di Giulio Sapelli
CORRUZIONE E ISTITUZIONALIZZAZIONE
Perche' la corruzione e' presente in pressoche' tutti i sistemi
economici e nazionali in ogni condizione di tempo e di spazio?
Alla domanda potrebbe essere data una risposta simile a quella
formulata dai marginalisti o dai neo-classici alla ricerca
dell'equilibrio in economia, ossia ricorrendo a una sorta di
"natura umana" immutabile e riproponentesi via via che il
divenire storico si presenta dinanzi al mondo simbolico
dell'uomo.
E' una questione che Sant'Agostino e Rousseau hanno risolto in
modo diametralmente opposto. L'uno disegnando un profilo morale
pervaso dal peccato e dalla naturalezza del male, l'altro
evocando uno stato di benefica e aurea benevolenza che non
dovrebbe essere che costantemente ricercato. La nostra
maturita' intellettuale ci impedisce di perseguire spiegazioni
ontologiche cosi' olistiche e pervasive. In primo luogo perche'
non riusciremmo a rispondere alla questione della variazione
che si verifica rispetto alla continuita' del fenomeno: ossia
all'assenza della corruzione in determinati contesti sociali e in
determinati tempi storici. Il che non si spiega con
l'assunto che gli uomini dovrebbero essere i portatori della
stessa natura morale... Occorre cercare un'altra spiegazione. La
risposta viene pur sempre dalla parte migliore
dell'antropologia filosofica.
Rousseau ricercava la riproposizione della societa' buona
attraverso la creazione di istituzioni politiche che fossero
nel contempo sociali e che potessero, quindi, realizzare un
mondo delle civiche virtu' che tenesse a bada il dilagare
incontrollato degli interessi. Solo in questo modo il dominio
sociale di una e'lite governante avrebbe potuto non fondarsi
sulla sola coercizione fisica. Si riattualizzava in tal modo un
problema tipico e fondamentale del pensiero politico classico:
quello dell'obbligazione politica. Ossia il problema di come si
potesse -e si possa - essere nel contempo sia un uomo buono sia
un buon cittadino. La risposta non poteva piu' essere, nel mondo
dominato sia dagli interessi sia dalla partecipazione politica
crescente, quello dell'appello alla virtu' dei pochi, della
saggia oligarchia. La risposta doveva essere ricercata nelle
istituzioni politiche. Oggi noi siamo convinti che la risposta
non possa piu' essere ricercata soltanto in queste ultime ma -
dopo gli insegnamenti della grande tradizione del diritto nord-
americano - essa debba essere ricercata anche nelle
istituzioni che regolano i mercati. Si tratta, del resto, di una
scoperta novecentesca che non fa che riproporre in chiave
liberale una questione che si era posto il dominio signorile
prima e lo stato assoluto poi: come garantire lo sviluppo
delle classi e dei ceti dei mercanti se non
proteggendone la vita e gli averi e favorendone la continuita'
professionale? La crescita di una deontologia confinava in tal
modo con la protezione e la protezione via via si trasformava in
un sistema di regole che venivano fondando le pratiche
commerciali. Le istituzioni giuridiche sortivano in tal modo
dall'imperio della spada e dalla continuita' dei costumi per
divenire norme disciplinatrici delle passioni e delle violenze.
Cosi' avevano fatto le istituzioni politiche sorte
dall'incunabolo delle liberta' medioevali: esse avevano fondato il
"privilegio" della liberta'.
Dall'antropologia filosofica si giunge in tal modo
all'orizzonte del processo storico concreto
dell'istituzionalizzazione politica ed economica, sul quale
Huntington e Lindblom hanno scritto pagine insuperabili. La
meditazione ontologica sull'uomo, che e' sempre un'antropologia
del quotidiano, si salda in tal modo con la consapevolezza che
soltanto le istituzioni possono sorreggere la natura umana nel
cammino verso la benevolenza e che esse debbono temperarne le
passioni e prevenirne, con i mezzi che vanno dalla repressione
alla obbligazione politica che diviene norma, la malvagita'
sempre possibile.
