di Giorgio Sacerdoti
IL CODICE DELLA CCI E LA LEGISLAZIONE AMERICANA (1977-78)
Le iniziative allora intraprese si mossero su tre piani. La
Camera di Commercio Internazionale, espressione degli ambienti
industriali e commerciali, elaboro' nel 1978 un Codice di
"regole di condotta per combattere l'estorsione e la corruzione
negli affari internazionali" sulla base di un rapporto di Lord
Shawcross (pubbl. Cci n. 315). Queste regole di buon
comportamento destinate sia agli Stati che alle imprese non
erano vincolanti; venivano raccomandate come norme di pratica
commerciale corretta interna e all'estero; una particolare
attenzione era dedicata ai metodi con cui gruppi multinazionali
potevano controllare e contrastare prassi divergenti delle loro
filiali all'estero quando confrontate a standard
comportamentali inaccettabili secondo l'etica degli affari ma
correnti nei Paesi dove operassero. Il Codice e' tuttora in
vigore e prevede che un apposito panel possa pronunciarsi
sull'interpretazione delle norme e su casi di contrasto. Esso
pero' non e' mai stato in pratica invocato. Piu' di recente la
Cci ha affrontato il tema sul diverso piano privatistico (cfr.
la pubblicazione 480/2 Les commission illicites; de'finition,
traitement juridique et fiscal, 1992).
Sul piano normativo si mosse invece l'amministrazione Carter
con l'emanazione nel 1977 del Foreign Corrupt Practices Act che
vietava espressamente alle imprese americane operanti
all'estero di fare pagamenti illeciti a pubblici ufficiali
stranieri e a esponenti politici, sotto sanzione penale alle
societa' madri e ai loro dirigenti. La normativa introduceva
anche obblighi di evidenziare nella contabilita' pagamenti
sospetti, per intermediazioni e simili, al fine di evitare che
pagamenti vietati venissero effettuati indirettamente. Si
introduceva infine la competenza dell'autorita' giudiziaria
americana su questi comportamenti illeciti, estendendola quindi
a fatti commessi fuori dagli Stati Uniti. Proprio per questo
esercizio extraterritoriale della giurisdizione e
l'assoggettamento delle imprese americane a standard di
condotta che i loro concorrenti non sempre rispettavano o erano
tenuti a rispettare mise in luce l'esigenza di promuovere una
normativa internazionale in materia. Le successive
amministrazioni americane hanno da allora proseguito questo
obiettivo con costanza prima all'Onu poi all'Ocse, ottenendo
qui solo di recente un primo successo.
IL PROGETTO DEL TRATTATO ONU (1979)
All'Onu destarono scandalo in quegli anni soprattutto le azioni
occulte contro il governo di Allende di imprese americane che
erano state nazionalizzate in Cile. Ne nacque cosi' la
risoluzione unanime dell'Assemblea generale dell'Onu 3514 del
1975.1 Essa condannava ogni pratica di corruzione da parte di
imprese multinazionali in violazione delle leggi locali e
invitava i governi alla reciproca collaborazione in materia.
L'invito fu raccolto proprio dagli Stati Uniti che promossero
all'Onu un accordo internazionale sui "pagamenti illeciti" nel
commercio internazionale. Il progetto fu completato nel 1979
(doc. Onu E/1979/104) ma non venne mai perfezionato a causa del
clima di confronto ostile Nord-Sud che dominava l'Onu in quegli
anni. Esso impegnerebbe gli Stati a considerare penalmente
vietata la corruzione e la concussione dei pubblici ufficiali
stranieri, ipotesi normalmente esclusa dall'ambito delle norme
penali interne in materia che mirano alla tutela della
integrita' della Pubblica Amministrazione locale. Si prevedeva
anche la collaborazione tra i governi sul piano dello scambio
di informazioni e della estradizione.
A tale contesto risale l'iniziale definizione del tema come
"pagamenti illeciti", definizione che ricomprendeva il sostegno
economico-finanziario al regime razzista dell'epoca in Sud-
Africa (argomento invece estraneo alla materia secondo i Paesi
industrializzati).
La conclusione dei lavori fu ostacolata anche da considerazioni
giuridiche politiche, cioe' la difficolta' per uno Stato, che
non abbia i mezzi d'azione e di pressione degli Usa, di
proseguire efficacemente fatti svoltisi all'estero, magari in
Paesi in cui pagamenti di imprese altrove vietati siano
considerati normali, e le cui autorita' negherebbero quindi la
necessaria collaborazione.
