vai al sito della Camera di Commercio di Milano

Impresa & Stato N°29 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

QUALE CULTURA PER LA CITTA': PIANIFICAZIONE CULTURALE E RINASCITA URBANA

di Chiara Giaccardi


NEGLI ULTIMI ANNI sono state avviate, prima negli Usa e poi in Europa, una serie di esperienze che hanno posto lo sviluppo dell'industria culturale e del consumo di cultura al centro del processo di rivitalizzazione delle grandi citta'. Esempi di una tale politica urbana sono, nell'America del Nord, Toronto, Boston, Dallas, Denver e, in Europa, Rotterdam, Glasgow, Barcellona. La stessa Comunita' Economica Europea ha assunto un ruolo propositivo, creando fondi specificatamente volti a sostenere programmi che prevedano lo sviluppo dell'attivita' culturale e turistica delle grandi citta'. Proprio la rilevanza di tale tematica ha stimolato l'avvio di programmi di ricerca sulle politiche culturali di alcune grandi citta' europee: l'European Leisure Research Network, per esempio, ha attivato ricerche di questo tipo in Inghilterra, Spagna, Olanda e Grecia. I primi esempi di pianificazione culturale urbana risalgono agli anni '70, negli Usa: in citta' come New York, Baltimora, San Francisco, Denver, alcuni gruppi legati alle arti e alla cultura entrarono a far parte delle growth coalitions insieme alle istituzioni governative, alle imprese, agli istituti finanziari e cosi' via (Porter 1980; N. Fainstein e S. Fainstein 1982). Queste partnerships composite hanno avuto il pregio di dimostrare come l'investimento in infrastrutture legate alla produzione e al consumo di cultura sia remunerativo in termini di immagine della citta' (quindi turismo, investimenti), creazione di nuove opportunita' di impiego e potenziamento di attivita' indirettamente collegate al consumo di cultura (bar, ristoranti, negozi), miglioramento della qualita' della vita degli abitanti, senso di integrazione sociale. L'esperienza americana ha dunque portato alla ribalta l'importanza della cultura nelle politiche urbane e regionali, importanza che richiede pero' di essere rivalutata e riconsiderata nei contesti diversi da quello statunitense. Per vagliare le potenzialita' di questo concetto nel contesto europeo in generale e italiano in particolare e' necessario tener conto delle specificita' che caratterizzano le diverse situazioni, e dei diversi tipi di risorse culturali che si prestano a una valorizzazione economica e a una politica di rigenerazione urbana.1 La definizione di cultura e di industria culturale che viene oggi generalmente usata a scopo operativo tende poi a privilegiare l'aspetto produttivo, a scapito di una accezione piu' articolata del concetto. Un recente esempio e' riportato in una ricerca sull'importanza economica dell'industria culturale a Manchester: "We define the culture industry as including all forms of activity associated with what is traditionally understood as art and popular culture. This includes the live performance and singular artistic production, together with the recorded and reproduced production in the audio and visual media" (Winne 1989: 3). Tale definizione e' da un lato troppo generale nella sua formulazione, dall'altro troppo vincolata all'aspetto produttivo e manca di una sufficiente elaborazione teorica che consenta di fornire dei criteri di orientamento e progettualita' in un fenomeno altrimenti complesso e talmente pervasivo da diventare sfuggente. Oltre a tenere conto, quindi, delle specificita' culturali, economiche, politiche delle diverse situazioni in cui operare la pianificazione culturale occorre, come operazione preliminare, delimitare e specificare i concetti utilizzati. RIGENERAZIONE E CULTURA Il concetto di rivitalizzazione e' una sorta di metafora generativa, una formula chiara che funziona da chiave interpretativa e unificante di una serie di spinte di rinnovamento, indicandone insieme un obiettivo. Il termine e' usato soprattutto in ambito antropologico, dove indica lo sforzo collettivo di dare una risposta a una serie di bisogni sociali, tra i quali: 1) il rinvigorimento di strutture sociali stanche o