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Impresa & Stato N°28 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

NUOVA STATUALITA' E NUOVA SCUOLA

di Piero Bassetti


L'interesse della camera di commercio per i temi della formazione non e' un fatto recente: l'insistenza nasce dalla constatazione che, mentre un fenomeno di innovazione permanente ha rivoluzionato il sistema economico e modificato gli assetti istituzionali, le ripercussioni di questi processi sul sistema educativo e scolastico sono state invece praticamente nulle.
Eppure sono cambiati il ruolo e l'essenza delle imprese, la loro centralita' nell'innovazione e il loro modo di rapportarsi con il territorio e la ricerca scientifica.
La scienza poi si e' affermata sempre piu'come centro di potere autonomo, ed e' preoccupante che tutto cio' non abbia una ricaduta su come viene realizzata la trasmissione delle conoscenze.
Ai periodi storici di grande mutamento tecnologico ed economico si accompagnano sempre vasti cambiamenti sociali e, non ultime, inesorabili evoluzioni nel sistema formativo; il Medioevo vide, in tutta l'Europa occidentale e senza rotture alla continuita', l'introduzione dei cicli di produzione nelle campagne accanto al massiccio impiego dell'energia idraulica e degli utensili in ferro, la nascita dei Comuni con le loro corporazioni artigianali e l'espansione del commercio.
Ma insieme a tutto questo vide anche lo sviluppo delle Universita'. I processi di innovazione a cavallo dell'anno Mille si accompagnarono tanto alla nascita degli ordini religiosi quanto alla crescita dei centri universitari: due tipi di istituzione - fra loro collegati - cui si deve quel progresso nel campo delle scienze e della filosofia che moltiplico' lungo alcuni secoli gli effetti dei primi cambiamenti tecnico- produttivi ed economici.
Il sistema formativo e' infatti il prodotto di una societa' e di un'economia ma a sua volta contribuisce a riprodurne e a esaltarne le caratteristiche fondamentali: puo' "pietrificare" i sistemi rigidi e, all'opposto, accelerare la dinamica dei sistemi. Non e' questa la sede per analizzare in dettaglio le caratteristiche della societa' italiana che partori' la riforma della scuola legata al nome di Giovanni Gentile (1924), ma e' stupefacente constatare come le linee fondamentali e lo schema organizzativo di quell'assetto del sistema scolastico resistano ancora, mentre fra la realta' di allora e quella di oggi e' passato davvero un "evo" in termini di innovazione tecnologica, sistemi di produzione, mezzi di comunicazione, rapporti politici.
Il modello di scuola creato settantianni fa e' ancora in funzione in Italia mentre proprio il nostro Paese ha visto i fenomeni piu'interessanti di sprovincializzazione e integrazione dei mercati, espansione nella circolazione di beni e servizi, prima, e di informazioni, poi, e la trasformazione continua del sistema produttivo attraverso tutti i passaggi dallo sviluppo dell'industria taylorista alle realta' attuali caratterizzate dalla massima versatilita' e capacita' di aggiustamento dell'offerta ai mutamenti della domanda.
Oggi, nell'epoca post-fordista orientata alla ricerca della qualita' totale, le "risorse umane" diventano la chiave per mantenere la competitivita' delle singole imprese e delle intere aree geografico-economiche, e questo pone una serie di problemi a un Paese come il nostro che ha visto una vera rivoluzione sia nell'ambito da cui dipendono in massima parte i processi innovativi (ovvero nelle piccole e medie imprese), sia nelle strutture di raccordo tra l'esercizio di tale funzione innovativa e la tradizionale organizzazione dei gruppi, ceti e classi sociali.
Non si puo' passare da un mondo prevalentemente agricolo a una societa' come la nostra -con un imprenditore ogni dieci abitanti -senza porsi il problema del rapporto tra il mutato assetto socio- culturale e i compiti della scuola.Cosi'pure non si puo' immaginare che, di fronte a fenomeni come la diffusione della lean production e dell'outsourcing, le trasformazioni culturali nei responsabili del nostro sistema di imprese si limitino a un adeguamento del titolo di studio da "signor Brambilla" a "dottor Brambilla".
Ne' il Principe, ossia lo Stato che da noi si e' assunto la responsabilita' quasi totale della scuola, puo' limitarsi a fare delle riflessioni puramente tecniche in questo campo; il discorso sulla nuova statualita', che Impresa e Stato conduce con tenacia ormai da cinque anni, ha conseguenze importanti anche nel settore della formazione; e dobbiamo domandarci se il trasferimento delle conoscenze possa restare nelle sole mani dello Stato nazionale proprio in tempi di europeizzazione e mondializzazione.
