di Roberto Camagni
LA CITTA' COME SOGGETTO STRATEGICO
Lo strumento principe per la realizzazione di
una tale visione di successo é ormai individuato, dalla migliore
teoria e dalla prassi delle città più innovative e dinamiche a
livello internazionale, nello Strategic Planning.
Cinque fenomeni
precisi stanno alla base della necessità di un ricorso a questo
strumento, di derivazione aziendale, nella prassi della
pianificazione territoriale.
Il primo fenomeno, di lungo periodo,
concerne i nuovi modi della integrazione economica della città col
territorio: tale integrazione non avviene più solo per aree di
gravitazione direttamente circostanti la città o con rapporti di
tipo verticale fra città di diversa dimensione e livello
gerarchico (il sistema pendolare giornaliero, l'area di
gravitazione commerciale, il sistema gerarchico dei centri) ma
attraverso reti di rapporti orizzontali di lunga distanza: reti di
rapporti commerciali interregionali e internazionali; reti di
complementarietà, che organizzano una divisione spaziale del
lavoro fra città; reti di sinergia, fra città relativamente simili
e similmente specializzate, che intessono tra loro rapporti di
cooperazione (ad esempio, le città finanziarie, le città
organizzate in itinerari turistici ecc.) (Camagni, 1992a, cap. 4;
Camagni, 1993a; Camagni e De Blasio, 1993).
Nella organizzazione
del territorio per reti, la singola città acquista molti gradi di
libertà nella scelta del suo percorso di sviluppo, in quanto la
sua funzione territoriale non é più legata direttamente alla sua
dimensione (come nel modello di gerarchia urbana tradizionale). In
termini economici e astratti potremmo dire che, attraverso
l'organizzazione a rete, viene meno l'elemento di frizione
spaziale, e con esso viene meno la separazione geografica dei
mercati spaziali. Questo nuovo contesto esige nuove capacità e
nuovi comportamenti da parte della città, in sintonia con quanto
esige dalle imprese che operano sul mercato: competitività della
struttura interna della città, capacità di progettazione e di
pianificazione strategica e capacità di vendita all'esterno
(Camagni, 1992b e 1993b; Camagni e Gibelli, 1993).
Il secondo
fenomeno concerne la fruizione fisica della città, e il fatto che
si va sempre più differenziando, nel caso delle aree
metropolitane, l'insieme costituito dai cittadini residenti da
quello dei fruitori della città. Come le recenti indagini di
Martinotti hanno ampiamente mostrato (Martinotti, 1992), i grandi
utilizzatori dei servizi e degli spazi urbani sono sempre più tre
categorie di non-residenti: i lavoratori pendolari, residenti
all'esterno, i turisti per finalità culturali, educative
(studenti) e di svago, e i turisti d'affari o i turisti
congressuali. Questi soggetti non votano nella città e non
contribuiscono direttamente alle sue entrate fiscali, ma generano
un enorme flusso di reddito. E' stato calcolato ad esempio che il
reddito attivato in Francia dal turismo connesso alle fiere di
Parigi raggiunga li1% del reddito nazionale (Camagni, 1988).
Come
le città d'arte o tipicamente turistiche, che da tempo sono
impegnate nella promozione della loro immagine, così anche le
altre città, di grande o media dimensione, si impegnano oggi nello
stesso senso, in direzione del mondo degli affari, un mondo sempre
più integrato a livello internazionale.
Predisposizione di
strutture di accoglienza, efficienti infrastrutture di trasporto e
comunicazione, predisposizione di aree per localizzazioni di
prestigio, efficienza nell'organizzazione e nel funzionamento
quotidiano interno della città, presenza di una rete di strutture
di loisir urbano di buon livello; questi sono gli elementi che
giocano a favore di una forte attrattività esterna della città,
elementi che possono poi essere adeguatamente pubblicizzati
attraverso opportune politiche di promozione dell'immagine
internazionale della città stessa.
Il terzo fenomeno concerne la
accelerazione del cambiamento strutturale e il suo impatto
territoriale. Se i processi di de-agricolturizzazione (nelle
parole di Paul Cheshire) hanno impiegato 200 anni per dispiegarsi
interamente sul territorio, i processi recenti di de-
industrializzazione urbana (intesa qui in un senso diretto e
banale, come riduzione degli occupati e degli spazi adibiti alla
produzione industriale) si sono manifestati nel giro di 15-20
anni.
Ciò implica che non vi é tempo per attendere una
metabolizzazione spontanea di tali processi, sia nel senso della
difesa del benessere collettivo locale (disoccupazione) che della
efficente gestione del territorio (i vuoti urbani). La città si
vede dunque impegnata in politiche di intervento esplicito, e deve
necessariamente fare riferimento anche alle forze esterne.
Il
quarto fenomeno che sta alla base del successo della filosofia
della pianificazione strategica concerne l'avvento di settori
avanzati, operanti nel secondario e nel terziario, ad alta
intensità di informazione, che hanno, proprio per questa loro
ultima caratteristica, una forte predilezione per un ambiente
urbano. La cattura di queste nuove attività appare come cruciale
per le possibilità di sviluppo di medio e lungo periodo delle
città oggi.
Infine, nel breve-medio periodo, in ambito europeo
gioca ampiamente un elemento istituzionale di grande rilievo,
costituito dalla accelerazione del processo di integrazione
realizzato dall'Unione Europea. In un mercato integrato, le grandi
città costituiscono i gateways della internazionalizzazione dei
singoli sistemi economici. In particolare, su di esse convergono
le decisioni localizzative delle grandi imprese multinazionali,
nella loro strategia di espansione commerciale.