La corruzione diviene in tal modo un momento della lotta tra il
mondo delle istituzioni politiche ed economiche e quello delle
passioni e degli interessi pienamente dispiegati in forma
egoistica e utilitaristica. La questione deve essere
affrontata, io credo, in questi termini. Solo in questo modo,
infatti, si puo' pienamente comprendere l'essenza stessa del
processo della corruzione: ossia il fatto ch'essa si dipana
sempre al crocevia del mondo dei mercati e del mondo dei
poteri. La ricchezza e' potere sugli uomini e il potere sugli
uomini serve per accumulare ricchezza. E tra le varie forme di
potere spiccano, nel mondo contemporaneo, il monopolio della
forza e dell'influenza politica e il monopolio economico, che
annichiliscono le regole della competizione. Se questi poteri si
saldano o si sovrappongono nelle stesse mani, come e' noto, le
liberta' politiche e civili sono sgretolate e gli Stati
liberali e gli Stati democratici sono distrutti. Per questo la
corruzione non e' che una parte del tutto, ossia del problema
delle istituzioni politiche ed economiche che garantiscono, con il
temperamento delle passioni e degli interessi, la divisione e il
bilanciamento dei e tra i poteri, fondamento dei princi'pi
liberali e dei princi'pi democratici. Essa, infatti, e' uno
degli strumenti per accumulare potere e per concentrarlo in
forme segrete e oligarchiche. Anche in questo caso gli esempi
storici sono innumerevoli e tutti noi potremmo fornire
eloquenti esempi contemporanei in proposito.
In questo senso tanto piu' bassa e' l'istituzionalizzazione
tanto piu' diffusa e' la corruzione e tanto piu' elevati sono i
pericoli per lo stato di diritto e per il liberalismo e la
democrazia.
VISIBILITA' E INVISIBILITA' DELLA CORRUZIONE TRA BEHEMOTH E LEVIATHAN: LA "RELIGIONE CIVILE"
Questo livello esplicativo e' ancora, tuttavia, troppo lontano
dalla comprensione piena di tutta la complessita' del fenomeno.
Tale complessita' e' determinata dal fatto che la corruzione e' un
momento della condensazione del potere sociale, economico e
politico che si presenta si' secondo una profonda uniformita'
quanto alla sua presenza concreta, ma anche secondo una
profonda diversita' di intensita' quanto alla sua evidenza
concreta, che chiamero' "visibilita'".
Iniziero', dunque, dalla visibilita' della corruzione. Se la
corruzione e' un fenomeno diffuso occorre allora spiegare
perche' emerge in forma discontinua. Vi sono, a parer mio, due
spiegazioni possibili a riguardo.
La prima e' riferita al grado di credenza nella legalita'
vigente nei sistemi di rappresentanza degli interessi, nelle
volizioni elettorali, nel sistema statuale nella sua intierezza
amministrativa e giuridica. Tanto piu' il grado di credenza
nella legalita' e' diffuso, tanto piu' la corruzione e'
visibile. Infatti le societa' ad alti gradi di credenza nella
legalita' promuovono forme di obbligazione politica per cui
l'uomo buono e', contestualmente, un buon cittadino. Queste
forme di obbligazione politica sono possibili perche' i mondi
simbolicidelle persone sono fortemente orientati
dall'accettazione del principio della legalita'. Chi non
condivide questo orientamento viene segnato dall'ostracismo
sociale e di gruppo. Questo spiega perche' la corruzione e'
meno presente nelle nazioni a piu' alto grado di
civilizzazione, ossia di socializzazione dei cittadini alla
credenza nella legalita'. Tali pratiche di civilizzazione
richiedono processi secolari di acculturazione e di
sedimentazione di comportamenti sociali probi. Essi divengono
riproducibili perche' sono accettati e premiatidalla
considerazione sociale.
