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Impresa & Stato N°29 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LA COOPERAZIONE CONTRO LA CORRUZIONE NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

di Giorgio Sacerdoti


LA GLOBALIZZAZIONE DEI MERCATI e della finanza, ormai diffusa, pone il problema dell'uniformazione degli standard di comportamenti degli operatori e della collaborazione internazionale per evitare che le difformita' di legislazioni e di valori pregiudichino i benefici dell'apertura dell'economia e si rivelino anzi un boomerang.
Il tema della corruzione ne e' un esempio tipico. L'apertura dei mercati la facilita: e' concreto il rischio che l'allineamento degli standard avvenga verso il basso e che la cooperazione internazionale sia, come e', priva di armi efficaci per combatterla.
Storicamente fu a meta' degli anni Settanta che si manifestarono clamorosi casi di corruzione in appalti e forniture internazionali e di pagamenti occulti per influenzare la politica di Paesi esteri da parte di imprese multinazionali.
Il caso della Lockheed che aveva "unto" governanti di vari Paesi europei tra cui l'Italia per promuovere la vendita di aerei da combattimento porto' a procedure giudiziarie in vari Stati e alla conclusione di appositi trattati per rendere possibile la collaborazione penale tra i Paesi interessati.

IL CODICE DELLA CCI E LA LEGISLAZIONE AMERICANA (1977-78)

Le iniziative allora intraprese si mossero su tre piani. La Camera di Commercio Internazionale, espressione degli ambienti industriali e commerciali, elaboro' nel 1978 un Codice di "regole di condotta per combattere l'estorsione e la corruzione negli affari internazionali" sulla base di un rapporto di Lord Shawcross (pubbl. Cci n. 315). Queste regole di buon comportamento destinate sia agli Stati che alle imprese non erano vincolanti; venivano raccomandate come norme di pratica commerciale corretta interna e all'estero; una particolare attenzione era dedicata ai metodi con cui gruppi multinazionali potevano controllare e contrastare prassi divergenti delle loro filiali all'estero quando confrontate a standard comportamentali inaccettabili secondo l'etica degli affari ma correnti nei Paesi dove operassero. Il Codice e' tuttora in vigore e prevede che un apposito panel possa pronunciarsi sull'interpretazione delle norme e su casi di contrasto. Esso pero' non e' mai stato in pratica invocato. Piu' di recente la Cci ha affrontato il tema sul diverso piano privatistico (cfr. la pubblicazione 480/2 Les commission illicites; de'finition, traitement juridique et fiscal, 1992).
Sul piano normativo si mosse invece l'amministrazione Carter con l'emanazione nel 1977 del Foreign Corrupt Practices Act che vietava espressamente alle imprese americane operanti all'estero di fare pagamenti illeciti a pubblici ufficiali stranieri e a esponenti politici, sotto sanzione penale alle societa' madri e ai loro dirigenti. La normativa introduceva anche obblighi di evidenziare nella contabilita' pagamenti sospetti, per intermediazioni e simili, al fine di evitare che pagamenti vietati venissero effettuati indirettamente. Si introduceva infine la competenza dell'autorita' giudiziaria americana su questi comportamenti illeciti, estendendola quindi a fatti commessi fuori dagli Stati Uniti. Proprio per questo esercizio extraterritoriale della giurisdizione e l'assoggettamento delle imprese americane a standard di condotta che i loro concorrenti non sempre rispettavano o erano tenuti a rispettare mise in luce l'esigenza di promuovere una normativa internazionale in materia. Le successive amministrazioni americane hanno da allora proseguito questo obiettivo con costanza prima all'Onu poi all'Ocse, ottenendo qui solo di recente un primo successo.

IL PROGETTO DEL TRATTATO ONU (1979)

