenti nella valutazione delle politiche, dei progetti e dei piani. In particolare si tratta di sostenere la pertinenza di saperi sociali diffusi, di negare autonoma efficacia, come si diceva, allo sguardo tecnico e alla razionalità scientifica separata dalla razionalità comunicativa, di intravedere modalità e forme di piano processuali, basate sull’incontro anticipato con gli attori e che non implichino una arbitraria riduzione dei soggetti in campo, in particolare escludendo l’attore sociale; come si vede radicali questioni teoriche che qui non si ha lo spazio di trattare e per le quali rimando ai miei o nostri lavori ma anche a quelli di S. Balducci, dello stesso Fareri e di molti altri ancora in Italia e all’estero.
Qui mi rimane forse lo spazio per un breve riferimento empirico e un rapido sguardo alla nostra storia recente che rende estremamente attuali queste questioni.
Si deve riconoscere come a Milano, negli anni Ottanta, si sia verificato praticamente un caso esemplare di rottura della interazione reale istituzioni/mercato/attori sociali, che ha comportato la perdita totale di efficacia e legittimità del piano; e che ha permesso d’altra parte di intravedere una nuova configurazione del terzo attore e delle modalità della sua attivazione.
A Milano, appena dopo l’approvazione del Prg ’76-’80 si è instaurata una politica di "progetti speciali", a partire dal Documento Direttore del Passante Ferroviario e dai connessi progetti d’area, che esautorava di fatto il piano appena approvato o lo riduceva a gestione ordinaria non strategica. Una politica direttamente contrattata tra istituzioni e mondo economico (essenzialmente finanziario) escludendo ogni confronto con il terzo attore che non consistesse nella richiesta di delega alla rappresentanza politica; si è verificata cioè una straordinaria riduzione della interazione di piano a due soli soggetti (Stato locale e mercato) con pretesa autocratica/delegata di interpretazione di interessi generali.
D’altra parte questo processo si accompagnava anche a una riconfigurazione degli attori sociali. Soggetti che nella formazione del Prg erano stati articolatamente interessati con molteplici confronti, dibattiti, a livello istituzionale o meno; ma che allora erano sostanzialmente ancora concepiti e di fatto configurati come gli attori sociali storicamente definiti, soggetti generali, popolo, classe, per quanto riconnotati dal 68/69 e dalle lotte sociali in atto. Per esempio la politica del recupero, della ristrutturazione abitativa, che caratterizzava il Piano 76/80, era stata oggetto di un "contratto sociale" (non scritto ma ampiamente leggibile) con gli organismi e i movimenti di popolo che operavano sul tema.
Ora, già in parte nei tardi anni Settanta e ancora più negli Ottanta, questi attori si riconfigurano (in rapporto alla crisi postindustriale e delle narrazioni ideologiche) mentre le rappresentanze accentuano la loro propensione alla separatezza della politica; una vera debacle nella connessione società/Stato che porterà a Tangentopoli e alla irrisolta trasformazione politica in atto.
La nuova soggettività tende a esprimersi come locale, articolata, informale, legata alla pratica dell’obiettivo, non ideologicamente rappresentata; quasi un mutamento genetico da "cittadino" ad "abitante".
Ora, si noti, proprio durante questo distacco/ mutazione si manifesta una capacità di opposizione sociale che, proprio per la sua non riducibilità alla rappresentanza e per la connessa incapacità della rappresentanza di interpretare esigenze sociali "organiche" a essa (da qui nasce la vocazione agli affari e al sottogoverno), produce paralisi della capacità di decisione, rottura del rapporto consensuale o della dialettica produttiva. Sui grandi progetti, sulla Fiera- Portello, su Tecnocity, sulla Gronda Nord, sul progetto Isola- Garibaldi, sul Parco Sud, su Montecity, sul Sieroterapico ecc., nascono rivendicazioni e capacità di blocco anche di lunga durata; e spesso emergono progetti (embrionali o sviluppati) dei soggetti locali. Parallelamente si evidenzia l’inefficienza del sistema decisionale e la strutturale inefficacia delle soluzioni proposte; con un andamento di impasse strategica ancora sostanzialmente in atto.
L’esperienza di Ecopolis nasce proprio dentro questo contesto, con i suoi tentativi difficili, spesso faticosi, di produrre progetto e idee locali e generali di città a partire dalla espressione di questo "multiverso" sociale.

IL COINVOLGIMENTO DEL TERZO ATTORE E IL CONTRIBUTO SCIENTIFICO

Da questa storia recente emerge con evidenza che un nuovo coinvolgimento del terzo attore è essenziale per superare quella crisi di efficacia dovuta alla rottura del circuito della comunicazione sociale e della produzione di senso condiviso nella definizione delle opzioni strategiche; e per rilegittimare un Piano per la città (se ancora si vuol produrre un Piano, o comunque attività positiva di pianificazione/progettazione). E che operazioni di pianificazione interattiva e di progettazione socialmente costruita sembrano essere l’unica strada per la quale molti soggetti che agiscono al di fuori della rappresentanza politica riacquistino cittadinanza.
Non sembrano affatto promettere buone cose in tale direzione nuovi episodi di progettazione istituzionale (o istituzional/esperta) autoreferente in atto nella città.
Mentre la costruzione dell’Urban Center, inteso come luogo che supporta l’interazione tra diversi attori, può assumere un ruolo decisivo in quella ricostruzione di cittadinanza in opera.
Vorrei concludere ribadendo che da parte di Ecopolis e di tutto l’ambiente sociale e associativo in cui essa si muove e sperimenta vi è, per gli argomenti che ho sinora sostenuto, la massima disponibilità nel mettersi a lavorare attorno a questa ipotesi dell’Urban Center; naturalmente purché si tratti di questa ipotesi interattiva e purché essa consenta l’emersione e l’empowerment dei soggetti sociali sinora esclusi dalla costruzione e soluzione dei problemi della città.
Certamente infine vorrei suggerire che in questa operazione fosse direttamente coinvolta la ricerca universitaria, in prima persona e in rapporto alla sua capacità di comunicazione con la società; per lo meno quella ricerca che ha a lungo lavorato sulle ipotesi di costruzione della città dell’abitare, di questa ulteriore città che non è la città funzionalista e attorno al tema della pianificazione interattiva come risorsa strategica, alle sue forme di razionalità e alla sua ridefinizione metodologica e sostantiva.
Evidentemente questa è una dichiarazione di disponibilità a doppio livello, sociale e universitario, che mi sembra valga la pena di cogliere.