
Impresa & Stato N°30 - Rivista della Camera di Commercio di Milano
LA DEMOCRAZIA DEGLI INTERESSI E LE CAMERE DI COMMERCIO: L'ESPERIENZA SPAGNOLA
di Adrian Piera
CI TROVIAMO IN UN MOMENTO di profondo cambiamento di strutture.
Quando mi sveglio al mattino, per rendermi conto di come andrà la
Borsa in tutto in mondo, accendo la televisione e so quale è l’indice
Nik Key della Borsa di Tokio, che influirà sulla Borsa di Londra, il
quale a sua volta influenzerà la Borsa di New York.
Quando sono a Madrid, cerco di non ascoltare la televisione spagnola:
vedo Sky News, vedo Cnn e se desidero sentir parlare spagnolo, guardo
Galavision, una grande emittente messicana più obiettiva delle
emittenti spagnole.
Le autostrade dell’informazione hanno evidentemente scavalcato le
frontiere e credo che ci sforziamo invano, in molti casi, di mantenere
delle frontiere fisiche che sono, in qualche modo, base di
sostentamento per pesanti apparati burocratici, i quali rallentano più
che aiutare.
Questa è una digressione filosofica, modestamente filosofica, che
permette di affrontare il tema principe: le Camere di Commercio e il
loro ruolo in questa Europa moderna.
Questa Europa che iniziò con 6, è diventata dei 12 quando Spagna e
altri hanno fatto il loro ingresso nel 1980.
In questo momento siamo in 15, perché i norvegesi si sforzano di
difendere i loro merluzzi. Presto, però, potremo aumentare il numero
dei nostri compatrioti europei.
In tutto questo intreccio politico di difficile costruzione risulta
sempre più difficile mantenere unita tutta questa massa di cittadini
dagli interessi tanto diversi e con personalità a volte anche
contrastanti.
È paradossale che, mentre stanno cadendo le frontiere nazionali, mentre
ci troviamo in teoria in un processo di integrazione europea, si
rafforzino tuttavia le personalità delle Regioni, le personalità che
cercano l’affermazione individuale, per sfuggire all’appiattimento in
una collettività di difficile definizione.
È in tutta questa superstruttura che le Camere di Commercio devono
svilupparsi, continuando a rappresentare un’idea straordinariamente
valida, oserei sostenere ancor più valida rispetto al momento in cui
furono inventate. In fin dei conti le Camere di Commercio provengono
non già da ambienti con significato profondamente corporativista, ma,
al contrario, dalle idee del Codice di Napoleone, dalla sua riforma,
veramente importante, delle strutture giuridiche e politiche di tutta
Europa.
In Spagna le Camere di Commercio nascono in un momento
rigenerazionista, alla fine del secolo scorso, con un Decreto del 1886
e una Legge del 1911. È un piacere rileggere questi documenti, perché,
a parte il fatto di essere stati scritti in uno spagnolo molto più
bello di quello utilizzato oggi, contengono una serie di concetti così
precisi e preveggenti che, se non esistesse questa necessità o impulso
irrefrenabile al cambiamento, potrebbero essere mantenuti con semplici
modificazioni o ritocchi.
Però è anche vero che molte cose sono successe in Spagna dal 1911 a
oggi, e, fondamentalmente, la più importante è una costituzione che si
promulga nell’anno 1978, quando la Spagna si integra in una Europa
democratica e stabilisce un sistema di regole del gioco essenzialmente
diverso da quello che fino a quel momento aveva retto il Paese.
C’è quindi un periodo, dall’anno ’78 fino all’anno scorso, nel quale
le nostre Camere continuano a funzionare e continuano a essere
perfettamente valide, non solo, ma anche durante il momento della
transizione, le Camere furono l’unico supporto che il mondo
imprenditoriale ebbe per poter mantenere alcune reti di integrazione.
Durante il periodo della "democrazia organica", l’epoca del Generale
Franco, esistevano sindacati verticali di carattere essenzialmente
totalitario: e di questo anche gli italiani ne sanno a sufficienza.
Questi sindacati furono smantellati immediatamente dopo la scomparsa
del regime, con la morte del Generale, e furono le Camere di
Commercio, per la precisione nel ’77, quelle che organizzarono anche
un Congresso per ridefinire quale doveva essere il loro ruolo, la
nuova situazione della democrazia spagnola, e anche per ricostruire un
sistema di rappresentanza imprenditoriale o di impresa, che
sostituisse quello che era scomparso e che non aveva ragione di
sussistere proprio per la sua struttura verticalista che non
corrispondeva più alla Costituzione del ’78.
