di Antonio Crivellaro
I SINTOMI DELL'ILLECITO
Una precisazione e' necessaria. Non e' illecito conformemente al
diritto di alcuno Stato, ne' alla stregua del diritto
internazionale, stipulare un contratto in cui una parte incarichi
un'altra, dotata delle relative capacita' tecniche e
professionali, di fornire un'assistenza volta a vincere una gara
internazionale, grazie all'ottenimento di informazioni relative al
mercato, di dati progettuali o di studi commerciali che pongano
l'offerta del mandante in posizione di poter vincere rispetto alle
offerte dei concorrenti.
Se a cio' si limitasse la sponsorizzazione, non vi sarebbe
alcunche' di male. Occorre che il pagamento di tale prestazione
professionale - soprattutto per entita' e modalita' di erogazione
- sia tale da coprire esclusivamente detta genuina prestazione
professionale, e che dello stesso pagamento ne benefici soltanto
colui che la rende.
Invece, il sintomo piu' evidente che non si e' in presenza di
un'oggettiva prestazione professionale si ravvisa nell'entita'
delle somme promesse e nella modalita' di corresponsione.
Gli importi usuali sono macroscopici se rapportati alla natura
dell'intervento, e quantificati mediante percentuale sul valore
dell'affare da acquisire. Per di piu', l'obbligo di pagamento e'
sempre - senza deroghe - subordinato alla previa conclusione del
contratto principale.
Sia l'enormita' dell'ammontare che il suo pagamento soltanto a
buon fine testimoniano che si e' in presenza di una mediazione,
non certo di attivita' professionali di consulenza. Secondo gli
usi, il professionista dovrebbe remunerarsi a prescindere dal buon
fine e con tariffe adeguate alla natura delle sue oggettive
prestazioni.
In conclusione, tutte le volte in cui risulti inverosimile che
l'agente svolga taluni dei servizi affidatigli, e che il prezzo
del suo intervento risulti collegato al prezzo del contratto
principale per ammontari altresi' astronomici, e che il pagamento
della commissione risulti subordinato all'aggiudicazione alla
mandante del contratto principale, ebbene, sara' legittimo
sospettare che - al di la' delle forme e dei nomi - il contratto
abbia per oggetto una intermediazione tendente a influenzare
l'aggiudicazione mediante corresponsione di danaro a chi dovra'
deciderla.
E' ben sintomatico che in tutti tali contratti si precisi che
all'agente non spettera' alcun compenso, quali siano stati i suoi
interventi o i costi da esso sostenuti, qualora il contratto
principale non venga aggiudicato alla mandante. E' del tutto
inverosimile che un genuino prestatore di servizi - se di cio' si
trattasse - rinunci persino al recupero dei costi da esso
sostenuti e ne rischi la totale perdita qualora l'affare non si
concluda. Cio' e' tipico dell'intermediario.
LA SOTTOPOSIZIONE DEL CONTRATTO DI "SPONSORIZZAZIONE" A UNA LEGGE "TERZA" E IL DEFERIMENTO DELLE CONTROVERSIE AD ARBITRATO INTERNAZIONALE
I contratti di sponsorizzazione contengono normalmente una
clausola di arbitrato internazionale, e cio' per deferire le
controversie tra le parti a nessuna giurisdizione ordinaria,
bensi' ad Arbitri liberamente designati. Essi contengono,
inoltre, una clausola di designazione del diritto applicabile al
rapporto tra mandante e mandatario, clausola che invariabilmente
fa regolare tale rapporto da una legge "terza" rispetto a quella
dello Stato sede dell'affare principale.
Molto spesso tale legge "terza" e' quella della Svizzera, e cio'
non a caso dal momento che il diritto svizzero e' assai liberale
in materia di intermediazione, inclusa quella con la Pubblica
Amministrazione nell'assegnazione di appalti o forniture, purche'
- ovviamente - sia esclusa la corruzione. E' certa anche in
diritto svizzero la distinzione tra corretta mediazione e
corruzione.
