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Impresa & Stato N°27 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

MILANO: COMPETIZIONE SENZA STRATEGIE

di Enrico Ciciotti


Milano può competere oggi a scala nazionale e internazionale senza una strategia esplicita che ne individui il sentiero da percorrere e, soprattutto, le modalità di questo percorso?
L'esperienza di altre città europee, quali Lione, Stoccarda e Barcellona, ha mostrato come la strada della competizione volontaristica, basata cioé su concrete strategie di sviluppo e adeguati strumenti e politiche urbane, sia quella attualmente più seguita all'estero.1
Senza dare per scontato che questo dovesse essere il cammino che Milano doveva percorrere, é stata condotta una ricerca che mettesse in luce:
-le reali esigenze di politiche pubbliche di Milano, dato il suo modello di sviluppo economico-territoriale;
- le ragioni per le quali in passato tali politiche non avessero avuto successo (o non fossero state attuate);
-le alternative possibili in tema di modalità di formulazione e attuazione delle politiche stesse.
Qui di seguito vengono riportati in modo molto sintetico i principali risultati raggiunti.2

GLI ASPETTI STRUTTURALI DELLA COMPETIZIONE

Il modello economico- territoriale

Dall'analisi dei dati emerge una modifica in parte contraddittoria del mix settoriale che costituisce da sempre la base economica dell'area milanese. Il rafforzamento della specializzazione in alcuni settori avanzati (materiale elettrico ed elettronico, servizi alle imprese) o tipicamente urbani (editoria) si accompagna al mantenimento o al consolidamento in alcuni settori maturi (manufatti in metallo, gomma e materie plastiche) e al peggioramento relativo della specializzazione nel comparto ricerca e innovazione. Inoltre il mantenimento, anzi il rafforzamento, della funzione di incubatrice dell'area metropolitana stessa va di pari passo con una riduzione della dimensione media delle imprese proporzionalmente maggiore di quella registrata dalle altre province lombarde, con un conseguente probabile effetto negativo in termini di valore aggiunto (ipotizzando una minore produttività nelle imprese più piccole).
Il risultato complessivo di queste trasformazioni sembra, perlomeno nel breve periodo, giocare in modo non positivo sul modello di sviluppo complessivo dell'area. Da un lato infatti, pur non potendosi parlare di un processo di declino industriale patologico, é indubbio che Milano tende a perdere quota rispetto alle altre province lombarde e alle aree di nuova industrializzazione, nell'ambito di una generale tendenza allo spostamento dello sviluppo (non solo industriale) dal nord-ovest verso il nord-est e il centro. La riduzione dell'occupazione industriale non si accompagna infatti a un aumento almeno equivalente della produttività del lavoro e/o del valore aggiunto pro-capite del settore industriale stesso, mentre si registra anche un ridotto aumento del valore aggiunto delle altre attività (terziario).
Dall'altro, l'effetto di diffusione delle innovazioni dal centro verso le altre province lombarde e le regioni nord- orientali più che seguire il modello del filtering down (tipicamente gerarchico) sembra aver dato luogo a una perdita del livello innovativo dell'area di origine del processo innovativo stesso. Il risultato complessivo appare come un relativo appiattimento dei divari territoriali, sotto la duplice azione delle minori prestazioni dell'area milanese e di fenomeni consistenti di sviluppo endogeno, piuttosto che una diffusione gerarchica che dovrebbe mantenere le capacità innovative dell'area centrale.
Questo effetto potrebbe essere in parte una conseguenza e un rischio dello sviluppo di modelli territoriali di tipo reticolare (cioé sostanzialmente non areali) se non si istaurano sufficienti legami di cooperazione e non si attuano politiche attive.
Anche sul piano della collocazione internazionale la posizione di Milano é potenzialmente soggetta ad alcuni cambiamenti.
Per un verso infatti essa sembra ben definita e inattaccabile, anche se con valenze diverse, in alcuni ruoli specifici. Così ad esempio Milano non sembra avere competitori tra le altre città italiane per quanto riguarda la sua funzione di cerniera tra l'Italia e il resto del mondo; mentre d'altro canto é ritenuta inattuale da parte degli investitori esteri la collocazione su altre fasce quali ad esempio finanza, ricerca, terziario avanzato.
Per contro esistono i rischi di perdita di leadership e competitività internazionale in alcuni settori di eccellenza (moda, arredo, design, particolari comparti della ricerca) sostanzialmente a causa della riduzione del deterioramento delle economie esterne in termini di: qualità del capitale umano; livello di integrazione con l'ambiente locale; isolamento rispetto agli standard internazionali.