provate da crisi; 2) la necessita' di riattribuire un significato alle forme strutturate di routine socio-economica; 3) la necessita', per le societa' immerse in processi di globalizzazione, di mantenere chiaro e vivo il senso della propria identita' e del proprio ruolo. Appare immediatamente chiaro come quello italiano, nella congiuntura politica, economica, civile e ideologica che lo caratterizza in questo preciso momento storico, e' un contesto in cui alla necessita' di rigenerazione si affianca il rischio di risposte che vanno nella direzione opposta a quella della cultura (che, nella accezione etimologica - dal latino colere - significa crescere, dare frutto), verso fenomeni quali intolleranza, separazione, sfruttamento demagogico e populista del malcontento e della crisi che investe l'economia e le istituzioni. Rispetto ai problemi 1 e 3 appare cruciale la questione del significato: la capacita' di conferire, rafforzare, far circolare significati socialmente condivisi e/o in grado di funzionare da collante sociale per gruppi di interesse e subculture all'interno del sistema sociale nel suo insieme diventa di primaria importanza nel quadro di una politica di rivitalizzazione urbana. Non basta, infatti, stimolare interventi e incentivare singoli settori, ma occorre coordinare le iniziative in un progetto complessivo e, soprattutto, collocare ognuna di esse in una prospettiva culturale che dia a essa significato. E' proprio la sua capacita' di conferire un significato sociale e simbolico alle scelte pragmatiche che fa della cultura un aspetto chiave della rigenerazione urbana. Il termine cultura denota, tuttavia, un concetto o un insieme di concetti tutt'altro che univoci, come dimostra la ricchezza del piu' recente dibattito sociologico sul tema.2 Dal punto di vista della prospettiva qui adottata, ovvero quella del contributo della pianificazione culturale alla rinascita urbana, e tralasciando aspetti epistemologici e filosofici sulla portata, la natura e la funzione della cultura in quanto tale, si puo' tentare di identificare lo sviluppo che il concetto di cultura ha subi'to in questo secolo, soprattutto sotto la spinta delle trasformazioni tecnologiche, oltre che geografiche e politiche. CULTURA: SVILUPPO E DEFINIZIONE OPERATIVA DEL CONCETTO Bianchini propone implicitamente, con la terminologia che utilizza nei suoi studi sulle politiche culturali europee, un criterio che fa da spartiacque tra due grandi fasi della cultura (e della percezione sociale di essa), criterio basato sui mezzi di produzione prima che sui contenuti: egli distingue infatti tra una cultura pre-elettronica e una cultura contemporanea, profondamente segnata dall'avvento delle nuove tecnologie. Pur senza voler rispolverare determinismi e materialismi ormai superati, puo' essere utile usare questa classificazione per orientarsi nel ginepraio delle definizioni del fenomeno cultura, poiche' la rivoluzione tecnologica segna, oltre che una democratizzazione dell'accesso alla produzione e al consumo di cultura, un ulteriore, importante cambiamento che si rivela particolarmente cruciale nella prospettiva del cultural planning: la fine del divorzio tra economia e cultura, che ha caratterizzato soprattutto (ma non solo) tutte le forme di cultura "alta" e tutte le concezioni di cultura fondate, consapevolmente o meno, sul modello del romanticismo e dell'idealismo. In altre parole questo criterio, se per certi versi e' grossolano (lo spartiacque e' infatti molto recente, collocato intorno agli anni '80), dall'altro consente di mettere a fuoco e di leggere in modo unitario alcuni importanti cambiamenti degli ultimi anni, cogliendone la potenzialita' per la rinascita urbana. Per quanto concerne la cultura pre-elettronica, funzione preminente hanno da un lato le "arti", ovvero le discipline classiche come scultura, pittura, letteratura, musica e teatro, e dall'altra le istituzioni preposte a conservare e tramandare gli oggetti artistici (musei, biblioteche, teatri). Caratteristiche principali di questa definizione "ristretta" di cultura sono quella di considerare esclusivamente la