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Impresa & Stato N°31 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

L'OPINIONE DI MEGLIOMILANO PER UN URBAN CENTER MILANESE

di Gianfranco Chierchini


DA QUASI UN DECENNIO si sente, a Milano, l’esigenza di un Urban Center, di quella struttura cioè che dovrebbe, a seconda delle varianti, vagliare, approfondire, comunicare, promuovere, realizzare, magari, gli indirizzi assunti dalla Pubblica Amministrazione locale.
Da più di un decennio, tuttavia, i soggetti milanesi interessati al problema, a partire dagli stessi responsabili di Palazzo Marino, sono concordi sulla constatazione che la debolezza della Amministrazione e la conseguente inefficacia dei suoi processi decisionali hanno reso e rendono difficile la nascita di un Urban Center.
Da circa due decenni, questa situazione specifica, che si è accompagnata alla crisi dei tradizionali meccanismi della rappresentanza degli interessi, ha creato una situazione di disagio presso gli Enti rappresentativi del tessuto economico, culturale e sociale milanese, favorendo in questi la propensione a svolgere funzioni progettuali allargate e a indicare esigenze collettive, quasi per colmare una lacuna sempre più avvertita.
Ed è facilmente comprensibile come, col passare degli anni, a Milano si sia venuto a creare un misto di insoddisfazione e anche di scetticismo, quando si parla di Urban Center.
Il quadro è schematico, certo, ma aderente alla realtà milanese magari più che ad altre, proprio per le caratteristiche e per i fermenti che la animano.

QUALE URBAN CENTER A MILANO?

Alla luce di questo quadro, MeglioMilano presenta qui quello che potremmo chiamare un percorso di avvicinamento all’Urban Center. E il primo elemento riguarda la natura di Urban Center che meglio si configura per Milano.
L’indagine di Fareri presenta funzioni di Urban Center tratte da esperienze statunitensi assai diverse tra loro, da quella propositiva nei confronti delle autorità a quella di sostegno alle sue decisioni, a quella d’intervento rispetto a specifiche fasce di disagio.
Solo accennare a queste possibilità, senza prendere in considerazione altre varianti, in particolare della Germania, crea una sorta di disorientamento e assieme di desiderio a dar vita subito a un Urban Center milanese che assommi in sé tutte le caratteristiche descritte. Qualcuno potrebbe sostenere che Milano non abbia bisogno di una struttura con queste molteplici funzioni?
È fin troppo ovvio sostenere che la scelta non può essere né casuale ("incominciamo da qualche parte, ma cominciamo") né, per così dire, estetica ("ci piace di più un Urban Center con queste caratteristiche").
MeglioMilano, accanto a limitate ma significative realizzazioni finalizzate a "migliorare" la vivibilità urbana e soprattutto a dimostrare che miglioramenti in apparenza complessi sono invece possibili, ha favorito la riflessione su questo tema da tempo, ma in particolare con due iniziative.

UN’ASU A MILANO

La prima è stata circa cinque anni fa, quando MeglioMilano presentò un’indagine svolta in tre Paesi, Francia, Germania e Stati Uniti, finalizzata a evidenziare il ruolo dei soggetti pubblici e privati all’interno di quelle che abbiamo chiamato Asu, Associazioni di Stimolo Urbano, che concorrono a risolvere problemi che la Pubblica Amministrazione da sola non può affrontare.
Emergevano caratteristiche entrate di lì a poco nella cultura comune: preponderante in Francia il peso della Amministrazione Pubblica, addirittura di quella centrale, che attraverso l’Asu riesce a intervenire sui problemi, coinvolgendo soggetti privati e la collettività; all’opposto, negli Stati Uniti, determinante il ruolo delle associazioni private con cui poi il potere locale interloquisce e presta attenzione; più equilibrato in Germania il ruolo dei due soggetti che di comune accordo decidono di dar vita a un’Asu e di indirizzarla su questo o quel problema specifico.
La considerazione di fondo era che un’Asu come MeglioMilano non poteva rientrare in nessuno dei tre schemi; semmai trovava una parziale somiglianza con alcuni casi tedeschi, ad esempio con il Munchner Forum, senza però poter contare su di una collaborazione strutturata con l’Amministrazione Pubblica, come invece avveniva nella metropoli bavarese.
Si rafforzava così in MeglioMilano l’orientamento iniziale emerso nel confronto tra i suoi soci fondatori: svolgere una funzione di "cerniera" tra cittadinanza e Amministrazione, tra i bisogni della prima e i vincoli della seconda. I progetti sul traffico, ad esempio, realizzati dall’associazione nella sua prima fase di attività, hanno visto infatti la partecipazione di promotori privati e l’assenso del Comune a specifiche iniziative.