Gli interessi al piano e alle politiche pubbliche

La posizione di relativa forza o debolezza rispetto alla localizzazione milanese, in relazione alla maggiore o minore possibilità di localizzazioni alternative, al grado di dipendenza dalle economie di urbanizzazione e alla maggiore esposizione alla concorrenza esterna é risultata collegata alla sensibilità che i diversi attori della società milanese mostrano verso la necessità di politiche pubbliche del territorio, anche se questa sensibilità non si concretizza necessariamente in una domanda esplicita o univoca.
In generale si può dire che il pericolo di una minaccia cui la città (e la sua base economica) può andare incontro in assenza di politiche pubbliche é percepito in modo differenziato dai diversi attori, non necessariamente in dipendenza dalla loro oggettiva esposizione alla minaccia stessa. Questa situazione dipende fortemente dalla componente strutturale della competizione dell'area milanese e dalle prestazioni relativamente buone che sinora essa é stata in grado di assicurare.
D'altro canto, in un momento di forti cambiamenti nei paradigmi tecnico-economici e sociali questa forza relativa può facilmente trasformarsi in una debolezza se l'assenza di una minaccia percepita e/o la mancanza di una meta desiderata impediscono una visione strategica degli interessi settoriali e generali della città. In questa ottica, peraltro, va sottolineato che i diversi attori sollecitati esplicitamente a esprimersi sulla necessità e auspicabilità di un meta-progetto per la città si sono mostrati sostanzialmente tutti d'accordo, anche per l'evidente carattere di bene pubblico di una simile iniziativa.
In conclusione non esistono minaccie esplicite nè sul piano interno (come ad esempio nel caso di crisi settoriali che possono colpire città monofunzionali o addirittura one company town) nè su quello esterno a livello nazionale (il decentramento e la diffusione dello sviluppo sono ancora relativamente ridotti); mentre la competizione internazionale sembra comunque rimandata nel tempo e riguardare solo le funzioni superiori ma non la funzione di porta di accesso.Nello stesso tempo esiste una serie molto numerosa di sintomi di un cambiamento strutturale che investe Milano, la sua area metropolitana e l'intero sistema reticolare della Padania (oltre che la divisione spaziale del lavoro a scala europea) di difficile percezione in quanto le evidenze empiriche sono ambigue o comunque non univoche e gli elementi teorici e di politica economica derivanti dai nuovi paradigmi territoriali reticolari e in generale non areali sono ancora fragili e incerti.
In questo contesto largo spazio viene lasciato alle componenti volontaristiche più che strutturali della competizione, in quanto vi é l'opportunità di indirizzare le tendenze naturali attraverso scelte strategiche sia a livello di singola realtà urbana che grazie ad accordi con altre città e con i livelli superiori di governo.

