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Impresa & Stato N°30 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LA NUOVA SFIDA EUROPEA PER LO SVILUPPO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

di Vanni d'Archirafi


PARLARE DI ECONOMIA GLOBALE significa, ovviamente, non solo quella europea e comunitaria perché i fatti che accadono sotto i nostri occhi (l’ultimo quello del nuovo grande accordo in sede Gatt) dimostrano che in effetti l’economia globale continua ad avere una forza espansiva incessante. Questa in definitiva sembra essere la nuova regola che si estende per tutti i Continenti e che vale per tutte le imprese e per tutte le organizzazioni statuali in cui queste imprese sono inserite.
Forse per dare una forma più compiuta al concetto è bene riferirsi specificamente all’Europa, ma dico questo per indicare che ormai è un trend che non credo si possa più arrestare, e difatti la successione all’accordo Gatt di un’organizzazione stabile, di governo del commercio mondiale, indica proprio questa intenzione politica e cioè di trasformare l’apertura e la liberalizzazione di una pratica sempre più dilagante.
Vorrei analizzare questi cambiamenti dal punto di vista dell’impresa. In Europa abbiamo visto molto bene quali sono questi effetti, soprattutto per quei 15-16 milioni di piccole imprese che si sono a un certo punto trovate di fronte a un mare sconosciuto che è il mercato interno, che le grandi imprese conoscevano molto bene, perché per una grande impresa l’avvio dell’integrazione europea si produce già nell’immediato dopoguerra. Il Mercato Comune - che era una zona di libero scambio con una tariffa esterna comune e con qualche politica comune - era già infatti, una sorta di Mercato Unico. Le grandi imprese, multinazionali per definizione, presenti nella Comunità sono più o meno 12.000 di fronte ai 16.000.000 di piccole imprese, e hanno sempre avuto una struttura diversificata in termini produttivi e anche in termini finanziari, quindi per loro, in definitiva, quel termine di confronto, quella prospettiva della moneta unica che io ritengo indispensabile per un comportamento conseguente del Mercato Unico, non è mai stata in realtà una condizione indispensabile e tuttora non lo è.
Il quadro nuovo e le piccole e medie imprese sono due termini di questa realtà attuale evolutiva in cui tutti hanno dovuto cominciare a pensare a come convivere con questo spazio sempre più grande, sempre più globale, europeo, ma che ormai ha anche qui dei confini sempre meno definiti pieni di aperture nei due sensi, perché totale apertura non vuol dire soltanto grandi possibilità e poter andare a competere nei mercati degli altri, ma vuol dire anche essere esposti a più grandi rischi, alla concorrenza di tutti: tutti contro tutti con vantaggio poi (questa è la finalità, il credo dell’economia liberista) del consumatore. Tutto questo non avviene in ossequio all’estetica di una geometria piuttosto che di un’altra, ma è frutto di un intendimento preciso nel quadro di un disegno preciso. Un primo effetto di tutto ciò è che proprio in questi anni nascono associazioni, federazioni di piccole imprese, a livello europeo, che portano la loro voce in Europa, nel campo delle istituzioni europee che si devono occupare di loro. Associazioni, Unioni, Federazioni, rappresentano un primo scalino della necessità e della funzionalità delle Camere di Commercio. Sono perfettamente d’accordo con il Presidente Bassetti quando colloca le Camere di Commercio sullo sfondo di uno scenario che è quello della business community.
Noi dovremmo operare nei Paesi nazionali, ma anche all’estero dove certamente la rete delle Camere di Commercio, oltre a una collocazione locale degli interessi territoriali svolge un compito di apertura verso l’esterno rendendo possibile il collegarsi con le altre entità che fanno - ciascuna nel proprio territorio - lo stesso lavoro e quindi il costituirsi di una grande rete che piano piano viene a comporre una nuova trama, un nuovo tessuto istituzionale. Guardando le cose dal punto di vista delle imprese, questa è la reazione verso ciò che accade, cercando di creare, di inserirsi in questa struttura istituzionale di risposta alle sfide.
Vi è poi un secondo modo di vedere lo stesso fenomeno, da parte di chi è protagonista delle modificazioni istituzionali a livello nazionale e transnazionale, e cioè il movimento di integrazione europea: altre aperture, zone economiche che si vanno formando, quella in America del Sud, quella in America del Nord, il Nafta, e in Asia; le distinguerei però tra di loro perché queste sono in definitiva delle forme molto meno organiche, a mio avviso ancora oggi delle formule più politiche che economiche e commerciali, in risposta all’integrazione europea: cercano di coagulare sul piano economico la loro parte di mondo con un effetto imitativo. Vorrei soffermarmi sul fatto che il Nafta, che appare a taluni in America Latina così preoccupante, non è altro che un momento di integrazione che si colloca sul piano dell’esempio europeo negli anni Cinquanta e quindi è una tappa che noi abbiamo superato da tanto tempo. Il reddito nazionale del Messico vale quanto quello dell’Illinois, il 4% del reddito nazionale americano, quindi dire che questa è una creatura economica che avrà un impatto sul futuro è forse eccessivo. È invece una pietra gettata nello stagno per affermare una presenza: vogliamo essere al centro del riferimento nel continente americano Nord e Sud, abbiamo un’area di libero scambio con il Canada, vediamo se questo ha un effetto di amplificazione. Certo questo ha gettato lo scompiglio in tutti i Paesi dell’America Latina anche perché Mercosur è una realtà abbastanza concreta che si sta coagulando intorno alla linea di ritrovato collegamento Brasile- Argentina, due Paesi che si sono sempre combattuti per l’egemonia del continente e del sub-continente Latino Americano, un po’ come Francia e Germania del dopoguerra.

RIORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE

Questa riflessione soltanto per dire che, anche dal punto di vista di sensibilità dei vertici politici, va affermandosi questa moltiplicazione di processi di integrazione o di tentativi di processi di integrazione. Quali sono i tre piani sui quali si colloca, specialmente in Europa, questa nuova riorganizzazione istituzionale? Uno è quello globale, cioè l’Europa, l’integrazione europea dal Mercato Comune al Mercato Unico alla moneta comune; siamo in una fase avanzata del guado, le difficoltà non mancano e siamo, nella prospettiva del ’96, di nuovo a un bivio: quale tipo di Europa vogliono gli europei e quali Paesi europei la vogliono. Ma già a questo stadio si delinea la conformazione che con Maastricht ha preso questa riforma della Società Europa-Stato-Regione. Ed è sempre più chiaro che da un lato c’è la tendenza verso un quadro globale politico, economico, che è la Comunità con le sue istituzioni, con i suoi organismi economici, con le sue nuove regole che appunto sostengono il mercato globale; dall’altro lato ci sono le Regioni, che vengono assumendo una valenza sempre più concreta ed effettiva, come centro di interessi, come centro di coagulo verso interessi economici ma anche sociali, e con un elemento visibile che è il Comitato delle Regioni.
Il Comitato delle Regioni è veramente qualcosa di molto nuovo, perché h una creazione, un’entità politica. Il Comitato Economico e Sociale infatti, ha per i 40 anni di vita della Comunità, caratterizzato la sua attività mediante pareri in cui si vedevano i lavoratori, i sindacati, gli imprenditori discutere e poi pronunciarsi: un organo insomma che certamente aveva ogni significato sul piano economico ma non quello politico. Invece con il Comitato delle Regioni irrompe la logica politica fortemente accomunata a quella economica; in mezzo c’è lo Stato Nazione, il quale effettivamente in questa nuova configurazione va diluendosi, lasciando ampio spazio da un lato al passaggio di sovranità - al vertice - ma dall’altro a una gestione più periferica e questo avviene in tutti i Paesi membri, quale che sia la loro forma istituzionale, dato che andiamo da un federalismo puro, quello tedesco, fino a delle forme di decentramento solo amministrativo come finora è stato da noi, ma tutti avvertono (e questa è stata la ragione per la creazione del Comitato delle Regioni) che sempre più il centro della discussione e della rappresentanza degli interessi si va spostando verso le Regioni.

