di Enrico Ciciotti
GLI ASPETTI STRUTTURALI DELLA COMPETIZIONE
Il modello economico- territoriale
Dall'analisi dei dati emerge una modifica in parte
contraddittoria del mix settoriale che costituisce da sempre la
base economica dell'area milanese. Il rafforzamento della
specializzazione in alcuni settori avanzati (materiale elettrico
ed elettronico, servizi alle imprese) o tipicamente urbani
(editoria) si accompagna al mantenimento o al consolidamento in
alcuni settori maturi (manufatti in metallo, gomma e materie
plastiche) e al peggioramento relativo della specializzazione nel
comparto ricerca e innovazione. Inoltre il mantenimento, anzi il
rafforzamento, della funzione di incubatrice dell'area
metropolitana stessa va di pari passo con una riduzione della
dimensione media delle imprese proporzionalmente maggiore di
quella registrata dalle altre province lombarde, con un
conseguente probabile effetto negativo in termini di valore
aggiunto (ipotizzando una minore produttività nelle imprese più
piccole).
Il risultato complessivo di queste trasformazioni sembra,
perlomeno nel breve periodo, giocare in modo non positivo sul
modello di sviluppo complessivo dell'area. Da un lato infatti, pur
non potendosi parlare di un processo di declino industriale
patologico, é indubbio che Milano tende a perdere quota rispetto
alle altre province lombarde e alle aree di nuova
industrializzazione, nell'ambito di una generale tendenza allo
spostamento dello sviluppo (non solo industriale) dal nord-ovest
verso il nord-est e il centro. La riduzione dell'occupazione
industriale non si accompagna infatti a un aumento almeno
equivalente della produttività del lavoro e/o del valore aggiunto
pro-capite del settore industriale stesso, mentre si registra
anche un ridotto aumento del valore aggiunto delle altre attività
(terziario).
Dall'altro, l'effetto di diffusione delle innovazioni
dal centro verso le altre province lombarde e le regioni nord-
orientali più che seguire il modello del filtering down
(tipicamente gerarchico) sembra aver dato luogo a una perdita del
livello innovativo dell'area di origine del processo innovativo
stesso. Il risultato complessivo appare come un relativo
appiattimento dei divari territoriali, sotto la duplice azione
delle minori prestazioni dell'area milanese e di fenomeni
consistenti di sviluppo endogeno, piuttosto che una diffusione
gerarchica che dovrebbe mantenere le capacità innovative dell'area
centrale.
Questo effetto potrebbe essere in parte una conseguenza e
un rischio dello sviluppo di modelli territoriali di tipo
reticolare (cioé sostanzialmente non areali) se non si istaurano
sufficienti legami di cooperazione e non si attuano politiche
attive.
Anche sul piano della collocazione internazionale la
posizione di Milano é potenzialmente soggetta ad alcuni
cambiamenti.
Per un verso infatti essa sembra ben definita e
inattaccabile, anche se con valenze diverse, in alcuni ruoli
specifici. Così ad esempio Milano non sembra avere competitori tra
le altre città italiane per quanto riguarda la sua funzione di
cerniera tra l'Italia e il resto del mondo; mentre d'altro canto é
ritenuta inattuale da parte degli investitori esteri la
collocazione su altre fasce quali ad esempio finanza, ricerca,
terziario avanzato.
Per contro esistono i rischi di perdita di
leadership e competitività internazionale in alcuni settori di
eccellenza (moda, arredo, design, particolari comparti della
ricerca) sostanzialmente a causa della riduzione del
deterioramento delle economie esterne in termini di: qualità del
capitale umano; livello di integrazione con l'ambiente locale;
isolamento rispetto agli standard internazionali.