E'giunto il momento nel quale tutti si devono rendere conto di quanto sia ormai assurdo il dualismo tra scuola di Stato e scuola cosiddetta privata, quest'ultima da noi sempre riportata a "scuola dei preti" sullo schema dell'antico scontro fra trono e altare.
Nel sistema scolastico si deve arrivare invece a un'ampia collaborazione fra tutte le forze vive della societa' civile.In questo senso la realta' politica degli ultimi mesi ci mostra due interessanti "segni dei tempi": l'insediamento, al posto che e' stato di Gentile e dei suoi epigoni, di una figura anomala di Ministro dell'istruzione che oltre a essere rispettoso cultore dei valori della scuola di Stato e' anche imprenditore, responsabile per anni del settore formazione all'interno di un'associazione di imprenditori come la Confindustria, e impegnato ad alto livello nella importante realta' educativa degli scout cattolici. Questa novita' si verifica a pochi mesi dall'altro cambiamento significativo che ha preso forma nella Legge 580/1993, con cui le Camere di Commercio tornano a essere qualificate come istituzioni di rappresentanza delle forze produttive e degli interessi potendo recuperare anche le loro responsabilita' in materia di formazione.
I due fatti segnalano la possibilita' che i rapporti fra societa' civile, societa' economica e sistema scolastico vengano ricostruiti in modo molto proficuo.
La ricerca pubblicata in questo numero di Impresa & Stato parte dalla constatazione che "...quei Paesi o Regioni che saranno in grado di fornire al proprio sistema economico risorse umane adeguate, piu'ancora che nuove tecnologie o servizi efficienti, (...) si troveranno all'avanguardia del progresso economico e sociale".
Si parla di "risorse adeguate" perche' ogni Regione deve fare i conti con le esigenze specifiche del suo modello produttivo e innovativo. Vedremo che per la nostra area geografica questo significa arrivare ad avere in prevalenza figure professionali non specializzate ma molto flessibili e con solide competenze di base.
Persone capaci di apprendere e trasferire conoscenze sul posto di lavoro, disponibili a interagire con colleghi e clienti, pronte a rapidi adattamenti organizzativi.
La centralita' assunta dalle imprese nei processi di innovazione e la presenza rilevante -per quantita' e qualita' -dei mass media nella informazione e formazione delle persone (un bambino passa dalle due alle tre ore giornaliere alla "scuola" della televisione) sono i tratti che hanno caratterizzato le tappe piu'recenti della nostra evoluzione economica e sociale.
Di contro, il sistema formativo e scolastico non si e' adeguato alle esigenze del dinamismo culturale della societa' ma si e' perpetuato in forma di apparato dello Stato, intangibile, come fosse regolato da leggi scritte su tavole di bronzo.
L'effetto moltiplicatore dell'innovazione culturale e formativa sull'innovazione tecnica economica e sociale rischia di non innescarsi perche' chi gestisce il sistema non ha abbastanza fantasia o spirito pratico. E cosi' la scuola rimane un esempio paradigmatico di rigidita'.
Il ripensamento dell'istruzione media procede infatti fra grandi promesse non mantenute e pannicelli caldi che vengono applicati per tentativi ed errori. Cio' avviene anche nel campo della formazione professionale in senso stretto, pur delegata alle Regioni: i percorsi formativi non vengono collegati ai bisogni delle aziende, e la Regione Lombardia continua a gestire direttamente la maggior parte dei corsi invece di passare a occuparsi delle funzioni fondamentali di progettazione e controllo di un prodotto formativo che puo' essere delegato ad altri Enti.
Inoltre si continua a insistere sulla formazione di tipo scolastico-preparatorio senza attivare percorsi di secondo livello e di tipo ricorrente per chi e' gia' inserito nel mondo produttivo, mentre nei corsi di base viene mantenuta la separazione tra l'apprendimento e l'applicazione delle competenze acquisite, limitando le occasioni di formazione-lavoro.
L'impresa con la sua flessibilita' innovativa continua a non essere utilizzata nel suo immenso potenziale formativo.Un adeguamento dell'istruzione media superiore -che richiede interventi legislativi, perche' dipende dall'Amministrazione centrale dello Stato -e' ben lontano dall'essere organicamente in corso.
