vai al sito della Camera di Commercio di Milano

Impresa & Stato N°30 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

DECENTRAMENTO ECONOMICO E INTEGRAZIONE REGIONALE

di Charles Sabel


VORREI AFFRONTARE IL TEMA della possibilità che la corrente riforma delle Camere di Commercio in Italia crei le condizioni, potenziali, per collegare due tra i più grandi movimenti dei nostri giorni. Il primo è il movimento verso il decentramento economico e il secondo quello verso il decentramento dell’autorità pubblica, dei poteri dello Stato, dell’Amministrazione.
Per dimostrare questa tesi vorrei procedere in tre fasi; per prima cosa indicando la logica che spinge imprese di ogni dimensione in tutto il mondo ad adottare una nuova forma di produzione altamente decentrata, spiegare la logica di tale processo e le strategie manageriali attraverso le quali si realizza tale processo.
Brevemente quindi, vorrei indicare una possibile analogia, una similitudine tra la riforma dell’organizzazione della produzione e la riforma dello Stato. In tale prospettiva, il decentramento amministrativo è parte della riforma della produzione industriale e della fornitura di servizi. Invece di sviluppare questa analogia nel dettaglio, passerò direttamente, in una terza fase, a una serie di proposte concrete - per l’esattezza due - che illustrino nel dettaglio come sia possibile che le Camere di Commercio usino la recente riforma come metodo sia per trasformarsi, sia per assumere un ruolo maggiore nel processo in cui vengono ridefiniti i rapporti tra imprese grandi e piccole.
Vorrei iniziare con un’analisi sulla logica del decentramento limitandomi però a un breve raffronto tra il vecchio mondo della produzione centralizzata e il nuovo mondo della produzione altamente decentrata.
Nel vecchio sistema la caratteristica precipua era la stabilità dei mercati, cioè la possibilità di produrre tutti i beni industriali e molti servizi, per molti anni, in gran numero e grandi serie. Essendo i mercati e le produzioni stabili, era possibile sviluppare i disegni dei prodotti all’inizio del ciclo produttivo e ammortizzarne i costi su tutto il volume di produzione. Per cui il prodotto veniva prima disegnato, poi suddiviso in istruzioni specifiche e il costo relativo ammortizzato sugli alti volumi di produzione garantiti da un mercato stabile. La stessa cosa avveniva per il disegno di beni industriali, e proprio perché sia i mercati che i prodotti erano stabili per un lungo periodo, tali prodotti potevano venire fabbricati con macchinari specializzati, essenzialmente capaci di produrre un solo tipo di prodotto.
I macchinari erano altamente costosi, non potevano venire usati per altre produzioni, ma tutto ciò era accettabile data la quantità dei volumi prodotti. Seguendo la stessa logica, a nessuno interessava troppo degli alti livelli delle scorte, dato che era sempre possibile ridurle, a causa dell’ampiezza dei cicli di produzione, e vendendo ciò che era stato prodotto in eccesso.
La conseguenza di tutto ciò fu un sistema di produzione basato sull’integrazione verticale. Esiste una sola macchina al mondo capace di produrre le parti dei freni necessarie alla produzione delle mie automobili, e io non voglio correre il rischio che uno dei proprietari di tali macchine venga un giorno da me e mi dica... "spiacente di comunicarle che la macchina è rotta: so che lei non può produrre nulla senza di essa, quanto è disposto a pagare per rimetterla in ordine?" .
Era pressoché inevitabile che, al fine di evitare questo tipo di ricatto, si creasse un’integrazione della produzione, per cui chi disegnava la macchina possedeva tutti i macchinari essenziali alla sua produzione. In questo sistema esisteva il subappalto, effettuato a imprese esterne al ciclo, ma dato che tutte le parti essenziali erano prodotte internamente, i subappalti venivano utilizzati per fornire parti sulla base delle specifiche fornite dal produttore al costo più basso possibile.
Ossia il subappaltatore era scelto in base alla sua abilità di competere sul prezzo.
Questo mondo non esiste più oggi: per le più svariate ragioni o forse per volontà di Dio. Se ne è andato per questa vita e forse per molte altre ancora. Il nuovo mondo che ne emerge ora si basa sul principio opposto, sul concetto cioè che i cicli di produzione sono cortissimi e che è impossibile per qualsiasi impresa, indipendentemente dalla sua dimensione e dal settore di operazione, avere a disposizione tutte le conoscenze necessarie per produrre il prodotto finale.

