vai al sito della Camera di Commercio di Milano

Impresa & Stato N°29 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

INTERMEDIAZIONE ILLECITA E ARBITRATO INTERNAZIONALE

di Antonio Crivellaro


A differenza della corruzione, quale fenomeno nazionale, che ovviamente non lascia tracce scritte, nel commercio internazionale l'identico fenomeno frequentemente trova riscontro nei cosiddetti contratti di "sponsorizzazione".
Con essi, una delle parti (mandante) affida all'altra (mandatario, sponsor, agente, consulente, broker, rappresentante ecc.) una serie di servizi intesi a favorire il mandante nell'acquisizione di una commessa, di un affare, ossia di un contratto cosiddetto principale. Per quanto la fantasia delle parti circa i nomi o i titoli assegnati al loro rapporto sia molto lata, la struttura di tali contratti e' costante e standardizzata.
Scopo principale dei loro redattori e' di occultare il piu' possibile il reale oggetto del mandato, camuffandolo mediante l'elencazione, a volte estesa per piu' pagine, di servizi e prestazioni apparentemente affidate al mandatario, tese a promuovere l'acquisizione del contratto principale.
Talvolta i servizi affidati non sono ne' illeciti ne' sempre simulati o apparenti: e' il caso dei servizi logistici, di assistenza nel procurare incontri e riunioni, nell'offrire uffici e segreterie, oppure nel procurare indagini sul mercato locale o sulla legislazione applicantesi al futuro contratto da acquisire.
La simulazione e' piu' evidente quando la prestazione che si dichiara di affidare al mandatario e' del tutto inverosimile per la sua natura oggettiva, se comparata con la totale assenza di struttura o di patrimonio che caratterizza il mandatario. Tale e' il caso di "indagini geologiche" o di progettazioni elaborate e difficili affidate - ma soltanto in apparenza - ad agenti o sponsor consistenti in societa' di pura fantasia prive di dipendenti, di capitale, o persino di un ufficio. La simulazione diventa ancor piu' evidente se si considera che l'impresa mandante e' la parte piu' competente a effettuare tali indagini o progetti.
Nonostante la cura nell'evitare di dar conto della vera natura del mandato, spesso il redattore del contratto di "agenzia" o "sponsorizzazione" si tradisce e conclude l'elenco delle prestazioni affidate allo sponsor con la clausola piu' quant'altro serva all'acquisizione del contratto.
Ora, il quant'altro serva implica l'utilizzo della commissione che verra' corrisposta allo sponsor tanto per i servizi veritieri o necessari, quanto - soprattutto - per corrompere gli ambienti che hanno la responsabilita' di decidere l'aggiudicazione del contratto principale.
E' frequente che l'impresa mandante, soprattutto se citata in giudizio arbitrale dal mandatario per violazione dell'obbligo di pagamento della commissione, si difenda adducendo che non sapeva che lo sponsor avrebbe utilizzato la commissione in tutto o in parte a scopo corruttivo. La mandante si difende sostenendo che nessuno aveva affidato allo sponsor l'incarico di corrompere o che nessuno voleva sapere come l'agente avrebbe utilizzato il danaro promessogli.