Qualcosa e' cambiato invece nell'Universita', dove il sistema e' stato ristrutturato in tre livelli sul modello anglosassone, con il diploma universitario, la laurea, e il dottorato di ricerca (quest'ultimo lo si ottiene dopo sette-otto anni in universita', proprio come il Ph D inglese e americano).
La' dove e' nata, tale scansione risponde a esigenze reali, visto che i Ph D in discipline scientifiche e tecniche sono poi assunti dalle grandi corporation nei ruoli di responsabilita'.
In Italia invece il dottorato di ricerca e' stato fagocitato dagli atenei diventando soltanto il primo gradino della carriera accademica, senza altri sbocchi occupazionali. Cio' dimostra una volta di piu'che la formazione non puo' essere semplicemente ricalcata sui modelli che altrove si dimostrano efficienti; occorre invece correlarla alle caratteristiche locali del sistema economico, con grande attenzione ai soggetti che costituiscono la popolazione delle imprese e attribuendo ai medesimi parte dei compiti di progettazione e realizzazione degli interventi formativi.
Il ruolo che le Camere di Commercio riformate possono svolgere in questi processi e' potenzialmente rilevante come e' esemplificato dall'esperienza coordinata dall'Istituto Tagliacarne in collaborazione con le Camere del Mezzogiorno (ne parla diffusamente l'articolo di Alfonso Feleppa pubblicato in questo numero).
Se la formazione deve essere collegata alle specificita' locali dell'economia, si dovra' partire dalla constatazione che nelle piccole e medie imprese, per esempio quelle lombarde, risorse umane indispensabili sono, oltre all'imprenditore, con funzioni sia tecnico- organizzative sia commerciali, un numero abbastanza contenuto di dipendenti dotati di capacita' di adattamento e disponibilita' a cooperare, cioe', il ruolo centrale non e' quello del grande esperto di "ricerca e sviluppo", preparato da otto anni di Politecnico, quanto piuttosto la figura dell'imprenditore.
Ora gli imprenditori hanno alle spalle una formazione costruita nei vecchi licei, in molti casi anche all'Universita' con un approccio multidisciplinare non specialistico; affondano le loro radici nella televisione di Ettore Bernabei e nella cultura di massa italiana degli anni Sessanta e Settanta con il suo cinema, i giornali e i rotocalchi.
Sono cioe' il prodotto di una Zivilisation che e' cresciuta nella continua evoluzione, ma che riconosce la necessita' di tenersi al passo con l'innovazione esprimendo una domanda di formazione che deve trovare risposte adeguate. Il giudizio sbagliato secondo cui imprenditori si nasce e' sempre meno diffuso.
Gli operatori sanno sempre piu'che si impara anche a essere imprenditori: con l'esperienza e con una formazione permanente mirata a costruire non una managerialita', ma appunto una imprenditorialita'.
Peccato che la scuola dello Stato abbia sempre trascurato la formazione alla imprenditorialita': quasi che le funzioni di innovazione sociale assunte dalla imprenditorialita' fossero qualcosa di secondario. Ci si e' concentrati sulla formazione del cittadino titolare di diritti e doveri e portatore di valori, e come tale si e' provveduto ad alfabetizzarlo e istruirlo. Ci si e' occupati del cittadino lavoratore, da aiutare nell'acquisizione di una professionalita'. Al piu'ci si e' occupati del manager, cioe' dell'alto quadro delle tecnostrutture anche aziendali. Ma l'imprenditorialita' non e' solo o soprattutto competenza tecnica e attitudine all'organizzazione dei fattori di produzione e delle tecniche del mercato, esprime anche una vasta capacita' di dare risposte nuove ai problemi presenti.
Perche' l'imprenditore non e' soltanto organizzatore dei fattori. E' innovatore, inventore ma anche concretizzatore dell'innovazione, cioe' persona in grado di fare, di uni'dea, prassi razionalmente organizzata.
L'imprenditorialita' influisce percio' a un tempo sull'economia e sulla civitas; non e' qualcosa che riguarda esclusivamente la sfera dell'individuo economico e i suoi interessi personali ma e' piuttosto un fermento di crescita e sviluppo per tutto il sociale.
Per questo la formazione alla imprenditorialita' sta diventando una funzione centrale.
