di Charles Sabel
IL PRODOTTO VISTO COME MODULI SEPARATI
Un modo di adeguarsi alla situazione è quello di immaginare che il
prodotto non consista più in una singola unità , un tutt’uno integrato,
ma sia piuttosto un insieme di sottosistemi, cioè un sistema composto
da moduli separati. Pensare al prodotto in questa maniera, vale a dire
come sistema composto da moduli che possono essere ricomposti in
diverse maniere, conduce immediatamente - ed è una maniera di
concettualizzare il cambiamento - a un modo differente di concepire il
processo di fabbricazione. Lo schema di proprietà e subappalto è
immediatamente diventato obsoleto. Inizierò quindi con il processo del
disegno rispetto al vecchio, nel nuovo mondo i prodotti e le relative
parti simultaneamente vengono disegnati. Come è possibile? è possibile
iniziando con una definizione provvisoria, cioè dividendola in tante
piccole definizioni provvisorie e quindi chiedendo a specialisti di
ognuna delle parti di sviluppare ulteriormente l’idea originale.
Per rimanere nel campo dell’auto, se disegno un’automobile mi faccio
un’idea generale del tipo di auto che voglio produrre, di quanto essa
costi, di quali saranno le sue caratteristiche e di conseguenza ne
deduco un quadro generale di quello che dovrà essere il motore, il suo
funzionamento, dalla trasmissione ai freni: vado quindi da uno
specialista in trasmissioni e in freni e chiedo come si possa
realizzare questo obiettivo. Da ciò ne ottengo un doppio vantaggio,
dato che gli specialisti hanno idee più precise rispetto alle mie e io
sono in grado di illustrare la mia idea del prodotto finito con
maggior precisione; ma non solo in quanto forniscono suggerimenti in
merito al progetto originale. Imparo anche a fornire suggerimenti
circa altre parti che io posso usare per aiutare gli altri gruppi coi
quali collaboro per risolvere i loro problemi, per cui vi è un doppio
vantaggio; non solo risolviamo problemi simultaneamente - cosa che
richiede meno tempo - ma giungiamo anche a soluzioni che non sarebbero
state disponibili se avessimo cercato di risolverle in sequenza.
La stessa logica si applica ai rapporti tra design e fabbricazione,
perché se io sto disegnando il modulo motore o il modulo freno, non
voglio attendere fino a che sono pronto a produrre il mio design e
scoprire che può essere prodotto solo con grande difficoltà .
Per cui io faccio nei riguardi dell’officina di produzione, nei
riguardi della gente che produrrà il prodotto, esattamente quello che
l’integratore del sistema fa nei miei confronti. Inizio non appena ho
un’idea a domandarmi come tale idea potrebbe essere convertita in
prodotto e come suggerimenti su come fabbricarla meglio o a minor
prezzo potrebbero influenzare l’eventuale design del modulo.
Continuando su questa strada, è ovvio che vi siano importanti
implicazioni per diversi tipi di proprietà . Se io, in quanto
integratore di sistema, devo lavorare con società che possono
risolvere problemi per me impossibili, desidero lavorare con
specialisti che abbiano una grande esperienza di problemi diversi, in
quanto più grande è la loro esperienza con altri clienti, più grande è
la possibilità che usino soluzioni ottenute in quel contesto per
risolvere i miei problemi; pertanto io pagherò solamente una parte dei
costi di sviluppo invece di sostenerli tutti direttamente.
Ma io ho rapporti con società che trattano in modo autonomo con altri
clienti, per cui qualunque sia la loro situazione giuridica, io tratto
con imprese autonome. Ed esattamente la medesima logica si applica ai
rapporti tra il disegnatore di moduli e il proprietario e fabbricante
- rapporti che prima della macchina erano rigidi - dato che potevano
produrre queste parti che duravano per l’intera serie. Oggi questa
logica deve essere flessibile dato che l’entità produttiva non può
conoscere esattamente ciò che il designer vorrà e come cambieranno i
disegni, di conseguenza il designer del modulo desidererà una stretta
collaborazione con l’unità produttiva che possiede una profonda
conoscenza delle diverse forme di produzione e dei diversi cambiamenti
necessari per passare da un tipo di prodotto a un altro. Ecco un
ulteriore motivo di disaggregazione e verticalizzazione.