sfera della cultura "alta"(con le implicazioni elitarie che Bourdieu ha sottolineato), quella di favorire l'idea (romantica) di una cultura completamente staccata dalla vita quotidiana ed estranea a essa, fruibile esclusivamente in appositi tempi e spazi e quella di promuovere implicitamente un atteggiamento passivo (la cultura puo' essere solo ammirata, non prodotta) e individualistico (il contatto con l'opera d'arte eleva spiritualmente l'individuo, ma l'esperienza culturale e', per questo, individuale). Non e' compito di questo saggio discutere nella loro completezza ed eventualmente criticare le implicazioni di questo concetto di cultura, ma solo indicare alcune delle linee che sembrano caratterizzare con maggior rilievo il ruolo della cultura nel sistema sociale, e le politiche culturali a esso legate. In questa fase la cultura e' oggetto di finanziamento da parte delle istituzioni governative dei diversi Paesi europei principalmente per la sua funzione educativa. L'avvento e la diffusione capillare delle tecnologie legate all'elettronica produce (o meglio, coincide con) importanti cambiamenti che incidono anche sul concetto di cultura: essi investono l'economia (crisi dell'industria manufatturiera tradizionale, sviluppo del settore dei servizi e del terziario), la politica (maggiore possibilita' di circolazione delle informazioni, effetto "villaggio globale", fenomeni di globalizzazione e nello stesso tempo rinascita di particolarismi), i paradigmi filosofici. Nasce in questo periodo, infatti, il dibattito sul postmoderno come crisi dei modelli tradizionali di razionalita', verita', conoscenza, etica ed estetica. Le possibilita' offerte dalle tecnologie elettroniche di duplicare, simulare, manipolare le immagini della realta', liberandole completamente dal loro rapporto con l'originale e conferendo loro dignita' autonoma o, di piu', potere normativo (l'iperrealta' di Baudrillard) non sono certo irrelate all'enfasi postmoderna sul libero gioco dei significanti, sulla loro possibilita' di fluttuare indipendentemente da un legame di referenzialita', di realta', di verita'. D'altra parte il dibattito sul postmodernismo, nato proprio in ambito architettonico, ha contribuito in modo determinante alla consapevolezza del potenziale di un rinnovamento urbano insito nella dimensione culturale della vita cittadina. Tale contributo si puo' cosi' sintetizzare: n-Crescente consapevolezza della capacita' di tutti, e non solo di un'Žlite, di manipolare i segni, di interpretarli liberamente, di saper attribuire significato agli aspetti anche piu' quotidiani dell'esistenza, di decontestualizzare e ricontestualizzare gli elementi significanti offerti dall'esperienza quotidiana creando percorsi fruitivi personalizzati e capaci di offrire gratificazione ludico- estetica. n-Abbandono della distinzione tra cultura alta e cultura di massa (insieme alle altre opposizioni come vero/falso, soggetto/oggetto e cosi' via). Il concetto di cultura si allarga cosi' fino a includere forme culturali contemporanee quali la fotografia, i video, la musica elettronica, la moda, il design, la pubblicita'. n-Esteticizzazione della vita quotidiana, enfasi sulla componente estetica e piacevole dell'esperienza sensoria quotidiana. E' all'interno del dibattito sul postmoderno che, ispirandosi alle pagine di Walter Benjamin sulle citta' europee e alle sue considerazioni sulla figura dell'urban flaneur, si e' sottolineata la crucialita' dell'ambientazione urbana come contesto di esperienza estetica. Oltre alla rottura della tradizionale opposizione tra cultura alta e cultura bassa, con la conseguente perdita dell'egemonia di un'e'lite culturale e la fine del concetto di pubblico passivo, gli anni '80 segnano un ulteriore, importante cambiamento: la fine della separazione tra sfera culturale e sfera economica. In epoca di espansione economica e forti investimenti, la sfera della cultura rivendica una legittimita' non solo per la sua funzione educativa e per l'integrazione sociale che e' in grado di produrre, ma soprattutto per la sua capacita' di generare un ritorno in termini economici