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Impresa & Stato N°30 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LE ORGANIZZAZIONI SINDACALI DEI LAVORATORI E IL SISTEMA CAMERALE

di Bruno Manghi


QUESTE MIE RIFLESSIONI nascono anche da vari colloqui con dirigenti sindacali rappresentativi per registrarne gli atteggiamenti.
Dirò anzitutto che in breve tempo, se i presupposti della riforma si tradurranno in esperienze, il sindacalismo sarà naturalmente indotto a utilizzare in maniera positiva il nuovo profilo delle Camere di Commercio. Questo per una ragione elementare e specifica: se la Camera di Commercio diventa l’attore più autorevole ed efficace dell’economia locale, il sindacato sa istintivamente di esistere e ha potere contrattuale se l’economia locale è espansiva o solida, al di là di ogni ideologia, di ogni sigla. Qualsiasi quadro sindacale lo percepisce, quindi è portato a valorizzare le tendenze e le istituzioni che promuovono l’economia locale.
Tra l’altro, il sindacalismo confederale, nel ’92-’93, pagando qualche prezzo, ha anche dato contributi essenziali per "salvare la baracca", con un grande negoziato triangolare nazionale. Quindi, siamo di fronte a un sindacalismo confederale che ha gli orientamenti di base appropriati per utilizzare l’aspetto costruttivo di questa riforma.
Non vorrei trascurare alcuni significati di "orizzonte" della riforma, che non riguardano solo il sindacato e che sono stati trattati in maniera eccellente nel numero 25 di Impresa & Stato; mi riferisco in particolare agli interventi di Sapelli, Ornaghi e Galgano. Siamo di fronte a un episodio abbastanza raro, se funzionerà: un dibattito confuso, demagogico e perditempo come quello tra Stato e mercato, che si fa nei bar, alla televisione e purtroppo anche in luoghi che dovrebbero ascoltare parole più meditate, non ha trovato a correggerlo in questo caso uno studioso che è venuto lì e ha detto , ma ha trovato a correggerlo un fatto legislativo, cioè la rinascita di una istituzione che per sua natura dovrebbe dimostrare nei fatti quanto le regole e il mercato siano due risorse che camminano insieme, per cui non c’è espansione positiva del mercato senza regole vissute e partecipate dalla comunità.
Questo è un fatto culturale, di orizzonte, che sta dentro la riforma e che riguarda qualsiasi attore politico e sociale, che voglia riportare il confronto e anche lo scontro tra le parti nel Paese a un livello di dignità e di utilità.
L’altro punto di fondo che accomuna queste problematiche è una questione molto delicata: cioè il dilemma su quanto va dato alle Associazioni e quanto va dato alla espressione diretta per stabilire una rappresentanza. È una questione che investe esattamente anche il sindacato. In pratica ci si chiede quanto sono gli associati che danno forza e quanto invece è l’universo delle imprese, delle persone, delle ditte. Ritengo istintivamente che il fatto associativo sia in qualche misura inevitabile perché tutte le esperienze di consultazione diretta normalmente hanno una bassa partecipazione costante, però certamente nella riforma e nel dibattito che l’accompagna c’è una giusta preoccupazione: le Associazioni consolidate hanno una capacità di prevaricazione e possono costruire una rappresentatività fragile per il bene collettivo. È un tema molto interessante che non so come le Camere riusciranno a risolvere, ma certamente accomuna molti attori sociali in questo momento.

