di Agostino Massa
IL PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE CAMBIA L'EUROPA
Le imprese che hanno scelto di misurarsi con il Mercato Europeo
hanno cercato in primo luogo di acquisire una dimensione tale da
rendere possibile questo confronto. Nel caso di imprese
multinazionali o globali hanno costituito una divisione regionale
ad hoc per il mercato europeo, mentre imprese piu' piccole,
tradizionalmente rivolte a un singolo mercato nazionale, hanno
cercato di acquisire una massa critica sufficiente tramite fusioni
e acquisizioni. L'attivita' di merger & acquisition e' aumentata
in Europa di ben otto volte dal 1985 al 1992 (Tijmstra - Casler
1992). Dopo una fase di stallo successiva al 1990, l'anno di
maggiore attivita' con una spesa di 40,4 miliardi di sterline per
transazioni internazionali in Europa, nel 1994 c'e' stata una
forte ripresa ("Financial Times" 1995). Allo stesso modo sono
aumentate freneticamente le attivita' di joint venture e le
alleanze strategiche con partner internazionali. Molte delle
imprese operanti oggi in Europa si configurano come imprese
transnazionali, ossia originate "dalla fusione di due soci di
nazionalita' differente" (Bollinger - Hofstede 1989: 195).
Dal punto di vista organizzativo, un aspetto interessante
dell'approccio di queste imprese al Mercato Europeo e' costituito
dal ripensamento della tradizionale struttura per mercati
nazionali, ormai troppo costosa a causa di innumerevoli
duplicazioni in quasi tutte le funzioni e della sua sostituzione
con soluzioni nuove. Una tendenza che si sta consolidando mostra
come le imprese si riorganizzino per affrontare un mercato europeo
inteso come un sistema di Euro-cluster regionali (Vandermerwe
1993), che comprendono clienti geograficamente vicini ma che non
vivono necessariamente nello stesso Paese, con caratteristiche
economiche, demografiche e di stile di vita identiche o quasi, con
simili necessita' e comportamento di acquisto, e con differenze
non determinate su base nazionale. Per affrontare questo tipo di
mercato le imprese devono trasformare la loro struttura da una
"federazione" di organizzazioni nazionali a un'unica
organizzazione pan-europea, spostando a questo livello il processo
di "creazione del valore". Questa nuova struttura sara' articolata
su tre livelli: pan-europeo, regionale e locale.
Le caratteristiche dell'ambiente economico hanno stimolato la
ricerca di uno stile europeo alla conduzione delle imprese, dal
momento che i modelli manageriali americani non sono un rimedio
per tutti i tipi di guai aziendali e che i modelli giapponesi non
si possono applicare automaticamente all'estero. Parlando di uno
stile "europeo" intendiamo riferirci pero' a uno stile che possa
essere ricondotto alle diverse realta' economico-culturali del
continente, non a una realta' autonoma e a esse sovraordinata che
oggi non esiste. La ricerca di questi nuovi modelli e' andata di
pari passo con un processo di internazionalizzazione del
management, che puo' essere letto in una duplice prospettiva. Per
un verso, e' aumentata la tendenza delle imprese "transnazionali"
o "multinazionali" a riflettere queste loro caratteristiche anche
a livello del consiglio di amministrazione o del top management,
cooptando persone appartenenti a culture diverse. Esempi
significativi in questo senso ci giungono da multicultural
multinationals come Asea Brown Boveri, che puo' vantare un board
di otto direttori di quattro diverse nazionalita' e un comitato
esecutivo di otto persone di cinque diversi Paesi, come Royal
Dutch/Shell, che ha ben 38 nazionalita' rappresentate nel suo
quartier generale di Londra ("The Economist" 1994: 59), o come
Whirlpool Europe, che ha oggi nel suo senior staff dirigenti di
diversa estrazione culturale, sia europea che extra-europea, tra i
quali anche un indiano e un sud-africano ("The Economist" 1992).
Per un altro verso, la consolidata tendenza alla globalizzazione
dei rapporti economici e sociali ha avuto tra i suoi effetti un
ampliamento degli orizzonti operativi e culturali dei dirigenti.
In pratica, si e' accentuata la loro mobilita' transnazionale e la
frequenza delle loro interazioni con soggetti internazionali. é
emersa l'esigenza delle imprese di pianificare e coordinare le
attivita' su scala europea e la crescente richiesta da parte degli
alti dirigenti che in esse lavorano di sviluppare carriere
internazionali all'interno della stessa area (Thurley - Wirdenius
1991). Questo processo di europeizzazione del management ha
coinvolto sia i dirigenti alla guida di business transnazionali
(Managers for Europe) sia i dirigenti inseriti in contesti locali
ma costretti a confrontarsi quotidianamente con le sfide della
globalita' (Managers in Europe) (Storey 1992). Si e' diffusa la
richiesta di figure dirigenziali nuove, come quelle
dell'international manager o dell'expatriate (Scullion 1992).
