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Impresa & Stato N°30 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LE CAMERE: IL LUOGO DEL DIALOGO FRA INTERESSI DIVERSI

di Alessandro Carletto


UNA BREVE PRECISAZIONE: sono stato presidente dell’Api della Lombardia sino ad alcuni mesi fa, ora sono presidente della sola Api di Varese. Il mio intervento parte dunque da questa esperienza, ma anche da quella di membro della Giunta della Camera di Commercio di Varese da oltre dieci anni. Quanto dirò non potrà dunque non tenere conto anche dell’esperienza camerale e di quanto come Camera è stato fatto in questi dieci anni. Prima però alcune considerazioni.
Parlando di istituzioni e di riforme istituzionali, provocatoriamente direi che la nostra vera legge di riforma istituzionale - ben più di quella elettorale, ancora parziale e soprattutto priva dei necessari bilanciamenti e contrappesi - è proprio quella delle Camere di Commercio. Diversi e contrapposti sono infatti i criteri che hanno ispirato queste due riforme istituzionali. Partecipativi quelli delle Camere, semplificatori della realtà quelli elettorali.
Le Camere di Commercio dovevano cambiare pelle e assumere nuovi ruoli. O meglio: vedersi finalmente riconosciuto quel ruolo che moltissime di loro hanno già assunto in questi anni. L’economia italiana si è profondamente trasformata negli ultimi tempi e buona parte delle Camere non è stata ferma: queste stesse Camere hanno cercato - con gli strumenti allora e sino a ieri in loro possesso - di accompagnare e di gestire queste trasformazioni.
Le Camere si sono molto impegnate in questi anni nel giocare il loro ruolo sul territorio, divenendo parte attiva di un processo di organizzazione dello sviluppo e di sostegno al sistema economico e industriale.
Due mi sembrano essere gli elementi importanti della legge di riforma delle Camere di Commercio: la qualità del territorio, da raggiungere con politiche adeguate; e il riferimento complessivo a tutte le componenti dell’economia locale con la costruzione di un meccanismo istituzionale che si rifà non a un presunto e ormai antistorico corporativismo - come da taluni erroneamente è stato paventato - ma a una autentica democrazia economica.

RAPPRESENTANZA, RESPONSABILITÀ E CITTADINANZA

La legge di riforma delle Camere esalta e fa risaltare sia la rappresentanza quanto il principio della responsabilità e della cittadinanza. Differentemente, la legge elettorale sta portando a una semplificazione della rappresentanza e a una ulteriore attuazione del principio di cittadinanza.
La legge di riforma delle Camere privilegia il principio della partecipazione alle scelte e ai progetti da realizzare sul territorio, dunque privilegia la responsabilizzazione degli attori economici e sociali di questo stesso territorio.
Dall’altro lato, invece, la politica tende a un eccessivo semplificazionismo, riducendosi a puro pragmatismo e a pura somma di interessi più o meno organizzati. Credo non sia più vero lo slogan tutto è politica: certamente oggi si può dire con maggiore facilità che tutto è economia, perciò economia e impresa non devono più sentirsi come corpi estranei, ma devono porsi come mezzi e strumenti al servizio della società tutta, partecipando alle scelte di questa stessa società.
Occorre creare le forme del protagonismo istituzionale delle imprese e, soprattutto, il protagonismo delle imprese minori.
In questo la riforma delle Camere è davvero riforma istituzionale moderna, innovativa, responsabilizzante; la nuova Camera sarà il luogo dove potrà finalmente e concretamente esprimersi la cittadinanza dell’impresa, una cittadinanza civile, sociale, politica, oltre che ovviamente economica. Una cittadinanza che comporti diritti ma anche doveri.
I nostri diritti di imprenditori, dunque: da tempo cercavamo un luogo dove presentarli e rappresentarli. Questo luogo ora sarà la Camera di Commercio.
Piuttosto, quali doveri? Quelli che dovrebbe avere ogni altro cittadino: un dovere di responsabilità, di solidarietà, di lungimiranza, un dovere anche di amicizia sociale e ambientale.
L’impresa acquista dunque rilevanza istituzionale. Se le Camere saranno luogo della cittadinanza delle imprese, questa cittadinanza non potrà tuttavia essere esclusiva. Il bene dell’impresa non sempre coincide infatti con quello che una volta si chiamava il bene comune. Del resto, nelle Giunte camerali attuali già siedono esponenti delle organizzazioni sindacali; ora avremo anche le organizzazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti - gli interessi diffusi, nuova frontiera del diritto e della politica - e ciò dimostra che quella cittadinanza di cui stiamo parlando proprio non potrà essere esclusiva. Anche l’impresa deve però sostenere gli interessi diffusi, con una particolare attenzione a tutto ciò che riguarda l’ambiente circostante alle imprese, ambiente non solo naturale - valore e bene prezioso per le stesse imprese - ma soprattutto ambiente socioeconomico. Quell’ambiente che le Camere, con la nuova legge, si trovano a sostenere come loro fine principale utilizzando tutti gli strumenti previsti.