I SINTOMI DELL'ILLECITO

Una precisazione e' necessaria. Non e' illecito conformemente al diritto di alcuno Stato, ne' alla stregua del diritto internazionale, stipulare un contratto in cui una parte incarichi un'altra, dotata delle relative capacita' tecniche e professionali, di fornire un'assistenza volta a vincere una gara internazionale, grazie all'ottenimento di informazioni relative al mercato, di dati progettuali o di studi commerciali che pongano l'offerta del mandante in posizione di poter vincere rispetto alle offerte dei concorrenti.
Se a cio' si limitasse la sponsorizzazione, non vi sarebbe alcunche' di male. Occorre che il pagamento di tale prestazione professionale - soprattutto per entita' e modalita' di erogazione - sia tale da coprire esclusivamente detta genuina prestazione professionale, e che dello stesso pagamento ne benefici soltanto colui che la rende.
Invece, il sintomo piu' evidente che non si e' in presenza di un'oggettiva prestazione professionale si ravvisa nell'entita' delle somme promesse e nella modalita' di corresponsione.
Gli importi usuali sono macroscopici se rapportati alla natura dell'intervento, e quantificati mediante percentuale sul valore dell'affare da acquisire. Per di piu', l'obbligo di pagamento e' sempre - senza deroghe - subordinato alla previa conclusione del contratto principale.
Sia l'enormita' dell'ammontare che il suo pagamento soltanto a buon fine testimoniano che si e' in presenza di una mediazione, non certo di attivita' professionali di consulenza. Secondo gli usi, il professionista dovrebbe remunerarsi a prescindere dal buon fine e con tariffe adeguate alla natura delle sue oggettive prestazioni.
In conclusione, tutte le volte in cui risulti inverosimile che l'agente svolga taluni dei servizi affidatigli, e che il prezzo del suo intervento risulti collegato al prezzo del contratto principale per ammontari altresi' astronomici, e che il pagamento della commissione risulti subordinato all'aggiudicazione alla mandante del contratto principale, ebbene, sara' legittimo sospettare che - al di la' delle forme e dei nomi - il contratto abbia per oggetto una intermediazione tendente a influenzare l'aggiudicazione mediante corresponsione di danaro a chi dovra' deciderla.
E' ben sintomatico che in tutti tali contratti si precisi che all'agente non spettera' alcun compenso, quali siano stati i suoi interventi o i costi da esso sostenuti, qualora il contratto principale non venga aggiudicato alla mandante. E' del tutto inverosimile che un genuino prestatore di servizi - se di cio' si trattasse - rinunci persino al recupero dei costi da esso sostenuti e ne rischi la totale perdita qualora l'affare non si concluda. Cio' e' tipico dell'intermediario.

LA SOTTOPOSIZIONE DEL CONTRATTO DI "SPONSORIZZAZIONE" A UNA LEGGE "TERZA" E IL DEFERIMENTO DELLE CONTROVERSIE AD ARBITRATO INTERNAZIONALE

I contratti di sponsorizzazione contengono normalmente una clausola di arbitrato internazionale, e cio' per deferire le controversie tra le parti a nessuna giurisdizione ordinaria, bensi' ad Arbitri liberamente designati. Essi contengono, inoltre, una clausola di designazione del diritto applicabile al rapporto tra mandante e mandatario, clausola che invariabilmente fa regolare tale rapporto da una legge "terza" rispetto a quella dello Stato sede dell'affare principale.
Molto spesso tale legge "terza" e' quella della Svizzera, e cio' non a caso dal momento che il diritto svizzero e' assai liberale in materia di intermediazione, inclusa quella con la Pubblica Amministrazione nell'assegnazione di appalti o forniture, purche' - ovviamente - sia esclusa la corruzione. E' certa anche in diritto svizzero la distinzione tra corretta mediazione e corruzione.
Invece, la maggior parte degli ordinamenti nazionali vieta la mediazione nei contratti con la Pubblica Amministrazione, nell'assunto che non sia possibile distinguere tra i casi di sola mediazione e i casi in cui la mediazione copre un fenomeno di corruzione.
Simili legislazioni sono basate sull'assunto che l'intento corruttivo sia sempre da presumersi nell'intermediazione con la Pubblica Amministrazione, e che sia pertanto piu' saggio proibirla come fenomeno di rilevanza penale.
L'inclusione di una clausola espressa che fa governare il contratto da una legge straniera e' ulteriore prova di quanto le parti siano coscienti della genuina essenza del loro rapporto. Ogni qualvolta la legge del Paese importatore proibisce la mediazione nel settore economico in cui rientra l'affare, le due parti designano a disciplina del loro rapporto la legge di un Paese terzo, possibilmente scegliendosi il diritto di uno Stato che sia tra i piu' innocentisti o liberisti.