L'analisi dell'evoluzione del sistema economico europeo e dei
processi di riorganizzazione delle imprese ci conduce alla
questione centrale di questa riflessione: qual e', o quale deve
essere, il profilo del dirigente piu' adatto a guidare le imprese
europee in questo difficile momento di transizione? Il dibattito
su questi temi, sia in ambito scientifico che nella stessa
business community, e' stato molto vivace, soprattutto nel periodo
precedente l'avvio del Single European Market del primo gennaio
1993. In questi ultimi anni e' stata avanzata l'ipotesi che stia
emergendo un nuovo approccio all'organizzazione e alla direzione
aziendale, definito come European management, distinto sia dal
modello americano che da quello giapponese (Tijmstra - Casler
1992), che dovrebbe consentire alle imprese transnazionali di
affrontare con successo la complessita' dell'ambiente economico e
sociale europeo. Questi princi'pi dovrebbero essere concretizzati
nella realta' della gestione aziendale da parte di quelli che
abbiamo definito come Euro-managers, dirigenti europei che si
discostano dai tradizionali modelli di dirigente nazionale per
riconoscersi invece in un profilo professionale nuovo.
TRE ELEMENTI DEFINISCONO L'EURO-MANAGER
Il profilo dell'Euro-manager si puo' tratteggiare sulla base di
tre elementi: le caratteristiche socio-anagrafiche e
professionali, il percorso formativo svolto, l'organizzazione in
cui opera. Sotto il primo aspetto l'Euro-manager sembra emergere
come un tipo particolare di international manager, che sviluppa la
propria carriera all'interno dell'area europea. Dotato di una
solida competenza tecnica e manageriale di base e di una buona
disposizione nei confronti della mobilita' transnazionale, le sue
caratteristiche principali si possono riassumere in una
particolare capacita' di comprendere l'ambiente economico europeo
e la complessita' delle sue implicazioni culturali, sociali e
politiche. In questo ambiente il dirigente deve saper progettare,
creare e condurre nuove forme di attivita' economica che superino
le frontiere e si muovano tra culture diverse. A questo scopo deve
essere in grado di dialogare e di ottenere il sostegno degli
stakeholders dei differenti Paesi in cui l'organizzazione opera.
Nell'attivita' quotidiana deve dimostrare la capacita' di condurre
gruppi di lavoro composti da membri appartenenti a nazionalita' e
a culture diverse, o di lavorarvi all'interno. Particolare
attenzione deve essere posta nel rafforzare l'impegno di tutti i
membri dell'organizzazione, qualunque siano i loro valori
culturali d'origine, nei confronti dell'identita' e della missione
aziendale.
L'Euro-manager non deve essere necessariamente originario di un
Paese europeo. Secondo alcuni, proprio dirigenti americani o
giapponesi sarebbero potenzialmente ottimi candidati per questi
ruoli, in quanto la loro capacita' di comprensione delle
caratteristiche della realta' europea non sarebbe viziata
dall'appartenenza ad alcuna singola cultura nazionale. Secondo
altri, invece, questa comprensione sarebbe al contrario per loro
piu' difficoltosa, data la loro provenienza da culture fortemente
standardizzate. Gli americani poi sarebbero ulteriormente
penalizzati dal fatto di essere di madrelingua inglese, la
qualcosa se per un verso li facilita nei contatti con la Comunita'
economica internazionale, per un altro non li spinge
all'apprendimento di lingue straniere, che costituiscono a loro
volta le chiavi indispensabili per l'accesso ad altre culture.
Il problema del reclutamento di Euro-managers da parte delle
imprese puo' essere ricondotto all'alternativa "Making managers
European / Making European managers" (Storey 1992), ovvero intorno
alla scelta tra selezionare international managers con una
conoscenza e una pratica acquisite dell'ambiente economico
europeo, oppure selezionare neo-laureati con una specifica
preparazione a una carriera europea. C'e' chi non considera questi
due approcci come alternativi (Keenan 1992), e ne consiglia invece
l'utilizzo combinato. Un dirigente con una significativa
esperienza in campo europeo sara' indicato per ricoprire incarichi
di grande responsabilita', mentre l'ingresso in azienda di giovani
preparati e motivati puo' dar luogo all'emergere di buone
potenzialita'. Il comportamento delle imprese nel reclutamento
conferma questa tendenza a selezionare meta' dirigenti di un tipo
e meta' dell'altro (Bournois - Chauchat 1990).