Esempi di cio' si ritrovano soprattutto nei Paesi ad alta
intensita' di civilizzazione e a bassa intensita' di rottura
delle consolidate pratiche di socializzazione all'obbligazione
politica. Questo spiega perche' i rapidissimi processi di
crescita economica, con la creazione turbinosa di nuove classi e
nuovi ceti sociali, generano - piu' che laddove le crescite sono
lente e accompagnate dalla civilizzazione istituzionale la
corruzione e la caduta della credenza nella legalita'. Il
problema non e' quello del parvenu che irrompe nell'arena della
ricchezza, ma dei modi e delle forme con cui esso viene accolto e
integrato dalle precedenti classi dirigenti e dalle
istituzioni statuali. Queste forme di civilizzazione
istituzionale altamente pervasive formano personalita' che
trovano il loro equilibrio morale nell'interconnessione con un
alto grado di legittimazione e di razionalita' (habermasiana)
delle istituzioni. Ossia della loro capacita' di rispondere ai
bisogni di identificazione morale degli uomini. Vi e'
continuita' tra vita buona, credenza nella legalita',
razionalita' e legittimita' dello stato portatore di un'idea
non di stato etico, ma di stato giusto. Se questa continuita' si
realizza, la visibilita' della corruzione puo' dispiegarsi con
notevole intensita'. Chiamo questa intensita': "visibilita' da
credenza nella legalita'". Essa e' determinata dal grado di
disvelamento della corruzione (come di tutte le forme di
illegalita') che il rapporto con le istituzioni rende possibile
perche' il cittadino si identifica in esse e a esse ricorre
ogni volta che si sente minacciato dalla corruzione.
Ma vi e' anche una seconda visibilita', che io chiamo da
"disgregazione dello stato" o da "democrazia pretoriana". Anche
nella dittatura esistono scontri tra "forze pretoriane", ossia,
come nell'antica Roma, tra forze che sfidano l'universalita'
del potere creandolo e ricreandolo di continuo sulle lame delle
spade, ma io do' per scontato, sulla base dell'intelligenza
storiografica (a differenza di quanto pensano le plebi, di oggi
come di ieri) che la dittatura e' il contesto piu' idoneo per
l'invisibilita' della corruzione, e quindi a essa in questo
contesto non faccio cenno. La visibilita' da "disgregazione" o da
conflittualita' "pretoriana" non e' piu' determinata dal
perseguimento diffuso della obbligazione politica, ma dalla
balcanizzazione delle appartenenze politico-
simboliche
prestatuali o antistatuali. Mi spiego meglio. La corruzione
diviene una delle armi usate nella lotta tra le fazioni che si
combattono per il potere. Tanto la visibilita' della
corruzione, e dunque il suo emergere, quanto i tentativi di
nasconderla e di occultarla sono l'espressione della
incapacita' dei meccanismi delle moderne poliarchie di
riprodursi. Definisco, con Lindblom, "poliarchie", tutti quei
sistemi politici pluripartitici a economia decentrata (in piu' o
meno forte misura), che contemperano i poteri eli
equilibrano attraverso un processo di istituzionalizzazione.
Quando le poliarchie non sono in grado di garantire
continuamente il cuore della riproducibilita' del pluralismo,
esse entrano in una crisi profonda. Questo cuore, tanto potente ma
tanto delicato e prezioso, e' un concetto condiviso di "bene
comune" e quindi di "credenza nella legalita'". Ed e' nel
contempo un corpo di istituzioni che garantiscono l'efficacia e
l'efficienza dei processi sociali, politici, economici promossi o
garantiti nella loro continuita' da quella condivisione. In un
mio lavoro ho metaforicamente assimilato questa situazione di
crisi a quella descritta nell'opera hobbesiana sulla
disgregazione delle prime istituzioni parlamentari inglesi. E' il
trionfo di Behemoth, il mostro biblico del disordine, che lotta
contro la legalita' e la razionalita'. Behemoth e' molto piu'
pericoloso, per il bene comune, di Leviathan, perche' da
Leviathan ci si puo' liberare molto meno difficoltosamente di
quanto non sia possibile fare nei confronti di Behemoth.