GLI STATI IN CUI L'INTERMEDIAZIONE E' LECITA, ANZI OBBLIGATORIA

Per completezza, va riferito che vi sono anche Stati nei quali il fenomeno non soltanto e' lecito, ma e' addirittura obbligatorio per legge. Sono i Paesi dell'area mediorientale, quali gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita. L'impresa straniera non puo' operare in questi Stati se non si iscrive in particolari registri, nei quali occorre dare la prova che si e' "sponsorizzati" da una ditta locale. Talvolta e' persino obbligatorio esibire il contratto concluso con lo sponsor locale. Simili leggi fissano persino i minimi del prezzo da corrispondersi allo sponsor, che tassativamente deve avere la nazionalita' dello Stato di sede.
A ben vedere, quando la intermediazione e' cosi' disciplinata e resa pubblica in virtu' di norme imperative e inderogabili, puo' legittimamente dubitarsi che si sia in presenza di vera e propria corruzione. Come molti operatori ritengono, in questi Stati prevale piuttosto la tendenza a caricare sull'investitore straniero una sorta di tassa di ingresso intesa a favorire, mediante un beneficio imposto per legge, gli operatori locali, a prescindere dal fatto che essi rendano o no un utile servizio all'investitore estero.
Si tratta, insomma, per quei Paesi, di un'opportunita' per diffondere ricchezza al loro interno, mediante l'imposizione allo straniero di un extra-onere, del tutto trasparente, di entita' uguale per tutti, quale che sia l'aggiudicatario.
Si noti che tali legislazioni descrivono con accuratezza i servizi che si possono affidare tanto al service agent (incaricato di un singolo affare attuale) quanto al commercial agent (incaricato di una pluralita' di affari futuri). Tra tali servizi mai compare il mandato di influenzare la decisione dell'ente committente in ordine all'aggiudicazione dell'affare. Insomma, anche tali leggi - le piu' favorevoli al fenomeno - ben si guardano dal legittimare la corruzione come tale.

LA CONTROVERSIA TRA MANDANTE E MANDATARIO: L'ATTEGGIAMENTO DELLE PARTI DAVANTI ALL'ARBITRO

Come insorgono le controversie tra il mandante e il mandatario?
Normalmente la controversia nasce perche' il mandante si rifiuta, in tutto o in parte, di onorare l'obbligo di pagamento, nonostante il contratto principale sia stato aggiudicato al mandante e dunque nonostante abbia avuto successo l'intermediazione del mandatario.
In tali casi e' frequente che il mandante eccepisca che i servizi affidati all'agente non sono stati resi e che il contratto principale e' stato aggiudicato, senza alcun nesso di causalita' con i servigi dello sponsor che, o non vi sarebbero stati del tutto, o non avrebbero comunque influenzato l'esito della gara. Le raccolte di giurisprudenza arbitrale internazionale sono piuttosto ricche di siffatti precedenti.
E' interessante subito notare che assai raramente le parti svelano al Tribunale Arbitrale il reale oggetto del loro contratto, ossia l'intento corruttivo. Al contrario, esse si presentano davanti al Collegio giudicante in apparente accordo circa la validita' e normalita' del loro contratto, ma in controversia sulla sua interpretazione.
La reticenza a dischiudere il reale oggetto del contratto e l'insistenza nel mantenere che si trattava di ordinarie prestazioni professionali, si spiega con la volonta' di evitare sia rischi penali che la ripercussione di negativi effetti sul contratto principale nel frattempo acquisito. Soltanto in rare occasioni e' dato di riscontrare che la natura illecita del contratto viene espressamente eccepita davanti agli Arbitri. Cio' e' avvenuto quando, per mancanza di altri buoni argomenti, il mandante convenuto in arbitrato non ha saputo difendersi che eccependo la nullita' radicale del contratto di sponsorizzazione per l'illiceita' della sua causa, dovendo con cio' inevitabilmente rivelare che lo sponsor era stato incaricato di corrompere l'ente aggiudicante.
Ma e' assai piu' normale che le parti mantengano una sorta di complicita' innanzi agli Arbitri per nascondere che si sia trattato di corruzione.

I LIMITATI POTERI D'UFFICIO DELL'ARBITRO INTERNAZIONALE

Puo' in tali casi l'Arbitro sollevare d'ufficio eccezioni sulla effettiva natura del contratto di agenzia? Il problema non e' di semplice soluzione, giacche' all'Arbitro incombe di decidere secondo quanto le parti gli prospettano, gli argomentano e soprattutto gli provano. Egli puo' ben rifiutare la nomina se intuisce di che si tratta, ma nemmeno questo e' semplice poiche' esistono e sono frequenti anche i validi contratti di intermediazione internazionale in ordine ai quali puo' ben insorgere una controversia giuridica che merita di essere risolta secondo i canoni ordinari.
L'Arbitro prudente e diligente potra', semmai, provocare un piu' approfondito contraddittorio tra le parti nella speranza di poter far emergere la illiceita' o immoralita' della vera causa del contratto da esse concluso. Inoltre in base a quale legge potra' l'Arbitro sollevare l'eccezione dell'immoralita' della causa? La scelta e' tra la legge designata dalle parti, la legge del luogo dell'Arbitrato, una legge individuata dall'arbitro (in particolare quella del Paese importatore), la cosiddetta lex mercatoria che per taluni governa transnazionalmente il commercio internazionale o, infine, criteri di "ordine pubblico internazionale"

