di Pier Camillo Davigo
INSUFFICIENTI LE MODIFICHE DELLA NORMATIVA
La modifica della normativa pero' non e' sufficiente se non e'
integrata da un'autonormazione perche' solo quest'ultima
presenta il vantaggio di rompere la dicotomia derivante dalla
doppia fedelta'.
Inoltre le norme giuridiche delineano i fatti illeciti, ma non
tutto cio' che e' eticamente riprovevole e' anche illecito
giuridicamente ed e' opportuno che ci sia una striscia
sanitaria in cui non si e' ancora nel campo dell'illecito e
specialmente dell'illecito penale, ma si e' gia' nel campo
dell'illecito etico. In modo che poi nessuno possa dire -mi ci
sono trovato senza rendermi conto-, perche' vi era un terreno
di nessuno in cui ci si avventurava sapendo che si era fuori
dai comportamenti accettati come eticamente corretti dalla
collettivita' di cui si fa parte.
Gli atti di autonormazione e cioe' i codici etici possono
essere adottati in relazione ai soggetti passivi di possibili
corruzioni, cioe' i pubblici funzionari, ovvero ai soggetti
attivi, cioe' i privati in rapporti con la Pubblica
Amministrazione.
In Italia si sono da poco intraprese, con ritardo e sulla
spinta di accadimenti che sono noti a tutti, entrambe le
strade.
Il Dipartimento della Funzione pubblica ebbe a diffondere nel
luglio '93, quindi poco piu' di un anno fa, una pubblicazione:
una bozza di codice di condotta dei dipendenti pubblici, nella
quale venivano rassegnate le autoregolamentazioni in vigore in
altri Paesi o a livello comunitario (per esempio: il codice di
deontologia degli avvocati della Comunita' Europea, che risale
al 1988, una comunicazione della Commissione della Comunita'
Europea del 2-12-92).
In questi codici etici significativamente la prevenzione della
corruzione e' anticipata alla ricezione di qual si voglia dono
da parte di dipendenti pubblici. Secondo la legge penale
italiana le ipotesi di percezione di denaro da parte di un
pubblico funzionario (intendendosi per pubblico funzionario sia
il pubblico ufficiale che l'incaricato di pubblico servizio)
danno luogo alle diverse fattispecie della concussione e della
corruzione propria e impropria nella sottospecie
dell'antecedente e della successiva.
Ricorre il delitto di concussione quando il pubblico
funzionario, abusando della sua qualita' o sue funzioni,
costringe o induce il privato a dargli o promettergli denaro o
altra utilita'.
Si versa invece nell'ipotesi di corruzione quando il pubblico
funzionario riceve denaro per compiere un atto d'ufficio
contrario ai doveri d'ufficio, ovvero per ometterlo.
E' evidente che ci puo' essere una soglia in cui il funzionario
riceve un dono che non e' collegato al compimento o
all'omissione di un atto d'ufficio o contrario ai doveri
d'ufficio e che non e' determinato da costrizione o induzione
derivanti da abuso della qualita' o delle funzioni pubbliche.
Su questa terra di nessuno e' necessario il cordone sanitario
eretto dai codici etici.
L'art. 17 di questa bozza dice: -il dipendente non puo'
chiedere per se' o per altri; ne' accettare, neanche in
occasione di festivita', doni o altre utilita' aventi valore
economico, da soggetti con speciali rapporti con
l'amministrazione-. Rimane il problema di individuare il
significato di valore economico, perche' la locuzione "aventi
valore economico" non sembra chiara: nessun dono sarebbe tale
se non avesse un benche' minimo valore economico, sarebbe una
cosa da buttare via.
Si impone poi l'obbligo, se il dono e' comunque pervenuto, di
consegnarlo al capo dell'ufficio perche' provveda alla
restituzione o quando, per ragioni particolari, cio' non sia
possibile perche' venga acquisito dall'amministrazione.
