di Bruno Colle
LA CRISI ECONOMICA DEL '92- '93
La Conferenza Irer del 1991 fu dunque buon profeta di una crisi
congiunturale, i cui effetti assai più traumatici di quelli
prodotti dalla precedente fase depressiva 1981-83 sono stati
amplificati da vicende penali e condanne morali che hanno
ulteriormente smorzato la fiducia dell'opinione pubblica nello
sviluppo dell'economia e nella funzionalità delle
istituzioni.
Riportiamo alcuni passi di un recente documento
regionale:2 "Per la prima volta dopo il 1983, il prodotto interno
lordo ha registrato (nel 1993) una variazione negativa, pari a 0,2
punti percentuali in termini reali. Questa flessione é stata
provocata dalla minore propensione degli imprenditori a investire,
a causa di una notevole caduta dei consumi interni... Oltre alla
caduta della domanda, hanno inciso negativamente un più severo
razionamento del credito e gli elevati tassi di interesse, solo in
parte bilanciati dal deprezzamento del cambio" La crisi del i93
ha sancito una tendenza di lungo periodo dell'economia lombarda,
vale a dire la sua progressiva omologazione industriale con il
resto del Paese. I fattori di vantaggio del sistema produttivo
lombardo rispetto a quello nazionale vanno infatti cercati
soprattutto nel terziario e nell'agricoltura, mentre la minor
crescita degli investimenti in Lombardia rispetto all'Italia, sia
pubblici che privati, nell'arco dell'ultimo decennio, pone
interrogativi circa la competitività e l'innovatività
dell'industria regionale nel lungo periodo.
La crisi ha colpito in
modo particolare le piccole e medie imprese, rivelandone la
fragilità operativa e patrimoniale, ma anche la diversa capacità
di risposta alla crisi. Per un verso, la crescente dipendenza
della redditività industriale dalla gestione finanziaria ha
favorito e favorisce le imprese cosiddette science based, che
purtroppo costituiscono ancora la parte minoritaria dell'industria
lombarda. Le imprese science based hanno, tra l'altro, manifestato
una spiccata dinamica anticiclica, svolgendo pertanto un prezioso
ruolo di potenziale ricostruzione di un modello produttivo
lombardo che, nella sua configurazione tradizionale, non esiste
più, o meglio, si é ormai omologato con quello nazionale".
Vorremmo dire al modello europeo! Poichè, infatti, é l'Europa dei
Dodici (o dei Sedici con le prossime adesioni) che ha dimostrato,
in questa crisi del i93, che i Governi nazionali sono poco e male
attrezzati per affrontare le grandi sfide dello sviluppo e della
competitività internazionale. Impotenti di fronte ai movimenti
speculativi della finanza internazionale, incerti fra dirigismo e
liberismo economico, pressati dalla spinta di autonomia e di
partecipazione provenienti dalle periferie regionali e sociali,
oppressi (chi più chi meno) da un debito pubblico devastante, gli
Stati nazionali rivelano sempre più debolezza istituzionale e
assenza di progettualità; cause principali di quella perdita di
slancio rispetto ad altre grandi aree del globo che tanti
commentatori hanno avuto modo di rilevare in questo primo scorcio
degli anni Novanta.
In particolare nonostante la grande
disponibilità di risorse conoscitive, imprenditoriali e umane la
Lombardia soffre oggi di un deficit istituzionale che si esprime
in mancanza di autonomia, carenza di responsabilità,
sovrapposizione di competenze, conflittualità, dispersione di
risorse, inadeguatezza dei servizi forniti alle famiglie e alle
imprese. In un contesto di globalizzazione dell'economia e di
confronto tous azimuts delle imprese lombarde sui mercati
internazionali questa debolezza istituzionale é fattore di grave
pregiudizio per la competitività dell'intero sistema
regionale.
VERSO UNA NUOVA IDENTITA' REGIONALE
Dopo oltre un
ventennio di degradante sopravvivenza, sotto una valanga di leggi
e decreti centralizzanti e deresponsabilizzanti, il corpo delle
Regioni italiane sembra scosso da nuovi fremiti vitali e da
aspettative di autonomia che forse non andranno deluse.
E' bene
riconoscere che, fino a oggi, le Regioni italiane hanno costituito
pezzi sconnessi di amministrazione decentrata, cui sono
assurdamente preposti organi di decisione democratica. Di fronte a
questa incongruenza istituzionale che ha fornito alle Regioni
risorse crescenti con responsabilità e poteri decrescenti si sono
levati da tempo voci critiche e toni allarmistici.
Come si legge
nel Rapporto Irer del 1989 dedicato al bilancio complessivo
dell'esperienza regionale nel decennio precedente "Le Regioni,
Lombardia compresa, hanno raggiunto una vera e propria soglia
critica a seguito di una fortissima compressione della loro
autonomia (sotto tutti i profili: politico, programmatorio,
amministrativo e organizzativo) nonchè di un riassetto finanziario
che le ha rese completamente dipendenti da una programmazione
nazionale suddivisa per settori o per progetti
determinati".
