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Impresa & Stato N°29 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LOTTA ALLA CORRUZIONE: NORMAZIONE O AUTONORMAZIONE? I CODICI DEONTOLOGICI

di Pier Camillo Davigo


C'E' CHI SOSTIENE la radice religioso-sacrificale dei comportamenti corruttivi: il dono alla divinita' che diventa il dono all'autorita' superiore. E' un'impostazione sicuramente originale e io sono convinto che effettivamente i comportamenti collettivi e la normazione trovino radici in archetipi religiosi o comunque religioso-secolarizzati. Dobbiamo pero' anche tener conto del rovescio della questione: se e' vero che alla base della corruzione ci puo' essere anche una arcaica concezione che risale al sacrificio alla divinita', e' anche vero che la divinita' e' cosa diversa dal suo ministro. Nella nostra tradizione culturale e religiosa quando e' il ministro del culto a ricevere doni in contrasto con i doveri del suo ministero si parla di simonia, uno dei peccati piu' gravi. La corruzione e' simonia secolarizzata.
Una cosa e' lo Stato sovrano, altra e' il pubblico funzionario che per un tempo determinato e nei limiti delle sue funzioni e attribuzioni, e' chiamato a esercitare autorita' non nel proprio interesse, ma nell'interesse della collettivita'.
Un primo problema e' allora quello di verificare se ci siano state delle fratture nelle valutazioni di tipo etico e di tipo ordinamentale che possano giustificare - intendo dire rispetto alla propria coscienza - comportamenti il cui disvalore sarebbe altrimenti evidente.
Mi viene in mente la teoria, ormai antica ma mai contestata, di Santi Romano sulla pluralita' degli ordinamenti giuridici e sulla questione delle doppie fedelta' che da essa deriva.
Quando le diverse sfere di appartenenza implicano fedelta' fra loro contrastanti, non si sa piu' a chi si deve essere fedeli.
Un esempio: la fedelta' e l'obbedienza alle leggi del proprio Paese e la fedelta' e l'obbedienza all'impresa in cui si lavora, non entrano di norma in conflitto. Non sorgono di solito difficolta' nell'individuazione etica della priorita' nell'ordine di fedelta', nel senso che anzitutto si deve essere fedeli alle leggi del proprio Paese e solo in secondo luogo agli ordini del superiore in azienda.
Ma questo rapporto fra i diversi livelli di obbedienza comincia a subire gravissime incrinature nei rapporti internazionali, perche' quel dovere di fedelta' che il cittadino avverte verso la legislazione del suo Paese, il piu' delle volte non avverte affatto verso la legislazione di altro Paese, a cui nulla lo lega e la cui legislazione e' molte volte difforme da quella dello stato in cui vive. Nessuno di noi prova disagio nel sapere che un amico recatosi in un Paese di stretta osservanza islamica, ha fatto uso di bevande alcooliche, anche se, secondo la legge del luogo, trattasi di crimine, perche' per noi sarebbe un fatto lecito.
Si ricorre cosi' a una autogiustificazione etica basata sull'assunto: -lo fanno tutti, l'unica possibilita' che io ho di essere presente su quel mercato e' di accettare queste regole. D'altra parte queste regole non contrastano con quelle del mio Paese. Io non ho nessun obbligo di fedelta' rispetto alle leggi di quel Paese e quindi, che mi importa?-.
In tal modo pero' si dimentica che non esistono, in un'economia internazionalizzata, compartimenti stagni. Se la corruzione avviene in un Paese, e' verosimile che i suoi effetti o la sua genesi abbiano luogo in un altro Paese.
Pensate ad alcuni aspetti: quali la formazione della provvista delle somme con cui le tangenti vengono pagate o il trasferimento delle somme che sono compendio di questi delitti. E' evidente come tutto si collega e come non sia possibile frammentare il comportamento ritenendo lecito fare altrove quello che non si riterrebbe lecito fare a casa propria.
Se il fondamento etico dei comportamenti ha tanta importanza, allora il titolo del mio intervento dovrebbe subire una modifica, non gia' normazione o autonormazione, ma normazione e autonormazione.
L'unico Paese al mondo che attualmente sanziona la corruzione di funzionari stranieri sono gli Stati Uniti d'America. Nessun altro Paese applica sanzioni penali per la corruzione di funzionari stranieri perche' le norme sulla corruzione o la concussione sono norme finalizzate alla tutela della propria Pubblica Amministrazione.
Il fenomeno e' curioso: tutti gli Stati riconoscono la qualita' di pubblico ufficiale di funzionari stranieri e fanno discendere conseguenze da tale qualita' nel loro ordinamento. Si pensi al matrimonio celebrato davanti a un ufficiale di stato civile straniero: e' considerato valido in altri Stati. La patente di guida internazionale rilasciata dal Prefetto di Milano vale in qualunque Paese abbia firmato la relativa convenzione internazionale. Non si riesce allora a comprendere perche' mai, se quella patente e' - ad esempio - compendio di corruzione, questo dovrebbe essere irrilevante in quei Paesi.