La visibilita' da "disgregazione dello stato" conduce di norma
alla, oppure e' il frutto della, "democrazia pretoriana": il
conflitto continuo tra le fazioni. Esse possono non soltanto
dividersi in merito al grado di corrompimento e di corruzione
che esprimono, ma possono anche dividersi riflettendo la
mancanza di omogeneita' nei gradi di socializzazione alla
credenza nella legalita'. Questa lotta puo' dispiegarsi
trasversalmente in tutte le strutture della societa' politica e in
tutte le strutture della societa' economica, riflettendo un basso
grado di istituzionalizzazione politica ed economica e un basso
grado di civilizzazione. In questo caso l'aggettivo "basso",
non elegante ma efficace, esprime il concetto di non omogeneita'
culturale, di mancanza (avrebbero detto i miei Maestri
intellettuali del liberalismo rivoluzionario, Benjamin Constant e
Madame De Stael), di una "religione civile" che sia patrimonio di
tutta la nazione. In questi casi la lotta contro la corruzione
e' spesso il compito interiorizzato come "missione", di
una e'lite che si propone di diffondere un messaggio di
civilizzazione e di istituzionalizzazione in collaborazione
con tutti quei settori della societa' economica e della
societa' politica che condividono questa religione e questo
impegno. Mi pare sia questo il caso di Transparency
International, che cosi' definisce la sua missione e la sua
identita': The Coalition against Corruption in International
Business Transactions.
Il problema che si pone nel caso di questa lotta e' quello che
essa si svolge quasi sempre al discrimine tra la
riattualizzazione dello spirito di fazione anche da parte di
chi persegue la "religione civile" (dando cosi' il suo
contributo alla forza di Behemoth) e l'attuazione, invece, di
quella probita' universalistica dei comportamenti e delle
credenze che e' tipico di chi vuole difendere e affermare
l'universalita' della legge.
E in questo caso credenza nella legalita' vuol dire
autorevolezza di uno Stato che con le sue istituzioni temperi
passioni e interessi, equilibrando e controbilanciando i poteri
delle poliarchie. Quell'orientamento all'azione da' cosi' il
suo contributo al diffondersi dell'"obbligazione politica del
buon cittadino".
Da questo punto di vista la "visibilita' da democrazia
pretoriana" e' una cartina di tornasole non soltanto per
misurare il grado di omogeneita' e di presenza di una
"religione civile", ma anche di cio' che puo' accadere quando, in
assenza di questa, la divisione dei poteri non regola la
totalita' della distribuzione del potere e dell'autorita' nella
societa'.
Le oligarchie democraticamente elette - dopo che esse hanno
scelto gli elettori... - possono, in presenza di una imperfetta
divisione dei poteri, soffocare qualsivoglia cultura
istituzionale che si appelli alla pratica piuttosto che
all'ideologia - residuo paretiano - della "religione civile". E'
il caso, ad esempio, dei gradi di liberta' di azione dei corpi
giudicanti e inquirenti rispetto all'imperio del potere politico.
Anche in questo caso gli esempi possono essere innumerevoli:
bastera' ricordare la differenza esistente tra Italia e Francia
a questo proposito. E pure la Repubblica dove ogni uomo colto
vorrebbe vivere, la Francia, ha un grado di omogeneitˆ
culturale della "religione civile" molto piu' elevato di
quanto non sia per l'Italia, tradizionalmente avvoltolata nei
costumi piuttosto che nelle culture
istituzionali. Essa e' tradizionalmente divisa tra Mario e
Silla, guelfi e ghibellini, mazziniani e garibaldini, "formiche
rosse e formiche nere", per dirla con Guido Gozzano. E
scuserete la mia disperata ironia.
Questo e' un esempio fecondo che ci induce a riflettere su due
problemi di ordine generale evocati dal tema della corruzione. Il
primo e' quello che mi fa dire che i confini tra democrazia e
dittatura non sono cosi' netti come spesso si pensa: si
tratta di due regimi politici profondamente diversi,
naturalmente, ma che possono pericolosamente trovare un punto di
similitudine nella debolezza della divisione dei poteri. Non a
caso le piu' forti democrazie politiche sono le piu' forti
poliarchie, dove ai poteri elettivi, che contengono in se' i
germi della dittatura della maggioranza, si contrappongono
felicemente poteri meritocratici e tecnocratici, come e' il
caso dei rapporti tra societa' politica e societa' giuridica
negli Usa. Tanto meno spiccata e' la divisione dei poteri tanto
meno efficaci possono essere gli strumenti per combattere la
corruzione, quale che sia il suo grado di visibilita'.