Questo argomento ci preoccupava talmente, che la persona nominata a
presiedere quella Commissione - relazioni delle Camere di Commercio
con le organizzazioni imprenditoriali - era in quel momento il Vice
Presidente della Camera di Barcellona, e sei mesi più tardi divenne il
primo Presidente della Patronal Espanola; il suo nome non è nuovo,
poiché ha occupato incarichi molto importanti e universali, è stato
presidente del Comitato olimpico spagnolo, e oggi è presidente della
Unisi: mi sto riferendo a Carlos Ferrer.
Carlos Ferrer è un uomo di Camere di Commercio, e sono le Camere
quelle che ricostruiscono le associazioni industriali spagnole, perché
hanno capito molto chiaramente che esse rappresentano interessi
generali, cioè, che rappresentano le imprese come unità di creazione
di ricchezza, come unità di creazione di posti di lavoro, come
elementi integratori dell’economia e che, includono, come imprese,
tanto l’imprenditore che l’ultimo dei suoi dipendenti, anche se,
logicamente, quelli che la rappresentano sono coloro che hanno le
cariche più elevate o i poteri di rappresentanza.
Le Camere di Commercio, perlomeno quelle spagnole, non sono una
rappresentanza di classe, di datori di lavoro, ma di imprese. Questo
dilemma o questa polemica, si è presentata anche nel resto dei Paesi
europei per diverse ragioni, molte volte, più di tipo personale che
filosofico, più per volontà di mostrarsi maggiormente rappresentativi
della collettività sia delle imprese che degli imprenditori. In realtà
le organizzazioni imprenditoriali, per loro propria natura,
rappresentano, come dico, gli interessi della classe padronale.
All’interno delle Camere giustamente va ricercata la base di
equilibrio, perché nel nucleo duro dell’Europa, Germania, Italia,
Francia, Olanda, Spagna, per nominarne solo cinque, le Camere
rappresentano una forma di Corporazioni di diritto pubblico,
riconosciute dallo Stato.
Le Camere agiscono, come dicono i francesi, come "corpi consolari",
ossia fanno cose che potrebbe fare l’Amministrazione ma che devono
tuttavia realizzare gli imprenditori, innanzitutto per scaricare
l’eccesso di competenze che appesantisce uno Stato ipertrofico e, in
secondo luogo, perché gli imprenditori cercano di applicare nelle
attività il criterio dell’ottimizzazione delle scarse risorse, che
costituisce la natura stessa dell’attività imprenditoriale. Al
contrario, l’Amministrazione possiede in scarsa misura il senso
dell’utilizzo dei fondi, soprattutto quando i fondi sono pubblici.
Questa concezione di corporazioni di diritto pubblico è uno dei grandi
risultati che derivano dall’epoca napoleonica, adottati dalle nostre
istituzioni, e che in questi momenti rafforzano il valore delle Camere
di Commercio.
Rappresentando interessi generali, le Camere svolgono anche una
funzione di solidarietà inter-imprenditoriale, di ridistribuzione o di
raccolta delle risorse delle imprese, in modo che, grazie alle quote o
alle tasse pagate dalle grandi imprese, potenti e ricche, le Camere di
Commercio possono offrire servizi alle centinaia e migliaia di imprese
piccole, che non hanno risorse.
Questa funzione di ridistribuzione, nel sistema fiscale generale, è
svolta dallo Stato; nelle Camere, invece, è intrinseca nella loro
formazione.
Perciò credo che sia una lotta inutile, e un confronto sbagliato,
quello che a volte si fa contrapponendo organizzazioni imprenditoriali
e Camere di Commercio.
Le Camere di Commercio e le organizzazioni imprenditoriali sono armi
diverse di un medesimo esercito; tutti combattono la medesima
battaglia che è quella della prosperità economica, però ciascuno con
un ruolo diverso e con diverse funzioni; devono essere stabilite linee
di coordinamento perché gli obiettivi comuni si realizzino, senza
conflitti ed evitando in tutti i modi che emergano questi
personalismi.
Per quanto si riferisce alle Camere spagnole, è stata promulgata una
nuova legge, nel ’93, molto dibattuta, presentata dal Governo, dal
potere esecutivo, discussa da entrambe le Camere, Senato e Parlamento,
con più di 200 emendamenti. Una legge, con la quale non sono d’accordo
su alcuni punti, ma che accetto come cittadino rispettoso; anche
perché è stata approvata all’unanimità, senza voti contrari, per cui è
l’espressione della volontà del popolo spagnolo, rappresentata dai
suoi deputati e senatori.
Questa legge sostituisce quella del 1911, e regola le Camere di
Commercio secondo la nuova realtà imposta dalla Costituzione del 1978;
lo fa con un certo ritardo, però con profondità e in forma
sostanziale.
È vero tuttavia che, prima della promulgazione di questa legge, c’erano
state proteste, campagne, battaglie e, molte di esse riguardavano lo
scontro sterile tra organizzazioni padronali e Camere di Commercio.