INSUFFICIENTI LE MODIFICHE DELLA NORMATIVA

La modifica della normativa pero' non e' sufficiente se non e' integrata da un'autonormazione perche' solo quest'ultima presenta il vantaggio di rompere la dicotomia derivante dalla doppia fedelta'.
Inoltre le norme giuridiche delineano i fatti illeciti, ma non tutto cio' che e' eticamente riprovevole e' anche illecito giuridicamente ed e' opportuno che ci sia una striscia sanitaria in cui non si e' ancora nel campo dell'illecito e specialmente dell'illecito penale, ma si e' gia' nel campo dell'illecito etico. In modo che poi nessuno possa dire -mi ci sono trovato senza rendermi conto-, perche' vi era un terreno di nessuno in cui ci si avventurava sapendo che si era fuori dai comportamenti accettati come eticamente corretti dalla collettivita' di cui si fa parte.
Gli atti di autonormazione e cioe' i codici etici possono essere adottati in relazione ai soggetti passivi di possibili corruzioni, cioe' i pubblici funzionari, ovvero ai soggetti attivi, cioe' i privati in rapporti con la Pubblica Amministrazione.
In Italia si sono da poco intraprese, con ritardo e sulla spinta di accadimenti che sono noti a tutti, entrambe le strade.
Il Dipartimento della Funzione pubblica ebbe a diffondere nel luglio '93, quindi poco piu' di un anno fa, una pubblicazione: una bozza di codice di condotta dei dipendenti pubblici, nella quale venivano rassegnate le autoregolamentazioni in vigore in altri Paesi o a livello comunitario (per esempio: il codice di deontologia degli avvocati della Comunita' Europea, che risale al 1988, una comunicazione della Commissione della Comunita' Europea del 2-12-92).
In questi codici etici significativamente la prevenzione della corruzione e' anticipata alla ricezione di qual si voglia dono da parte di dipendenti pubblici. Secondo la legge penale italiana le ipotesi di percezione di denaro da parte di un pubblico funzionario (intendendosi per pubblico funzionario sia il pubblico ufficiale che l'incaricato di pubblico servizio) danno luogo alle diverse fattispecie della concussione e della corruzione propria e impropria nella sottospecie dell'antecedente e della successiva.
Ricorre il delitto di concussione quando il pubblico funzionario, abusando della sua qualita' o sue funzioni, costringe o induce il privato a dargli o promettergli denaro o altra utilita'.
Si versa invece nell'ipotesi di corruzione quando il pubblico funzionario riceve denaro per compiere un atto d'ufficio contrario ai doveri d'ufficio, ovvero per ometterlo. E' evidente che ci puo' essere una soglia in cui il funzionario riceve un dono che non e' collegato al compimento o all'omissione di un atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio e che non e' determinato da costrizione o induzione derivanti da abuso della qualita' o delle funzioni pubbliche. Su questa terra di nessuno e' necessario il cordone sanitario eretto dai codici etici.