GLI APETTI VOLONTARISTICI DELLA COMPETIZIONE

Il modello sociale

Coerentemente con quanto detto in precedenza la società milanese non é esplosa (non ha lasciato la città nè ha creato conflitti forti, non é a lungo ricorsa nè all'exit nè alla voice), ma ha cominciato tra il 1992 e il 1993 a usare il voto (tradizionalmente a Milano strumento non ideologico, ma razionale- contrattuale) sia in forma di protesta che di ritiro della loyalty. Una fase di prolungata opacità sociale anche favorita da un forte controllo partitico sui processi decisionali di amministrazione della società sembra aver lasciato il campo a una maggiore reattività della società che pure non esprime ancora una definita domanda di città.
Che questa domanda non si esprima su un piano strategico di città (come é ovvio) non significa che debba frammentarsi in singole issues. Piuttosto é il meccanismo di rappresentanza degli interessi a essere in forse: quello vecchio (lungo l'asse partiti-amministrazione-interessi forti) é ormai in crisi, mentre modi nuovi non sono ancora emersi, al di là di alcune forme associative che si propongono di innovare i sistemi decisionali.
L'evoluzione di settori nuovi (si pensi all'informatica, alle telecomunicazioni e all'area dei servizi avanzati) ha certamente contribuito all'affermazione di imprese e di un nuovo ceto di professionisti che, peraltro, non hanno sviluppato una cultura della città, appartenendo a reti multinazionali e culture cosmopolite trans-urbane. Essi rappresentano per ora un capitale umano molto dotato in termini di know how ma poco spendibile sul piano del governo dei processi urbani (come é invece avvenuto in alcune città francesi in cui la rivoluzione dei tecnici ha prodotto anche una nuova èlite urbana).

La gestione della macchina pubblico

Riguardo alle caratteristiche e all'evoluzione dell'amministrazione pubblica locale, la macchina milanese si presenta per un verso complessa e frammentata e, per l'altro troppo semplice. Mancano sperimentazioni di forme di gestione lungo l'asse orizzontale (dalle zone alla città alla regione), lungo l'asse verticale (dalla città allo Stato) e lungo l'asse settoriale (politiche per grandi comparti quali Università ricerca capitale umano, ambiente, sistemi informativi...) o ancora per grandi filiere di servizi che rompano la frammentazione (esempio: servizi per la mobilità, servizi per il mercato...).
La storia dell'organizzazione della macchina amministrativa milanese dimostra che non é mai esistito un asse amministrazione-governo (sul tipo delle grandi agenzie inter-amministrative con autonomia di gestione e di bilancio, come quelle che operano ad esempio in altre realtà urbane europee).3
Emergono, invece tre tipi di problemi dalla cui soluzione dipende il grado di efficienza/efficacia della macchina amministrativa locale. Si fa riferimento alla formazione di èlite tecnico-amministrative, all'allargamento dell'autonomia fiscale, all'affermarsi del principio di sussidiarietà nella prestazione ed erogazione dei servizi.Questi tre tipi di problemi potrebbero essere l'oggetto principale di una politica di contratti tra Stato e città, da avviare su modello francese.
Per quanto riguarda infine la capacità progettuale é risultato che Milano é una macchina che produce un elevato numero di progetti per la città (il parco- progetti) e poi ha scarsissima capacità realizzativa, cosa che ha comportato una crescente usura progettuale.4 La causa di ciò potrebbe essere non solo la natura del policy making milanese (debolezza degli attori pubblici) ma anche la mancanza di un progetto di città su cui far convergere il consenso di un numero crescente di attori.