Queste diedero luogo a ricorsi per incostituzionalità della legge,
quella del 1911.
Nel mese di giugno del ’94 è giunta la prima sentenza su questi
ricorsi, presentati sin dagli anni ’88-’89.
Il Tribunale costituzionale, prima di emettere la sentenza ha
esaminato a lungo la questione.
In questa sentenza vi sono una serie di giudizi, in cui si dà ragione
al ricorrente: la Legge del 1911 va contro la Costituzione, quella
dell’11; però c’è una nuova Legge, che è quella del ’93, fatta per
sostituire la Legge del 1911.
Perciò è come se domani ricevessimo a casa una sentenza di condanna di
un nostro nonnetto, morto cinque anni fa: noi non desideriamo andare
in carcere, il nonnetto si era comportato male, ma noi cerchiamo di
comportarci bene.
Tutto questo ha creato un clima di confusione. Le Camere sono
incostituzionali perché il Tribunale Costituzionale spagnolo ha emesso
una sentenza dichiarando la incostituzionalità dell’associazione
obbligatoria delle persone.
La Costituzione spagnola - come, suppongo, quasi tutte le Costituzioni
dei Paesi moderni e democratici - difende la libertà individuale, la
libertà della persona come essere umano.
ASSOCIAZIONE OBBLIGATORIA
E APPARTENENZA AUTOMATICA
Lo Stato, per il proprio funzionamento, essendo una corporazione
pubblica gigantesca, crea al proprio interno altre corporazioni
pubbliche che permettono il suo funzionamento e che non richiedono una
associazione obbligatoria, a meno che l’appartenenza non sia
automatica, dal momento in cui una persona ne è inclusa.
Voglio dire che, colui che nasce a Milano, quando viene registrato in
Comune, allo stesso modo di colui che nasce a Madrid, entra a far
parte automaticamente, non obbligatoriamente, di una corporazione
pubblica chiamata Municipio o Comune.
Qualcosa di simile succede con le Camere di Commercio, e questo è un
tema molto discusso in Spagna: non c’è associazione obbligatoria, c’è
una corporazione di diritto pubblico chiamata Camera di Commercio,
nata proprio per risolvere i problemi di cui sopra.
Si tratta dei temi della solidarietà inter-imprenditoriale, del
travaso di risorse da grandi a piccoli per mantenere una economia più
prospera, per poter dare alle piccole imprese quella formazione e quei
servizi che in altro modo non potrebbero ottenere, oppure dovrebbero
essere forniti dallo Stato.
Le persone fisiche non sono obbligate a essere imprenditori, la
maggior parte dei cittadini non sono imprenditori e pertanto non sono
obbligati ad associarsi. Se desiderano, di loro volontà, essere
imprenditori e si iscrivono in un registro che esiste in ogni Paese,
allora immediatamente entrano a far parte di quella corporazione di
diritto pubblico chiamata Camera di Commercio. Non vengono associati
obbligatoriamente, sono loro che lo decidono.
Non parliamo delle persone giuridiche poiché quando parliamo di
Società anonime, la Costituzione spagnola, e, credo, le Costituzioni
degli altri Paesi, neppure parlano della libertà di diritto delle
Società anonime. Se si costituisce una Società anonima commerciale,
che entra in un registro commerciale, essa fa parte delle corporazioni
di diritto pubblico, che lo Stato ha strutturato per il miglior
funzionamento delle sue istituzioni.
In Spagna successe proprio questo: il Governo spagnolo ha fatto una
professione di fede rispetto alla Legge del ’93, che egli stesso ha
formulato. Sarebbe stato incongruente se, dopo 15 mesi
dall’approvazione di una legge, avesse dovuto cambiarla. La sentenza
della Corte Costituzionale riguarda una legge già abrogata, e afferma
e difende la validità della nuova normativa. Ora, si sta tentando di
rafforzare la Legge del 1993, con nuove competenze che rappresentino
un relativo potenziamento, in vista anche di future azioni davanti a
un Tribunale Costituzionale molto esigente. Una delle disposizioni
della sentenza, infatti, era che la competenza delle Camere secondo la
Legge dell’11, non giustificava la creazione di una corporazione di
diritto pubblico. È un’opinione molto personale e inoltre, così come è
esposta nella sentenza, è anche moltro strana.
Prima facie, sostiene la Corte, non si riscontrano i motivi per dare
vita a una corporazione di diritto pubblico: io credo che i Tribunali
Costituzionali non devono giudicare nulla prima facie, essi devono
giudicare secunda facie o tertia facie o quinta facie; gli argomenti
vanno approfonditi.
Proprio in questo senso, allora, sebbene vi siano dei problemi, la
legge spagnola credo che sia salva, o perlomeno il Governo è ben
deciso a che le Camere di Commercio continuino a funzionare,
rafforzate, come Corporazioni di diritto pubblico.