L'art. 17 di questa bozza dice: -il dipendente non puo' chiedere per se' o per altri; ne' accettare, neanche in occasione di festivita', doni o altre utilita' aventi valore economico, da soggetti con speciali rapporti con l'amministrazione-. Rimane il problema di individuare il significato di valore economico, perche' la locuzione "aventi valore economico" non sembra chiara: nessun dono sarebbe tale se non avesse un benche' minimo valore economico, sarebbe una cosa da buttare via.
Si impone poi l'obbligo, se il dono e' comunque pervenuto, di consegnarlo al capo dell'ufficio perche' provveda alla restituzione o quando, per ragioni particolari, cio' non sia possibile perche' venga acquisito dall'amministrazione.
Possono sembrare aspetti poco rilevanti, eppure molti imputati si difendono dicendo: -era un regalo-, come se ricevere regali per un pubblico funzionario fosse la cosa piu' naturale del mondo. Per fortuna di solito si tratta di "regali" del valore di centinaia e centinaia di milioni, sicche' queste difese suscitano ilarita'. Ma sarebbe gia' grande cosa se, al di la' della responsabilita' penale, il solo fatto di aver ricevuto denaro o altra utilita' comportasse l'allontanamento del pubblico funzionario per la violazione dei suoi doveri.
Il secondo aspetto dei codici etici riguarda il soggetto attivo di possibili corruzioni e cioe' il privato.
Ho esaminato alcuni codici etici e ho portato con me quello di un grande gruppo industriale italiano, adottato dopo gravi vicende che avevano coinvolto i suoi dirigenti e modellato su quelli in uso in grandi gruppi di altri Paesi.
Leggo il canone primo della prima sezione di questo codice: -Qualsiasi dipendente del gruppo non deve promettere o versare somme o beni in natura, di qualsiasi entita' o valore, a qualsiasi pubblico funzionario per promuovere o favorire interessi di una societa' del gruppo, anche a seguito di illecite pressioni. Fanno eccezione solo i piccoli regali o cortesie di uso commerciale di modesto valore, omaggi per reclame o festivita', o inviti a convegni o riunioni per presentazione di auguri quando non siano vietati-.
Segnalo che il combinato tra quanto prevede il codice etico privato per l'erogatore e quanto vieta il codice etico pubblico impedirebbe qualunque regalo in relazione alla locuzione "quando non siano vietati".
Significativamente e' affermato il principio che sia meglio rinunciare alla conclusione di un affare piuttosto che effettuare promesse o versamenti di denaro o altra utilita' in violazione delle regole enunciate.
Il canone secondo del codice etico stabilisce: -Qualsiasi dipendente del gruppo non deve eludere le prescrizioni del canone primo ricorrendo a forme diverse di aiuti e contribuzioni sotto veste di sponsorizzazioni, incarichi, consulenze di pubblicita' eccetera-.
Nel canone terzo c'e' l'obbligo di informare i propri superiori dell'accaduto.
Importanti sono i canoni quinto e sesto dove si stabilisce:

-che queste norme devono essere recepite sostanzialmente nei contratti di lavoro o di collaborazione;

-che la violazione dei canoni primo e secondo, da chiunque commessa, fara' venir meno il rapporto fiduciario fra la societa' e il dipendente con le conseguenze di contratto di legge sul rapporto di lavoro previste dalle regole vigenti.