IL PRODOTTO VISTO COME MODULI SEPARATI

Un modo di adeguarsi alla situazione è quello di immaginare che il prodotto non consista più in una singola unità , un tutt’uno integrato, ma sia piuttosto un insieme di sottosistemi, cioè un sistema composto da moduli separati. Pensare al prodotto in questa maniera, vale a dire come sistema composto da moduli che possono essere ricomposti in diverse maniere, conduce immediatamente - ed è una maniera di concettualizzare il cambiamento - a un modo differente di concepire il processo di fabbricazione. Lo schema di proprietà e subappalto è immediatamente diventato obsoleto. Inizierò quindi con il processo del disegno rispetto al vecchio, nel nuovo mondo i prodotti e le relative parti simultaneamente vengono disegnati. Come è possibile? è possibile iniziando con una definizione provvisoria, cioè dividendola in tante piccole definizioni provvisorie e quindi chiedendo a specialisti di ognuna delle parti di sviluppare ulteriormente l’idea originale.
Per rimanere nel campo dell’auto, se disegno un’automobile mi faccio un’idea generale del tipo di auto che voglio produrre, di quanto essa costi, di quali saranno le sue caratteristiche e di conseguenza ne deduco un quadro generale di quello che dovrà essere il motore, il suo funzionamento, dalla trasmissione ai freni: vado quindi da uno specialista in trasmissioni e in freni e chiedo come si possa realizzare questo obiettivo. Da ciò ne ottengo un doppio vantaggio, dato che gli specialisti hanno idee più precise rispetto alle mie e io sono in grado di illustrare la mia idea del prodotto finito con maggior precisione; ma non solo in quanto forniscono suggerimenti in merito al progetto originale. Imparo anche a fornire suggerimenti circa altre parti che io posso usare per aiutare gli altri gruppi coi quali collaboro per risolvere i loro problemi, per cui vi è un doppio vantaggio; non solo risolviamo problemi simultaneamente - cosa che richiede meno tempo - ma giungiamo anche a soluzioni che non sarebbero state disponibili se avessimo cercato di risolverle in sequenza.
La stessa logica si applica ai rapporti tra design e fabbricazione, perché se io sto disegnando il modulo motore o il modulo freno, non voglio attendere fino a che sono pronto a produrre il mio design e scoprire che può essere prodotto solo con grande difficoltà .
Per cui io faccio nei riguardi dell’officina di produzione, nei riguardi della gente che produrrà il prodotto, esattamente quello che l’integratore del sistema fa nei miei confronti. Inizio non appena ho un’idea a domandarmi come tale idea potrebbe essere convertita in prodotto e come suggerimenti su come fabbricarla meglio o a minor prezzo potrebbero influenzare l’eventuale design del modulo.
Continuando su questa strada, è ovvio che vi siano importanti implicazioni per diversi tipi di proprietà . Se io, in quanto integratore di sistema, devo lavorare con società che possono risolvere problemi per me impossibili, desidero lavorare con specialisti che abbiano una grande esperienza di problemi diversi, in quanto più grande è la loro esperienza con altri clienti, più grande è la possibilità che usino soluzioni ottenute in quel contesto per risolvere i miei problemi; pertanto io pagherò solamente una parte dei costi di sviluppo invece di sostenerli tutti direttamente.
Ma io ho rapporti con società che trattano in modo autonomo con altri clienti, per cui qualunque sia la loro situazione giuridica, io tratto con imprese autonome. Ed esattamente la medesima logica si applica ai rapporti tra il disegnatore di moduli e il proprietario e fabbricante - rapporti che prima della macchina erano rigidi - dato che potevano produrre queste parti che duravano per l’intera serie. Oggi questa logica deve essere flessibile dato che l’entità produttiva non può conoscere esattamente ciò che il designer vorrà e come cambieranno i disegni, di conseguenza il designer del modulo desidererà una stretta collaborazione con l’unità produttiva che possiede una profonda conoscenza delle diverse forme di produzione e dei diversi cambiamenti necessari per passare da un tipo di prodotto a un altro. Ecco un ulteriore motivo di disaggregazione e verticalizzazione.