UN PRODOTTO FINALE "COSTRUITO"
Il risultato ovviamente è una grande diffusione dei subappalti, il che
significa che il prodotto finale viene sempre più "costruito", anche
se congiuntamente, da produttori indipendenti che collaborano proprio
nel modo da me ora descritto.
Una tale forma di subappalto comunque riveste una forma totalmente
nuova, dato che non si tratta più di un subappalto che considera
principalmente il prezzo, che in questo contesto non rappresenta che
un limite. Il subappaltatore deve assolutamente rispettare il prezzo
stabilito per essere competitivo sul mercato, ma la capacità
fondamentale del subappaltatore altro non è se non l’abilità di
riuscire a introdursi in questa complessa forma di collaborazione.
Tornerò più avanti su questo punto e sulle difficoltà che sorgono
nello stabilire tali rapporti.
Vorrei aggiungere che appare facile descrivere il modello di
decentralizzazione che ho appena indicato, un modello che per quanto
strano possa sembrare si è consolidato in molti settori industriali
nel mondo. Nelle sue grandi linee questo modello non presenta niente
di sorprendente o di anormale. Se io vi avessi detto queste cose
cinque anni fa, coloro che conoscono l’argomento si sarebbero
dimostrati scettici; oggi invece posso almeno contare sul fatto che
questo è il modello riconosciuto, le cui applicazioni in un contesto
particolare devono essere discusse.
Ciò che nessuno conosce è come, nella realtà , costruire questi
processi per passare dai modelli esistenti a quelli che ho appena
descritto.
Al posto di una soluzione accettata in relazione al problema della
transizione abbiamo solo uno schema generale, una strategia di
adeguamento che simultaneamente agisce sul vecchio sistema spostandolo
verso quello nuovo, risolvendo i problemi organizzativi della
transizione stessa. Vorrei essere più specifico, la strategia
gestionale utilizzata per raggiungere il decentramento altro non è che
il decentramento dell’autorità verso unità operative; il decentramento
rappresenta lo stato finale, la logica, la strategia per il
raggiungimento di questa logica. Di conseguenza, per muovere
un’impresa nella direzione qui indicata avviene quanto segue: si crea
un gruppo di designer, a essi viene affidata la responsabilità di
costruire un modello totalmente nuovo di automobile, essi hanno il
diritto di decidere da chi, da che unità interna all’impresa o da che
unità esterna, acquisteranno i diversi componenti che costituiranno
questo nuovo modello di automobile. Il che implica che essi hanno il
diritto di non acquistare dall’unità interna che produce ad esempio il
motore. Lo stesso vale a livello della produzione, a livello di parti
di una linea produttiva. Il gruppo ha potere decisionale nella
decisione di che servizi, che manutenzione, che ingegneria
industriale, che logistica utilizzare per i nuovi elementi che
dovranno essere prodotti internamente o esternamente.
UN NUOVO RAPPORTO VERSO L’ESTERNO
Il risultato di questa decentralizzazione è che i gruppi di design o i
gruppi produttivi possiedono attualmente il potere di ristrutturare
tutta l’organizzazione, alterando il rapporto verso l’esterno in base
alle loro scelte. Se l’unità interna impara a produrre i motori
previsti dal gruppo dei designer riuscirà a sopravvivere; in caso
contrario il gruppo si rivolgerà all’esterno e l’unità interna, che
non avrà più mercato, dovrà sparire. Se la manutenzione interna non
impara a mettere a punto l’assistenza preventiva necessaria per
rendere redditizio questo sistema a capitale intensivo, il risultato
sarà che questa decentralizzazione di autorità produrrà immediatamente
nuovi prodotti e nuove organizzazioni.