Il che tradotto in termini semplici dovrebbe voler dire licenziamento per giusta causa. Questo dovrebbe essere chiaro al momento della sottoscrizione e indurre qualunque dipendente del gruppo a comprendere che non esiste piu' un problema di doppia fedelta'.
L'ordine che il datore di lavoro da' al momento dell'assunzione e': "Queste cose non si devono fare. Qualunque ordine contrario impartito dai tuoi non e' e non puo' essere la volonta' della societa'. Dovranno percio' essere informati i superiori di chi ha dato l'ordine".
E' pero' importante evitare che queste cose rimangano forma e non divengano sostanza, perche' c'e' altrimenti il rischio che servano solo allo scaricabarile sul funzionario individuato dalle autorita' quale autore di condotte illecite, come accaduto in altre situazioni.
Nella prassi sono emerse simili tematiche nell'ambito degli infortuni sul lavoro: normalmente veniva nominato un addetto alla sicurezza del lavoro al quale si conferivano tutti i poteri necessari, dopodiche', quando si verificava un incidente sul lavoro, a fronte delle indagini giudiziarie o delle incriminazioni si rispondeva: -c'era un responsabile!- e costui veniva consegnato al braccio secolare, all'autorita' giudiziaria per essere giudicato.
C'e' chi si accontenta di questo e c'e' chi fa domande impertinenti al "responsabile". Ad esempio:
- -Lei aveva questi poteri?-
- -Si.-
- -Se li avesse esercitati, che cosa sarebbe accaduto?-
- -Mi avrebbero fatto cambiare lavoro. Se io avessi fermato la produzione perche' quella pressa era pericolosa, mi avrebbero cacciato via.-
A me e' capitato di fare domande in situazioni simili ma relative a episodi di corruzione.
Un signore alla contestazione che il suo dipendente dichiarava di averlo informato della richiesta di denaro a lui pervenuta da un pubblico funzionario, riferiva di avergli risposto: -sono problemi suoi, io giudichero' dai risultati-.
L'aver detto "giudichero' dai risultati" e' stato ritenuto dal Giudice per le indagini preliminari sufficiente, prima per la custodia cautelare e, successivamente, per il rinvio a giudizio, non fosse altro che perche', quando si tratta di erogare soldi dalla cassa della societa', l'amministratore non puo' limitarsi a dire "io giudichero' dai risultati", ma avrebbe dovuto dire: -i soldi della cassa tu, per darli a un pubblico funzionario, non li prendi perche' e' vietato-.
E' quindi importante evitare di scivolare nel farisaismo, cioe' di limitarsi alla copertura formale di chi detiene il potere decisionale vero per consentirgli di sottrarsi alle responsabilita' conseguenti.
Nel caso del gruppo in questione, ho la sensazione che effettivamente la volonta' di chiudere con certe prassi sia seria, perche' e' previsto l'obbligo, ogniqualvolta si sia in presenza di una richiesta di denaro, di informare i superiori.
Ma l'obbligo di informare comunque i superiori pare incompatibile con la volonta' di concentrare la responsabilita' sull'inferiore, perche' altrimenti il codice etico avrebbe dovuto stabilire -e non lo devi neanche dire!-.

IL DIVIETO DI PAGARE TANGENTI VARIA DA PAESE A PAESE?

Il divieto assoluto di pagare tangenti vale solo per l'Italia. Per l'estero si dice: -che in linea di principio valgono le stesse regole, tuttavia, siccome non sappiamo, per la varieta' degli ordinamenti, delle regole, degli usi, delle situazioni, della concorrenza che cosa puo' accadere, quando dovesse accadere, hai il dovere - sempre sanzionato contrattualmente con la violazione dell'obbligo di fedelta' - di informare i superiori-.
Questo, come altri codici etici, fatta eccezione per quelli di societa' multinazionali aventi sede principale negli Stati Uniti, limita dunque i divieti al territorio nazionale.
La situazione sia della normazione che dell'autonormazione e' dunque ancora insoddisfacente perche' in un'economia a crescente internazionalizzazione ci si trova di fronte a quello che si puo' chiamare lo shopping degli ordinamenti.
Qualunque attivita' economica e principalmente l'attivita' d'impresa puo' essere svolta andando a cercare Paese per Paese l'insieme degli ordinamenti o il singolo ordinamento piu' favorevole a una determinata attivita'. Per esempio, si puo' collocare la sede della societa' in un certo Paese perche' vi e' la normativa societaria piu' favorevole. Si possono tenere i depositi bancari in un altro Paese perche' li' vi e' la migliore tutela del segreto bancario. Si possono trasferire valute attraverso altri Paesi dove i cambi sono molto rapidi e senza possibilita' di controllo sui movimenti. Infine, si possono far convogliare i profitti in capo a societa' off shore, dove la tassazione e' ridotta al minimo.
E' evidente che in una situazione di questo genere diventa difficilissimo, per qualunque Paese, imporre criteri di trasparenza alle proprie imprese o alle imprese comunque che operano nel suo Paese, se:

-non si avvicinano agli ordinamenti dei vari Paesi rendendoli quanto piu' omogenei possibile;

-non si colpiscono i comportamenti vietati nel proprio Paese anche se tenuti all'estero.