QUALI INDICAZIONI PER L'AZIONE STRATEGICA

Le condizioni per l'azione strategica

Dal punto di vista del metodo, solo un processo di azione strategica che coinvolga e riposizioni tutti gli attori (e le loro preferenze) e non un gruppo tecnico seppur autorevole, può riuscire nell'impresa. Anche la proposta metodologicamente diversa di un soggetto istruttorio metropolitano appare debole. Sebbene sia impensabile una classica autorità metropolitana, é certo che solo una estesa cooperazione inter-istituzionale dotata di legittimità nell'elaborazione delle strategie può mettere insieme un meta-progetto di città, secondo le linee qui esposte.
Tra le condizioni necessarie per avviare un progetto di questa natura, se ne possono evidenziare due. E' in primo luogo necessario che emerga un interesse da parte degli attori a stabilire un gioco a somma positiva. Guardando a modelli realizzati in altre città-motore europee, ciò può riguardare i gruppi neo-industriali e del terziario a elevato contenuto di intelligenza nei confronti soprattutto di settori più tradizionali come il commercio e l'edilizia. Può avvenire interessando gli operatori (developers) dell'edilizia a un progetto centrato sulle nuove èlite professionali (Barcellona). Può consistere nell'alleanza tra alcuni ceti imprenditoriali tradizionali e le nuove business communities trans-urbane e trans-nazionali (Stoccarda). O ancora nell'alleanza tra una èlite modernizzante tecno-amministrativa e settori neo-imprenditoriali (Lione).In secondo luogo é importante che siano sviluppati meta-progetti da uno o più Enti locali, oppure vengano effettuati tentativi di coordinamento di alcuni segmenti dell'èlite tecno-amministrativa, in modo da poter determinare una causazione circolare e cumulativa. Il problema in questo caso é quello del come poter superare il veto posto da un attore o da più attori altrettanto o più forti dei soggetti proponenti i progetti importanti. L'impasse si risolve solo integrando tutti gli attori rilevanti, evitando la paralisi e lo scacco di una singola partita e quindi praticando attivamente sia la raccolta e la distribuzione delle informazioni sia la compensazione degli interessi.
Questo può essere fatto, da un punto di vista organizzativo, attraverso procedure di consultazione allargata a tutti gli interessi sui progetti urbani ex-ante ed ex-post (come nel caso di Lione), e la creazione di organismi di rappresentanza che costringano le parti (specie pubbliche di diverso livello) a compromettersi pubblicamente e quindi alla negoziazione e alla ricerca di focal points. In questo senso si deve mettere in evidenza il ruolo del foro nella discussione pubblica delle politiche. Così come é importante una strategia di comunicazione (uso dei media, azioni di tipo pedagogico, marketing urbano) oltrechè di negoziazione.

Le alternative possibili

Tra le tre alternative possibili (Tabella 1), elaborate sulla base sia delle esperienze estere che delle analisi teoriche in tema di nuove politiche urbane, si ritiene che l'approccio reticolare sia il più adatto per il caso milanese.
L'approccio bottom-up, infatti, ha già dato prova in passato della sua scarsa applicabilità. Questo é sostanzialmente fallito nella forma dell'urbanistica per progetti degli anni Ottanta. E, come si sa, l'approccio si é rivelato inefficiente non solo nella fase di implementazione, ma anche in quella decisionale.
Va aggiunto a questo riguardo che la compensazione degli interessi in gioco non può avvenire solo a scala di micro area o di singolo progetto e quindi può essere correttamente fatta solo a vasta scala, visto il diverso ruolo che i singoli attori giocano nel contesto metropolitano anche per effetto dello sviluppo dei modelli reticolari. Inoltre un modello bottom-up risulta particolarmente carente per affrontare quei problemi che richiedono progetti integrati, a carattere intersettoriale. Si pensi a questo riguardo al circuito ricerca, tecnologia, innovazione (e alle soluzioni datene a Stoccarda), al sistema formazione-capitale umano e così via. Si tratta di progetti il cui peso nell'offerta di economie di urbanizzazione rischia di essere forse più rilevante di quello delle infrastrutture fisiche ma la cui difficoltà di realizzazione, connessa proprio al carattere intersettoriale o di filiera, ha finora determinato scarsi risultati anche dal punto di vista propositivo (non é casuale, ad esempio che il tema dell'università venga affrontato in termini di spazi fisici piuttosto che anche di ri-progettazione di lauree e diplomi).
L'approccio top-down, invece, sembra improponibile in quanto richiede da parte dell'Ente locale (sia esso il Comune o la Provincia alla guida di un governo metropolitano) volontà, capacità tecnica di progettazione e soprattutto di implementazione delle politiche che, sinora, sono stati per le ragioni viste in precedenza proprio gli elementi più carenti.
Inoltre va sottolineato che, così come almeno proposto originariamente dalla letteratura sullo strategic planning, l'approccio in questione rischia di essere un modello che, almeno per il pianificatore urbano, nasce già vecchio. Esso infatti é tipicamente figlio dell'approccio manageriale alla gestione delle grandi imprese e quindi soffre di tutti i limiti a esso connessi, primo fra tutti quello di un modello sostanzialmentre gerarchico. Il modello reticolare, che sembra invece caratterizzare le nuove forme di organizzazione dei soggetti economici e del territorio induce rapporti di tipo cooperativo e competitivo che difficilmente possono essere trattati solo in questo modo. La necessità di cooperazioni interorganizzative, anche in relazione a progetti per loro natura intersettoriali e di area vasta (coinvolgente soggetti territoriali non necessariamente contigui) così come quella di compensare gli interessi e quella di visioni generali e condivise, costruite ex ante in assenza di un attore forte, sono tutti elementi essenziali per la formulazione e l'attuazione delle politiche pubbliche del territorio.
Il modello reticolare (o della gestione dei networks), dunque, sembra essere la soluzione preferibile, anche se con ampio margine di incertezza e di approcci.
Si é già riscontrata l'importanza di elaborare un progetto di città in modo coordinato (dal punto di vista degli attori) e integrato (dal punto di vista delle politiche). E si é visto come é importante a questo fine porre particolare attenzione agli aspetti gestionali della rete di attori/politiche.
Si tratta, in definitiva, di riuscire a formare il consenso preventivo per poi ottenere il consenso operativo. Questo é ancora più valido in un contesto, come quello milanese, in cui gli attori e gli interessi sono molti e diversi e i meccanismi di interazione seguono la logica della competizione e dello scontro più che quella della collaborazione e della cooperazione. L'approccio reticolare risponde proprio all'esigenza di coordinare tale frammentarietà e costruire un consenso di base su un progetto globale di città. Si ricordi che il modello bottom-up e quello top- down funzionano quando, come si é visto, non vi é molta conflittualità e divergenza di interessi tra gli attori.