Invece, la maggior parte degli ordinamenti nazionali vieta la
mediazione nei contratti con la Pubblica Amministrazione,
nell'assunto che non sia possibile distinguere tra i casi di sola
mediazione e i casi in cui la mediazione copre un fenomeno di
corruzione.
Simili legislazioni sono basate sull'assunto che l'intento
corruttivo sia sempre da presumersi nell'intermediazione con la
Pubblica Amministrazione, e che sia pertanto piu' saggio proibirla
come fenomeno di rilevanza penale.
L'inclusione di una clausola espressa che fa governare il
contratto da una legge straniera e' ulteriore prova di quanto le
parti siano coscienti della genuina essenza del loro rapporto.
Ogni qualvolta la legge del Paese importatore proibisce la
mediazione nel settore economico in cui rientra l'affare, le due
parti designano a disciplina del loro rapporto la legge di un
Paese terzo, possibilmente scegliendosi il diritto di uno Stato
che sia tra i piu' innocentisti o liberisti.
GLI STATI IN CUI L'INTERMEDIAZIONE E' LECITA, ANZI OBBLIGATORIA
Per completezza, va riferito che vi sono anche Stati nei quali il
fenomeno non soltanto e' lecito, ma e' addirittura obbligatorio
per legge. Sono i Paesi dell'area mediorientale, quali gli Emirati
Arabi Uniti e l'Arabia Saudita. L'impresa straniera non puo'
operare in questi Stati se non si iscrive in particolari registri,
nei quali occorre dare la prova che si e' "sponsorizzati" da una
ditta locale. Talvolta e' persino obbligatorio esibire il
contratto concluso con lo sponsor locale. Simili leggi fissano
persino i minimi del prezzo da corrispondersi allo sponsor, che
tassativamente deve avere la nazionalita' dello Stato di sede.
A ben vedere, quando la intermediazione e' cosi' disciplinata e
resa pubblica in virtu' di norme imperative e inderogabili, puo'
legittimamente dubitarsi che si sia in presenza di vera e propria
corruzione. Come molti operatori ritengono, in questi Stati
prevale piuttosto la tendenza a caricare sull'investitore
straniero una sorta di tassa di ingresso intesa a favorire,
mediante un beneficio imposto per legge, gli operatori locali, a
prescindere dal fatto che essi rendano o no un utile servizio
all'investitore estero.
Si tratta, insomma, per quei Paesi, di un'opportunita' per
diffondere ricchezza al loro interno, mediante l'imposizione allo
straniero di un extra-onere, del tutto trasparente, di entita'
uguale per tutti, quale che sia l'aggiudicatario.
Si noti che tali legislazioni descrivono con accuratezza i servizi
che si possono affidare tanto al service agent (incaricato di un
singolo affare attuale) quanto al commercial agent (incaricato di
una pluralita' di affari futuri). Tra tali servizi mai compare il
mandato di influenzare la decisione dell'ente committente in
ordine all'aggiudicazione dell'affare. Insomma, anche tali leggi -
le piu' favorevoli al fenomeno - ben si guardano dal legittimare
la corruzione come tale.
LA CONTROVERSIA TRA MANDANTE E MANDATARIO: L'ATTEGGIAMENTO DELLE PARTI DAVANTI ALL'ARBITRO
Come insorgono le controversie tra il mandante e il mandatario?
Normalmente la controversia nasce perche' il mandante si rifiuta,
in tutto o in parte, di onorare l'obbligo di pagamento, nonostante
il contratto principale sia stato aggiudicato al mandante e dunque
nonostante abbia avuto successo l'intermediazione del mandatario.
In tali casi e' frequente che il mandante eccepisca che i servizi
affidati all'agente non sono stati resi e che il contratto
principale e' stato aggiudicato, senza alcun nesso di causalita'
con i servigi dello sponsor che, o non vi sarebbero stati del
tutto, o non avrebbero comunque influenzato l'esito della gara. Le
raccolte di giurisprudenza arbitrale internazionale sono piuttosto
ricche di siffatti precedenti.