UN PRODOTTO FINALE "COSTRUITO"

Il risultato ovviamente è una grande diffusione dei subappalti, il che significa che il prodotto finale viene sempre più "costruito", anche se congiuntamente, da produttori indipendenti che collaborano proprio nel modo da me ora descritto.
Una tale forma di subappalto comunque riveste una forma totalmente nuova, dato che non si tratta più di un subappalto che considera principalmente il prezzo, che in questo contesto non rappresenta che un limite. Il subappaltatore deve assolutamente rispettare il prezzo stabilito per essere competitivo sul mercato, ma la capacità fondamentale del subappaltatore altro non è se non l’abilità di riuscire a introdursi in questa complessa forma di collaborazione. Tornerò più avanti su questo punto e sulle difficoltà che sorgono nello stabilire tali rapporti.
Vorrei aggiungere che appare facile descrivere il modello di decentralizzazione che ho appena indicato, un modello che per quanto strano possa sembrare si è consolidato in molti settori industriali nel mondo. Nelle sue grandi linee questo modello non presenta niente di sorprendente o di anormale. Se io vi avessi detto queste cose cinque anni fa, coloro che conoscono l’argomento si sarebbero dimostrati scettici; oggi invece posso almeno contare sul fatto che questo è il modello riconosciuto, le cui applicazioni in un contesto particolare devono essere discusse.
Ciò che nessuno conosce è come, nella realtà , costruire questi processi per passare dai modelli esistenti a quelli che ho appena descritto.
Al posto di una soluzione accettata in relazione al problema della transizione abbiamo solo uno schema generale, una strategia di adeguamento che simultaneamente agisce sul vecchio sistema spostandolo verso quello nuovo, risolvendo i problemi organizzativi della transizione stessa. Vorrei essere più specifico, la strategia gestionale utilizzata per raggiungere il decentramento altro non è che il decentramento dell’autorità verso unità operative; il decentramento rappresenta lo stato finale, la logica, la strategia per il raggiungimento di questa logica. Di conseguenza, per muovere un’impresa nella direzione qui indicata avviene quanto segue: si crea un gruppo di designer, a essi viene affidata la responsabilità di costruire un modello totalmente nuovo di automobile, essi hanno il diritto di decidere da chi, da che unità interna all’impresa o da che unità esterna, acquisteranno i diversi componenti che costituiranno questo nuovo modello di automobile. Il che implica che essi hanno il diritto di non acquistare dall’unità interna che produce ad esempio il motore. Lo stesso vale a livello della produzione, a livello di parti di una linea produttiva. Il gruppo ha potere decisionale nella decisione di che servizi, che manutenzione, che ingegneria industriale, che logistica utilizzare per i nuovi elementi che dovranno essere prodotti internamente o esternamente.