Possono sembrare aspetti poco rilevanti, eppure molti imputati
si difendono dicendo: -era un regalo-, come se ricevere regali
per un pubblico funzionario fosse la cosa piu' naturale del
mondo. Per fortuna di solito si tratta di "regali" del valore
di centinaia e centinaia di milioni, sicche' queste difese
suscitano ilarita'. Ma sarebbe gia' grande cosa se, al di la'
della responsabilita' penale, il solo fatto di aver ricevuto
denaro o altra utilita' comportasse l'allontanamento del
pubblico funzionario per la violazione dei suoi doveri.
Il secondo aspetto dei codici etici riguarda il soggetto attivo
di possibili corruzioni e cioe' il privato.
Ho esaminato alcuni codici etici e ho portato con me quello di
un grande gruppo industriale italiano, adottato dopo gravi
vicende che avevano coinvolto i suoi dirigenti e modellato su
quelli in uso in grandi gruppi di altri Paesi.
Leggo il canone primo della prima sezione di questo codice:
-Qualsiasi dipendente del gruppo non deve promettere o versare
somme o beni in natura, di qualsiasi entita' o valore, a
qualsiasi pubblico funzionario per promuovere o favorire
interessi di una societa' del gruppo, anche a seguito di
illecite pressioni. Fanno eccezione solo i piccoli regali o
cortesie di uso commerciale di modesto valore, omaggi per
reclame o festivita', o inviti a convegni o riunioni per
presentazione di auguri quando non siano vietati-.
Segnalo che il combinato tra quanto prevede il codice etico
privato per l'erogatore e quanto vieta il codice etico pubblico
impedirebbe qualunque regalo in relazione alla locuzione
"quando non siano vietati".
Significativamente e' affermato il principio che sia meglio
rinunciare alla conclusione di un affare piuttosto che
effettuare promesse o versamenti di denaro o altra utilita' in
violazione delle regole enunciate.
Il canone secondo del codice etico stabilisce: -Qualsiasi
dipendente del gruppo non deve eludere le prescrizioni del
canone primo ricorrendo a forme diverse di aiuti e
contribuzioni sotto veste di sponsorizzazioni, incarichi,
consulenze di pubblicita' eccetera-.
Nel canone terzo c'e' l'obbligo di informare i propri superiori
dell'accaduto.
Importanti sono i canoni quinto e sesto dove si stabilisce:
-che queste norme devono essere recepite sostanzialmente nei contratti di lavoro o di collaborazione;
-che la violazione dei canoni primo e secondo, da chiunque commessa, fara' venir meno il rapporto fiduciario fra la societa' e il dipendente con le conseguenze di contratto di legge sul rapporto di lavoro previste dalle regole vigenti.
Il che tradotto in termini semplici dovrebbe voler dire
licenziamento per giusta causa. Questo dovrebbe essere chiaro
al momento della sottoscrizione e indurre qualunque dipendente
del gruppo a comprendere che non esiste piu' un problema di
doppia fedelta'.
L'ordine che il datore di lavoro da' al momento dell'assunzione
e': "Queste cose non si devono fare. Qualunque ordine contrario
impartito dai tuoi non e' e non puo' essere la volonta' della
societa'. Dovranno percio' essere informati i superiori di chi
ha dato l'ordine".
E' pero' importante evitare che queste cose rimangano forma e
non divengano sostanza, perche' c'e' altrimenti il rischio che
servano solo allo scaricabarile sul funzionario individuato
dalle autorita' quale autore di condotte illecite, come
accaduto in altre situazioni.
Nella prassi sono emerse simili tematiche nell'ambito degli
infortuni sul lavoro: normalmente veniva nominato un addetto
alla sicurezza del lavoro al quale si conferivano tutti i
poteri necessari, dopodiche', quando si verificava un incidente
sul lavoro, a fronte delle indagini giudiziarie o delle
incriminazioni si rispondeva: -c'era un responsabile!- e costui
veniva consegnato al braccio secolare, all'autorita'
giudiziaria per essere giudicato.