E' interessante subito notare che assai raramente le parti svelano
al Tribunale Arbitrale il reale oggetto del loro contratto, ossia
l'intento corruttivo. Al contrario, esse si presentano davanti al
Collegio giudicante in apparente accordo circa la validita' e
normalita' del loro contratto, ma in controversia sulla sua
interpretazione.
La reticenza a dischiudere il reale oggetto del contratto e
l'insistenza nel mantenere che si trattava di ordinarie
prestazioni professionali, si spiega con la volonta' di evitare
sia rischi penali che la ripercussione di negativi effetti sul
contratto principale nel frattempo acquisito. Soltanto in rare
occasioni e' dato di riscontrare che la natura illecita del
contratto viene espressamente eccepita davanti agli Arbitri. Cio'
e' avvenuto quando, per mancanza di altri buoni argomenti, il
mandante convenuto in arbitrato non ha saputo difendersi che
eccependo la nullita' radicale del contratto di sponsorizzazione
per l'illiceita' della sua causa, dovendo con cio' inevitabilmente
rivelare che lo sponsor era stato incaricato di corrompere l'ente
aggiudicante.
Ma e' assai piu' normale che le parti mantengano una sorta di
complicita' innanzi agli Arbitri per nascondere che si sia
trattato di corruzione.
I LIMITATI POTERI D'UFFICIO DELL'ARBITRO INTERNAZIONALE
Puo' in tali casi l'Arbitro sollevare d'ufficio eccezioni sulla
effettiva natura del contratto di agenzia? Il problema non e' di
semplice soluzione, giacche' all'Arbitro incombe di decidere
secondo quanto le parti gli prospettano, gli argomentano e
soprattutto gli provano. Egli puo' ben rifiutare la nomina se
intuisce di che si tratta, ma nemmeno questo e' semplice poiche'
esistono e sono frequenti anche i validi contratti di
intermediazione internazionale in ordine ai quali puo' ben
insorgere una controversia giuridica che merita di essere risolta
secondo i canoni ordinari.
L'Arbitro prudente e diligente potra', semmai, provocare un piu'
approfondito contraddittorio tra le parti nella speranza di poter
far emergere la illiceita' o immoralita' della vera causa del
contratto da esse concluso. Inoltre in base a quale legge potra'
l'Arbitro sollevare l'eccezione dell'immoralita' della causa? La
scelta e' tra la legge designata dalle parti, la legge del luogo
dell'Arbitrato, una legge individuata dall'arbitro (in particolare
quella del Paese importatore), la cosiddetta lex mercatoria che
per taluni governa transnazionalmente il commercio internazionale
o, infine, criteri di "ordine pubblico internazionale"
. LA LEGGE APPLICABILE. L'AMBIGUA PRASSI DEI LEGISLATORI NAZIONALI CHE ADOTTANO UNA "DOPPIA MORALE"
Se si seguira' la legge scelta dalle parti, il contratto di
intermediazione rischiera' di risultare comunque valido, o perche'
quella legge non ne vieta l'oggetto, o perche' simile legge sara'
indifferente e neutra rispetto alla illiceita' dell'oggetto
proclamata dalla legge del Paese importatore.
Se, invece, si seguira' la legge del Paese importatore, che e' poi
la legge regolatrice del contratto principale, sara' gioco forza
concludere che il contratto ha oggetto illecito o contra bonus
mores, o espressamente vietato, e che pertanto esso e' nullo.
Incerto e' il risultato se si intende pervenire alla decisione
secondo la lex mercatoria.
Posto che questa rifletta il comune sentire della comunita' degli
Stati, non e' affatto detto che l'Arbitro troverebbe in essa
univoche linee guida per la sua decisione.