Gli interessi al piano e alle politiche pubbliche
La posizione di relativa forza o
debolezza rispetto alla localizzazione milanese, in relazione alla
maggiore o minore possibilità di localizzazioni alternative, al
grado di dipendenza dalle economie di urbanizzazione e alla
maggiore esposizione alla concorrenza esterna é risultata
collegata alla sensibilità che i diversi attori della società
milanese mostrano verso la necessità di politiche pubbliche del
territorio, anche se questa sensibilità non si concretizza
necessariamente in una domanda esplicita o univoca.
In generale si
può dire che il pericolo di una minaccia cui la città (e la sua
base economica) può andare incontro in assenza di politiche
pubbliche é percepito in modo differenziato dai diversi attori,
non necessariamente in dipendenza dalla loro oggettiva esposizione
alla minaccia stessa. Questa situazione dipende fortemente dalla
componente strutturale della competizione dell'area milanese e
dalle prestazioni relativamente buone che sinora essa é stata in
grado di assicurare.
D'altro canto, in un momento di forti
cambiamenti nei paradigmi tecnico-economici e sociali questa forza
relativa può facilmente trasformarsi in una debolezza se l'assenza
di una minaccia percepita e/o la mancanza di una meta desiderata
impediscono una visione strategica degli interessi settoriali e
generali della città. In questa ottica, peraltro, va sottolineato
che i diversi attori sollecitati esplicitamente a esprimersi sulla
necessità e auspicabilità di un meta-progetto per la città si sono
mostrati sostanzialmente tutti d'accordo, anche per l'evidente
carattere di bene pubblico di una simile iniziativa.
In conclusione
non esistono minaccie esplicite nè sul piano interno (come ad
esempio nel caso di crisi settoriali che possono colpire città
monofunzionali o addirittura one company town) nè su quello
esterno a livello nazionale (il decentramento e la diffusione
dello sviluppo sono ancora relativamente ridotti); mentre la
competizione internazionale sembra comunque rimandata nel tempo e
riguardare solo le funzioni superiori ma non la funzione di porta
di accesso.Nello stesso tempo esiste una serie molto numerosa di
sintomi di un cambiamento strutturale che investe Milano, la sua
area metropolitana e l'intero sistema reticolare della Padania
(oltre che la divisione spaziale del lavoro a scala europea) di
difficile percezione in quanto le evidenze empiriche sono ambigue
o comunque non univoche e gli elementi teorici e di politica
economica derivanti dai nuovi paradigmi territoriali reticolari e
in generale non areali sono ancora fragili e incerti.
In questo
contesto largo spazio viene lasciato alle componenti
volontaristiche più che strutturali della competizione, in quanto
vi é l'opportunità di indirizzare le tendenze naturali attraverso
scelte strategiche sia a livello di singola realtà urbana che
grazie ad accordi con altre città e con i livelli superiori di
governo.
GLI APETTI VOLONTARISTICI DELLA COMPETIZIONE
Il modello sociale
Coerentemente con quanto detto in precedenza la società
milanese non é esplosa (non ha lasciato la città nè ha creato
conflitti forti, non é a lungo ricorsa nè all'exit nè alla voice),
ma ha cominciato tra il 1992 e il 1993 a usare il voto
(tradizionalmente a Milano strumento non ideologico, ma razionale-
contrattuale) sia in forma di protesta che di ritiro della
loyalty. Una fase di prolungata opacità sociale anche favorita da
un forte controllo partitico sui processi decisionali di
amministrazione della società sembra aver lasciato il campo a una
maggiore reattività della società che pure non esprime ancora una
definita domanda di città.
Che questa domanda non si esprima su un
piano strategico di città (come é ovvio) non significa che debba
frammentarsi in singole issues. Piuttosto é il meccanismo di
rappresentanza degli interessi a essere in forse: quello vecchio
(lungo l'asse partiti-amministrazione-interessi forti) é ormai in
crisi, mentre modi nuovi non sono ancora emersi, al di là di
alcune forme associative che si propongono di innovare i sistemi
decisionali.