Il secondo problema generale evocato dalla riflessione sulla
corruzione e' quello che induce a ripensare in modo
radicalmente nuovo le tematiche della modernizzazione. La
modernizzazione, infatti, puo' essere senza sviluppo civile,
ossia solo fondata sulla crescita economica e sull'ampliamento
dei redditi in forme piu' o meno disuguali tra le classi e i
ceti sociali. Questo e' cio' che e' avvenuto e che ancora sta
avvenendo, in forma piu' o meno spiccata, nei Paesi second,
third, fourth comers. Li', per dirla con Felice Balbo e Giorgio
Ceriani Sebregondi, la societa' non riesce a configurarsi come
"Ente sociale storico", ossia dotato di autoriflessivita' e di
autosviluppo regolato e incivilito sia dall'energia creatrice
della persona, sia dalla creazione irreversibile di istituzioni
che ne sorreggano il processo di evoluzione morale. In fondo,
come ha messo in luce Mauro Magatti, cio' che conta per
misurare il grado di sviluppo civile di una nazione, e' il mix
tra relazioni personali e relazioni istituzionali. Se le
relazioni personali sono scarsamente incivilite e tendono a
fondarsi su comportamenti fuori dalla legalita', tanto piu'
potente e presente deve essere l'obbligazione politica indotta e
financo imposta con la forza della repressione selettiva ed
educatrice di natura istituzionale.
Si puo' assistere, in talune nazioni, sia a un prevalere di
relazioni personali non incivilite istituzionalmente - e quindi
clientelari, con basse credenze nella legalita' e alti gradi di
corruzione e piu' in generale di criminalita' - sia a una
scarsa istituzionalizzazione della politica e dell'economia.
Allora il grado di corruzione e di comportamenti extra-legali
puo' essere elevatissimo e i danni possono anche essere
irreversibili. E' il caso di molti dei Paesi africani e di
molti dei Paesi centro-americani, oltreche' di quasi tutti i
Paesi asiatici, dove il concetto e la praxis
della
responsabilita' personale e della credenza in una legalita'
universalistica, che superi e annichilisca lo spirito di
fazione o di famiglia o di parentela, e' pressoche'
culturalmente assente.
In questo caso la corruzione e' "invisibile nella visibilita'":
ossia e' tanto diffusa a partire dalle coscienze da divenire un
comportamento non soltanto accettato, ma premiato dalla
pubblica considerazione e dal plusvalore di potere politico ed
economico che cosi' facendo i soggetti della corruzione si
garantiscono. E' una situazione che confina con l'accettazione e
l'approvazione dei comportamenti mafiosi, differenziandosi
tuttavia profondamente da essi perche', di norma, nei casi di
corruzione diffusa e accettata si assiste a uno scarso uso
della violenza come minaccia e come esercizio diretto ad
annichilire gli avversari. La corruzione e' un comportamento
socialmente tanto convalidato da non essere considerata un
problema dell'ordine sociale.
Fenomeni simili si producono anche nei piu' alti punti dello
sviluppo economico. Anche questa piu' recente scoperta ha
contribuito a falsificare diverse teorie della modernizzazione. La
corruzione, ad esempio, e' molto diffusa in Paesi europei
generalmente second comer a bassa civilizzazione istituzionale,
come l'Italia, o anche in Paesi first comers ad alta
civilizzazione istituzionale, come l'Inghilterra. Il problema,
tuttavia, e' molto diverso rispetto a quanto accade nei Paesi a
"visibilita' invisibile" prima evocati. Si tratta, infatti, in
questi casi, di comportamenti accettati e premiati soltanto da
fazioni in lotta per il potere che, tramite i meccanismi della
partecipazione politica e della collusione economica (anziche'
della competizione) tendono continuamente a trovare nuovi
adepti, coinvolgimenti nella trama delle complicita' e dei
ricatti reciproci che sono resi possibili, e insieme necessari,
dalla corruzione. I corrotti, devono rimanere occulti o, una
volta scoperti, devono cercare di gettare discredito su coloro
che interpretano la "missione" della legalita' e della
"religione civile".