degli investimenti, attraverso l'incentivazione del turismo culturale, la creazione di nuovi posti di lavoro legati al settore dei servizi, il miglioramento dell'immagine della citta' che attira nuovi investimenti e fa aumentare il valore del terreno e i prezzi degli immobili e cosi' via. Come ha sottolineato Bianchini, sono stati paradossalmente i tagli operati ai fondi per la cultura dal Governo Tatcher a stimolare, da parte delle istituzioni preposte al settore culturale, la consapevolezza del grande potenziale economico delle politiche culturali urbane. Emblematico a questo proposito e' il documento dell'Art Council dal titolo A Great British Success Story, stilato in risposta al congelamento dei fondi e grandemente influente per il suo esplicito riconoscimento del potenziale economico della cultura nella citta'. Per gli anni '90 quella della cultura si profila una via auspicabile almeno su due versanti: quello dell'economia della citta', in epoca di minori investimenti e di crisi non solo di alcuni settori tradizionali dell'industria manufatturiera, ma della stessa industria dell'elettronica che negli anni '80 ha raggiunto l'apice dell'espansione, con la possibilita' di creare nuove forme di impiego, di stimolare l'iniziativa privata offrendo facilitazioni, di sfruttare il turismo culturale e le pratiche di consumo a esso connesse; quello di favorire il senso di identita' e appartenenza (anche nella diversita') alla comunita' locale e di migliorare la qualita' della vita degli abitanti, fornendo maggiori opportunita' di passare il tempo libero, strade piu' frequentate e piu' sicure, servizi accessibili, possibilita' di moltiplicare le occasioni di socialita' (per contrastare la tendenza in espansione al consumo privato e domestico di prodotti culturali standardizzati). La funzione integratrice della cultura e', peraltro, un aspetto problematico: se in un'impostazione di stampo funzionalista la cultura assolve principalmente questo compito, sono pero' innegabili due aspetti che non vanno sottovalutati: n-Il termine cultura non designa un universo semantico coerente, un sistema omogeneo e integrato la cui condivisione produce integrazione sociale e consenso (come nel modello funzionalista o, in senso critico, in quello marxista). Una concezione eccessivamente unitaria del termine cultura, come Margareth Archer ha con forza sottolineato, produce due tipi di errore: da un lato imporre una uniformita' fittizia a cio' che e' difforme, contraddittorio, variegato; dall'altro, e soprattutto, non distinguere i due livelli del sistema e degli attori, delle idee e dei soggetti che sostengono, promuovono, modificano tali idee. Questo comporta la mistificazione della cultura (imposizione di unita' estrinseca), la riduzione della cultura alla sua funzione (integrazione, mantenimento dell'ordine sociale) e lo schiacciamento dei soggetti da parte del sistema, l'annullamento del potenziale innovativo degli attori. La consapevolezza che con cultura si intende un fenomeno complesso e non necessariamente coerente (con le implicazioni che ne conseguono in termini di capacita' di creare unita' e consenso sociale), e il ruolo primario degli attori che producono e tramandano cultura devono essere tenuti ben presenti nella elaborazione delle politiche culturali urbane. n-Un secondo aspetto di cui occorre tener conto e' un rischio, che soprattutto i critici di impostazione marxista mettono in evidenza, e che comunque non puo' non essere tenuto presente, che riguarda la funzione critica (ancora una volta nel senso etimologico di "discernimento") della cultura. L'euforia per il potenziale economico delle risorse culturali e il circolo che ne consegue tra cultura e affari rischia di limitare la liberta' della produzione culturale, di sacrificare la funzione critica e progettuale di distacco dal presente e anticipazione di modalita' alternative, di appiattire la produzione culturale sui dettami del mercato. Fatte queste necessarie precisazioni sulla problematicita' del concetto e sui rischi di un legame troppo stretto tra cultura ed economia, si puo' cercare di