L'evoluzione di settori nuovi (si pensi
all'informatica, alle telecomunicazioni e all'area dei servizi
avanzati) ha certamente contribuito all'affermazione di imprese e
di un nuovo ceto di professionisti che, peraltro, non hanno
sviluppato una cultura della città, appartenendo a reti
multinazionali e culture cosmopolite trans-urbane. Essi
rappresentano per ora un capitale umano molto dotato in termini di
know how ma poco spendibile sul piano del governo dei processi
urbani (come é invece avvenuto in alcune città francesi in cui la
rivoluzione dei tecnici ha prodotto anche una nuova èlite
urbana).
La gestione della macchina pubblico
Riguardo alle
caratteristiche e all'evoluzione dell'amministrazione pubblica
locale, la macchina milanese si presenta per un verso complessa e
frammentata e, per l'altro troppo semplice. Mancano
sperimentazioni di forme di gestione lungo l'asse orizzontale
(dalle zone alla città alla regione), lungo l'asse verticale
(dalla città allo Stato) e lungo l'asse settoriale (politiche per
grandi comparti quali Università ricerca capitale umano, ambiente,
sistemi informativi...) o ancora per grandi filiere di servizi che
rompano la frammentazione (esempio: servizi per la mobilità,
servizi per il mercato...).
La storia dell'organizzazione della
macchina amministrativa milanese dimostra che non é mai esistito
un asse amministrazione-governo (sul tipo delle grandi agenzie
inter-amministrative con autonomia di gestione e di bilancio, come
quelle che operano ad esempio in altre realtà urbane
europee).3
Emergono, invece tre tipi di problemi dalla cui
soluzione dipende il grado di efficienza/efficacia della macchina
amministrativa locale. Si fa riferimento alla formazione di èlite
tecnico-amministrative, all'allargamento dell'autonomia fiscale,
all'affermarsi del principio di sussidiarietà nella prestazione ed
erogazione dei servizi.Questi tre tipi di problemi potrebbero
essere l'oggetto principale di una politica di contratti tra Stato
e città, da avviare su modello francese.
Per quanto riguarda infine
la capacità progettuale é risultato che Milano é una macchina che
produce un elevato numero di progetti per la città (il parco-
progetti) e poi ha scarsissima capacità realizzativa, cosa che ha
comportato una crescente usura progettuale.4 La causa di ciò
potrebbe essere non solo la natura del policy making milanese
(debolezza degli attori pubblici) ma anche la mancanza di un
progetto di città su cui far convergere il consenso di un numero
crescente di attori.
QUALI INDICAZIONI PER L'AZIONE STRATEGICA
Le condizioni per l'azione strategica
Dal punto di vista del metodo, solo un processo
di azione strategica che coinvolga e riposizioni tutti gli attori
(e le loro preferenze) e non un gruppo tecnico seppur autorevole,
può riuscire nell'impresa. Anche la proposta metodologicamente
diversa di un soggetto istruttorio metropolitano appare debole.
Sebbene sia impensabile una classica autorità metropolitana, é
certo che solo una estesa cooperazione inter-istituzionale dotata
di legittimità nell'elaborazione delle strategie può mettere
insieme un meta-progetto di città, secondo le linee qui
esposte.
Tra le condizioni necessarie per avviare un progetto di
questa natura, se ne possono evidenziare due. E' in primo luogo
necessario che emerga un interesse da parte degli attori a
stabilire un gioco a somma positiva. Guardando a modelli
realizzati in altre città-motore europee, ciò può riguardare i
gruppi neo-industriali e del terziario a elevato contenuto di
intelligenza nei confronti soprattutto di settori più tradizionali
come il commercio e l'edilizia. Può avvenire interessando gli
operatori (developers) dell'edilizia a un progetto centrato sulle
nuove èlite professionali (Barcellona). Può consistere
nell'alleanza tra alcuni ceti imprenditoriali tradizionali e le
nuove business communities trans-urbane e trans-nazionali
(Stoccarda). O ancora nell'alleanza tra una èlite modernizzante
tecno-amministrativa e settori neo-imprenditoriali (Lione).In
secondo luogo é importante che siano sviluppati meta-progetti da
uno o più Enti locali, oppure vengano effettuati tentativi di
coordinamento di alcuni segmenti dell'èlite tecno-amministrativa,
in modo da poter determinare una causazione circolare e
cumulativa. Il problema in questo caso é quello del come poter
superare il veto posto da un attore o da più attori altrettanto o
più forti dei soggetti proponenti i progetti importanti. L'impasse
si risolve solo integrando tutti gli attori rilevanti, evitando la
paralisi e lo scacco di una singola partita e quindi praticando
attivamente sia la raccolta e la distribuzione delle informazioni
sia la compensazione degli interessi.