Messo fuori gioco l'Onu - anche se della corruzione in generale
si sono occupate varie recenti conferenze sulla lotta alla
criminalita' - e abbandonata la piu' rigorosa via del trattato
di assistenza penale internazionale, il tema e' stato piu' di
recente portato all'Ocse in un ambito piu' omogeneo e meno
politicizzato.
L'INIZIATIVA DELL'OCSE: LA RACCOMANDAZIONE DEL 27.05.1994
In data recente, il 25 febbraio 1993, il Consiglio dell'Ocse ha
ritenuto conclusi in modo soddisfacente i lavori preparatori di
un gruppo di studio speciale che negli ultimi anni ha
approfondito all'Ocse il tema dei pagamenti illeciti nel
commercio internazionale, indicando misure di vario tipo che
l'organizzazione potrebbe proporre per combattere il fenomeno,
alla luce di un ampio esame comparato delle legislazioni
esistenti nei Paesi membri.
Il Consiglio Ocse ha quindi deciso di far approntare al gruppo
di studio un progetto di raccomandazione dell'organizzazione
che espliciti l'impegno dei Paesi membri di combattere in
collaborazione tra loro la corruzione nelle operazioni
commerciali internazionali. La raccomandazione, che e' stata
infine adottata dal Consiglio il 27.05.1994, comporta una
definizione ampia di corruzione e l'indicazione delle misure
amministrative, fiscali, civilistiche e penali, interne e
internazionali, che i Paesi membri dovrebbero adottare per
combatterla. La cooperazione che si vuole instaurare dovrebbe
essere estesa a Paesi non membri, nella linea delle
preoccupazioni espresse di recente dalla Banca mondiale per la
distrazione di risorse che la corruzione comporta per i Paesi
in via di sviluppo. Un apposito comitato dell'Ocse dovra'
svolgere un'opera di monitoraggio permanente sui risultati
ottenuti stimolando gli Stati membri "ad adottare misure
concrete e significative" per raggiungere l'obiettivo indicato.
L'iniziativa dell'Ocse e' incentrata sui profili
internazionali, ma e' chiaro che nell'attuale contesto di
economie aperte un confine netto con la corruzione interna non
e' tracciabile, anche per il ricorso nell'uno e nell'altro caso
ai canali finanziari internazionali per gran parte dei
pagamenti illeciti ("Tangentopoli" italiana docet). Anzi,
proprio le iniziative internazionali contro il riciclaggio (per
ora concentrate sul traffico di droga in base alla Convenzione
Onu di Vienna del 1988 e su altri reati di grave allarme
sociale in base alla Convenzione di Strasburgo del Consiglio
d'Europa del 1990) si stanno dimostrando un esempio per
iniziative contro la corruzione che includano misure preventive
e dissuasive di questo tipo di comportamenti illeciti, compresa
la trasparenza dei canali finanziari. Anche la non
deducibilita' fiscale delle tangenti raccomandata dall'Ocse
sarebbe un segnale importante.
Da varie parti si e' considerato che una semplice
raccomandazione dell'Ocse e' una iniziativa troppo blanda. Non
va pero' sottostimato l'effetto progressivo di simili
raccomandazioni, specie se assortite, come nella specie, da
meccanismi di monitoraggio permanente della attuazione nei vari
Paesi membri.
In effetti la via classica della criminalizzazione della
corruzione all'estero da parte dei Paesi d'origine di capitali
e tecnologie appare, almeno sulla carta, piu' efficace.
Prevalgono pero' tuttora in materia di atteggiamenti cauti,
anche se la collaborazione internazionale penale e' gia'
possibile sulla base del principio della "doppia incriminazione
in astratto" ed e' realizzata in base a convenzioni bilaterali
e a quella di Strasburgo contro il riciclaggio. Le norme contro
la corruzione sono infatti viste nell'ottica della tutela della
Pubblica Amministrazione di ogni Stato. Gli Stati sono restii a
erigersi a custodi dell'onesta' dei governi stranieri, anche
per timore di conflitti politici che questo "imperialismo
benigno" potrebbe implicare, a parte i rischi di inefficacia di
azioni extraterritoriali.
L'affermazione di una diversa impostazione, secondo cui la
corruzione e' un problema spesso di criminalita' economica
internazionale, potra' piu' facilmente affermarsi dapprima in
ambiti regionali omogenei, come la Comunita' europea, il
Consiglio d'Europa, i Paesi Ocse.