E' infatti noto che la legislazione di molti Paesi e' ispirata a
un fondamentale dualismo a seconda che l'intermediazione (e ancor
piu' la corruzione) avvenga in relazione a contratti pubblici
interni, cioe' nazionali, oppure in relazione a contratti
d'esportazione che trovano realizzazione al di fuori dello Stato.
Nel primo caso il fenomeno e' assolutamente vietato; nel secondo
e' permesso o addirittura incoraggiato.
Si veda, ad esempio, la legislazione francese per la quale
l'impresa esportatrice che abbia sostenuto oneri di
intermediazione per l'acquisizione della commessa estera e'
autorizzata a dedurli fiscalmente, stilando formulari prestabiliti
dall'autorita' statale indicanti l'ammontare e il percettore, ed
e' persino esentata in taluni casi di particolare delicatezza
politica dall'onere di provare chi sia il reale percettore.
Anche in Italia, quando era in vigore una normativa valutaria
restrittiva e l'esportazione di capitali era soggetta a rigidi
controlli, il pagamento di intermediazioni per l'acquisizione di
commesse estere era esplicitamente disciplinato: fino a un certo
ammontare il controllo era effettuato dalla banca; per ammontari
superiori interveniva il Mediocredito Centrale; per casi
eccezionali, nei quali non poteva rivelarsi il nome del
beneficiario, interveniva il Ministro del Commercio con l'Estero.
Si badi bene che sia in Francia sia in Italia, la natura reale
dell'intermediazione e' data per nota: cio' nonostante, lo Stato e
la legge si prestano a regolamentarla, adottando l'unica
discriminante che il contratto - cosi' come il beneficiario -
siano esteri.
L'unico Paese al mondo che abbia disciplinato con rigore la
materia sono gli Stati Uniti, il cui Foreign Corruption Practice
Act proibisce in maniera assoluta la corruzione anche se svolta
all'estero in favore di soggetti stranieri per l'acquisizione di
commesse o affari esteri. Al di fuori di questa lodevole
eccezione, la maggior parte degli Stati si allinea su una cinica e
ambigua "doppia morale": vietato all'interno; lecito (o
irrilevante) se effettuato all'esterno.
IL SILENZIO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE SUL PUNTO
Anche il diritto internazionale vero e proprio sarebbe di scarso
ausilio all'Arbitro chiamato a dirimere la controversia
ipotizzata.
La collaborazione tra gli Stati per la repressione del fenomeno e'
pressoche' inesistente; anzi, come si e' visto lo Stato
esportatore ha spesso tendenza ad agevolare le proprie imprese. Ne
e' un eloquente sintomo l'assenza di trattati internazionali
obbliganti la repressione della corruzione nel commercio
internazionale.
Nella storia del diritto internazionale gli esempi non mancano.
Quando la comunita' internazionale ha sentito la necessita' di
intervenire, l'ha fatto mediante convenzioni che obbligano e
uniformano la pena e internazionalizzano la portata del crimine.
Si vedano gli esempi della pirateria aerea, del terrorismo, del
contrabbando di droga e, in una parola, di quelli che
efficacemente si chiamano crimina juris gentium.
L'Onu aveva elaborato sin dal 1979 un progetto di convenzione
internazionale sui pagamenti illeciti, progetto poi archiviato.
Altrettanto dicasi dei "princi'pi direttivi" varati dall'Ocse
oppure dei "codici di condotta" varati da molteplici organismi
internazionali che intervengono nell'economia o nello sviluppo
internazionale.
Da nessuno di tali progetti e' mai emerso un trattato
internazionale reprimente il pagamento di commissioni illecite
nelle operazioni del commercio internazionale. Segno che lo stesso
pagamento non e' ancora avvertito dalla comunita' internazionale
come un crimen juris gentium.
Per la corruzione internazionale puo' allora dirsi che si e'
davanti a un paradosso: unanime riprovazione, universale
diffusione. Vi e' antagonismo fra regola proclamata e condotta
praticata. Si sente un bisogno d'ordine ma si propende al
compromesso e all'indulgenza.