Questo può essere fatto, da
un punto di vista organizzativo, attraverso procedure di
consultazione allargata a tutti gli interessi sui progetti urbani
ex-ante ed ex-post (come nel caso di Lione), e la creazione di
organismi di rappresentanza che costringano le parti (specie
pubbliche di diverso livello) a compromettersi pubblicamente e
quindi alla negoziazione e alla ricerca di focal points. In questo
senso si deve mettere in evidenza il ruolo del foro nella
discussione pubblica delle politiche. Così come é importante una
strategia di comunicazione (uso dei media, azioni di tipo
pedagogico, marketing urbano) oltrechè di negoziazione.
Le alternative possibili
Tra le tre alternative possibili (Tabella 1),
elaborate sulla base sia delle esperienze estere che delle analisi
teoriche in tema di nuove politiche urbane, si ritiene che
l'approccio reticolare sia il più adatto per il caso
milanese.
L'approccio bottom-up, infatti, ha già dato prova in
passato della sua scarsa applicabilità. Questo é sostanzialmente
fallito nella forma dell'urbanistica per progetti degli anni
Ottanta. E, come si sa, l'approccio si é rivelato inefficiente non
solo nella fase di implementazione, ma anche in quella
decisionale.
Va aggiunto a questo riguardo che la compensazione
degli interessi in gioco non può avvenire solo a scala di micro
area o di singolo progetto e quindi può essere correttamente fatta
solo a vasta scala, visto il diverso ruolo che i singoli attori
giocano nel contesto metropolitano anche per effetto dello
sviluppo dei modelli reticolari. Inoltre un modello bottom-up
risulta particolarmente carente per affrontare quei problemi che
richiedono progetti integrati, a carattere intersettoriale. Si
pensi a questo riguardo al circuito ricerca, tecnologia,
innovazione (e alle soluzioni datene a Stoccarda), al sistema
formazione-capitale umano e così via. Si tratta di progetti il cui
peso nell'offerta di economie di urbanizzazione rischia di essere
forse più rilevante di quello delle infrastrutture fisiche ma la
cui difficoltà di realizzazione, connessa proprio al carattere
intersettoriale o di filiera, ha finora determinato scarsi
risultati anche dal punto di vista propositivo (non é casuale, ad
esempio che il tema dell'università venga affrontato in termini di
spazi fisici piuttosto che anche di ri-progettazione di lauree e
diplomi).
L'approccio top-down, invece, sembra improponibile in
quanto richiede da parte dell'Ente locale (sia esso il Comune o la
Provincia alla guida di un governo metropolitano) volontà,
capacità tecnica di progettazione e soprattutto di implementazione
delle politiche che, sinora, sono stati per le ragioni viste in
precedenza proprio gli elementi più carenti.
Inoltre va
sottolineato che, così come almeno proposto originariamente dalla
letteratura sullo strategic planning, l'approccio in questione
rischia di essere un modello che, almeno per il pianificatore
urbano, nasce già vecchio. Esso infatti é tipicamente figlio
dell'approccio manageriale alla gestione delle grandi imprese e
quindi soffre di tutti i limiti a esso connessi, primo fra tutti
quello di un modello sostanzialmentre gerarchico. Il modello
reticolare, che sembra invece caratterizzare le nuove forme di
organizzazione dei soggetti economici e del territorio induce
rapporti di tipo cooperativo e competitivo che difficilmente
possono essere trattati solo in questo modo. La necessità di
cooperazioni interorganizzative, anche in relazione a progetti per
loro natura intersettoriali e di area vasta (coinvolgente soggetti
territoriali non necessariamente contigui) così come quella di
compensare gli interessi e quella di visioni generali e condivise,
costruite ex ante in assenza di un attore forte, sono tutti
elementi essenziali per la formulazione e l'attuazione delle
politiche pubbliche del territorio.