Soffermiamoci ora sul problema della formazione dei futuri Euro-
managers, che si gioca quasi interamente all'interno dello
specifico percorso universitario o post-universitario che il
giovane con una simile vocazione deve compiere. Diventa cruciale
in questo contesto la scelta dell'istituzione formativa piu'
adatta, generalmente una school of business che offra un
particolare tipo di Mba. Un'istituzione educativa che voglia
formare Euro-managers, in primo luogo, deve avere essa stessa un
carattere transnazionale e un orientamento europeo/internazionale
a tutti i livelli, dal corpo docente a quello studentesco, dai
programmi ai singoli argomenti sviluppati. L'approccio educativo
deve essere basato su materiali europei/internazionali e
supportato da letture, studi di caso, progetti di lavoro. Sara'
prevista l'effettuazione di stages internazionali con lo scopo di
assicurare la consapevolezza e la comprensione dell'attivita'
economica transnazionale. L'istituzione, che dovrebbe avere sedi
localizzate in Paesi diversi, avra' un'advisory board
europea/internazionale che guidi e supporti il suo sviluppo.
Questo consiglio comprendera' membri accademici riconosciuti e
rappresentanti del mondo delle imprese, provenienti da
organizzazioni che abbiano conseguito traguardi di eccellenza nel
management europeo (Tijmstra - Casler 1992).
Per quanto riguarda infine l'organizzazione in cui un Euro-manager
opera, questa sara' come minimo un'impresa di tipo transnazionale,
nell'accezione di Bollinger e Hofstede (1989: 195), per la quale
il Mercato Europeo sia di importanza strategica.
Queste caratteristiche dell'Euro-manager identificate in
letteratura sono state verificate nella realta' delle aziende
europee in una recente ricerca sui "Processi di
internazionalizzazione del management italiano".1 In quest'ambito,
uno studio di caso realizzato presso il management europeo di uno
dei maggiori gruppi mondiali nel settore degli elettrodomestici ha
prodotto risultati di un certo interesse, relativi sia alle
caratteristiche dei dirigenti sia ai loro atteggiamenti e alle
loro valutazioni.
Il gruppo industriale considerato ha recentemente provveduto a
riorganizzare la propria struttura europea sul modello a tre
livelli precedentemente illustrato. Per la parte relativa al
management, lo studio di caso si e' focalizzato sulle
caratteristiche e sugli atteggiamenti di un campione pari a circa
il 25% dei dirigenti presenti nell'headquarter europeo. Da questo
studio e' emersa una sostanziale conferma delle caratteristiche
piu' importanti del dirigente europeo degli anni Novanta,
precedentemente individuate a livello teorico, che possono essere
riunite in tre gruppi. Le doti che senza dubbio ricorrono con piu'
frequenza sono quelle di flessibilita' e versatilita', unite alla
capacita' di padroneggiare il cambiamento. In questo contesto
numerosi dirigenti hanno messo in evidenza la necessita' di
adottare una visione globale dei problemi, di prestare attenzione
ai processi, e di essere in grado di lavorare superando la singola
funzione. Un secondo gruppo che ha riscosso notevoli consensi
comprende le competenze della comunicazione, intesa sia come
capacita' di comunicare che come conoscenza di lingue straniere.
La necessita' di apprendere diverse lingue straniere si collega
con l'esigenza di sviluppare una sensibilita' nei confronti delle
specificita' di altre culture e mentalita'. A questo scopo risulta
molto utile aver maturato esperienze di tipo internazionale in
diversi contesti. In terzo luogo, infine, e' stata evidenziata
l'importanza dell'abilita' nella gestione delle risorse umane e
dei rapporti con le persone. Il buon dirigente deve tenere un
atteggiamento rivolto alla comprensione dell'interlocutore, a
saper parlare ma anche a saper ascoltare, a motivare in modo
adeguato i propri collaboratori. Altre caratteristiche sono state
indicate con un'intensita' decisamente minore. Queste vanno dalla
"capacita' di capire al volo le situazioni e i problemi e quindi
trovare subito la soluzione migliore" alle capacita' di leadership
e di pianificazione, dalla consapevolezza della "vision"
aziendale all'orientamento al lavoro di gruppo, alla
concentrazione sul soddisfacimento delle esigenze del consumatore.
Alcuni infine hanno fatto un esplicito riferimento alla necessita'
di acquisire un'elevata professionalita' nel proprio settore. Per
quanto riguarda invece l'esistenza di un Euro-manager nei termini
da noi delineati, l'opinione prevalente e' che ci si stia
incamminando verso una figura di questo tipo, ma che la strada da
percorrere sia ancora tanta.