Quindi e' assolutamente necessario da un lato che la Comunita' internazionale - e in questo ci sono ritardi - cerchi di addivenire a una normativa uniforme. Le difficolta' maggiori riguardano il settore bancario e quello fiscale, perche' la legislazione bancaria permette di attirare capitali nei Paesi che hanno una tutela piu' rigida del segreto bancario; quella fiscale permette ai Paesi in via di sviluppo di far effettuare investimenti attraverso lo strumento delle agevolazioni fiscali.
Si tratta di un lavoro molto difficile, ma non impossibile se si provvede a sterilizzare gli effetti del prelievo fiscale rispetto alla trasparenza. Per esempio se i Paesi cosiddetti off shore accettassero - pur tassando poco o non tassando affatto i profitti - di imporre le stesse regole di trasparenza contabile che vigono in altri Paesi.
Un penultimo punto che mi pare importante e' quello della standardizzazione contrattuale.
Molte volte i contratti contengono clausole apparentemente idonee a scoraggiare la corruzione, ma che in concreto sortiscono l'effetto contrario. Sono clausole molto dure, che prevedono la risoluzione del contratto e, a volte, il pagamento di penali devastanti nel caso in cui risulti il versamento di mediazioni a qualunque titolo.
Di solito queste clausole si trovano nei contratti con i Paesi dove piu' massiccia e' la corruzione. Questo significa che queste clausole, accompagnate dalle pene terribili che la legislazione locale prevede per i fatti di corruzione non scoraggiano affatto tali pratiche, ma assicurano l'omerta'.
Nessuno sara' mai cosi' pazzo da confessare un episodio di corruzione se rischia, da un lato pene molto severe e dall'altro la risoluzione del contratto con conseguenze gravissime per l'azienda che egli rappresenta.
Clausole diverse potrebbero avere invece un effetto di contrasto alla corruzione: per esempio, una clausola di tutela del contraente che ha dovuto versare tangenti e che riferisca alla competente autorita' dopo averle pagate, cosi' come in ambito normativo l'introduzione di norme premiali ha consentito allo stesso modo di infrangere il muro di omerta'.
Si tratta quindi di trovare parametri di unificazione sia della normazione sia dell'autonormazione.
In proposito e' essenziale che dai codici di autoregolamentazione etica, aziendali o di gruppo, si passi ai codici di autoregolamentazione di categoria.
Cosi' come la singola azienda dice al suo dipendente: -bada che se farai queste cose non sarai piu' un dipendente fedele, verrai licenziato, pagherai i danni e subirai tutte le conseguenze di questa tua condotta-, allo stesso modo sarebbe auspicabile che le associazioni di categoria, prima a livello nazionale e poi a livello internazionale, dicessero alle imprese loro associate: -potrai far parte di questa associazione di categoria solo fino a quando imporrai ai tuoi dipendenti di osservare codici etici che contengano almeno queste prescrizioni-.
Questa e' una strada possibile per creare isole di ostacolo alla corruzione, partendo dalla considerazione che la corruzione non danneggia solo (magari fosse cosi'!) il prestigio della Pubblica Amministrazione cui appartiene il funzionario che riceve il denaro, ma comporta un gravissimo sperpero di risorse pubbliche perche' ne determina una cattiva allocazione e quindi danneggia l'intero Paese a cui quel funzionario appartiene, ma distrugge il mercato e quindi, alla fine, danneggia le imprese che sul mercato operano, perche' crea situazioni nelle quali non vince il migliore, ma il piu' scorretto.