Vorrei ora per un attimo passare a osservazioni di ordine generale,
che riguardano le somiglianze esistenti fra trasformazione economica e
istituzionale.
Immaginiamo una democrazia parlamentare nelle sue forme alla fine del
XVIII secolo, forme che noi occidentali abbiamo ereditato alla fine di
un lungo processo di strutturazione. Questo concetto corrisponde al
vecchio mondo. Finché il mondo aveva una parvenza di stabilità un tale
tipo di democrazia funzionava abbastanza bene. I fatti dimostrano oggi
che il mondo sta cambiando; il tempo che intercorre fra il
riconoscimento di un problema da parte del sistema politico, del
sistema parlamentare e il tempo che questi impiegano ad attuare i
programmi indirizzati a quel problema è enorme. Il risultato altro non
è che programmi su programmi, frammenti di amministrazione su
frammenti di amministrazione, ognuno dei quali indica, in forma assai
competente, un problema che praticamente non esiste più nella forma in
cui originariamente era stato concepito. Il risultato è che i
cittadini, in ogni situazione della loro vita quotidiana, si trovano
sempre più a confrontarsi con una molteplicità di programmi che
potranno o meno essere ricomposti in forma utile per la soluzione dei
loro problemi. Non dobbiamo meravigliarci che in queste circostanze i
cittadini e le imprese si meraviglino dell’inefficacia dello Stato.
Un primo rimedio è la doppia strategia della decentralizzazione che io
ho illustrato in relazione alle imprese. Esso consiste nell’idea di
decentralizzare l’autorità a più unità locali consentendo a tali unità
di definire i programmi necessari, fornendo loro il potere di decidere
da chi acquistare determinati servizi. In realtà la regione o l’unità
si trasforma in un gruppo di design che ha più o meno il diritto di
acquistare servizi da altre entità statali, da privati o addirittura
provvedere in loco. In Italia questo mi sembra in senso generale il
nuovo concetto di federalismo.
Per fornire agli Enti locali i mezzi e l’autonomia necessaria per
eseguire quanto detto nasce immediatamente un parallelismo, fra i
nostri due Paesi proprio per queste due evoluzioni.
Vorrei ora passare da un’osservazione generale a una più specifica
relativa alla riforma delle Camere di Commercio. Esse dovrebbero
diventare i rappresentanti delle imprese in riferimento sia allo Stato
- Enti locali e nazionali - che all’economia in generale. Se saranno
in grado di ottenere ciò assumeranno l’aspetto di uno di quegli Enti
decentralizzati da me descritti. Cioè avranno la capacità di
proiettare nuovi programmi ma anche la capacità , in un modo o
nell’altro, di realizzarli in collaborazione con altri attori.
La questione è se le Camere riusciranno o meno a definire i progetti
utilizzando realmente i poteri concessi dalla riforma - se riusciranno
esse costituiranno parte centrale del nuovo tessuto istituzionale che
emergerà nell’Italia dopo le riforme - se non riusciranno queste
riforme saranno state, come spesso accade - non solo in Italia ma in
molti Paesi - un’altra ottima idea.
Io credo esista una possibilità , forse una soltanto, di analizzare
tali progetti. Penso soprattutto al problema dell’adeguamento
dell’industria alle nuove condizioni concorrenziali proprio come lo
impone questo mondo di prodotti a cicli brevi.
IL RUOLO DELLE CAMERE
Per meglio analizzare il ruolo che le Camere di Commercio potranno
avere, procederò in due fasi. In primo luogo voglio sottolineare che
gli altri attori, quelli già presenti sui mercati e nei sistemi
istituzionali, non possono da soli ricoprire questo ruolo di
mediazione di interessi conflittuali. In secondo luogo desidero
mostrare come le Camere di Commercio possono ricoprire questo ruolo.