All'Onu destarono scandalo in quegli anni soprattutto le azioni occulte contro il governo di Allende di imprese americane che erano state nazionalizzate in Cile. Ne nacque cosi' la risoluzione unanime dell'Assemblea generale dell'Onu 3514 del 1975.1 Essa condannava ogni pratica di corruzione da parte di imprese multinazionali in violazione delle leggi locali e invitava i governi alla reciproca collaborazione in materia.
L'invito fu raccolto proprio dagli Stati Uniti che promossero all'Onu un accordo internazionale sui "pagamenti illeciti" nel commercio internazionale. Il progetto fu completato nel 1979 (doc. Onu E/1979/104) ma non venne mai perfezionato a causa del clima di confronto ostile Nord-Sud che dominava l'Onu in quegli anni. Esso impegnerebbe gli Stati a considerare penalmente vietata la corruzione e la concussione dei pubblici ufficiali stranieri, ipotesi normalmente esclusa dall'ambito delle norme penali interne in materia che mirano alla tutela della integrita' della Pubblica Amministrazione locale. Si prevedeva anche la collaborazione tra i governi sul piano dello scambio di informazioni e della estradizione.
A tale contesto risale l'iniziale definizione del tema come "pagamenti illeciti", definizione che ricomprendeva il sostegno economico-finanziario al regime razzista dell'epoca in Sud- Africa (argomento invece estraneo alla materia secondo i Paesi industrializzati).
La conclusione dei lavori fu ostacolata anche da considerazioni giuridiche politiche, cioe' la difficolta' per uno Stato, che non abbia i mezzi d'azione e di pressione degli Usa, di proseguire efficacemente fatti svoltisi all'estero, magari in Paesi in cui pagamenti di imprese altrove vietati siano considerati normali, e le cui autorita' negherebbero quindi la necessaria collaborazione.
Messo fuori gioco l'Onu - anche se della corruzione in generale si sono occupate varie recenti conferenze sulla lotta alla criminalita' - e abbandonata la piu' rigorosa via del trattato di assistenza penale internazionale, il tema e' stato piu' di recente portato all'Ocse in un ambito piu' omogeneo e meno politicizzato.

L'INIZIATIVA DELL'OCSE: LA RACCOMANDAZIONE DEL 27.05.1994

In data recente, il 25 febbraio 1993, il Consiglio dell'Ocse ha ritenuto conclusi in modo soddisfacente i lavori preparatori di un gruppo di studio speciale che negli ultimi anni ha approfondito all'Ocse il tema dei pagamenti illeciti nel commercio internazionale, indicando misure di vario tipo che l'organizzazione potrebbe proporre per combattere il fenomeno, alla luce di un ampio esame comparato delle legislazioni esistenti nei Paesi membri.
Il Consiglio Ocse ha quindi deciso di far approntare al gruppo di studio un progetto di raccomandazione dell'organizzazione che espliciti l'impegno dei Paesi membri di combattere in collaborazione tra loro la corruzione nelle operazioni commerciali internazionali. La raccomandazione, che e' stata infine adottata dal Consiglio il 27.05.1994, comporta una definizione ampia di corruzione e l'indicazione delle misure amministrative, fiscali, civilistiche e penali, interne e internazionali, che i Paesi membri dovrebbero adottare per combatterla. La cooperazione che si vuole instaurare dovrebbe essere estesa a Paesi non membri, nella linea delle preoccupazioni espresse di recente dalla Banca mondiale per la distrazione di risorse che la corruzione comporta per i Paesi in via di sviluppo. Un apposito comitato dell'Ocse dovra' svolgere un'opera di monitoraggio permanente sui risultati ottenuti stimolando gli Stati membri "ad adottare misure concrete e significative" per raggiungere l'obiettivo indicato.
L'iniziativa dell'Ocse e' incentrata sui profili internazionali, ma e' chiaro che nell'attuale contesto di economie aperte un confine netto con la corruzione interna non e' tracciabile, anche per il ricorso nell'uno e nell'altro caso ai canali finanziari internazionali per gran parte dei pagamenti illeciti ("Tangentopoli" italiana docet). Anzi, proprio le iniziative internazionali contro il riciclaggio (per ora concentrate sul traffico di droga in base alla Convenzione Onu di Vienna del 1988 e su altri reati di grave allarme sociale in base alla Convenzione di Strasburgo del Consiglio d'Europa del 1990) si stanno dimostrando un esempio per iniziative contro la corruzione che includano misure preventive e dissuasive di questo tipo di comportamenti illeciti, compresa la trasparenza dei canali finanziari. Anche la non deducibilita' fiscale delle tangenti raccomandata dall'Ocse sarebbe un segnale importante.
Da varie parti si e' considerato che una semplice raccomandazione dell'Ocse e' una iniziativa troppo blanda. Non va pero' sottostimato l'effetto progressivo di simili raccomandazioni, specie se assortite, come nella specie, da meccanismi di monitoraggio permanente della attuazione nei vari Paesi membri.
In effetti la via classica della criminalizzazione della corruzione all'estero da parte dei Paesi d'origine di capitali e tecnologie appare, almeno sulla carta, piu' efficace. Prevalgono pero' tuttora in materia di atteggiamenti cauti, anche se la collaborazione internazionale penale e' gia' possibile sulla base del principio della "doppia incriminazione in astratto" ed e' realizzata in base a convenzioni bilaterali e a quella di Strasburgo contro il riciclaggio. Le norme contro la corruzione sono infatti viste nell'ottica della tutela della Pubblica Amministrazione di ogni Stato. Gli Stati sono restii a erigersi a custodi dell'onesta' dei governi stranieri, anche per timore di conflitti politici che questo "imperialismo benigno" potrebbe implicare, a parte i rischi di inefficacia di azioni extraterritoriali.
L'affermazione di una diversa impostazione, secondo cui la corruzione e' un problema spesso di criminalita' economica internazionale, potra' piu' facilmente affermarsi dapprima in ambiti regionali omogenei, come la Comunita' europea, il Consiglio d'Europa, i Paesi Ocse.
Anche il profilo della reciprocita' e' rilevante: solo dove gli Stati i cui pubblici ufficiali sono coinvolti combattono effettivamente la corruzione al loro interno, gli Stati esteri cui appartengono i corruttori saranno disponibili a impegnarsi, reprimendo i comportamenti illeciti delle loro imprese su quei mercati. L'iniquita' di un "doppio standard" e' altrimenti una remora per i Paesi esportatori.
Vi e' poi un profilo di concorrenza commerciale che all'Ocse ha il suo peso, trattandosi di un'organizzazione di cooperazione economica, e non giudiziaria, dove gli Stati sono per lo piu' rappresentati a livello tecnico da funzionari dei ministeri economici.
Regole comuni e uniformemente applicate sul mercato mondiale in materia garantirebbero una concorrenza leale e non distorta nei contratti e appalti pubblici. In presenza pero' di Stati importatori non Ocse, dove la corruzione e' notoriamente diffusa, molti Paesi Ocse temono di pregiudicare le proprie imprese accettando e facendo loro rispettare regole severe in materia di contratti internazionali specie sui mercati esteri non Ocse. Proprio per questi motivi l'Ocse si propone di convocare nel marzo 1995 una conferenza di esperti, governativi e no, coinvolgendo Paesi non membri per dare alla propria azione una risonanza piu' vasta.