NOTE
1)- Cfr. Quaderni Aim n. 6, 14 e 17 citati in bibliografia.
2)-Per un'analisi completa si veda E. Ciciotti, R. Florio, P. Perulli, Milano: competizione senza strategie?, Quaderni Aim n. 24, Milano, 1994.
3)-Cfr. ancora una volta le esperienze di Lione, Stoccarda e Barcellona, per rimanere nell'ambito degli studi effettuati e dei quattro motori d'Europa.
4)-Vedi gli studi di B. Dente, P. Fareri, A. Balducci citati in bibliografia.

Bibliografia
A. Balducci, Disegnare il futuro, Il Mulino, Bologna, 1991.J. Bryson, Strategic Planning for Public and Non profit Organizations, Jossey-Bass, San Francisco, 1989
.R. Camagni, C. Gibelli, Verso un Piano Territoriale Strategico in Lombardia, in Irer Per un Piano Territoriale Strategico della Lombardia anni 2000, 1992, allegato n. 3.
Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano, Monitorare Milano-Progetto per un sistema integrato di informazioni sull'area metropolitana, Milano, 1992.
E. Ciciotti, P. Perulli (a cura di), I dilemmi della cooperazione in una città politecnica: Stoccarda, Aim, Quaderno n. 14, Milano, 1992.
E. Ciciotti, P. Perulli (a cura di), Pianificazione Strategica e Giochi Olimpici a Barcellona, Aim, Quaderno n. 17, Milano, 1992.
E. Ciciotti, P. Perulli (a cura di), Politiche urbane per una metropoli europea: Lione, Aim, Quaderno n. 6, Milano, 1990
.P. Fareri, La progettazione del governo a Milano: nuovi attori per la metropoli matura, in B. Dente e altri, Metropoli per progetti, Bologna, Il Mulino, 1990.
B. Dente, L'offerta di politiche pubbliche, in Camera di Commercio di Milano - Monitorare Milano Il sistema politico-istituzionale, Milano, 1992.
Oetamm, Quaderni dal n. 1 al n. 35.
C. Secchi, S. Alessandrini (a cura di), Milano vista dagli europei immagine e promozione della metropoli milanese nel contesto della comunità internazionale, Aim, Quaderno n. 13, Milano, 1992.