In primo luogo, come mai i vecchi attori non possono allargare il
campo di loro competenza così da riuscire a coprire queste difficoltà ?
Io ritengo che la ragione stia semplicemente nel fatto che i vecchi
attori sono troppo legati al vecchio sistema. Passiamoli brevemente in
rassegna: le grandi imprese che devono collaborare con le piccole
sotto nuove forme si trovano esse stesse in difficoltà e da un lato
sono tentate di chiedere alle piccole imprese di assumersi la
responsabilità nel design congiunto dei prodotti, ma sono pure tentate
di spostare i loro costi, i costi di adeguamento, all’esterno. Risulta
molto difficile per le piccole imprese distinguere fra una
collaborazione sincera e un tentativo disperato di scaricare i costi.
Cosa dire delle associazioni? Le associazioni degli industriali
settoriali raggruppano piccole e grandi imprese suddividendole per
settore, il che significa che esse sono strutturate proprio secondo il
sistema errato per fronteggiare la nuova realtà , proprio perché i
problemi nascono, maggiormente, fra piccole e grandi imprese. Di
conseguenza rappresentandole ambedue, queste associazioni non possono
esprimere pienamente gli interessi di entrambe, e di regola, tendono
sempre a rappresentare gli interessi delle grandi imprese!
In secondo luogo esse rappresentano le imprese in relazione al settore
e come voi tutti ben sapete attualmente le società che subiscono un
processo di ristrutturazione non desiderano proprio limitarsi a una
collaborazione con subappaltatori che hanno soltanto esperienza nel
loro settore di attività . Le grandi imprese desiderano entrare in
contatto con subappaltatori che dispongano della maggior esperienza
possibile.
Che dire dei consulenti privati? Forse in Italia sarà diverso, ma in
Paesi come gli Stati Uniti e la Germania, la maggior parte dei
consulenti privati disponibili sul mercato sono persone che sono state
licenziate da grandi imprese in quanto avevano studiato perfettamente
i metodi del vecchio mondo e l’aiuto di queste persone, a imprese
medie e piccole, può risultare estremamente pericoloso.
Esiste quindi un grandissimo vuoto e vi è un’estrema necessità di
forme di conciliazione o mediazione. Il processo è di enorme
difficoltà e i vecchi attori non sono più disponibili. Perché sono
dell’opinione che le Camere di Commercio potrebbero ricoprire questo
ruolo? In base alla nuova riforma esse godono di poteri straordinari,
hanno una specie di supervisione, di controllo dei mercati. Per essere
più precisi hanno il potere di sorvegliare e regolare i mercati
consigliando contratti tipo, controllando e denunciando clausole
contrattuali ingiuste, ma avranno - e questo è l’aspetto più
importante - la capacità di esercitare i poteri di arbitrato.
L’ARBITRATO: UN POTERE DI PUNTA
Di questi tre poteri quello dell’arbitrato mi sembra sia il più
importante. Per definire un contratto tipo, per stabilire quali sono
le clausole contrattuali inique, labili e fluttuanti, è fondamentale
avere accesso a informazioni correnti e poter essere immediatamente in
contatto con gli attori che stanno essi stessi mettendo a punto una
deontologia delle nuove forme di cooperazione. Uno dei modi più
consoni per avere accesso a una tale deontologia emergente è proprio
l’arbitrato. Questo in quanto spesso i casi che vengono sottoposti ad
arbitrato sono quelli che presentano nella forma più pura sia il
conflitto che gli utilizzatori emergenti, tanto caratteristici nella
situazione attuale. Io sono andato a discutere con persone delle
Camere di Commercio che sono competenti in questo settore e ho
scoperto che esiste attualmente già un movimento in questa direzione.