. LA LEGGE APPLICABILE. L'AMBIGUA PRASSI DEI LEGISLATORI NAZIONALI CHE ADOTTANO UNA "DOPPIA MORALE"

Se si seguira' la legge scelta dalle parti, il contratto di intermediazione rischiera' di risultare comunque valido, o perche' quella legge non ne vieta l'oggetto, o perche' simile legge sara' indifferente e neutra rispetto alla illiceita' dell'oggetto proclamata dalla legge del Paese importatore.
Se, invece, si seguira' la legge del Paese importatore, che e' poi la legge regolatrice del contratto principale, sara' gioco forza concludere che il contratto ha oggetto illecito o contra bonus mores, o espressamente vietato, e che pertanto esso e' nullo.
Incerto e' il risultato se si intende pervenire alla decisione secondo la lex mercatoria.
Posto che questa rifletta il comune sentire della comunita' degli Stati, non e' affatto detto che l'Arbitro troverebbe in essa univoche linee guida per la sua decisione.
E' infatti noto che la legislazione di molti Paesi e' ispirata a un fondamentale dualismo a seconda che l'intermediazione (e ancor piu' la corruzione) avvenga in relazione a contratti pubblici interni, cioe' nazionali, oppure in relazione a contratti d'esportazione che trovano realizzazione al di fuori dello Stato.
Nel primo caso il fenomeno e' assolutamente vietato; nel secondo e' permesso o addirittura incoraggiato.
Si veda, ad esempio, la legislazione francese per la quale l'impresa esportatrice che abbia sostenuto oneri di intermediazione per l'acquisizione della commessa estera e' autorizzata a dedurli fiscalmente, stilando formulari prestabiliti dall'autorita' statale indicanti l'ammontare e il percettore, ed e' persino esentata in taluni casi di particolare delicatezza politica dall'onere di provare chi sia il reale percettore.
Anche in Italia, quando era in vigore una normativa valutaria restrittiva e l'esportazione di capitali era soggetta a rigidi controlli, il pagamento di intermediazioni per l'acquisizione di commesse estere era esplicitamente disciplinato: fino a un certo ammontare il controllo era effettuato dalla banca; per ammontari superiori interveniva il Mediocredito Centrale; per casi eccezionali, nei quali non poteva rivelarsi il nome del beneficiario, interveniva il Ministro del Commercio con l'Estero.
Si badi bene che sia in Francia sia in Italia, la natura reale dell'intermediazione e' data per nota: cio' nonostante, lo Stato e la legge si prestano a regolamentarla, adottando l'unica discriminante che il contratto - cosi' come il beneficiario - siano esteri.
L'unico Paese al mondo che abbia disciplinato con rigore la materia sono gli Stati Uniti, il cui Foreign Corruption Practice Act proibisce in maniera assoluta la corruzione anche se svolta all'estero in favore di soggetti stranieri per l'acquisizione di commesse o affari esteri. Al di fuori di questa lodevole eccezione, la maggior parte degli Stati si allinea su una cinica e ambigua "doppia morale": vietato all'interno; lecito (o irrilevante) se effettuato all'esterno.