UN NUOVO RAPPORTO VERSO L’ESTERNO

Il risultato di questa decentralizzazione è che i gruppi di design o i gruppi produttivi possiedono attualmente il potere di ristrutturare tutta l’organizzazione, alterando il rapporto verso l’esterno in base alle loro scelte. Se l’unità interna impara a produrre i motori previsti dal gruppo dei designer riuscirà a sopravvivere; in caso contrario il gruppo si rivolgerà all’esterno e l’unità interna, che non avrà più mercato, dovrà sparire. Se la manutenzione interna non impara a mettere a punto l’assistenza preventiva necessaria per rendere redditizio questo sistema a capitale intensivo, il risultato sarà che questa decentralizzazione di autorità produrrà immediatamente nuovi prodotti e nuove organizzazioni.
Vorrei ora per un attimo passare a osservazioni di ordine generale, che riguardano le somiglianze esistenti fra trasformazione economica e istituzionale.
Immaginiamo una democrazia parlamentare nelle sue forme alla fine del XVIII secolo, forme che noi occidentali abbiamo ereditato alla fine di un lungo processo di strutturazione. Questo concetto corrisponde al vecchio mondo. Finché il mondo aveva una parvenza di stabilità un tale tipo di democrazia funzionava abbastanza bene. I fatti dimostrano oggi che il mondo sta cambiando; il tempo che intercorre fra il riconoscimento di un problema da parte del sistema politico, del sistema parlamentare e il tempo che questi impiegano ad attuare i programmi indirizzati a quel problema è enorme. Il risultato altro non è che programmi su programmi, frammenti di amministrazione su frammenti di amministrazione, ognuno dei quali indica, in forma assai competente, un problema che praticamente non esiste più nella forma in cui originariamente era stato concepito. Il risultato è che i cittadini, in ogni situazione della loro vita quotidiana, si trovano sempre più a confrontarsi con una molteplicità di programmi che potranno o meno essere ricomposti in forma utile per la soluzione dei loro problemi. Non dobbiamo meravigliarci che in queste circostanze i cittadini e le imprese si meraviglino dell’inefficacia dello Stato.
Un primo rimedio è la doppia strategia della decentralizzazione che io ho illustrato in relazione alle imprese. Esso consiste nell’idea di decentralizzare l’autorità a più unità locali consentendo a tali unità di definire i programmi necessari, fornendo loro il potere di decidere da chi acquistare determinati servizi. In realtà la regione o l’unità si trasforma in un gruppo di design che ha più o meno il diritto di acquistare servizi da altre entità statali, da privati o addirittura provvedere in loco. In Italia questo mi sembra in senso generale il nuovo concetto di federalismo.
Per fornire agli Enti locali i mezzi e l’autonomia necessaria per eseguire quanto detto nasce immediatamente un parallelismo, fra i nostri due Paesi proprio per queste due evoluzioni.
Vorrei ora passare da un’osservazione generale a una più specifica relativa alla riforma delle Camere di Commercio. Esse dovrebbero diventare i rappresentanti delle imprese in riferimento sia allo Stato - Enti locali e nazionali - che all’economia in generale. Se saranno in grado di ottenere ciò assumeranno l’aspetto di uno di quegli Enti decentralizzati da me descritti. Cioè avranno la capacità di proiettare nuovi programmi ma anche la capacità , in un modo o nell’altro, di realizzarli in collaborazione con altri attori.
La questione è se le Camere riusciranno o meno a definire i progetti utilizzando realmente i poteri concessi dalla riforma - se riusciranno esse costituiranno parte centrale del nuovo tessuto istituzionale che emergerà nell’Italia dopo le riforme - se non riusciranno queste riforme saranno state, come spesso accade - non solo in Italia ma in molti Paesi - un’altra ottima idea.
Io credo esista una possibilità , forse una soltanto, di analizzare tali progetti. Penso soprattutto al problema dell’adeguamento dell’industria alle nuove condizioni concorrenziali proprio come lo impone questo mondo di prodotti a cicli brevi.