C'e' chi si accontenta di questo e c'e' chi fa domande
impertinenti al "responsabile". Ad esempio:
- -Lei aveva questi poteri?-
- -Si.-
- -Se li avesse esercitati, che cosa sarebbe accaduto?-
- -Mi avrebbero fatto cambiare lavoro. Se io avessi fermato la
produzione perche' quella pressa era pericolosa, mi avrebbero
cacciato via.-
A me e' capitato di fare domande in situazioni simili ma
relative a episodi di corruzione.
Un signore alla contestazione che il suo dipendente dichiarava
di averlo informato della richiesta di denaro a lui pervenuta
da un pubblico funzionario, riferiva di avergli risposto: -sono
problemi suoi, io giudichero' dai risultati-.
L'aver detto "giudichero' dai risultati" e' stato ritenuto dal
Giudice per le indagini preliminari sufficiente, prima per la
custodia cautelare e, successivamente, per il rinvio a
giudizio, non fosse altro che perche', quando si tratta di
erogare soldi dalla cassa della societa', l'amministratore non
puo' limitarsi a dire "io giudichero' dai risultati", ma
avrebbe dovuto dire: -i soldi della cassa tu, per darli a un
pubblico funzionario, non li prendi perche' e' vietato-.
E' quindi importante evitare di scivolare nel farisaismo, cioe'
di limitarsi alla copertura formale di chi detiene il potere
decisionale vero per consentirgli di sottrarsi alle
responsabilita' conseguenti.
Nel caso del gruppo in questione, ho la sensazione che
effettivamente la volonta' di chiudere con certe prassi sia
seria, perche' e' previsto l'obbligo, ogniqualvolta si sia in
presenza di una richiesta di denaro, di informare i superiori.
Ma l'obbligo di informare comunque i superiori pare
incompatibile con la volonta' di concentrare la responsabilita'
sull'inferiore, perche' altrimenti il codice etico avrebbe
dovuto stabilire -e non lo devi neanche dire!-.
IL DIVIETO DI PAGARE TANGENTI VARIA DA PAESE A PAESE?
Il divieto assoluto di pagare tangenti vale solo per l'Italia.
Per l'estero si dice: -che in linea di principio valgono le
stesse regole, tuttavia, siccome non sappiamo, per la varieta'
degli ordinamenti, delle regole, degli usi, delle situazioni,
della concorrenza che cosa puo' accadere, quando dovesse
accadere, hai il dovere - sempre sanzionato contrattualmente
con la violazione dell'obbligo di fedelta' - di informare i
superiori-.
Questo, come altri codici etici, fatta eccezione per quelli di
societa' multinazionali aventi sede principale negli Stati
Uniti, limita dunque i divieti al territorio nazionale.
La situazione sia della normazione che dell'autonormazione e'
dunque ancora insoddisfacente perche' in un'economia a
crescente internazionalizzazione ci si trova di fronte a quello
che si puo' chiamare lo shopping degli ordinamenti.
Qualunque attivita' economica e principalmente l'attivita'
d'impresa puo' essere svolta andando a cercare Paese per Paese
l'insieme degli ordinamenti o il singolo ordinamento piu'
favorevole a una determinata attivita'. Per esempio, si puo'
collocare la sede della societa' in un certo Paese perche' vi
e' la normativa societaria piu' favorevole. Si possono tenere i
depositi bancari in un altro Paese perche' li' vi e' la
migliore tutela del segreto bancario. Si possono trasferire
valute attraverso altri Paesi dove i cambi sono molto rapidi e
senza possibilita' di controllo sui movimenti. Infine, si
possono far convogliare i profitti in capo a societa' off
shore, dove la tassazione e' ridotta al minimo.