individuare alcuni nodi teorici a partire dai quali, senza pretendere di esaurire la portata teorica del concetto di cultura, si puo' renderlo operativo nella prospettiva di una pianificazione culturale urbana. Sia che la si definisca a partire dai mezzi di produzione, sia che si sottolinei il suo carattere composito e problematico, la cultura non viene definita a partire dai suoi contenuti. Prevale piuttosto, tanto nella sociologia della cultura contemporanea, quanto tra gli studiosi di sociologia urbana che si occcupano del ruolo rigenerante delle politiche culturali una concezione antropologica di cultura, che mette a fuoco tre importanti aspetti: n-cultura come attribuzione di significato: non e' il singolo oggetto culturale ad avere valore, ma il fatto che esso sia inserito in una rete di relazioni con altri oggetti, e che con essi costituisca un sistema dotato di significato per i membri di un gruppo sociale (il contributo dello strutturalismo e della semiotica e' qui evidente); n-cultura come way of life, per usare un'espressione di Raymond Williams, ovvero come insieme di valori che non riguardano solo una sfera della vita sociale e dell'educazione (la cultura alta), ma che permeano il comportamento quotidiano dei membri di un sistema sociale, dando senso alle loro azioni; n-democratizzazione della cultura: sono gli attori sociali che, con le loro scelte quotidiane, confermano o modificano il sistema culturale; i soggetti sociali sono dunque, anche se a diversi livelli, produttori di cultura e non semplici consumatori. Pierre Bourdieu ha fornito una lettura particolare del legame tra cultura e societa' in una prospettiva che puo' essere assimilata a quella antropologica, ponendo pero' l'enfasi sul potere di esclusione del capitale culturale. Nell'accezione di Bourdieu (1983,1992) il capitale culturale e' quel patrimonio immateriale che contribuisce tanto al processo di riproduzione sociale (garantendone la stabilita'), quanto a quello di produzione (come potenzialita' da valorizzare). Bourdieu, che coniuga in modo efficace strutturalismo e approccio antropologico con l'idea gramsciana dell'egemonia culturale, pensa soprattutto alla cultura "alta", patrimonio di un gruppo ristretto di attori sociali e acquisito sulla base dell'educazione familiare e scolastica. Come e' noto, secondo Bourdieu il gusto non e' un atteggiamento innato che spinge certe categorie sociali ad apprezzare naturalmente certi oggetti culturali o certi discorsi filosofico-estetici, ma piuttosto un habitus sociale che richiede un addestramento rigoroso, un investimento considerevole in termini di energie e di tempo che solo alcune categorie sociali possono e vogliono (e, in un certo senso, devono) effettuare per conservare la propria "distinzione". Cosi' concepita, la nozione di capitale culturale (o capitale simbolico) non e' utilizzabile come concetto operativo nella politica culturale urbana, perche' rappresenta uno strumento critico piuttosto che un criterio progettuale. Essa si presta, inoltre, a una strumentalizzazione che rischia di esacerbare i fenomeni di intolleranza culturale, di segregazione tra le classi sociali, mediante la pericolosa identificazione tra sfera della produzione culturale e perpetuazione dei rapporti di dominio nella sfera sociale (anche se la posizione di Bourdieu e' piu' complessa di quanto questa sintesi la faccia apparire). Tuttavia il concetto di capitale culturale, la cui formulazione e' peraltro molto felice ed efficace, si presta a suggerire dei criteri di orientamento nella pianificazione culturale urbana, soprattutto se ne vengono messi in risalto gli aspetti positivi (lasciando sullo sfondo, senza cancellarli, quelli critici), e apportando eventualmente alcuni correttivi: pur mantenendo fermo uno dei caratteri fondamentali del capitale culturale secondo Bourdieu, ovvero la sua convertibilita' in capitale simbolico (legittimita', prestigio) e in capitale economico, si puo' cercare di promuovere un concetto meno elitario di cultura, a partire dallo sfruttamento delle risorse culturali presenti nei vari livelli del tessuto sociale e