TRE LIVELLI DI CONVERGENZA ISTITUZIONALE

In questo contesto, ovverosia la necessità di una convergenza istituzionale sui tre livelli esaminati, si staglia particolarmente il caso italiano.
In che senso possiamo parlare in quest’ambito di convergenza istituzionale? Tutto ormai avviene nell’ambito di una competizione delle varie nazioni tra di loro, quindi la ricerca dell’efficienza di una gestione è un momento ineludibile. Nei tre livelli citati - europeo, nazionale e regionale - vi sono delle politiche in cui l’interrelazione è evidente. Due esempi: quello dei fondi strutturali e quello delle piccole e medie imprese, e qui veniamo al nodo del problema. Se non vi è, ai tre livelli, una efficienza paragonabile, il risultato non può essere positivo. Per massimizzarlo bisogna che vi sia all’interno di questi tre livelli una convergenza e un’efficienza orizzontale, che cioè sia l’amministrazione che la gestione siano ottimali, e poi occorre che vi sia questa interrelazione di efficienza verticale. Cosa è accaduto in Italia rispetto soprattutto al primo esempio, quello dei fondi strutturali? Che questa efficienza non c’è stata: in un momento in cui Bruxelles per i fondi strutturali ha spostato le decisioni sul piano nazionale e regionale, la mancanza di efficienza del sistema Italia ha prodotto un risultato pessimo in termini di scarsa utilizzazione delle risorse, pessimo anche nel modo concreto di utilizzazione di queste risorse. È da tempo che mi vado battendo perché emerga questo concetto dell’efficienza dell’insieme del sistema perché si risponda alle sfide del mondo moderno a vantaggio delle imprese, degli imprenditori, e perché si imponga al Sistema Italia di adeguarsi maggiormente alle esigenze. Sullo sfondo di tutto questo e dei tre momenti propositivi che propongo di esaminare, vi è un concetto che già è stato sviluppato ampiamente: quale risposta dare per questo Stato, sia nel senso della ricomposizione del quadro globale, che nel senso di una frammentazione di questo quadro.
Bisogna che ai vari livelli, quello regionale, nazionale, europeo e anche quello mondiale il lavoro venga concordato, convenuto, combinato, che, in altre parole, sia un lavoro a rete. Per le piccole e medie imprese si tratta, per esempio, del nuovo Programma Comunitario di finanziamento, appoggio, sostegno con misure adeguate, semplificate, di allargamento al quadro europeo di alcuni strumenti che già esistono nei vari Paesi membri.
Un esempio in Italia è la Legge 44, : il tentativo in corso è di allargare questa iniziativa all’insieme del territorio della comunità. È importante vedere quali sono ovunque le migliori pratiche e i migliori servizi a favore delle imprese, con l’obiettivo di creare un effetto palla di neve, con massa critica sufficiente perché in tutti i Paesi membri - sia pure nell’ambito della sussidiarietà perché non è un settore in cui la comunità può direttamente mettere le mani - si allarghi la macchia d’olio.
Maastricht contiene già lo strumento, ecco perché dico che questo lavoro in rete è qualcosa di veramente moderno, qualcosa di già applicato e praticato. L’articolo 130 dice che i Paesi membri, in concertazione fra loro e con la Commissione possono insieme elaborare delle nuove politiche ed è quello che abbiamo proposto e sta avvenendo già da qualche tempo per ciò che concerne le piccole imprese. Esiste un Comitato di semplificazione amministrativa, giuridica, fiscale, che lavorerà per vedere su tutta la comunità come si può operare alleggerendo le regole esistenti. In questo senso il Comitato si occuperà delle misure (ve ne sono migliaia nei Paesi membri) a favore delle imprese, per razionalizzare e generalizzare l’uso delle migliori tra queste misure (come la Legge 44) o servizi alle imprese. Esistono inoltre due raccomandazioni già emanate dalla Commissione: una in tema di termini di pagamento tra imprese, e dello Stato verso le imprese (questo è un punto che in Italia è molto critico ed è molto sentito), e un’altra nel campo della trasmissione delle informazioni tra imprese.
Questo concetto è stato accolto dai Paesi membri ed è la nuova metodologia su cui si fonda la politica per le piccole e medie imprese. Alla base di tutto vorrei porre in Italia i concreti passi avanti con la realizzazione delle nuove Camere di Commercio, in stretto collegamento con le Camere degli altri Paesi membri, sia per quanto concerne la capacità di raccogliere e scambiarsi i dati, sia per quanto concerne la capacità di offrire servizi e informazioni sulle imprese che sono in fondo quelle più vicine al loro habitat naturale di ogni Camera di Commercio che ha una base territoriale. Considerando anche le forme di collaborazione che esistono e che funzionano, delle Camere di Commercio delle grandi città che finiscono con l’essere un polo di attrazione ciascuna nel proprio Paese o per fenomeni di inurbanamento passati o anche presenti, io credo che vi sia un quadro coerente nel quale oggi si può discutere, che ha bisogno di adattamenti, di impulsi, di incoraggiamenti ma che mi sembra già delinearsi con sufficiente nitidezza.
Nel mondo globale anche un’entità sub-globale come l’Europa deve nascere e funzionare lungo queste reti di cui si è parlato. Le Camere di Commercio ne sono un elemento molto importante per la loro capacità di canalizzare e aggregare degli interessi rappresentativi sulla via che porta verso questo stato globale. Per quanto riguarda l’Italia ho sempre cercato di affrontare il nostro problema sul terreno, perché ho parlato di questa entità, le "cabine di regia", che non sono altro che momenti di coordinamento adottati dal sistema italiano in relazione ai fondi strutturali. E questo perché? Perché la cattiva qualità dell’amministrazione italiana ci pone in difficoltà; e allora bisogna arrampicarsi sugli specchi e questi sono degli specchi; non c’è altro. Ci sono adesso le cabine di regia che sono dei punti di raccordo per fare i programmi di sviluppo a livello regionale, che poi diventano il programma italiano, che poi si confrontano con il mare di soldi che può venire da Bruxelles se noi funzioniamo bene. Ecco lì una rete, che io ho voluto costruire, e si è riuscito a mettere in campo, e che è una delle sub-reti che spero funzioni a livello nazionale.