E' evidente che in una situazione di questo genere diventa
difficilissimo, per qualunque Paese, imporre criteri di
trasparenza alle proprie imprese o alle imprese comunque che
operano nel suo Paese, se:
-non si avvicinano agli ordinamenti dei vari Paesi rendendoli quanto piu' omogenei possibile;
-non si colpiscono i comportamenti vietati nel proprio Paese anche se tenuti all'estero.
Quindi e' assolutamente necessario da un lato che la Comunita'
internazionale - e in questo ci sono ritardi - cerchi di
addivenire a una normativa uniforme. Le difficolta' maggiori
riguardano il settore bancario e quello fiscale, perche' la
legislazione bancaria permette di attirare capitali nei Paesi
che hanno una tutela piu' rigida del segreto bancario; quella
fiscale permette ai Paesi in via di sviluppo di far effettuare
investimenti attraverso lo strumento delle agevolazioni
fiscali.
Si tratta di un lavoro molto difficile, ma non impossibile se
si provvede a sterilizzare gli effetti del prelievo fiscale
rispetto alla trasparenza. Per esempio se i Paesi cosiddetti
off shore accettassero - pur tassando poco o non tassando
affatto i profitti - di imporre le stesse regole di trasparenza
contabile che vigono in altri Paesi.
Un penultimo punto che mi pare importante e' quello della
standardizzazione contrattuale.
Molte volte i contratti contengono clausole apparentemente
idonee a scoraggiare la corruzione, ma che in concreto
sortiscono l'effetto contrario. Sono clausole molto dure, che
prevedono la risoluzione del contratto e, a volte, il pagamento
di penali devastanti nel caso in cui risulti il versamento di
mediazioni a qualunque titolo.
Di solito queste clausole si trovano nei contratti con i Paesi
dove piu' massiccia e' la corruzione. Questo significa che
queste clausole, accompagnate dalle pene terribili che la
legislazione locale prevede per i fatti di corruzione non
scoraggiano affatto tali pratiche, ma assicurano l'omerta'.
Nessuno sara' mai cosi' pazzo da confessare un episodio di
corruzione se rischia, da un lato pene molto severe e
dall'altro la risoluzione del contratto con conseguenze
gravissime per l'azienda che egli rappresenta.
Clausole diverse potrebbero avere invece un effetto di
contrasto alla corruzione: per esempio, una clausola di tutela
del contraente che ha dovuto versare tangenti e che riferisca
alla competente autorita' dopo averle pagate, cosi' come in
ambito normativo l'introduzione di norme premiali ha consentito
allo stesso modo di infrangere il muro di omerta'.
Si tratta quindi di trovare parametri di unificazione sia della
normazione sia dell'autonormazione.
In proposito e' essenziale che dai codici di
autoregolamentazione etica, aziendali o di gruppo, si passi ai
codici di autoregolamentazione di categoria.
Cosi' come la singola azienda dice al suo dipendente: -bada che
se farai queste cose non sarai piu' un dipendente fedele,
verrai licenziato, pagherai i danni e subirai tutte le
conseguenze di questa tua condotta-, allo stesso modo sarebbe
auspicabile che le associazioni di categoria, prima a livello
nazionale e poi a livello internazionale, dicessero alle
imprese loro associate: -potrai far parte di questa
associazione di categoria solo fino a quando imporrai ai tuoi
dipendenti di osservare codici etici che contengano almeno
queste prescrizioni-.
Questa e' una strada possibile per creare isole di ostacolo
alla corruzione, partendo dalla considerazione che la
corruzione non danneggia solo (magari fosse cosi'!) il
prestigio della Pubblica Amministrazione cui appartiene il
funzionario che riceve il denaro, ma comporta un gravissimo
sperpero di risorse pubbliche perche' ne determina una cattiva
allocazione e quindi danneggia l'intero Paese a cui quel
funzionario appartiene, ma distrugge il mercato e quindi, alla
fine, danneggia le imprese che sul mercato operano, perche'
crea situazioni nelle quali non vince il migliore, ma il piu'
scorretto.