Anche il profilo della reciprocita' e' rilevante: solo dove gli
Stati i cui pubblici ufficiali sono coinvolti combattono
effettivamente la corruzione al loro interno, gli Stati esteri
cui appartengono i corruttori saranno disponibili a impegnarsi,
reprimendo i comportamenti illeciti delle loro imprese su quei
mercati. L'iniquita' di un "doppio standard" e' altrimenti una
remora per i Paesi esportatori.
Vi e' poi un profilo di concorrenza commerciale che all'Ocse ha
il suo peso, trattandosi di un'organizzazione di cooperazione
economica, e non giudiziaria, dove gli Stati sono per lo piu'
rappresentati a livello tecnico da funzionari dei ministeri
economici.
Regole comuni e uniformemente applicate sul mercato mondiale in
materia garantirebbero una concorrenza leale e non distorta nei
contratti e appalti pubblici. In presenza pero' di Stati
importatori non Ocse, dove la corruzione e' notoriamente
diffusa, molti Paesi Ocse temono di pregiudicare le proprie
imprese accettando e facendo loro rispettare regole severe in
materia di contratti internazionali specie sui mercati esteri
non Ocse. Proprio per questi motivi l'Ocse si propone di
convocare nel marzo 1995 una conferenza di esperti, governativi
e no, coinvolgendo Paesi non membri per dare alla propria
azione una risonanza piu' vasta.
LA RECENTE INIZIATIVA DEL CONSIGLIO D'EUROPA (1994)
La lotta contro la corruzione ha costituito il tema generale
della 19a conferenza dei Ministri europei della Giustizia
tenuta nell'ambito del Consiglio d'Europa a Malta il 14-
15.06.1994. Il dibattito e' stato introdotto da un ampio
rapporto generale presentato dal Ministro italiano di Grazia e
Giustizia a seguito delle risposte pervenute dagli altri Stati
a un articolato questionario. Il rapporto si occupa in genere
della rilevanza della corruzione sul piano del diritto penale e
mette in evidenza da un lato le similarita' presenti nei vari
diritti dei Paesi membri, dall'altro lato le notevoli
differenze esistenti per esempio quanto alla distinzione tra
corruzione e concussione, alle misure dirette a favorire la
denunzia dei comportamenti di corruzione (legislazione
premiale), all'illecito finanziamento dei partiti politici non
sempre considerato reato. Il rapporto sottolinea i collegamenti
che la corruzione presenta con il reato di riciclaggio e con la
criminalita' organizzata, con la conseguente opportunita' di
tenere sotto osservazione i flussi del denaro frutto della
corruzione anche nei loro movimenti successivi tanto piu' che
si tratta di importi notevoli. Il rapporto fa presente peraltro
che in molti Paesi, soprattutto in Europa occidentale, il
collegamento fra i fenomeni di corruzione e il crimine
organizzato, il quale spesso puo' avvalersi di tale mezzo
criminale per penetrare l'ambiente politico e
dell'amministrazione, non e' uniformemente sentito.
Il rapporto considera anche la rilevanza della corruzione sul
piano amministrativo e si sofferma sull'importanza delle regole
disciplinari, dei codici deontologici, delle regole sul
corretto uso delle dotazioni d'ufficio e di quelle che mirano a
rendere trasparenti gli averi personali dei soggetti investiti
di particolari cariche politiche o amministrative. Anche i
rapporti con le lobbies sono menzionati; questi hanno fatto
oggetto di recente di una comunicazione della Commissione Cee
in Guce 5.3.1993 n. C63, p. 2.
E' interessante notare come il rapporto segnali che non ovunque
l'Amministrazione Pubblica e' considerata la prima vittima
della corruzione. La rilevanza della corruzione sul piano
civile e fiscale e' importante come premessa alla possibilita'
di confisca dei proventi diretti o anche di quelli indiretti,
al risarcimento del danno ulteriore, alla annullabilita' dei
contratti ottenuti con corruzione, alla risarcibilita' del
danno a favore dei concorrenti che non hanno potuto
aggiudicarsi degli appalti pubblici per effetto della
corruzione messa in opera dal concorrente prescelto.
Il rapporto conclude con la necessita' di migliorare la
cooperazione internazionale, affrontando il problema della
incriminabilita' della corruzione di funzionari esteri, di
quella di funzionari di organizzazioni internazionali o
sovrannazionali e caldeggiando l'assimilazione della condotta
di funzionari esteri a quella dei funzionari nazionali.
La garanzia di indipendenza della magistratura appare
particolarmente importante per il condizionamento che questa
puo' subire e di fatto spesso subisce quando indaga su reati in
cui sono coinvolti esponenti politici e organi di rilievo
costituzionale.