IL SILENZIO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE SUL PUNTO

Anche il diritto internazionale vero e proprio sarebbe di scarso ausilio all'Arbitro chiamato a dirimere la controversia ipotizzata.
La collaborazione tra gli Stati per la repressione del fenomeno e' pressoche' inesistente; anzi, come si e' visto lo Stato esportatore ha spesso tendenza ad agevolare le proprie imprese. Ne e' un eloquente sintomo l'assenza di trattati internazionali obbliganti la repressione della corruzione nel commercio internazionale.
Nella storia del diritto internazionale gli esempi non mancano. Quando la comunita' internazionale ha sentito la necessita' di intervenire, l'ha fatto mediante convenzioni che obbligano e uniformano la pena e internazionalizzano la portata del crimine.
Si vedano gli esempi della pirateria aerea, del terrorismo, del contrabbando di droga e, in una parola, di quelli che efficacemente si chiamano crimina juris gentium.
L'Onu aveva elaborato sin dal 1979 un progetto di convenzione internazionale sui pagamenti illeciti, progetto poi archiviato.
Altrettanto dicasi dei "princi'pi direttivi" varati dall'Ocse oppure dei "codici di condotta" varati da molteplici organismi internazionali che intervengono nell'economia o nello sviluppo internazionale.
Da nessuno di tali progetti e' mai emerso un trattato internazionale reprimente il pagamento di commissioni illecite nelle operazioni del commercio internazionale. Segno che lo stesso pagamento non e' ancora avvertito dalla comunita' internazionale come un crimen juris gentium.
Per la corruzione internazionale puo' allora dirsi che si e' davanti a un paradosso: unanime riprovazione, universale diffusione. Vi e' antagonismo fra regola proclamata e condotta praticata. Si sente un bisogno d'ordine ma si propende al compromesso e all'indulgenza.
Le scarse norme esistenti testimoniano l'inserimento sociale del fenomeno, richiamandosi espressamente a "usi" o "pratiche" o "consuetudini" per definire la corruzione nel commercio internazionale, ma non vi fa riscontro una norma internazionale inibitoria e per lo meno dissuasiva.

LA DIFFICOLTA' DI PROVA DELL'ILLICEITA'

Tornando, ora, alle difficolta' di un procedimento arbitrale svolto per dirimere la controversia tra mandante e sponsor, la principale difficolta' e' costituita dalla prova del fatto, ossia dalla reale possibilita' che - date le caratteristiche tecniche di un simile processo - si sia capaci di acquisire la prova che lo sponsor ha usato o doveva usare la propria commissione per incidere sull'aggiudicazione della gara corrompendo gli organi decisori. Si sa che l'Arbitro internazionale svolge un ruolo, privato, di mero mandatario delle parti e che egli - a differenza del giudice nazionale - non possiede ne' mezzi ne' poteri coercitivi, ne' strutture istituzionali che lo affianchino nella fase delle indagini.
Anzi, in senso stretto, gli e' persino preclusa una autonoma iniziativa di indagine, giacche' protagoniste esclusive del procedimento arbitrale sono le parti che lo hanno istituito e all'Arbitro e' solo consentito di dare risposta ai quesiti controversi e contraddittori che le parti hanno concordato di sottoporgli. Di null'altro l'Arbitro dovra' o potra' occuparsi.
Non e' l'arbitrato commerciale internazionale lo strumento piu' idoneo per reprimere la corruzione. Fintanto che le parti perdureranno nel negargli che il loro contratto avesse un oggetto illecito o immorale e fintanto che prove contrarie non verranno acquisite a opera soltanto dell'una o dell'altra parte (che non ne ha alcuna motivazione) all'Arbitro non restera' che decidere la lite sul presupposto che il contratto fosse valido.

L'ESAME DEI LODI ARBITRALI

L'esame dei lodi arbitrali pronunciati nel settore e' quanto mai chiarificatore.
Costituiscono minoranza i lodi che danno per provata la natura illecita dell'operazione.
Costituiscono altresi' minoranza i lodi nei quali si e' potuto pervenire a rigettare la domanda sulla base di una presunzione di illiceita' della causa e dell'oggetto del contratto.
Costituiscono, invece, l'assoluta maggioranza i lodi nei quali il contratto e' stato ritenuto lecito alla stregua della legge che l'Arbitro doveva applicare, o ha ritenuto di applicare, per la risoluzione della lite.