Credo che un approccio comparato come quello che propongo,
tendente a sottolineare l'uniformita' ma, insieme, le
differenze di intensita' e di visibilita' della corruzione, sia
portatore di una sfida a talune consolidate concezioni del
mondo e a talune credenze. Un conforto ci viene dagli scacchi a
cui vanno incontro i processi di crescita, gli stessi processi di
crescita si badi bene! (non di sviluppo), nei Paesi
infestati dalla corruzione. A differenza di quanto si pensava
seguendo le teorie funzionalistiche, essa finisce per inceppare
l'ascesa economica allorche' si supera il puro livello
quantitativo di quest'ultima e ci si incammina verso i livelli
qualitativi della stessa. A quel punto il problema
dell'affidabilita' personale secondo un meccanismo delle
aspettative fondato sulla reiterazione di comportamenti certi,
probi, equi, diviene essenziale. E tutto cio' un mondo
economico e politico fondato sulla corruzione non puo'
garantirlo.
IMPRESE E SOCIETˆ POLITICHE NAZIONALI E INTERNAZIONALI
E' convinzione ormai diffusa che la corruzione si diffonda a due livelli, strettamente interconnessi tra di loro: quello nazionale e quello internazionale. E' mia ferma, ma non altrettanto diffusa, convinzione che due siano i fondamentali attori della corruzione: le imprese di ogni dimensione e ragione sociale e le societa' politiche di ogni configurazione culturale e costituzionale. La corruzione e' contestualmente e sempre la prova sia dei continui fallimenti a cui va incontro il mercato, sia dei continui e ricorrenti fallimenti a cui va incontro la politica non tanto nel senso di realizzare le idealita' di una societa' giusta, quanto invece nel senso di realizzare i fini stessi per i quali le societa' piu' civilmente evolute hanno lottato e lottano per costruire i mercati e le societˆ politiche. Mi spiego piu' chiaramente. La tendenza alla collusione economica anziche' alla competizione e' profondamente insita nei meccanismi di crescita dei sistemi e delle imprese economiche. La tendenza all'ampliamento delle aree del potere e dell'influenza sono la ragione stessa dell'esistenza di tutte le classi politiche, quali che sia il loro credo profondamente interiorizzato o sapientemente diffuso e quale che sia il regime costituzionale che esse si danno nelle loro lotte per il potere. Tra la societa' economica - cosi' chiamo la rete di relazioni esistente tra le imprese attraverso i loro manager o i loro proprietari che ne presidiano i confini - e la societa' politica - cosi' chiamo il luogo sociale della formazione delle classi politiche che fondano i sistemi dei partiti - si pongono le istituzioni dello Stato e delle relazioni internazionali. Quest'ultime hanno sempre piu' un peso importantissimo per definire i caratteri sia della societa' economica sia della societa' politica. Direi piu' precisamente - e questo costituisce un elemento cruciale del mio ragionamento - che le istituzioni internazionali hanno svolto e svolgono un ruolo molto piu' cogente sulla prima delle societa' prima ricordate che sulla seconda. Questo e' vero a partire dagli inizi della diffusione del commercio internazionale e contemporaneamente dall'affermarsi degli stati nazionali. Il primo non poteva non fondarsi sulla elaborazione di regole che garantissero la lunga durata, l'efficacia e l'affidabilita' delle transazioni quale che fossero le leggi vigenti negli stati da cui rispettivamente provenivano merci e mercanti. Il commercio internazionale fu prima una societa' dei mercanti e poi divento' una societa' delle regole e degli ordinamenti giuridici di fatto. Essi via via si trasformarono in leggi cogenti e penetranti tanto sugli attori quanto sulle merci da loro scambiate, nonche' sui mezzi simbolici - le monete - da essi impiegati per rendere piu' veloci gli scambi medesimi. Queste regole furono spesso imposte con la forza contestualmente all'apertura dei mercati chiusi: la violenza ha sempre svolto un ruolo essenziale nella costruzione del commercio mondiale. Via via minore, senza