della loro convertibilita' in capitale economico. Si tratta di riconoscere tanto l'embeddedness dell'economia nel tessuto socio-culturale, quanto la necessita', per la cultura, di esplorare i diversi legami con la struttura sociale e l'azione economica, nel contesto specifico in cui si attua. Da un lato, quindi, il concetto di cultura non va circoscritto alla cultura di e'lite (all'ambito dell'accademia e delle arti, un ambito che, per definizione, coinvolge solo una fetta ristretta di cittadini): il capitale culturale va piuttosto definito come un insieme di risorse, che un numero ristretto di soggetti contribuisce a creare, ma che diviene patrimonio collettivo grazie alla capacita' di "appropriazione creativa" degli attori sociali e alla sempre maggiore competenza nella manipolazione simbolica dei segni, diffusa in tutte le classi sociali, e grazie anche ai molteplici canali di accesso a questo patrimonio che, se opportunamente valorizzato, e' capace di generare benessere comune. Se il paradigma marxista ha rafforzato l'equazione cultura- egemonia, l'idea di cultura promossa dal postmodernismo e' caduta nell'eccesso opposto: la cultura dell'immagine, dell'effimero, il consumo ludico, l'euforia estetizzante prevalenti negli anni '80, corrispondono a una idea di cultura poco utilizzabile nella prospettiva che si sta considerando, oltre che inadeguata alle mutate condizioni socio-economiche e ai diversi valori che caratterizzano la nuova decade. L'equazione tra artefatti e cultura, che considera ogni prodotto, dall'abito all'opera teatrale, un oggetto culturale promuove un modello di cultura basato esclusivamente sul consumo. Se da un lato, quindi, una concezione ristretta di cultura rischia di promuovere il privilegio sociale e l'autoeliminazione di gran parte dei soggetti sociali dall'ambito della produzione culturale, un concetto troppo allargato rischia di far sparire la cultura nell'appiattimento del consumo. Raymond Williams (1958, 1961, 1981) ha dedicato alla riflessione sulla natura e sulla funzione della cultura gran parte della sua opera, che presenta spunti importanti per l'operazionalizzazione del concetto nella prospettiva che si sta considerando. Williams distingue tra due definizioni generali di cultura, che la sociologia contemporanea riconosce come matrice e sfondo delle diverse concezioni di cultura: la concezione idealista, che vede la cultura come "spirito" che informa e caratterizza il modo di vivere di un'epoca, che si manifesta in ogni attivita', ma in modo particolare nelle attivita' specificatamente culturali (linguaggio, paradigmi scientifici, stili artistici); e una concezione materialista, che pone maggiore enfasi sul concetto di "ordine sociale", come fattore primario a partire dal quale la cultura e' prodotta (1981: 11-12). La sociologia della cultura ha messo in evidenza, soprattutto negli ultimi anni, come le pratiche culturali, la produzione culturale non possono essere considerate come semplici "derivati" di un ordine sociale costituito indipendentemente da esse: si sottolinea piuttosto la connessione stretta tra pratiche culturali e ordine sociale, vedendo le prime come un sistema significante piuttosto che come uno "spirito del tempo", e il secondo come un qualcosa che attraverso la cultura viene comunicato, riprodotto, esperito, criticato e modificato. Williams, come poi la Archer, sottolinea la distinzione, almeno a livello analitico, tra il sistema significante, la way of life oggetto degli studi antropologici e l'attivita' dei soggetti coinvolti nelle pratiche culturali, attivita' che non si limita a riprodurre il sistema, anche se si muove al suo interno, ma che puo' arricchirlo, modificarlo. Emerge da questa rapida e parziale sintesi l'idea, almeno abbozzata, di un capitale "socializzato", come insieme di risorse a disposizione dei gruppi sociali in relazione tra loro in una particolare situazione, risorse che essi possono utilizzare per influenzare positivamente il proprio ambiente e promuovere incentivazioni favorevoli al benessere economico e sociale della comunita' allargata. Tale capitale possiede, in