Questa evoluzione degradata dei rapporti Stato-
Regioni trovava la sua principale (ma non unica) ragion d'essere
nella riluttanza dei poteri centrali ad accettare la natura e la
portata politico-istituzionale dell'autonomia regionale per trarne
le implicazioni conseguenti. Emergeva allora, almeno a livello di
esperti, l'esigenza di una nuova fase costituente non paga di
modernizzare dall'interno il disegno costituzionale (come già
tentato nel periodo '75-'77), ma orientata al superamento di tale
disegno in direzione che non escluda approdi di tipo
federalistico.
Per la verità anche i partiti storici della Prima
Repubblica (di maggioranza e di opposizione) avevano manifestato
con proposte e pubbliche dichiarazioni la loro volontà
autonomista; fabbricando altresì una Legge, la 142/1990, di fatto
inattuabile al di fuori di un quadro generale di revisione dei
compiti e delle funzioni regionali.Ma solo la rivoluzione politico-
istituzionale del 1993, e il successivo approdo in forze, nel
nuovo Parlamento nazionale, di movimenti e partiti di ispirazione
federalista o regionalista, hanno fatto emergere l'esigenza di una
risposta straordinaria alla crisi delle istituzioni; radicando
nell'opinione pubblica l'opzione per un nuovo assetto decentrato
delle responsabilità politiche e amministrative: affinchè il
nostro Stato riacquisti il carattere di Stato-ordinamento e le
autonomie regionali e locali diventino il luogo privilegiato di
organizzazione dell'intervento pubblico sul territorio.
Nel senso
di un'articolazione federale dello Stato ha lavorato, nella
passata legislatura, la Commissione Bicamerale sulle Riforme
Istituzionali, che ha partorito, l'ormai nota proposta di
ribaltamento o inversione dell'art. 117 della Costituzione
Italiana. Nella proposta della Commissione vengono definiti
esplicitamente i compiti dello Stato (bandiera, toga, spada e
moneta), mentre si specifica che "la Regione ha competenze
legislative in ogni altra materia". Verrebbero così trasferite
alla piena competenza regionale materie fondamentali quali
l'educazione, la finanza locale, le politiche industriali e del
lavoro.
Il valore delle nuove competenze in termini di poste del
bilancio statale viene calcolato dagli esperti di finanza
pubblica attorno ai 60-70 mila miliardi. Aggiungendosi le
competenze attuali,3 le Regioni a statuto ordinario si
troverebbero così ad amministrare bilanci correnti di 160-180mila
miliardi: più o meno il 35% dell'intero Bilancio dello Stato.
Ma un
tale trasferimento di competenze o di risorse non avrebbe gran
senso e, al limite, peggiorerebbe la situazione attuale se non
fosse accompagnato da un'autonomia gestionale nella distribuzione
delle voci di spesa e da una responsabilizzazione sul prelievo
fiscale.
In tal senso si é mossa la Commissione per la riforma
della Finanza Regionale istituita dal Ministro delle Finanze e dal
Ministro per gli Affari Regionali e presieduta dal professor Piero
Giarda, dell'Università Cattolica di Milano.
La relazione riconosce
che nonostante le correzioni introdotte nel '90 e nel '92 (Leggi
158/90 e 421/92 che hanno ampliato l'area dei tributi regionali
riducendo contemporaneamente il ruolo dei trasferimenti statali;
Tabella 1) "la struttura finanziaria delle Regioni a statuto
ordinario é ancora fortemente dipendente dai trasferimenti statali
e da un insieme di trasferimenti a destinazione vincolata che
ostacolano lo sviluppo di un corretto sistema di autogoverno: tale
struttura discende anche da un'interpretazione dell'ordinamento
costituzionale molto particolare e conservativa".
Con qualche
semplificazione, le proposte della Commissione (che si é mossa
nella direzione di un'autonomia fiscale capace di sostenere anche
un sistema di Regioni con competenze più vaste di quelle previste
all'art. 117 della Costituzione vigente) possono così essere
sintetizzate:
-eliminazione dei vincoli di destinazione sulle
risorse trasferite per il finanziamento dell'assistenza sanitaria
e dei trasporti locali e allentamento dei vincoli sui
finanziamenti disposti dalle altre leggi di settore;
-
significativo aumento delle entrate tributarie delle Regioni,
ottenuto mediante trasferimento di potestà tributarie oggi statali
o attribuzioni di facoltà di imposizione di addizionali o sovra-
imposte ai grandi tributi erariali;
-avvio di un programma di
compartecipazione al gettito dei tributi erariali (legato
all'imposta sul valore aggiunto) per tutte le Regioni, costruito
in modo da consentire alle Regioni a più alto reddito di
finanziare i livelli di spesa storicamente raggiunti, in media,
nel 1993 e di garantire a esse uno sviluppo delle risorse in linea
con lo sviluppo delle basi imponibili dei tributi compartecipati;
-
costruzione di un sistema di trasferimenti perequativi che
consenta alle Regioni a più basso reddito di finanziare gli
attuali livelli di spesa, pure esso legato alla compartecipazione
al gettito dell'imposta sul valore aggiunto;
-definizione di una
regola di crescita dei trasferimenti perequativi che consenta di
mantenere almeno il valore reale della spesa regionale in tutte le
Regioni.