IL RUOLO DELLE CAMERE

Per meglio analizzare il ruolo che le Camere di Commercio potranno avere, procederò in due fasi. In primo luogo voglio sottolineare che gli altri attori, quelli già presenti sui mercati e nei sistemi istituzionali, non possono da soli ricoprire questo ruolo di mediazione di interessi conflittuali. In secondo luogo desidero mostrare come le Camere di Commercio possono ricoprire questo ruolo.
In primo luogo, come mai i vecchi attori non possono allargare il campo di loro competenza così da riuscire a coprire queste difficoltà ? Io ritengo che la ragione stia semplicemente nel fatto che i vecchi attori sono troppo legati al vecchio sistema. Passiamoli brevemente in rassegna: le grandi imprese che devono collaborare con le piccole sotto nuove forme si trovano esse stesse in difficoltà e da un lato sono tentate di chiedere alle piccole imprese di assumersi la responsabilità nel design congiunto dei prodotti, ma sono pure tentate di spostare i loro costi, i costi di adeguamento, all’esterno. Risulta molto difficile per le piccole imprese distinguere fra una collaborazione sincera e un tentativo disperato di scaricare i costi.
Cosa dire delle associazioni? Le associazioni degli industriali settoriali raggruppano piccole e grandi imprese suddividendole per settore, il che significa che esse sono strutturate proprio secondo il sistema errato per fronteggiare la nuova realtà , proprio perché i problemi nascono, maggiormente, fra piccole e grandi imprese. Di conseguenza rappresentandole ambedue, queste associazioni non possono esprimere pienamente gli interessi di entrambe, e di regola, tendono sempre a rappresentare gli interessi delle grandi imprese!
In secondo luogo esse rappresentano le imprese in relazione al settore e come voi tutti ben sapete attualmente le società che subiscono un processo di ristrutturazione non desiderano proprio limitarsi a una collaborazione con subappaltatori che hanno soltanto esperienza nel loro settore di attività . Le grandi imprese desiderano entrare in contatto con subappaltatori che dispongano della maggior esperienza possibile.
Che dire dei consulenti privati? Forse in Italia sarà diverso, ma in Paesi come gli Stati Uniti e la Germania, la maggior parte dei consulenti privati disponibili sul mercato sono persone che sono state licenziate da grandi imprese in quanto avevano studiato perfettamente i metodi del vecchio mondo e l’aiuto di queste persone, a imprese medie e piccole, può risultare estremamente pericoloso.
Esiste quindi un grandissimo vuoto e vi è un’estrema necessità di forme di conciliazione o mediazione. Il processo è di enorme difficoltà e i vecchi attori non sono più disponibili. Perché sono dell’opinione che le Camere di Commercio potrebbero ricoprire questo ruolo? In base alla nuova riforma esse godono di poteri straordinari, hanno una specie di supervisione, di controllo dei mercati. Per essere più precisi hanno il potere di sorvegliare e regolare i mercati consigliando contratti tipo, controllando e denunciando clausole contrattuali ingiuste, ma avranno - e questo è l’aspetto più importante - la capacità di esercitare i poteri di arbitrato.