sintesi, i seguenti caratteri: n-e' una risorsa collettiva, costruita a partire dalle opportunita' effettivamente presenti e valorizzata in funzione di obiettivi precisi (ovvero trattata in modo consapevole e non subita) da soggetti sociali diversi; e' aperta all'arricchimento apportato dall'iniziativa di singoli individui, nella consapevolezza che da un incremento di tale capitale tutti vengono avvantaggiati; n-e' una risorsa convertibile in capitale simbolico (il prestigio, l'immagine che la comunita', o nel nostro caso la citta', e' in grado di offrire di se' all'esterno) ed economico (come possibilita' di sfruttamento coordinato e finalizzato delle risorse disponibili; con la creazione di nuove opportunita' di impiego nel settore dei servizi e delle attivita' che gravitano intorno alla produzione e al consumo di cultura; con l'incremento della pratica del turismo culturale che porta ricchezza alla citta'); n-e' una risorsa capace di stimolare il miglioramento della qualita' della vita degli abitanti, e di accrescere il senso di identita' dei cittadini, che insieme presuppone e sollecita una partecipazione e una collaborazione piu' attiva. RISORSE CULTURALI E CULTURAL PLANNING La definizione antropologica di cultura consente di ripensare il senso della politica culturale, non (o non prevalentemente) come elargizione di opportunita' di edificazione e istruzione, ma principalmente come modalita' di collaborazione e di valorizzazione e sfruttamento di una ricchezza gia' presente e profondamente intrecciata con la vita cittadina. E' quanto esprime il Birmingham City Council nel suo rapporto del 1990 An Arts Strategy for Birmingham: "The test of a civilized city is the liveness and pervasiveness of the relationship between the arts and the daily lives of the people living and working within the city".3 Una cultura, quindi, integrata nella vita della cittˆ, per una politica culturale integrata nel quadro piu' ampio delle politiche urbane (e coordinata con gli altri settori). Quanto al tipo di risorse culturali da riconoscere e valorizzare, le ricerche fin qui svolte in Europa consentono di identificare alcuni aspetti, che vanno poi verificati ed eventualmente integrati nelle singole situazioni sotto analisi. Esse sono, in estrema sintesi: n-la gamma e i diversi livelli di professionalita' tanto nelle arti "pre-elettroniche" (arti visive, performance) quanto nell'industria culturale contemporanea (cinema, video, fotografia, televisione, radio, musica elettronica, editoria, moda, design); n-le strutture necessarie al management e allo sviluppo dei talenti locali; le infrastrutture necessarie alla produzione, distribuzione e marketing delle risorse sopra menzionate; n-la presenza di forme caratteristiche di artigianato e di tradizioni distintive; n-la vivacita' e la forza di attrazione dell'economia cittadina cosiddetta "fuori orario", legata alle attivita' del tempo libero, e che, a sua volta, implica una varieta' nella gamma delle strutture e delle opportunita' per il consumo di cultura, per il tempo libero, per l'intrattenimento; n-la valorizzazione e la "leggibilita'" degli spazi pubblici della citta' (attraverso illuminazione, segnali, trasporti frequenti e accessibili, collegamenti e rimandi, servizi di informazioni); n-le tradizioni locali di socialita', gli eventi tradizionali che costituiscono occasioni culturali e collettive (fiere, palii, feste popolari, festival); n-il patrimonio storico, artistico, architettonico, archeologico, antropologico (comprese le tradizioni locali, i dialetti); n-il paesaggio urbano, i luoghi caratteristici e i luoghi di divertimento (inclusi i parchi) prodotti dall'intervento dell'uomo; n-la consapevolezza delle rappresentazioni culturali della citta', di quelle prodotte dai media e di quelle vissute dai cittadini.4 Le risorse che costituiscono e individuano il capitale culturale del contesto sociale specifico vanno prima identificate e poi valorizzate nelle loro implicazioni, che sono riconducibili alle diverse sfere della vita cittadina (Bianchini 1991: 36-37): n-sfera economica: sviluppo dell'industria