Le scarse norme esistenti testimoniano l'inserimento sociale del
fenomeno, richiamandosi espressamente a "usi" o "pratiche" o
"consuetudini" per definire la corruzione nel commercio
internazionale, ma non vi fa riscontro una norma internazionale
inibitoria e per lo meno dissuasiva.
LA DIFFICOLTA' DI PROVA DELL'ILLICEITA'
Tornando, ora, alle difficolta' di un procedimento arbitrale
svolto per dirimere la controversia tra mandante e sponsor, la
principale difficolta' e' costituita dalla prova del fatto, ossia
dalla reale possibilita' che - date le caratteristiche tecniche di
un simile processo - si sia capaci di acquisire la prova che lo
sponsor ha usato o doveva usare la propria commissione per
incidere sull'aggiudicazione della gara corrompendo gli organi
decisori. Si sa che l'Arbitro internazionale svolge un ruolo,
privato, di mero mandatario delle parti e che egli - a differenza
del giudice nazionale - non possiede ne' mezzi ne' poteri
coercitivi, ne' strutture istituzionali che lo affianchino nella
fase delle indagini.
Anzi, in senso stretto, gli e' persino preclusa una autonoma
iniziativa di indagine, giacche' protagoniste esclusive del
procedimento arbitrale sono le parti che lo hanno istituito e
all'Arbitro e' solo consentito di dare risposta ai quesiti
controversi e contraddittori che le parti hanno concordato di
sottoporgli. Di null'altro l'Arbitro dovra' o potra' occuparsi.
Non e' l'arbitrato commerciale internazionale lo strumento piu'
idoneo per reprimere la corruzione. Fintanto che le parti
perdureranno nel negargli che il loro contratto avesse un oggetto
illecito o immorale e fintanto che prove contrarie non verranno
acquisite a opera soltanto dell'una o dell'altra parte (che non ne
ha alcuna motivazione) all'Arbitro non restera' che decidere la
lite sul presupposto che il contratto fosse valido.
L'ESAME DEI LODI ARBITRALI
L'esame dei lodi arbitrali pronunciati nel settore e' quanto mai
chiarificatore.
Costituiscono minoranza i lodi che danno per provata la natura
illecita dell'operazione.
Costituiscono altresi' minoranza i lodi nei quali si e' potuto
pervenire a rigettare la domanda sulla base di una presunzione di
illiceita' della causa e dell'oggetto del contratto.
Costituiscono, invece, l'assoluta maggioranza i lodi nei quali il
contratto e' stato ritenuto lecito alla stregua della legge che
l'Arbitro doveva applicare, o ha ritenuto di applicare, per la
risoluzione della lite.
LE POSSIBILITA' PER L'ARBITRO DI SUPERARE L'ACCORDO DELLE DUE PARTI
Il difetto del sistema sta dunque nel criterio che l'Arbitro
internazionale puo' o deve seguire nel determinare la legge alla
cui stregua egli perverra' al suo lodo finale.
A opinione dello scrivente, non svolge un corretto esercizio
l'Arbitro che si attenga pedissequamente alle indicazioni delle
parti. Se per la legge scelta dalle parti l'intermediazione e'
lecita, ma non lo e' per la legge dello Stato del contratto
principale, sembra assai piu' appropriato dare rilevanza
preminente a quest'ultima. Essa, infatti, e' la legge dello Stato
importatore, cioe' di quello che ha il piu' vitale interesse
nell'operazione. Essa e' inoltre la legge che ha governato la fase
di aggiudicazione del contratto principale e che regolera' lo
stesso rapporto nascente dal contratto principale, cioe' il
rapporto intercorrente tra l'impresa mandante e lo Stato locale.
Pare evidente che se per la legge che regola il contratto
principale e' penalmente vietata non solo la corruzione bensi'
anche la sola intermediazione nei pubblici contratti di appalto e
fornitura, il fatto che la mandante abbia acquisito il contratto
grazie a un'intermediazione che diviene lecita soltanto perche'
assoggettata a una legge "terza" non puo' rimanere privo di
rilevanza.