dubbio, tanto minore quanto maggiore e' stato ed e' il ruolo svolto dalle istituzioni vere e proprie che regolamentano il commercio mondiale. Occorre, pero', sempre ricordare la soggettivita' e la capacita' di azione dei mercanti e delle loro associazioni, visibili e invisibili, che possono divenire il "brodo di coltura" della illegalita' che vive al fianco della legalita' commerciale internazionale. La mia tesi e' molto semplice e molto esplicita. Tanto piu' queste istituzioni sono efficaci per rendere facile, accessibile ai piu', rapido e profittevole il commercio mondiale, tanto piu' esse possono regolare il commercio mondiale medesimo senza che questo cada sotto il dominio dei comportamenti illegali, parziale o generalizzato per interi settori (si pensi alla droga o alle armi). Tra questi comportamenti illegali va annoverata la corruzione. E' quanto succede, metaforicamente, per il contrabbando, di uomini e di merci. Basti pensare all'inefficacia del blocco napoleonico aggirato dai veloci brigantini a lampade spente, basti pensare al protezionismo dei primi anni della Spagna franchista e al flusso di alimenti e di beni che proveniva illegalmente dalla frontiera francese e lusitana, basti pensare al divieto dell'emigrazione esterna nel Portogallo di Salazar e a quello delle migrazioni interne nell'Italia fascista e ai forti movimenti di popolazione che invece si determinarono, basti pensare alle grandi multinazionali produttrici di sigarette che assicurano lo smercio del prodotto attraverso l'esportazione in mercati legali che coprono il contrabbando in altri Paesi, per comprendere il significato della mia metafora. Ma se le regole e le istituzioni internazionali ratificano le transazioni esse non regolano con omogeneita' (basti pensare al regime giuridico del Mercato Unico europeo o a quello del Mercosud) i luoghi formativi delle fonti del potere economico delle imprese e dei mercati dei diritti proprietari: questi continuano a essere delimitati e delineati dagli Stati nazionali. Anzi, e' stato dimostrato dai primi studi di una certa dignita' scientifica sugli effetti economici del Mercato Comune europeo che le istituzioni comunitarie sono state utili in primo luogo per rafforzare la potenza delle nazioni facenti parte del medesimo, piuttosto che realizzare una vera e propria integrazione economica sovrannazionale. Il ruolo dei gruppi di pressione e della rappresentanza degli interessi particolari e' stato fortissimo e potentissimo a questo proposito. Esso si e' riproposto con plastica evidenza secondo le linee della diffusione che il fenomeno ha a livello nazionale, con piu' o meno evidenti manifestazioni nella formazione delle decisioni legislative. Si e' cosi' configurato quel rapporto tra imprese, mercati nazionali e sovrannazionali che recentemente Alberto Predieri ha definito "spungiforme e osmotico", ossia irto di compenetrazioni tra Stato e mercato che finiscono per frastagliare e segmentare ogni confine, ibridandolo e disperdendolo. Si tratta di una brillantissima riproposizione di quell'immagine dello Stato ridotto a mezzo di lotta per la conquista del potere economico e politico, per via della sua totale e pervasiva immedesimazione con l'economia che Giuseppe Capograssi aveva intravisto quando la nottola di Minerva dello Stato liberale italiano iniziava a levarsi, nell'orizzonte della disgregazione del principio di autorita' e quindi nella fine delle liberta'. Ma torniamo all'osmosi prima richiamata. Il problema e' che questa osmosi ormai avviene tra Stati nazionali, istituzioni internazionali del commercio mondiale e interessi delle imprese nazionali e multinazionali. E in questa osmosi puo' agire il principio dei rapporti di forza e dispiegarsi la lotta tra i mercanti. Queste lotte possono coinvolgere stati e grandi imprese, interessi occulti oppure visibili in superficie per meglio occultare i sommovimenti profondi. Si e' trattato di una crescita rapidissima del commercio mondiale (essa inizia dalla congiuntura coreana del 