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Impresa & Stato N°30 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

STRUTTURE INTERMEDIE E RIFORMA ISTITUZIONALE

di Giuseppe De Rita


GIUSEPPE DE RITA, Presidente del Cnel, è stato uno dei primi studiosi italiani ad analizzare il peso delle strutture intermedie nella vita sociale del Paese.
Chiediamo al professor De Rita di fare un quadro della situazione.
R. In questo periodo, si scontrano non soltanto in Italia ma in tutta Europa, due concezioni del modo di fare politica. La prima concezione che rappresentiamo un po’ tutti noi, da chi sta al Cnel, dai presidenti delle Camere, dai vertici delle organizzazioni sindacali o professionali, è quella che una società complessa, che diventa sempre più difficile da governare, ha bisogno di dimensioni intermedie, di vari livelli di rappresentanza territoriale, degli interessi, delle identità stesse. Dall’altra parte c’è invece la tendenza, che è evidente nella sfera politica di questi tempi, a saltare la dimensione intermedia. C’è una propensione al rapporto diretto tra il potere e il cittadino, che si esplica attraverso la logica referendaria, all’elezione diretta delle Camere, al maggioritario, alla personalizzazione della politica e delle leadership politiche. C’è un rapporto diretto, anche favorito dai media, nella democrazia fra chi esercita o vorrebbe esercitare il potere e chi è il singolo cittadino. Come nel mercato delle merci c’è una propensione all’individuazione, così nel mercato dell’opinione politica si può lavorare non dico in termini di marketing ma di rapporto diretto tra cittadino e potere.
Dall’altra parte, invece, c’è una realtà di coloro che vivono quotidianamente la società, l’economia, il territorio, in cui si avverte che questa semplificazione della democrazia moderna, questa illusione di una potenziale democrazia diretta in cui basta il riferimento diretto al popolo, attraverso le piazze o i media, non risponde al vissuto di ciascuno di noi. L’importante, nei fatti, è creare un tessuto quotidiano costituito da soggetti, identità e funzioni intermedie.
D. L’eventuale divaricazione ha qualche implicazione ideologica?
R. Diceva un grande gesuita, Taillard de Chardenne, che a società complessa corrispondono soggetti complessi. E questo, tutto sommato, è valido per gli operatori del sociale o dell’economia, e sorprende che dall’altra parte, nella dimensione politica, si pensi a meccanismi troppo semplificati, dove saltano la rappresentanza, i soggetti intermedi, il territorio, la complessità del quotidiano. Ma si badi bene non si tratta di una contrapposizione ideologica, perché sinora la società italiana ed europea ha avuto la possibilità di combinare insieme le due concezioni: quella di una democrazia politica che andava direttamente verso il cittadino e quella di una democrazia degli interessi, dei bisogni, dei corpi intermedi che andava al cittadino attraverso un flusso intermedio di identità, organizzazioni e soggetti. Oggi questo processo di conciliazione non è più riscontrabile e si corrono i rischi di una progressiva divaricazione.
D. Qual è allora il compito delle identità intermedie?
R. Tralasciare qualsiasi tentazione di abbandonarsi alla polemica sterile. Bisogna invece ragionare affinché questa realtà di corpi intermedi siano i più democratici possibili e nello stesso tempo siano in grado di creare veramente tessuto sociale, politico, democratico. La variabile del territorio è determinante in questo contesto, nella formazione dal basso di identità intermedie: comuni, provincie, comprensori, regioni, macroregioni. Deve esserci questa capacità di fare tessuto con soggetti complessi: la stessa economia sul territorio, il localismo industriale, i distretti rappresentano una dimensione intermedia. Tutto vive di questa nuova realtà: le Camere di Commercio, le associazioni industriali, le zone, le associazioni dei proprietari, dei coltivatori diretti vivono tutte la loro dimensione intermedia.
Anche il sociale costruisce dimensioni intermedie, non solo il territorio, l’economia, gli imprenditori, le imprese: basti pensare a quanto è cresciuto l’associazionismo, il volontariato. La vita di una società moderna è fatta da questa trama e ordito dell’intermedio sociale, economico.
Ma perché questi due mondi non vadano in contrasto, occorre una riflessione istituzionale anche su questa dimensione intermedia, senza polemiche. La logica federale, la creazione di una dimensione intermedia dei poteri, sta nelle cose; poi si può discutere sugli strumenti di questa esigenza. Così come sta nelle cose la logica di organizzare il sistema di imprese in modo che sia, come dice il presidente Bassetti, impresa-istituzione.
D. Lei pensa a una rete di istituzioni locali?
R. Perché no. Una scelta nuova potrebbe essere quella di dare vita, tra Camere e Cnel, a una rete di istituzioni locali corporate, di corporazione aziendale. La società moderna è fatta anche di una poliarchia di istituzioni intermedie, non è soltanto verticalizzazione dell’istituzione politica. Una riflessione sulle realtà intermedie che si fanno istituzione va al cuore stesso dell’analisi della situazione italiana, di come possiamo concepire la società e la democrazia.
Se veramente si andasse verso una trasposizione su tutta la gamma della realtà di quella logica di verticalizzazione semplificata sancita dal referendum elettorale sul maggioritario, non avremmo più nulla da dire. Dovremmo svolgere solo il ruolo di sfiatatoio verso l’alto, con il sondaggio e con la piazza. Se invece si riesce a trasformare queste realtà intermedie anche in un tessuto potenzialmente istituzionale, credo che daremmo un contributo alla realtà italiana, alla cultura del Paese.