Il modello reticolare (o della
gestione dei networks), dunque, sembra essere la soluzione
preferibile, anche se con ampio margine di incertezza e di
approcci.
Si é già riscontrata l'importanza di elaborare un
progetto di città in modo coordinato (dal punto di vista degli
attori) e integrato (dal punto di vista delle politiche). E si é
visto come é importante a questo fine porre particolare attenzione
agli aspetti gestionali della rete di attori/politiche.
Si tratta,
in definitiva, di riuscire a formare il consenso preventivo per
poi ottenere il consenso operativo. Questo é ancora più valido in
un contesto, come quello milanese, in cui gli attori e gli
interessi sono molti e diversi e i meccanismi di interazione
seguono la logica della competizione e dello scontro più che
quella della collaborazione e della cooperazione. L'approccio
reticolare risponde proprio all'esigenza di coordinare tale
frammentarietà e costruire un consenso di base su un progetto
globale di città. Si ricordi che il modello bottom-up e quello top-
down funzionano quando, come si é visto, non vi é molta
conflittualità e divergenza di interessi tra gli attori.
NOTE
1)-
Cfr. Quaderni Aim n. 6, 14 e 17 citati in bibliografia.
2)-Per
un'analisi completa si veda E. Ciciotti, R. Florio, P. Perulli,
Milano: competizione senza strategie?, Quaderni Aim n. 24, Milano,
1994.
3)-Cfr. ancora una volta le esperienze di Lione, Stoccarda e
Barcellona, per rimanere nell'ambito degli studi effettuati e dei
quattro motori d'Europa.
4)-Vedi gli studi di B. Dente, P. Fareri,
A. Balducci citati in bibliografia.
Bibliografia
A. Balducci,
Disegnare il futuro, Il Mulino, Bologna, 1991.J. Bryson, Strategic
Planning for Public and Non profit Organizations, Jossey-Bass, San
Francisco, 1989
.R. Camagni, C. Gibelli, Verso un Piano
Territoriale Strategico in Lombardia, in Irer Per un Piano
Territoriale Strategico della Lombardia anni 2000, 1992, allegato
n. 3.
Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di
Milano, Monitorare Milano-Progetto per un sistema integrato di
informazioni sull'area metropolitana, Milano, 1992.
E. Ciciotti, P.
Perulli (a cura di), I dilemmi della cooperazione in una città
politecnica: Stoccarda, Aim, Quaderno n. 14, Milano, 1992.
E.
Ciciotti, P. Perulli (a cura di), Pianificazione Strategica e
Giochi Olimpici a Barcellona, Aim, Quaderno n. 17, Milano, 1992.
E.
Ciciotti, P. Perulli (a cura di), Politiche urbane per una
metropoli europea: Lione, Aim, Quaderno n. 6, Milano, 1990
.P.
Fareri, La progettazione del governo a Milano: nuovi attori per la
metropoli matura, in B. Dente e altri, Metropoli per progetti,
Bologna, Il Mulino, 1990.
B. Dente, L'offerta di politiche
pubbliche, in Camera di Commercio di Milano - Monitorare Milano Il
sistema politico-istituzionale, Milano, 1992.
Oetamm, Quaderni dal
n. 1 al n. 35.
C. Secchi, S. Alessandrini (a cura di), Milano
vista dagli europei immagine e promozione della metropoli milanese
nel contesto della comunità internazionale, Aim, Quaderno n. 13,
Milano, 1992.