L’OBIETTIVO PRIORITARIO DELLE CAMERE DI COMMERCIO

Creare l’ambiente favorevole allo sviluppo qualitativo di un territorio nel suo complesso, e delle sue imprese: questo è l’obiettivo prioritario dell’azione delle Camere.
La provincia di Varese ha dimostrato - con la sua crisi strutturale prima ancora che congiunturale - che non è più possibile affidarsi alla crescita spontanea dell’economia. L’azione della Camera di Varese è stata allora quella di investire molto nel tentativo di organizzare localmente lo sviluppo.
Ciò non significa localismo o particolarismo, perché proprio la complessità e la globalità dei problemi ci dimostra che solo l’interdipendenza, la creazione di opportune interconnessioni, la sovraterritorialità possono consentirci di governare localmente il sistema economico. Qui le Camere devono giocare molto.
Le nuove Camere si assumono dunque un ruolo centrale nella definizione e nella realizzazione di politiche economiche (e industriali) a livello locale, pur tra loro necessariamente e doverosamente coordinate. In questo le nuove Camere dovranno giocare il loro ruolo - soprattutto questo ruolo - in rapporto stretto con le Associazioni imprenditoriali.
Qui non dovrà esservi conflitto, i piani di intervento e i criteri di rappresentatività e di cittadinanza sono e dovranno restare diversi: Camere e Associazioni, allora, saranno le sedi dove si andrà necessariamente a costruire la politica per lo sviluppo del territorio.
Troppo spesso le nostre Associazioni – ieri come oggi – hanno cercato il referente politico, hanno cercato partiti o governi amici e questo ha portato alla deresponsabilizzazione delle stesse Associazioni, deresponsabilizzazione che è sempre figlia bastarda della delega assoluta agli altri.
Con le nuove Camere questo criterio di delega viene superato, dobbiamo creare il luogo del dialogo tra interessi diversi, pur consapevoli del proprio ruolo, assumendosi le necessarie responsabilità. Non più delega, ma partecipazione diretta.
Le nuove Camere impongono una ridefinizione del modo di essere soggetti di interessi da parte delle Associazioni, che non saranno più uniche rappresentanti di interessi imprenditoriali. La concorrenza è comunque un bene, è benefica se vissuta all’interno di regole ben definite e soprattutto rispettate.
Ancora una volta il caso di Varese mi pare significativo e paradigmatico. Coordinandosi tra loro, le Associazioni e la Camera hanno dimostrato di accettare già ora un ruolo in parte diverso da quello del passato: ruolo propositivo e insieme collaborativo, lavorando insieme nel nome dell’economia e del territorio. Il Polo tecnologico, l’Asse del Sempione, Malpensa 2000, il distretto industriale, il mercato mobiliare, la formazione, il Centro Tessile: qui la collaborazione c’è già, è intensa e proficua.
Stato, Regioni, Province e Camere di Commercio: questa è una articolazione preziosa per l’economia e le imprese. Al vertice, naturalmente, le istituzioni europee. Attorno, lo spazio del territorio, lo spazio della responsabilità e lo spazio delle regole.
In tutto questo, quale ruolo gioca lo Stato? Non voglio qui disquisire di federalismo o di altre alchimie istituzionali. Il federalismo - ammesso che questo debba essere il nostro futuro - nasce dal basso, non è architettura senza fondamenta. Lo Stato resta allora un referente necessario e non eliminabile, soprattutto per la gestione dell’economia e lo sviluppo dei territori. Uno Stato europeo, però - è questo che vorremmo tutti - cioè uno Stato che sappia subordinarsi alla prevalente sovranità europea.
Questa è la sfida da vincere. Anche l’Europa unita è malata di poca politica, cioè di una cronica mancanza di progetti (o della debolissima volontà di realizzarli), e di un senso che indichi la direzione e dia la passione di fare. Potrà rinascere, l’Europa, se anche l’impresa europea (e italiana in particolare) ritroverà un senso e si darà un progetto di sviluppo, finalmente abbandonando modelli spontaneistici senza più futuro.
Le Camere dovranno accogliere nuove sfide, quella della creazione di reti di imprese ad esempio, da far interagire a livello europeo, per fare davvero l’Europa delle imprese. Per dimostrare ancora una volta che l’unica autentica riforma istituzionale fin qui realizzata è proprio quella delle Camere di Commercio.
Attenzione però: sovradimensionamento delle attese e sottovalutazione delle opportunità sono i due rischi che dovremo cercare di evitare con grande attenzione. Ma poiché le Camere saremo noi, a noi spetta l’onere di evitare questi pericoli.