Queste paiono essere espressioni moralistiche o sociologiche, piu'
che argomentazioni tipiche del giurista. Si sa che il giurista
abbisogna anche di dati normativi precisi e concreti
nell'individuazione della giusta soluzione. A me sembra che un
Arbitro internazionale, sol che lo voglia, non sia privo di tali
ancoraggi normativi.
Uno e' costituito dal comune principio che consente di
disapplicare la designazione fatta dalle parti di una legge
"terza" disancorata totalmente dal rapporto sottostante sicche' la
designazione apparira' effettuata "in frode alla legge",
nell'intento di evadere dalle norme imperative dello Stato con cui
altrimenti l'operazione commerciale sottostante e' intimamente
connessa.
L'altro principio basilare e' quello per il quale all'Arbitro
incombe l'onere di effettuare un servizio utile, il che significa
rendere un lodo che poi risulti eseguibile.Dai due suddetti
princi'pi puo' agevolmente ricavarsi che all'Arbitro incomba di
valutare la controversia alla stregua della legge che possiede il
piu' intimo collegamento con il dato sostanziale, ossia con
l'operazione di commercio internazionale di cui si tratta, e in
particolare gli incomba di far si' che non vengano evase le norme
di "applicazione necessaria" di tale legge, quale che sia la legge
designata tra mandante e mandatario nel loro contratto.
Tale e' la conclusione a cui induce la convenzione di Roma sulla
Legge Regolatrice delle Obbligazioni Contrattuali il cui art. 7
prevede che, quale che sia la legge regolatrice del contratto, la
sua scelta non puo' recare pregiudizio alle norme imperative di un
altro Paese con il quale la situazione presenti uno stretto
legame.
Quanto all'eseguibilita' del lodo, l'Arbitro dovra' tener conto
del principio consacrato nell'art. 5 della Convenzione di New York
del 1958 sull'esecuzione di sentenze arbitrali straniere: per suo
effetto, il riconoscimento o l'esecuzione di una sentenza
arbitrale puo' essere rifiutato quando l'autorita' giudiziaria del
Paese in cui il riconoscimento e l'esecuzione sono richiesti
ravvisi che la materia oggetto della disputa non sarebbe stata
arbitrabile secondo la propria legge o che il riconoscimento del
lodo si porrebbe in contrasto con l'ordine pubblico del proprio
Paese.
CONCLUSIONI
I due canovacci ora riferiti possono costituire un'utile cornice
per il compito dell'Arbitro internazionale che si trovi a dirimere
la controversia sorta da un contratto di intermediazione.
Per verificarne la liceita' egli non potra' prescindere dalla
legge del Paese avente il piu' stretto legame con l'operazione,
ossia dalla legge del Paese importatore, i cui dettami imperativi
saranno in tal modo salvaguardati. L'Arbitro dovra' rendere una
sentenza che risulti eseguibile, e non sarebbe eseguibile nella
maggior parte degli Stati - per contrarieta' all'ordine pubblico -
qualora l'Arbitro avesse sorvolato sulla natura illecita
dell'oggetto del contratto in relazione al quale e' sorta la
controversia sottopostagli.
In conclusione, se ben utilizzati tali strumenti consentono che
l'arbitrato internazionale non si presti ad avvallare fenomeni
corruttivi, scoraggiando il beneficiario della commissione
dall'attivare procedimenti arbitrali astrattamente costruiti per
evadere le sanzioni della legge, e in sostanza per vincolarlo a un
rigido dilemma: o rivolgersi a giudici nazionali per rivendicare
crediti contro il mandante, cosi' rischiando le sanzioni; oppure
mantenere a proprio rischio il mancato recupero di quei crediti,
fatto che determinerebbe in modo esplicito qual e' il miglior
destino per "crediti" sorti da un patto illecito.