Vorrei infine sottolineare che, le Camere di Commercio diventano
sempre più transnazionali. Questa integrazione verticale è positiva, e
uniti all’interno di Eurocamere, è possibile acquisire una personalità
rafforzata, soprattutto rispetto alla Commissione, rispetto agli
Organismi europei che ancora si sentono incerti. A volte, invece,
questi si sentono straordinariamente sensibili allo spirito più
battagliero e vivace delle organizzazioni patronali che non delle
Camere. Il nostro stile non è clamoroso, è uno stile razionale,
diverso, mentre lo stile della patronale è uno stile più sindacale.
La nostra è la forza della ragione, e credo che ogni volta di più la
Commissione deve tenere in conto che è fondamentale per l’Europa del
presente e del futuro l’esistenza di potenti organizzazioni
imprenditoriali, potenti organizzazioni sindacali e potenti Camere di
Commercio, tali da formare un grande potere moderatore che serva anche
da ammortizzatore per la moltitudine di conflitti che le relazioni
economiche stanno producendo.
BASILARE L’ASSISTENZA
DELLE CAMERE DI COMMERCIO
In questa mondializzazione degli affari è fondamentale l’assistenza
delle Camere di Commercio: le frontiere fisiche, che ancora manteniamo
in modo relativamente artificiale, quelle carte geografiche che
ricordiamo dalla nostra infanzia, con l’Europa e ciascuno dei nostri
Paesi colorati in giallo, azzurro, rosa, verde, non valgono più.
Risulta che le decisioni delle grandi imprese spagnole vengono prese a
Detroit, a Tokio o a New York. Allora una cosa è la delimitazione di
una struttura amministrativa, mentre il potere economico si trova
altrove. Quindi sono molto più importanti le relazioni transnazionali
in materia economica, di quelle puramente amministrative.
È ben vero che quando una impresa va in un Paese straniero deve
adattarsi a certe regole del gioco, a certe leggi, a una
regolamentazione, però le decisioni che incidono molte volte
profondamente nella vita economica di questi Paesi non si prendono nei
Paesi stessi, ma molto lontano. Perciò è giusto che vengano create
organizzazioni verticali per difendere le Camere come strutture
europee, dentro l’Europa.
L’interessante iniziativa di Piero Bassetti, di creare un Club delle
cinque Camere mi sembra che sia un punto fermo per il futuro, che deve
essere tenuto nella massima considerazione.
Stiamo cercando vantaggi non personali, ma favorevoli alle nostre
rispettive Camere.
Sono convinto che le Camere di una certa importanza, in questa Europa
che ha abbattuto le frontiere e che le unisce per ragioni di affinità
regionali, devono cercare questi punti di riferimento economici che
servono da orientamento alle imprese e agli imprenditori.
Non si tratta assolutamente di creare un Club di élite, i migliori, o
i più ricchi, o i più belli: sono le cinque Camere che hanno una forte
responsabilità di amministrazione del loro potere e, lavorando insieme
possono ottenere cose che poi irradiamo nei rispettivi Paesi. Questa
influenza è enormemente positiva, influenza che le piccole Camere non
possono avere, così come le piccole imprese hanno bisogno
dell’attività di quelle grandi; questa influenza indica una via. Non
devono essere molte, ma questo può moltiplicarsi per l’Europa e per il
resto del mondo.
Spesso mi domando, quando il Club sarà ampliato: però non vedo le
ragioni. È un quintetto che produce una musica bellissima, ma questo
non impedisce che esista un’orchestra di 200 professori che fanno
un’altra musica, anch’essa bellissima. Siamo un modesto quintetto non
so se di fiati o archi, però suoniamo la nostra melodia che andiamo
diffondendo poco a poco, lentamente, con ambizioni realiste e
ragionevoli. Questa è la forza che ci dà il fatto di rappresentare
poteri economici molto importanti, e che ci rende allo stesso tempo
responsabili.
Succede un’altra cosa, con le Camere di Commercio. Come dice la Santa
Madre Chiesa - che è molto saggia, sempre lo fu e sempre lo sarà - le
Camere imprimono il carattere che abbiamo portato da tempo nelle
stesse: noi abbiamo adottato un modo di vedere le cose - non so se
migliore o peggiore - però che imprime carattere. Conosco amici, che
sono usciti dal mondo delle Camere, ma sono rimasti molto integrati, e
capiscono molto bene quello che sono le Camere. Questo succede quando
a volte si produce un travaso di imprenditori combattivi, lottatori,
che vengono da Unioncamere, dalla Confindustria o dalla Patronal, e
vengono a fare il Presidente di una Camera di Commercio. A poco a poco
cambiano, non diventano né migliori né peggiori, ma diversi. Capiscono
che qui si difendono interessi diversi da quelli che si difendono
altrove, interessi complementari.