E poiche' il sistema educativo dello Stato e' qui assolutamente inadeguato, i cittadini-imprese devono farsene carico in prima persona, contribuendo a costruire cio' che manca, nell'interesse generale.
La formazione permanente di cui ha bisogno l'imprenditorialita' assicura la capacita' di svolgere funzioni insieme produttive, commerciali e amministrative, ma valorizza anche le competenze sociali e di rapporto e, soprattutto, sviluppa l'intuito e la creativita' nell'affrontare le situazioni non previste, oltre alla capacita' di rischiare in proprio. Questa formazione ci riporta piu'al concetto dell'accademia d'arte che a quello di scuola, e potrebbe essere garantito anche dallo sviluppo degli Enti privati che gia' forniscono servizi nel settore.
D'altra parte le imprese nel loro insieme possono garantire l'esistenza di valide strutture per la formazione imprenditoriale collaborando alla creazione di adeguate istituzioni associative o consortili. Su questa rotta muovono le nostre scelte poste a base del Formaper. Attraverso di esso la Camera di Commercio di Milano ha, per prima in Italia, fornito in modo integrato strumenti per l'informazione, la ricerca, l'assistenza e la documentazione imprenditoriale, allo scopo di assicurare insieme formazione e aggiornamento.
Formaper si rivolge cioe' sia agli imprenditori gia' operanti sia a chi e' interessato ad avviare una attivita' imprenditoriale, e fra gli utenti dei suoi corsi ci sono tanto coloro che hanno una semplice propensione verso il "mestiere di imprenditore" (per sensibilita' propria o tradizione familiare), quanto persone con idee imprenditoriali in fase progettuale avanzata e operatori che da tempo conducono una piccola o media impresa.
La cultura dell'impresa deve pero' abbattere il muro che la esclude dall'apparato scolastico "normale" per arrivare a sensibilizzare il pubblico piu'vasto possibile. Attraverso valide collaborazioni tra i gruppi di imprese (o le istituzioni che le rappresentano) e le scuole di ogni ordine, specie quelle piu'aperte ai contributi esterni e alla sperimentazione, deve passare l'idea che l'imprenditorialita' non e' un carisma straordinario ma una modalita' operativa con cui si partecipa realmente al cambiamento e alla crescita della societa'.
Naturalmente non basta risolvere il problema della formazione imprenditoriale per chiudere il capitolo delle risorse umane, per le piccole e medie imprese.
Queste hanno bisogno anche di dipendenti che abbiano conoscenze di carattere metodologico, utilizzabili, cioe', in molte circostanze e condizioni.
In alcune realta' cio' che e' indispensabile e' l'attitudine alla relazione con il cliente: come nel caso di chi produce macchine e affida a propri dipendenti anche compiti di addestramento delle imprese acquirenti. Per non parlare delle competenze richieste ai rappresentanti e ai venditori, ai manutentori e a chi si occupa del controllo qualita'.
Inoltre la informatizzazione delle imprese richiede ai lavoratori dipendenti una buona capacita' di concettualizzazione e la dimestichezza con il computer e i programmi applicativi. Per formare risorse umane con queste caratteristiche non e' necessario insistere su programmi scolastici preparatori lunghi, anche perche' le componenti molto scolarizzate della forza lavoro si aspettano poi collocazioni occupazionali e trattamenti economici che la piccola impresa di solito non puo' offrire.
L'istruzione professionale ricorrente, invece, dovrebbe diventare una prassi normale, e di questo devono farsi carico Enti pubblici, imprese e sindacati.Solo una ristrutturazione complessiva con grande decentramento del sistema formativo puo' recepire compiutamente il potenziale innovativo dell'imprenditorialita' e garantire risorse umane adeguate al sistema produttivo.
Noi, dialtro canto, continueremo a respingere la tentazione di pensare l'apparato scolastico come cristallizzato anche quando tale ristrutturazione globale avra' dato risposta alle esigenze portate dalla evoluzione del sistema economico.
Al centro dell'attenzione devono, per noi, rimanere i bisogni di una realta' sociale dinamica, il cui movimento si esprime anche attraverso la continua comparsa di nuovi soggetti, primi fra i quali le imprese.Viene da qui la nostra convinzione che anche - tra innovazione imprenditoriale e trasmissione della conoscenza -i rapporti tra Stato e impresa devono e possono cambiare in un processo che affida alle Camere di Commercio riformate, in stretta intesa con le Regioni, lo Stato, l'Unione Europea, nuove e forti responsabilita'.