Gli ambiti in cui la Camera oggi è maggiormente attiva per quanto
riguarda l’arbitrato sono quelli che riguardano le forme di legge più
strettamente collegate alle nuove forme di collaborazione. Ad esempio
il franchising, in cui non è più possibile sostenere chi è il
proprietario, l’affiliante o l’affiliato, dato che essi sono obbligati
a una forma di collaborazione continua e innovativa. Lo stesso vale
per le acquisizioni e le fusioni dove l’elemento essenziale è
costituito dalla collaborazione costante fra due imprese. Anche in
questo caso la Camera ha un ruolo preciso.
Tra tutte le associazioni che hanno svolto attività comparabili,
ritengo che la più interessante risulti l’Ucimu, l’Associazione
Costruttori Macchine Utensili, perché i produttori di macchine
utensili che producono beni industriali hanno sempre avuto quel tipo
di relazioni di collaborazione con le grandi imprese che oggi stanno
diffondendosi nell’intero sistema economico. E sono soprattutto i
subappaltatori di grandi gruppi coloro che hanno la maggior
probabilità di essere in grado – data la potenza di cui godono sul
mercato – di impegnarsi pubblicamente in una lite. Molti piccoli
appaltatori non avrebbero il coraggio di agire nello stesso modo.
Esistono già indicazioni positive che le Camere di Commercio
cominciano ad avere accesso a questo tipo di informazioni, attraverso
le quali, d’accordo con gli attori in altri processi, è possibile
definire i contratti tipo e le ingiuste clausole. Se tale azione fosse
possibile in maniera convincente ciò diverrebbe interessante per tutte
le imprese che cercano di stabilire rapporti fra loro in quanto
verrebbe eliminata una fonte di insicurezza, proprio nella stessa
maniera in cui alcuni centri di arbitrato come Vienna, Parigi o New
York, sono divenuti interessanti nelle controversie internazionali.
Di conseguenza anche un solo centro all’avanguardia potrebbe risolvere
il problema creando una pressione di tipo concorrenziale sulle imprese
e sulle altre Camere.
Esiste quindi già una quantità di organizzazioni o istituzioni che
offrono servizi alle imprese, la maggior parte delle quali - si
presume - sono, specialmente in Italia, società così ben strutturate
da permettere l’utilizzo di fonti di informazione altamente
specializzate. In questi casi l’offerta di servizi è finalizzata
soprattutto a garantire alle imprese ben organizzate un contenimento
dei costi . Ciò che tali istituzioni non sono ancora in grado di fare
è essere di supporto alla ristrutturazione delle imprese, adeguandosi
alle nuove logiche di mercato e, in questo contesto, formando un nuovo
contratto tipo. Lo stesso tipo di informazione, lo stesso tipo di
collaborazione con esperti e associazioni che tendono in questa
direzione, può fornire alle Camere di Commercio, soprattutto grazie
alla loro flessibile forma di rappresentanza, un ruolo nella
reimpostazione dei servizi localmente forniti.
Vorrei concedermi una osservazione politica conclusiva. Tutti i Paesi
occidentali, e non solo l’Italia, devono effettuare una scelta fra due
tipi di populismo, un populismo di destra che oscilla tra promettere
tutto per niente e una forma brutale e impietosa di egoistica
austerità .
Esiste poi un populismo di sinistra che oscilla tra la nostalgia verso
forme di solidarietà inesistenti e un rigore semi-rigido a cui gli
stessi promotori non credono più in quanto sconnesso rispetto a
qualunque progetto di solidarietà .
Date queste due scelte, l’elettorato si trova davanti a una scelta
dolorosa: Quale è il peggiore? Quale è il migliore? Quale sarà meno
disastrosa? L’alternativa a queste forme di populismo sono delle
riforme istituzionali, in quanto solamente tali riforme creeranno
nuovi attori e una nuova classe politica che sia sufficientemente in
contatto con il nuovo mondo delle imprese e delle istituzioni e in
grado di collegare ambedue in una ridefinizione delle sicurezze di cui
il cittadino ha bisogno.