UNA PROPOSTA DI FEDERALISMO LOMBARDO
Nonostante le
menomazioni subite in termini di uomini e di prestigio delle
istituzioni democratiche durante l'ultima travagliata
legislatura, la Regione Lombardia non ha mancato di far notare la
sua presenza nel rinnovato dibattito sul federalismo
regionale.
Come in altri momenti cruciali e drammatici della nostra
storia Patria dalle guerre di indipendenza ai moti operai di fine
secolo, dal ribellismo post-bellico alla resistenza antifascista
la società lombarda ha partecipato intensamente alla rivoluzione
senza sangue del '92-'93 pagando prezzi elevati in termini di
sofferenze umane e di difficoltà economiche. In questa
circostanza, anche l'istituto regionale ha fatto sentire la
propria voce, che sembrava smorzata da tanti anni di grigiore
burocratico e di compresse velleità di autogoverno.
Nell'estate del
1993, a larghissima maggioranza, il Consiglio Regionale della
Lombardia ha votato una proposta di legge tesa a introdurre nel
nostro ordinamento costituzionale modifiche capaci di "sbloccare
in modo irreversibile i circoli viziosi di un cattivo
decentramento e di una debole autonomia", prefigurando un assetto
di poteri e di responsabilità molto più completo e organico di
quello varato in articulo mortis dalla citata Commissione
Bicamerale.
La proposta lombarda consta di 22 articoli ed é basata
sui seguenti princìpi:
-Regioni, Province e Comuni non
rappresentano più una semplice ripartizione interna dello Stato;
diventano elementi costitutivi della Repubblica con pari dignità e
distinti poteri.
-Ogni Regione definisce limiti e modalità della
propria autonomia attraverso specifica legge costituzionale
approvata dal Parlamento nazionale su proposta regionale.
-Si
elencano puntualmente le materie riservate alla competenza dello
Stato, lasciando spazio alla legislazione regionale nei settori
residui (ove lo Stato può intervenire solo in carenza di
iniziativa regionale).
-L'amministrazione, l'applicazione delle
leggi sul territorio (sia di quelle regionali che di quelle
nazionali) spetta alle Regioni e alle autonomie locali (principio
tipico degli ordinamenti federali).
-La Regione finanzia gli
investimenti propri e delle proprie comunità locali attraverso
quote di tributi erariali regionalmente prodotti e/o attraverso
tributi propri autonomamente deliberati. La gestione di tali
risorse non é più subordinata a vincoli di destinazione e/o a
decisioni annuali del legislatore statale. Si viene a sottrarre
così alla discrezionalità del Tesoro una parte cospicua delle
attuali ingentissime risorse della finanza pubblica.
Ci auguriamo
che il lombardo Francesco Speroni, nuovo Ministro per le Riforme
Istituzionali, possa tener conto di queste sollecitazioni della
nostra regione nel lodevole compito che si accinge a
completare.Per parte nostra riteniamo che il nodo istituzionale
vada tagliato al più presto, poichè l'attuale stato di confusione,
incertezza e deresponsabilizzazione che pervade un poi tutto il
settore della Pubblica Amministrazione costituisca, almeno per la
Lombardia, un gravissimo fattore di inferiorità competitiva
rispetto ai sistemi territoriali europei ed extra-europei con cui
si trova giornalmente confrontata.
Una Lombardia autonoma in uno
stato Federale e in un'Europa progressivamente integrata potrà
facilmente riconquistare quel ruolo di "capofila dei movimenti di
ripresa e di innovazione nei settori produttivi", cui veniva
ambiziosamente proposta dalla Giunta Regionale nel maggio i84
(Dossier Lombardia).
In effetti, come giustamente si affermava,
"motivi storici e dati strutturali legittimano la Lombardia a
progettare e proporre per l'intera Nazione percorsi di sviluppo e
di ammodernamento dell'intero assetto produttivo e
istituzionale".
NOTE
1)-Giuseppe Gario, Società, Economia,
Istituzioni in Lombardia. Dinamica di una regione sviluppata alle
soglie degli anni i90, Franco Angeli, Milano, 1994.
2)-Settore
Programmazione, Bilancio e Controllo di gestione, Schede di
indirizzo all'aggiornamento del Programma Regionale di Sviluppo,
Milano, agosto 1994.
3)-Cfr. G. Pola, Nuove Regioni e riforma dello
Stato, Venezia, 30/10/93, Ccia. Si ricorda che in alcuni Paesi a
struttura federale consolidata (Svizzera) o recente (Belgio e
Spagna) la quota di spesa pubblica affidata a Regioni e Comunità
locali supera il 50 per cento.