PER "MILANO, CITTA' D’EUROPA"

Il secondo momento è stato il Convegno "Milano, città d’Europa", organizzato da MeglioMilano lo scorso dicembre, in collaborazione con uno dei suoi soci, la casa editrice Abitare Segesta, e, più che con il patrocinio, con l’adesione politica dell’Amministrazione. Al Convegno hanno tra l’altro partecipato diverse Asu, o Urban Center, di Francia e di Germania, spiegando direttamente il modo con cui operano.
I progetti di Fiori, Guiducci e Morganti per dotare Milano di quelle infrastrutture e di quei servizi che le permetterebbero di diventare più europea, erano accompagnati dalle indicazioni di Camagni per mettere in moto le necessarie risorse private; in un documento finale, la cui lettura chiudeva i due giorni dei lavori, veniva indicata la "metodologia" con la quale il Pubblico Amministratore dovrebbe intervenire tra pianificazione urbana e project financing. Per l’attuale dibattito, è opportuno qui riprenderne i punti salienti.
Chiarita la "vocazione" della città, che nel nostro caso vede una sostanziale convergenza, dagli impieghi di tecnologia avanzata alla produzione culturale nelle sue più diverse forme, l’Amministrazione, veniva sottolineato, non può che dedicarsi ad accompagnare e a rafforzare tale vocazione, attraverso articolati e organici programmi.
Il ricco tessuto sociale presente a Milano, per certi aspetti più ricco che altrove, per quanto sopra detto, deve insomma sorreggere l’Amministrazione in queste prospettive di realizzazione, esprimendone direttamente i bisogni e realizzando così un "tavolo di lavoro" comune che rappresenti un modello di democrazia avanzata. Aspetto questo di cui non c’è molto da dubitare.
Più complessa, invece, è la realizzazione di quello che è stato chiamato "ponte di comando": non si tratta di un nuovo organismo, ma piuttosto di uno strumento all’interno dell’Amministrazione, della stessa segreteria politica del sindaco, capace di individuare nei diversi assessorati il responsabile operativo di un progetto e di delegargli la realizzazione sino alla messa in opera finale. Lo si chiami project leader, oppure manager, o in altro modo ancora, poco importa: l’importante è che sia responsabile in toto della realizzazione decisa e che risponda da tutti i punti di vista dell’avanzamento dei lavori, delle difficoltà incontrate e delle scelte adottate.

Crediamo che in questa prospettiva, certamente non semplice, ma per molti versi obbligata, si debba inserire il dibattito sull’Urban Center milanese e sul suo ruolo. Ruolo che potrebbe essere così sintetizzato:
- Amalgamare e rendere compatibili fra loro i bisogni e le esigenze che popolazione e determinati settori economici esprimono, rispetto a uno specifico progetto. Tutti siamo d’accordo, ad esempio, che Malpensa 2000 dovrà avere livelli di accessibilità elevati, un’accoglienza adeguata, servizi alla persona e alle imprese competitivi eccetera. Un Urban Center dovrà favorire un consenso diffuso, presentare le alternative al "ponte di comando", avendo esplorato con le diverse componenti economiche e sociali i pro e i contro, e avendoli presentati al tavolo dei decisori, assieme ai benefici, agli elementi caratterizzanti giudicati fondamentali, al miglioramento della vivibilità complessiva dei cittadini eccetera.
- Sostenere, una volta compiute le decisioni, l’andamento della realizzazione, favorendola con interventi di comunicazione, di consenso, di monitoraggio, di raccordo tra i diversi Enti pubblici, i settori economici coinvolti e l’opinione pubblica nel suo complesso.
- Far sapere ai potenziali utilizzatori che "quel" determinato progetto si sta realizzando con quelle determinate caratteristiche, con quelle possibilità di indotto, con quelle suscettibilità di aggregazioni ecc., soprattutto con l’impegno a venire incontro alle esigenze di ciascuno, sia esso fruitore, sia esso investitore.
È evidente che quest’ultima funzione attiene maggiormente alla politica del marketing urbano, politica che si può sviluppare se il "quadro di comando" funziona e se le sue decisioni sono il frutto di un dialogo svolto in precedenza con le rappresentanze economiche.
Alla luce di quanto sin qui espresso, la situazione di Milano è, più che debole, contraddittoria. Siamo infatti in presenza di notevoli progettualità, anche di respiro, proposte dal mondo milanese, ma tra loro non amalgamate, addirittura talvolta contrapposte. Inoltre, molti Enti rappresentativi della società milanese hanno messo in moto strutture operative, di cui oggi gli stessi promotori sono magari non entusiasti, ma che rappresentano quella ricchezza, quel sottofondo che possono sbloccare la situazione. Sempre, naturalmente, che la Pubblica Amministrazione svolga la sua parte.
In questa prospettiva, un’Asu come MeglioMilano, che con la sua funzione di "cerniera", oltre che con i risultati acquisiti e con la metodologia ormai affinata, può far compiere passi avanti a questo processo di crescita. Accanto al tema della mobilità, delle persone e delle merci, si trova oggi impegnata sui temi ambientali, sul miglioramento dei servizi al cittadino e alle imprese, sul rafforzamento dell’offerta "città" ai suoi abitanti e ai suoi ospiti. E sempre più spesso riceve sollecitazioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni locali, per collaborare a loro iniziative o per svolgere proposte. MeglioMilano, che vede tra i suoi soci fondatori Automobile Club, Camera di Commercio e Unione del Commercio, oltre alle quattro Università milanesi, svolge già la sua parte, oggi di “stimolo” e di realizzazioni “esemplari”, domani di intervento là dove sarà giudicato più necessario da quel tavolo di lavoro ove le rappresentanze politiche possano discutere con quelle economiche e decidere sul futuro di Milano.
La strada non è semplice, ce ne rendiamo tutti conto, eppure Milano possiede già molti strumenti per procedere in questa direzione. D’altro canto, non esistono scorciatoie, nel senso che se all’Urban Center si chiedesse di coprire le carenze decisionali, o di sostituirsi a chi quelle carenze deve risolvere, esso sarebbe destinato al fallimento, semplicemente perché gli si chiederebbe di svolgere un ruolo che non è, né potrebbe esserlo, suo.