L’ARBITRATO: UN POTERE DI PUNTA

Di questi tre poteri quello dell’arbitrato mi sembra sia il più importante. Per definire un contratto tipo, per stabilire quali sono le clausole contrattuali inique, labili e fluttuanti, è fondamentale avere accesso a informazioni correnti e poter essere immediatamente in contatto con gli attori che stanno essi stessi mettendo a punto una deontologia delle nuove forme di cooperazione. Uno dei modi più consoni per avere accesso a una tale deontologia emergente è proprio l’arbitrato. Questo in quanto spesso i casi che vengono sottoposti ad arbitrato sono quelli che presentano nella forma più pura sia il conflitto che gli utilizzatori emergenti, tanto caratteristici nella situazione attuale. Io sono andato a discutere con persone delle Camere di Commercio che sono competenti in questo settore e ho scoperto che esiste attualmente già un movimento in questa direzione. Gli ambiti in cui la Camera oggi è maggiormente attiva per quanto riguarda l’arbitrato sono quelli che riguardano le forme di legge più strettamente collegate alle nuove forme di collaborazione. Ad esempio il franchising, in cui non è più possibile sostenere chi è il proprietario, l’affiliante o l’affiliato, dato che essi sono obbligati a una forma di collaborazione continua e innovativa. Lo stesso vale per le acquisizioni e le fusioni dove l’elemento essenziale è costituito dalla collaborazione costante fra due imprese. Anche in questo caso la Camera ha un ruolo preciso.
Tra tutte le associazioni che hanno svolto attività comparabili, ritengo che la più interessante risulti l’Ucimu, l’Associazione Costruttori Macchine Utensili, perché i produttori di macchine utensili che producono beni industriali hanno sempre avuto quel tipo di relazioni di collaborazione con le grandi imprese che oggi stanno diffondendosi nell’intero sistema economico. E sono soprattutto i subappaltatori di grandi gruppi coloro che hanno la maggior probabilità di essere in grado – data la potenza di cui godono sul mercato – di impegnarsi pubblicamente in una lite. Molti piccoli appaltatori non avrebbero il coraggio di agire nello stesso modo.
Esistono già indicazioni positive che le Camere di Commercio cominciano ad avere accesso a questo tipo di informazioni, attraverso le quali, d’accordo con gli attori in altri processi, è possibile definire i contratti tipo e le ingiuste clausole. Se tale azione fosse possibile in maniera convincente ciò diverrebbe interessante per tutte le imprese che cercano di stabilire rapporti fra loro in quanto verrebbe eliminata una fonte di insicurezza, proprio nella stessa maniera in cui alcuni centri di arbitrato come Vienna, Parigi o New York, sono divenuti interessanti nelle controversie internazionali.
Di conseguenza anche un solo centro all’avanguardia potrebbe risolvere il problema creando una pressione di tipo concorrenziale sulle imprese e sulle altre Camere.
Esiste quindi già una quantità di organizzazioni o istituzioni che offrono servizi alle imprese, la maggior parte delle quali - si presume - sono, specialmente in Italia, società così ben strutturate da permettere l’utilizzo di fonti di informazione altamente specializzate. In questi casi l’offerta di servizi è finalizzata soprattutto a garantire alle imprese ben organizzate un contenimento dei costi . Ciò che tali istituzioni non sono ancora in grado di fare è essere di supporto alla ristrutturazione delle imprese, adeguandosi alle nuove logiche di mercato e, in questo contesto, formando un nuovo contratto tipo. Lo stesso tipo di informazione, lo stesso tipo di collaborazione con esperti e associazioni che tendono in questa direzione, può fornire alle Camere di Commercio, soprattutto grazie alla loro flessibile forma di rappresentanza, un ruolo nella reimpostazione dei servizi localmente forniti.
Vorrei concedermi una osservazione politica conclusiva. Tutti i Paesi occidentali, e non solo l’Italia, devono effettuare una scelta fra due tipi di populismo, un populismo di destra che oscilla tra promettere tutto per niente e una forma brutale e impietosa di egoistica austerità .
Esiste poi un populismo di sinistra che oscilla tra la nostalgia verso forme di solidarietà inesistenti e un rigore semi-rigido a cui gli stessi promotori non credono più in quanto sconnesso rispetto a qualunque progetto di solidarietà .
Date queste due scelte, l’elettorato si trova davanti a una scelta dolorosa: Quale è il peggiore? Quale è il migliore? Quale sarà meno disastrosa? L’alternativa a queste forme di populismo sono delle riforme istituzionali, in quanto solamente tali riforme creeranno nuovi attori e una nuova classe politica che sia sufficientemente in contatto con il nuovo mondo delle imprese e delle istituzioni e in grado di collegare ambedue in una ridefinizione delle sicurezze di cui il cittadino ha bisogno.