LA RECENTE INIZIATIVA DEL CONSIGLIO D'EUROPA (1994)

La lotta contro la corruzione ha costituito il tema generale della 19a conferenza dei Ministri europei della Giustizia tenuta nell'ambito del Consiglio d'Europa a Malta il 14- 15.06.1994. Il dibattito e' stato introdotto da un ampio rapporto generale presentato dal Ministro italiano di Grazia e Giustizia a seguito delle risposte pervenute dagli altri Stati a un articolato questionario. Il rapporto si occupa in genere della rilevanza della corruzione sul piano del diritto penale e mette in evidenza da un lato le similarita' presenti nei vari diritti dei Paesi membri, dall'altro lato le notevoli differenze esistenti per esempio quanto alla distinzione tra corruzione e concussione, alle misure dirette a favorire la denunzia dei comportamenti di corruzione (legislazione premiale), all'illecito finanziamento dei partiti politici non sempre considerato reato. Il rapporto sottolinea i collegamenti che la corruzione presenta con il reato di riciclaggio e con la criminalita' organizzata, con la conseguente opportunita' di tenere sotto osservazione i flussi del denaro frutto della corruzione anche nei loro movimenti successivi tanto piu' che si tratta di importi notevoli. Il rapporto fa presente peraltro che in molti Paesi, soprattutto in Europa occidentale, il collegamento fra i fenomeni di corruzione e il crimine organizzato, il quale spesso puo' avvalersi di tale mezzo criminale per penetrare l'ambiente politico e dell'amministrazione, non e' uniformemente sentito.
Il rapporto considera anche la rilevanza della corruzione sul piano amministrativo e si sofferma sull'importanza delle regole disciplinari, dei codici deontologici, delle regole sul corretto uso delle dotazioni d'ufficio e di quelle che mirano a rendere trasparenti gli averi personali dei soggetti investiti di particolari cariche politiche o amministrative. Anche i rapporti con le lobbies sono menzionati; questi hanno fatto oggetto di recente di una comunicazione della Commissione Cee in Guce 5.3.1993 n. C63, p. 2.
E' interessante notare come il rapporto segnali che non ovunque l'Amministrazione Pubblica e' considerata la prima vittima della corruzione. La rilevanza della corruzione sul piano civile e fiscale e' importante come premessa alla possibilita' di confisca dei proventi diretti o anche di quelli indiretti, al risarcimento del danno ulteriore, alla annullabilita' dei contratti ottenuti con corruzione, alla risarcibilita' del danno a favore dei concorrenti che non hanno potuto aggiudicarsi degli appalti pubblici per effetto della corruzione messa in opera dal concorrente prescelto.
Il rapporto conclude con la necessita' di migliorare la cooperazione internazionale, affrontando il problema della incriminabilita' della corruzione di funzionari esteri, di quella di funzionari di organizzazioni internazionali o sovrannazionali e caldeggiando l'assimilazione della condotta di funzionari esteri a quella dei funzionari nazionali.
La garanzia di indipendenza della magistratura appare particolarmente importante per il condizionamento che questa puo' subire e di fatto spesso subisce quando indaga su reati in cui sono coinvolti esponenti politici e organi di rilievo costituzionale.
La Conferenza di La Valletta ha fatto proprie in linea di massima le linee del rapporto italiano. La risoluzione approvata considera che la corruzione rappresenti una grave minaccia per la democrazia e la preminenza del diritto, che si tratti di un tema appropriato per il Consiglio d'Europa e che la lotta contro la corruzione debba adottare una impostazione multidisciplinare, implicante tutti gli aspetti del diritto civile amministrativo e penale, cosi' come altre misure concepite specialmente per lottare efficacemente contro questo fenomeno.
La Conferenza ha raccomandato al Comitato dei Ministri di costituire in seno al Consiglio d'Europa un Gruppo Multidisciplinare sulla corruzione sotto la responsabilita' del Comitato Europeo per i problemi criminali e del Comitato Europeo di cooperazione giuridica che esamini le misure appropriate che potrebbero essere incorporate in un programma d'azione internazionale contro la corruzione.
Il Gruppo Multidisciplinare dovra' essere aperto a Stati non membri, potrebbe redigere delle leggi modello e dei codici di condotta in certi settori, inclusa l'elaborazione a una Convenzione internazionale ed e' stato invitato a prendere in considerazione un elenco di questioni rilevanti (vedi pagine seguenti). Il Gruppo Multidisciplinare formato da esperti governativi e' stato istituito all'inizio del 1995 con un mandato che e' destinato a durare per dodici mesi.