La Conferenza di La Valletta ha fatto proprie in linea di
massima le linee del rapporto italiano. La risoluzione
approvata considera che la corruzione rappresenti una grave
minaccia per la democrazia e la preminenza del diritto, che si
tratti di un tema appropriato per il Consiglio d'Europa e che
la lotta contro la corruzione debba adottare una impostazione
multidisciplinare, implicante tutti gli aspetti del diritto
civile amministrativo e penale, cosi' come altre misure
concepite specialmente per lottare efficacemente contro questo
fenomeno.
La Conferenza ha raccomandato al Comitato dei Ministri di
costituire in seno al Consiglio d'Europa un Gruppo
Multidisciplinare sulla corruzione sotto la responsabilita' del
Comitato Europeo per i problemi criminali e del Comitato
Europeo di cooperazione giuridica che esamini le misure
appropriate che potrebbero essere incorporate in un programma
d'azione internazionale contro la corruzione.
Il Gruppo Multidisciplinare dovra' essere aperto a Stati non
membri, potrebbe redigere delle leggi modello e dei codici di
condotta in certi settori, inclusa l'elaborazione a una
Convenzione internazionale ed e' stato invitato a prendere in
considerazione un elenco di questioni rilevanti (vedi pagine
seguenti). Il Gruppo Multidisciplinare formato da esperti
governativi e' stato istituito all'inizio del 1995 con un
mandato che e' destinato a durare per dodici mesi.
IL RUOLO DEI CODICI AZIENDALI
La lentezza delle iniziative intergovernative, frenate anche da
riserve inespresse sul piano della concorrenza e delle
relazioni con i Paesi terzi (peraltro sempre piu' vicini alle
regole dell'economia di mercato), potra' essere superata solo
da un impegno politico congiunto che gli scandali recenti, non
solo italiani, potrebbero far maturare.
Risulta per altro lato l'importanza dell'impegno volontario
delle stesse imprese leader di opporsi alla corruzione e alla
concussione, con opportuni strumenti interni come i codici
aziendali, (realizzati soprattutto da imprese multinazionali
Usa negli anni Settanta-Ottanta), con azioni a livello
associativo nazionale e con iniziative internazionali, secondo
le indicazioni della Cci che sembrano pero' essere rimaste
lettera morta da quasi vent'anni. Dopo i recenti scandali
italiani alcune grandi imprese italiane, private e pubbliche,
hanno annunciato l'adozione di siffatti codici, senza peraltro
che sia seguita molta informazione al riguardo.
In effetti le imprese avrebbero dovuto prestare piu' attenzione
alle regole in materia del ben noto codice dell'Ocse per le
imprese multinazionali del 1976. Questi "princi'pi direttivi"
sanciscono che le imprese (non solo quelle multinazionali) "non
dovrebbero concedere alcun pagamento illecito o altro vantaggio
indebito, diretto o indiretto, ad alcun funzionario o titolare
di un incarico pubblico, scoraggiando sollecitazioni e
aspettative in tal senso", cosi' come non dovrebbero versare
"alcun contributo, a meno che cio' non sia non legalmente
ammesso, a candidati a incarichi pubblici, a partiti politici o
ad altre organizzazioni politiche".2
L'impegno a rispettare i princi'pi del codice dovrebbe essere
esplicitato secondo l'Ocse nelle relazioni annuali di bilancio
delle grandi imprese, prassi questa raramente seguita ma a cui
non e' mai troppo tardi adeguarsi. Il loro recepimento formale
e sostanziale nella vita aziendale delle grandi imprese leader
potrebbe costituire un argine forse piu' efficace al malcostume
politico-affaristico di molte dichiarazioni internazionali e
della stessa applicazione a posteriori del codice penale.
Questo impegno dovrebbe combinarsi con quello di associazioni,
gruppi di pressione non-economici, organizzazioni di assistenza
internazionale, del tipo dell'iniziativa di "Transparency
International".
Il successo di misure formali intergovernative come quelle
appena concluse all'Ocse e in corso al Consiglio d'Europa come
primo passo verso la lotta al fenomeno ne risulterebbe
rafforzato.
NOTE
1 )Picone e G. Sacerdoti, Diritto Internazionale dell'Economia,
F. Angeli, Milano 1982, rist. 1991, p. 733.
2) Per il testo aggiornato v. Codice del Commercio Int., Pirola
1994, p. 369 ss. a cura di G. Sacerdoti.