IL SINDACATO

Nel passato il sindacato, anche se tra le organizzazioni si è litigato moltissimo per farsi nominare in Camera di Commercio in tutte le province italiane, perché era un luogo di prestigio che dava qualche vantaggio indiretto all’organizzazione, non ha vissuto assolutamente come corpo organizzato l’esperienza delle Camere, salvo singoli dirigenti e in singole situazioni locali, che sono ricordate appunto perché erano delle eccezioni. Questo per quanto riguarda il passato del sindacato.
Inoltre c’è un’altra difficoltà che mi è stata esposta in talune realtà locali da alcuni dirigenti camerali: il sindacato, come è noto, essendo stato sfiorato e più che sfiorato anch’esso dalla crisi dei rapporti tra politica e affari che continua a serpeggiare, ha deciso a un certo punto, due anni fa, clamorosamente, di ritirare tutti i suoi rappresentanti dalle strutture tripartite o bipartite di amministrazione. Ho ragione di ritenere che, per quanto riguarda le Camere e altre istituzioni, questa posizione non sarà mantenuta, perché un conto è giustamente ritirare il rappresentante sindacale da un luogo dove si amministrano le case di un fondo pensioni, e un conto invece è rinunciare alla rappresentanza sindacale in un luogo dove si progetta l’economia locale. Mi sembra che, da questo punto di vista, non ci sarà ostacolo né alla presenza del sindacalismo confederale nelle Camere, né alla sua assunzione di più forti responsabilità in quelle province e in quelle Camere dove il fattore lavoro è veramente importante (parlo in particolare dell’Italia industriale ma non solo di questa).
Credo che semmai ci sarà problema intorno al profilo della rappresentanza sindacale; tradizionalmente era il leader sindacale quello che veniva nominato all’interno delle Camere, oggi probabilmente si tratterà di vedere se questo unico rappresentante sindacale nel Consiglio non debba essere necessariamente il "primo" di quella Associazione sindacale, bensì una persona dotata di competenze e della passione oltre che della rappresentatività per esercitare il ruolo richiesto. Ovviamente qui si tratterà di esercitare un ruolo, non di togliere ruolo agli altri, come sovente è capitato.
Sul piano dei problemi di rappresentatività siamo avvantaggiati perché le elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie offrono un campione attendibile del peso relativo delle Associazioni e nel futuro, quando la legge regolerà meglio questo aspetto (cosa che ritengo in qualche misura inevitabile) la cosa sarà ancora più chiara. Resta il problema dell’Associazione o dell’elezione diretta - ma questo ovviamente vale per i più svariati corpi sociali.

IMPULSO ALL’ECONOMIA E SERVIZI FORMATIVI

Se la presenza ci sarà, ecco quali sono, a mio parere le due funzioni che il sindacato dovrebbe promuovere o valorizzare nell’assetto camerale e nelle funzioni delle Camere. Una è ovvia, l’impulso all’economia locale, dove tra l’altro la riforma arriva in un momento felice, nel senso che negli anni recenti gli Enti locali (Municipi, Province e Regioni), chi più chi meno, da più tempo o meno, hanno scoperto questo terreno: la promozione dell’economia locale. Anche nei luoghi dove si lavora bene (provengo da Torino e mi sembra che sia in atto una dignitosa esperienza condotta tra l’altro strettamente in parallelo tra il Municipio e la Camera di Commercio) si capisce al volo che il Municipio non è una struttura in grado da sola di sostenere questo tipo di progetti, perché ha una mentalità per cui può agevolare iniziative ma difficilmente sa guidarle.
In questo senso la tesi di Galgano secondo la quale le Camere di Commercio sono il nuovo Ente locale che ha questa specializzazione funzionale mi convince molto, e su ciò penso che il sindacato sarà indubbiamente un partner molto interessato.
La seconda funzione è anch’essa in gran parte da costruire (o ricostruire). Si tratti dei servizi formativi alle risorse umane sul lavoro, si tratti di lavoro autonomo dipendente o cooperativo. Si va facendo strada l’idea che il nostro sistema può fronteggiare la competizione solo assumendo la risorsa-uomo (o donna) come strategica.
E il sindacato diventerà sempre più l’agenzia che tutela l’investimento di energie che ciascun lavoratore opera. L’investimento lavoro merita almeno la stessa importanza che l’impresa deve dare all’investimento in capitale.
Il processo di valorizzazione del lavoro dipende largamente dai processi formativi e in particolare dalla formazione continua, quella che abbandona l’aula per entrare nell’ufficio, nell’officina, nell’atelier.
Se moltissimo c’è da rifare nella tradizionale formazione professionale rivolta all’accesso al lavoro quasi tutto c’è da fare per quella continua. Né si può attendere molto di buono da un intervento diretto dello Stato o delle Regioni. Solo poche imprese hanno la testa e i mezzi per attuarla, d’altra parte non è pensabile lo sviluppo stabile di un’economia locale senza valorizzazione del lavoro. Ecco un tema che lega l’interesse del sindacato a rafforzare il ruolo dei lavoratori a quello delle imprese. Ma occorre una sorta di autorità, di luogo non strettamente negoziale che le Camere possono rappresentare ormai meglio di altre istituzioni.
Infine un’osservazione a margine. Riusciranno le Camere a interessare la cittadinanza e non solo i clienti o utenti?
Si rinnovano certamente ma come ci racconta sempre la gente che si occupa di qualità, la qualità c’è non quando c’è ma quando viene percepita. Allora come si rendono percepibili le Camere di Commercio in una comunità locale, non soltanto tra gli addetti ai lavori, tra i rappresentanti di una ristretta cerchia che rischia di essere vissuta come notabilato? Quando si diventa un Ente locale di tipo nuovo nasce un problema di comunicazione di massa che prima non c’era, e questo è quanto richiesto a mio avviso dalla riforma.