IL RUOLO DEI CODICI AZIENDALI

La lentezza delle iniziative intergovernative, frenate anche da riserve inespresse sul piano della concorrenza e delle relazioni con i Paesi terzi (peraltro sempre piu' vicini alle regole dell'economia di mercato), potra' essere superata solo da un impegno politico congiunto che gli scandali recenti, non solo italiani, potrebbero far maturare.
Risulta per altro lato l'importanza dell'impegno volontario delle stesse imprese leader di opporsi alla corruzione e alla concussione, con opportuni strumenti interni come i codici aziendali, (realizzati soprattutto da imprese multinazionali Usa negli anni Settanta-Ottanta), con azioni a livello associativo nazionale e con iniziative internazionali, secondo le indicazioni della Cci che sembrano pero' essere rimaste lettera morta da quasi vent'anni. Dopo i recenti scandali italiani alcune grandi imprese italiane, private e pubbliche, hanno annunciato l'adozione di siffatti codici, senza peraltro che sia seguita molta informazione al riguardo.
In effetti le imprese avrebbero dovuto prestare piu' attenzione alle regole in materia del ben noto codice dell'Ocse per le imprese multinazionali del 1976. Questi "princi'pi direttivi" sanciscono che le imprese (non solo quelle multinazionali) "non dovrebbero concedere alcun pagamento illecito o altro vantaggio indebito, diretto o indiretto, ad alcun funzionario o titolare di un incarico pubblico, scoraggiando sollecitazioni e aspettative in tal senso", cosi' come non dovrebbero versare "alcun contributo, a meno che cio' non sia non legalmente ammesso, a candidati a incarichi pubblici, a partiti politici o ad altre organizzazioni politiche".2
L'impegno a rispettare i princi'pi del codice dovrebbe essere esplicitato secondo l'Ocse nelle relazioni annuali di bilancio delle grandi imprese, prassi questa raramente seguita ma a cui non e' mai troppo tardi adeguarsi. Il loro recepimento formale e sostanziale nella vita aziendale delle grandi imprese leader potrebbe costituire un argine forse piu' efficace al malcostume politico-affaristico di molte dichiarazioni internazionali e della stessa applicazione a posteriori del codice penale.
Questo impegno dovrebbe combinarsi con quello di associazioni, gruppi di pressione non-economici, organizzazioni di assistenza internazionale, del tipo dell'iniziativa di "Transparency International".
Il successo di misure formali intergovernative come quelle appena concluse all'Ocse e in corso al Consiglio d'Europa come primo passo verso la lotta al fenomeno ne risulterebbe rafforzato.

NOTE

1 )Picone e G. Sacerdoti, Diritto Internazionale dell'Economia, F. Angeli, Milano 1982, rist. 1991, p. 733.
2) Per il testo aggiornato v. Codice del Commercio Int., Pirola 1994, p. 369 ss. a cura di G. Sacerdoti.