LE POSSIBILITA' PER L'ARBITRO DI SUPERARE L'ACCORDO DELLE DUE PARTI

Il difetto del sistema sta dunque nel criterio che l'Arbitro internazionale puo' o deve seguire nel determinare la legge alla cui stregua egli perverra' al suo lodo finale.
A opinione dello scrivente, non svolge un corretto esercizio l'Arbitro che si attenga pedissequamente alle indicazioni delle parti. Se per la legge scelta dalle parti l'intermediazione e' lecita, ma non lo e' per la legge dello Stato del contratto principale, sembra assai piu' appropriato dare rilevanza preminente a quest'ultima. Essa, infatti, e' la legge dello Stato importatore, cioe' di quello che ha il piu' vitale interesse nell'operazione. Essa e' inoltre la legge che ha governato la fase di aggiudicazione del contratto principale e che regolera' lo stesso rapporto nascente dal contratto principale, cioe' il rapporto intercorrente tra l'impresa mandante e lo Stato locale.
Pare evidente che se per la legge che regola il contratto principale e' penalmente vietata non solo la corruzione bensi' anche la sola intermediazione nei pubblici contratti di appalto e fornitura, il fatto che la mandante abbia acquisito il contratto grazie a un'intermediazione che diviene lecita soltanto perche' assoggettata a una legge "terza" non puo' rimanere privo di rilevanza.
Queste paiono essere espressioni moralistiche o sociologiche, piu' che argomentazioni tipiche del giurista. Si sa che il giurista abbisogna anche di dati normativi precisi e concreti nell'individuazione della giusta soluzione. A me sembra che un Arbitro internazionale, sol che lo voglia, non sia privo di tali ancoraggi normativi.
Uno e' costituito dal comune principio che consente di disapplicare la designazione fatta dalle parti di una legge "terza" disancorata totalmente dal rapporto sottostante sicche' la designazione apparira' effettuata "in frode alla legge", nell'intento di evadere dalle norme imperative dello Stato con cui altrimenti l'operazione commerciale sottostante e' intimamente connessa.
L'altro principio basilare e' quello per il quale all'Arbitro incombe l'onere di effettuare un servizio utile, il che significa rendere un lodo che poi risulti eseguibile.Dai due suddetti princi'pi puo' agevolmente ricavarsi che all'Arbitro incomba di valutare la controversia alla stregua della legge che possiede il piu' intimo collegamento con il dato sostanziale, ossia con l'operazione di commercio internazionale di cui si tratta, e in particolare gli incomba di far si' che non vengano evase le norme di "applicazione necessaria" di tale legge, quale che sia la legge designata tra mandante e mandatario nel loro contratto.
Tale e' la conclusione a cui induce la convenzione di Roma sulla Legge Regolatrice delle Obbligazioni Contrattuali il cui art. 7 prevede che, quale che sia la legge regolatrice del contratto, la sua scelta non puo' recare pregiudizio alle norme imperative di un altro Paese con il quale la situazione presenti uno stretto legame.
Quanto all'eseguibilita' del lodo, l'Arbitro dovra' tener conto del principio consacrato nell'art. 5 della Convenzione di New York del 1958 sull'esecuzione di sentenze arbitrali straniere: per suo effetto, il riconoscimento o l'esecuzione di una sentenza arbitrale puo' essere rifiutato quando l'autorita' giudiziaria del Paese in cui il riconoscimento e l'esecuzione sono richiesti ravvisi che la materia oggetto della disputa non sarebbe stata arbitrabile secondo la propria legge o che il riconoscimento del lodo si porrebbe in contrasto con l'ordine pubblico del proprio Paese.

CONCLUSIONI

I due canovacci ora riferiti possono costituire un'utile cornice per il compito dell'Arbitro internazionale che si trovi a dirimere la controversia sorta da un contratto di intermediazione.
Per verificarne la liceita' egli non potra' prescindere dalla legge del Paese avente il piu' stretto legame con l'operazione, ossia dalla legge del Paese importatore, i cui dettami imperativi saranno in tal modo salvaguardati. L'Arbitro dovra' rendere una sentenza che risulti eseguibile, e non sarebbe eseguibile nella maggior parte degli Stati - per contrarieta' all'ordine pubblico - qualora l'Arbitro avesse sorvolato sulla natura illecita dell'oggetto del contratto in relazione al quale e' sorta la controversia sottopostagli.
In conclusione, se ben utilizzati tali strumenti consentono che l'arbitrato internazionale non si presti ad avvallare fenomeni corruttivi, scoraggiando il beneficiario della commissione dall'attivare procedimenti arbitrali astrattamente costruiti per evadere le sanzioni della legge, e in sostanza per vincolarlo a un rigido dilemma: o rivolgersi a giudici nazionali per rivendicare crediti contro il mandante, cosi' rischiando le sanzioni; oppure mantenere a proprio rischio il mancato recupero di quei crediti, fatto che determinerebbe in modo esplicito qual e' il miglior destino per "crediti" sorti da un patto illecito.