Passando dalle valutazioni soggettive a una disamina delle
caratteristiche socio-anagrafiche e professionali dei dirigenti
riteniamo di dover evidenziare i seguenti dati. Il livello di
istruzione raggiunto e' di ottimo livello, avendo la quasi
totalita' dei dirigenti conseguito almeno una laurea. Tranne gli
anglosassoni, per i motivi precedentemente ricordati, tutti
parlano da una a quattro diverse lingue straniere, e sono soliti
leggere anche stampa estera, soprattutto quella a carattere
economico. La maggior parte di loro vanta significative esperienze
di lavoro all'estero, pregresse o in corso, mentre pochissimi
avevano potuto trascorrere periodi formativi all'estero da
studenti. Con riferimento alle modalita' formative precedentemente
evidenziate, possiamo dire che questa generazione di Euro-managers
non ha ricevuto una specifica preparazione, ma si e' formata nel
corso di una carriera sviluppata attraverso l'Europa.
Nell'attivita' lavorativa quotidiana come per le prospettive di
carriera, il quadro di riferimento per tutti i dirigenti
considerati e' quello di un'impresa che ha scelto di diventare
globale. Questo significa confrontarsi ogni giorno con il Mercato
Europeo ma saperlo collocare anche nel piu' ampio contesto della
globalita', senza per questo perdere di vista le peculiarita' dei
singoli ambiti locali. Nell'attivita' pratica, i dirigenti
condividono la frequente partecipazione a gruppi di lavoro con
persone di diverse nazionalita' e culture, un costante contratto
con interlocutori sparsi in tutta Europa, una frequenza elevata di
spostamenti all'interno della stessa area, talvolta anche negli
Usa.
Le dinamiche "omogeneizzanti" ed "eterogeneizzanti" che
attraversano oggi l'Europa (Appadurai 1990) rendono il suo mercato
unico al mondo. A differenza di realta' piu' standardizzate, come ad
esempio quelle degli Usa o del Giappone, la societa' europea
conosce meglio i vincoli e le opportunita' di una societa'
multiculturale, per esperienze maturate sia all'interno, data la
compresenza di diverse entita' nazionali in un ambito territoriale
assai circoscritto, sia all'esterno, data la pressione ai confini
di altre realta' culturali, prima fra tutte quella islamica sul
fronte sud-orientale. In questo contesto, le imprese
transnazionali rivolte al Mercato Europeo tendono a riorganizzare
la loro presenza sul territorio in modo da essere piu' adeguate
alle nuove realta' regionali, e a sviluppare una politica delle
risorse umane tale da riprodurre all'interno dell'ambiente
organizzativo la varianza che si incontra nell'ambiente sociale
esterno. I dirigenti europei che si trovano a fronteggiare le
sfide della multiculturalita' hanno sviluppato particolari
caratteristiche e orientamenti che abbiamo riassunto nella figura
dell'Euro-manager. Sulla base delle prime conclusioni delle
ricerche sull'argomento, questa figura risulta essere quella di un
"dirigente a tre dimensioni", dal momento che deve essere in grado
di confrontarsi contemporaneamente con la complessita' culturale
delle dimensioni locale, europea e globale. Questa
tridimensionalita' e' prioritaria al livello del top management ma,
come atteggiamento mentale nei confronti dell'ambiente europeo,
deve essere patrimonio di tutti i membri dell'organizzazione.
Un aspetto cruciale e' quello relativo alla formazione degli Euro-
managers. Se fino a questo momento le imprese hanno reclutato
dirigenti che hanno acquisito con l'esperienza le capacita' per
muoversi nell'ambiente economico europeo, ora cominciano a cercare
giovani con una preparazione specifica da avviare a una carriera
transnazionale. L'esigenza e' allora quella di organizzare
istituzioni formative che preparino a queste carriere, non solo
insegnando ad applicare le tecniche manageriali ma anche a
lavorare, e quindi a dirigere, in un ambiente multiculturale.
Insieme alle applicazioni dell'innovazione tecnologica ai settori
della telematica e del multimediale, le sfide della
multiculturalita' rappresentano un aspetto importante del processo
di globalizzazione. Sono quindi sfide che si pongono oggi - o si
porranno tra poco - ai dirigenti delle imprese di tutto il mondo.
é stato osservato in proposito (Henzler 1992) che, proprio per la
loro consuetudine a operare in un ambiente complesso ed eterogeneo
e per la tradizione di inclusivita' della loro cultura, i dirigenti
europei siano su questo fronte piu' avvantaggiati di altri nel
rispondere a queste nuove sfide manageriali.
Note
1)"La ricerca e' stata realizzata nel 1994 dal Dipartimento di Sociologia dell'Universita' Cattolica di Milano e dall'Istituto di Scienza Politica dell'Universitˆ di Genova, sotto la direzione scientifica del professor Giancarlo Rovati.
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