1951 e dura fino alla crisi petrolifera e monetaria del 1973) e poi di una sua alterna e ciclica crescita piu' lenta, ma pur sempre costante, con lo spostamento del baricentro prossimo futuro verso l'area del Pacifico, che fara' da ponte piuttosto che da dipendente servomeccanismo all'area atlantica. Ebbene questa rapidissima crescita e' alla continua ricerca di un equilibrio istituzionale che sembra difficilissimo da ritrovare. La vecchia societa' dei mercanti e della City, dove le regole erano sancite dalle strette di mano in un club o sotto una tettoia coloniale sorseggiando gin e soda, quel mondo della fiducia reciproca che diveniva istituzione e', piuttosto che scomparso, profondamente intaccato nel suo potere. Ora rimane un costante squilibrio tra la tendenza del commercio mondiale (e dei suoi piu' genuini interpreti che continuano a essere gli Usa) alla omogeneizzazione delle regole per facilitare l'espansione della competizione e la tendenza dei gruppi di pressione e degli Stati nazionali - in cui essi affondano le loro radici - di opporsi alla competizione dispiegata. Essa vorrebbe dire semplicita' di organizzazioni e rigidita' di selezioni evolutive. La tendenza collusiva delle imprese sarebbe colpita al cuore, salvo che esse non occupino gia' monopoli temporanei e stabili frontiere delle barriere alle entrate che ne assicurano i vantaggi competitivi. Questo spiega il ruolo progressivo delle grandi imprese quando esse non sono tra le portatrici dell'osmosi disgregatrice dello Stato e quando non promuovono quel monopolio temporaneo con accordi oligopolistici che si consolidano attraverso la generalizzazione dei comportamenti illegali. In questo caso la corruzione e' la creazione di monopoli, monopsonii e oligopoli nei gangli dell'osmosi spungiforme nazionale e internazionale. La corruzione crea un circolo di inefficienza nelle imprese selezionando il management sulla base della capacita' di "corruzione osmotica", anziche' sul perseguimento dell'efficienza e dell'efficacia economico-competitiva. Essa rafforza e seleziona una classe politica e amministrativa delle istituzioni internazionali che persegue, piuttosto che il bene comune della riproducibilita' di poliarchia internazionale, il potere nella sua pura forma disgregatrice, personale, di clan, di fazione. Il coacervo di sovrapposizioni e di regolamenti di tali sovrapposizioni che producono continui attriti, piuttosto che realizzazioni del mercato mondiale e locale, e' un incentivo alla corruzione? Senza dubbio lo e', quando la velocita' richiesta nelle decisioni dai mercati e' ostacolata dalla lentezza delle burocrazie. Ma si tratta di una incapacita' organizzativa. Molto spesso per vincere la corruzione sono necessari controlli successivi e incrociati tra vari livelli decisionali. Non e' quindi tanto il nucleo delle transazioni burocratiche che ci deve preoccupare, quanto, invece, il grado della loro inefficacia organizzativa. Infine, il rapporto tra Stati nazionali, imprese e commercio mondiale, ha creato dei meccanismi competitivi fondati sulla sottrazione della legalita' commerciale internazionale nel vero e proprio significato del termine. Si tratta della molteplice e variegata forma dei "paradisi" fiscali o valutari o commerciali o regolamentari che costellano il mondo delle relazioni economiche internazionali e che ledono in forma gravissima il contratto sociale internazionale. Esse sono degli stati di deistituzionalizzazione all'interno di un evoluto, anche se ancora imperfetto, sistema mondiale di istituzioni che cercano di regolamentare il commercio mondiale. Si tratta di campi magnetici che attraggono i proventi delle diverse forme delle illegalita' riconosciute come tali nei mercati nazionali e invece avvallate nei sistemi off shore. Essi sonola materializzazione della crisi dell'ordine economico internazionale e del fallimento del mercato e della politica (che quell'ordine dovrebbe garantire) a livello mondiale. A tanto ci ha portato la riflessione sulla corruzione.