culturale, potenziamento dei legami tra media, nuove tecnologie, produzione audio e video; sviluppo del turismo culturale e creazione di nuove opportunitˆ di impiego nel settore dei servizi; n-sfera simbolica: consapevolezza del potenziale culturale della citta'; senso di identita' e appartenenza dei cittadini; possibilita' di monitorare le rappresentazioni fornite dai media e le immagini culturali della citta' (il significato della citta' per i suoi abitanti e per l'esterno); n-sfera sociale: possibilita' di realizzare programmi che promuovano l'integrazione sociale in aree di conflitti, per esempio attraverso il supporto a iniziative della comunita' residente; programmi di animazione culturale per incrementare le occasioni di socialita' e la coesione sociale; n-sfera ambientale: programmi di miglioramento architettonico; utilizzo di aree dismesse per la costituzione di centri multifunzionali per la produzione e il consumo di cultura, allo scopo di rivalutare tali aree e favorire l'insediamento di popolazione; n-sfera politica: coinvolgimento degli abitanti in programmi di animazione culturale che stimolino il senso di appartenenza e di responsabilita', e la partecipazione attiva alla vita cittadina; sfruttamento delle nuove tecnologie per creare modalita' di comunicazione interattiva tra la societa' civile e le istituzioni; supporto alle subculture, che favorisca il dialogo con i gruppi marginali del tessuto sociale, integrandoli pur nella diversita', nel progetto di costruzione di una cultura della citta' (politica culturale come alternativa alle forme tradizionali di mobilitazione politica); n-sfera dell'educazione: programmi miranti a elevare la consapevolezza, da parte dei cittadini, delle risorse culturali a loro disposizione e delle implicazioni e possibili campi di applicazione di esse. Queste sono alcune delle linee che gli studi piu' recenti sulla possibilita' di una pianificazione culturale urbana suggeriscono: una pianificazione che parte dallo studio e dalla comprensione delle risorse esistenti, e quindi da un lavoro sociologico e antropologico, piuttosto che imporre programmi definiti a tavolino, o trasferire modelli che si sono rilevati efficaci in contesti diversi. E' in questa direzione che si apre la possibilita' di un lavoro interdisciplinare fecondo per la comprensione della realta' sociale e per il suo miglioramento. NOTE 1)-In questa direzione si sono mossi recentemente numerosi studi, tra i quali Braham 1988, Winne 1989, Bianchini 1991. 2)-Si veda per esempio Archer 1988, Haferkamp 1989, Alexander 1991. 3)-Citato in Bianchini 1991: 34. 4)-Questo elenco e' tratto da Bianchini 1991, con alcune integrazioni. BIBLIOGRAFIA J. Alexander (ed), Culture and Society, Cambridge University Press, Cambridge, 1990. M. Archer, Culture and Agency, Polity Press, Cambridge, 1988. F. Bianchini, Urban Renaissance? The Arts and the Urban Regeneration Process in S. MacGregor e B. Pimlott (eds), Tackling the Inner Cities, Claredon, Oxford, 1990. F. Bianchini, Urban Cultural Policy, National Arts and Media Strategy Unit, Londra, Agosto 1991, n. 40. F. Bianchini, M. Parkinson (eds), Cultural Policy and Urban Regeneration, Manchester University Press, Manchester, 1991. P. Bourdieu, La distinzione, Il Mulino, Bologna, 1983. P. Bourdieu, The Field of Cultural Production, Polity Press, Cambridge, 1992. P. Braham (ed), Leisure and Urban Processes, Routledge, Londra, 1989. D. Crane, The Production of Culture, Sage, Beverly Hills, 1993. N. Fainstein, S. Fainstein (eds), Urban Policy Under Capitalism, Sage, Beverly Hills, 1982. H. Haferkamp (ed), Social Structure and Culture, De Gryter, New York, 1989. B. Mieoe, The Capitalization of Cultural Production, International General, New York, 1989. R. Porter (ed), The Arts and City Planning, American Council for the Arts, New York, 1980. R. Williams, Culture and Society, Chatto & Windus, Londra, 1958. R. Williams, The Long Revolution, Chatto & Windus, Londra, 1961. R. Williams, Culture, Fontana, Londra, 1981. D. Winne (ed), The Culture industry, Greater Manchester Economic Development Ltd., Manchester, 1989.