UNA NUOVA FILOSOFIA: LO STRATEGIC PLANNING
In condizioni come quelle sopra
illustrate, in cui la città si trova inserita in un ambiente
competitivo a forte complessità e conflittualità, le nuove domande
che nascono spontanee al policy-making urbano richiedono nuovi
strumenti e nuove filosofie di intervento. Ai tradizionali
obiettivi di controllo e di ordinata espansione dell'ambiente
fisico urbano si aggiungono nuovi obiettivi di competitività e di
visibilità esterna; e altri tradizionali obiettivi connessi con il
benessere dei cittadini e la qualità della vita si caricano di
significati strategici nuovi e di nuove valenze politiche ed
economiche.
Il nuovo strumento, o meglio la nuova filosofia di
intervento pubblico, capace di meglio affrontare le nuove esigenze
viene riconosciuto nello Strategic Planning mutuato dalla pratica
di pianificazione di lungo periodo delle grandi imprese.
Lo
Strategic Planning nasce infatti come uno strumento di
pianificazione aziendale volto a migliorare l'efficienza dinamica
di impresa, e si può definire come il processo iterativo di
definizione degli obiettivi di lungo periodo dell'impresa (in
termini di prodotti/mercati/tecnologie) integrato con le attività
di controllo/ottimizzazione dei processi idonei a perseguire tali
obiettivi. Introdotto nel settore privato negli ultimi 20 anni, ha
cominciato a essere applicato, negli anni Settanta e soprattutto
negli anni Ottanta, anche alle attività di programmazione e
pianificazione di competenza delle organizzazioni pubbliche. Le
condizioni di crescente complessità e incertezza in cui le
organizzazioni pubbliche, e in particolare le amministrazioni
locali delle grandi città, si trovano a operare e la parallela
crescente insoddisfazione per i risultati del physical
comprehensive planning spiegano in buona misura il ricorso
crescente a questo modello di pianificazione (Bryson ed
Einsweiler, 1988; Gibelli, 1990 e 1993).
La pianificazione
strategica:
-privilegia le analisi prospettiche e di scenario;
-
riconduce la complessità e la specificità locale (elementi di
forza e debolezza) a un unico disegno strategico;
-opera in una
dimensione apertamente pragmatica, consapevole di agire in un
contesto di razionalità limitata, e assume di conseguenza un
comportamento dinamico e flessibile nei confronti della
definizione degli obiettivi e delle azioni;
-si affida a processi
di apprendimento e di revisione iterativi;
-promuove la
consultazione e la partecipazione allargata degli interessi e
della società civile;
-attribuisce rilevanza strategica alle fasi
attuative del piano;
-affida ai documenti di piano una funzione
eminentemente persuasiva e promozionale.1
Il marketing urbano, uno
strumento che sempre più viene proposto all'interesse del policy-
maker urbano, costituisce, se inteso in senso lato, uno strumento
ben inserito nella più generale filosofia dello Strategic
Planning; esso infatti costituisce un momento tecnico del processo
complessivo, legato alla verifica della domanda sociale locale,
alla costruzione di una visione di successo per la città e alla
sua promozione esterna.
UNA NUOVA METAFORA: LA CITTA' COME GRANDE IMPRESA
La città viene dunque a utilizzare approcci e strumenti
propri della grande impresa. Ma, al fine di corroborare questa
convergenza, sembra opportuno esplorare direttamente la nuova
metafora che indirettamente viene proposta: la città come grande
impresa.
Questa metafora si giustifica all'interno di una visione
certamente economica (ma non economicistica) della città come
soggetto strategico che definisce una funzione di benessere
collettivo da ottimizzare sul lungo periodo, e appronta gli
strumenti necessari per il raggiungimento, almeno a un livello
soddisfacente, degli obiettivi attraverso la cooperazione con i
soggetti che essa organizza al suo interno o che si muovono nel
suo ambito di azione. Si tratta dunque di una immagine solo
parziale della città, che tuttavia mette in rilievo il mutamento
di prospettiva e di filosofia di intervento che occorre assumere
nelle nuove condizioni della competizione territoriale.
Sembra
necessario subito sgombrare il campo da alcune possibili
incomprensioni semantiche che derivano dalla utilizzazione di
concetti e di linguaggi che sono sempre stati estranei alla
tradizione della pianificazione.
-Innanzitutto la metafora della
città come impresa non deve essere confusa con l'equazione della
città come business, una equazione cui precedenti approcci
urbanistici e molte pratiche conseguenti hanno lasciato ampio
spazio, ma a cui la nuova metafora si contrappone decisamente;
-in
secondo luogo, l'origine economica della metafora non implica che
gli obiettivi di carattere economico (efficienza, competitività)
debbano prevalere su altri obiettivi: é un metodo di razionale
definizione di obiettivi, decisioni e comportamenti che si vuole
introdurre, e non una serie di obiettivi preconfezionati;
-gli
obiettivi dell'azione di piano devono essere di lungo periodo,
come impone la nuova, irrinunciabile filosofia dello sviluppo
sostenibile (sustainable o durable) (Camagni, 1994). E se si
adotta questiottica di lungo periodo, il possibile conflitto fra
obiettivi di efficienza immediata e obiettivi di equità o di
qualità della vita viene a stemperarsi se non ad annullarsi
completamente: una città che mantiene nel lungo periodo la sua
efficienza e la sua attrattività esterna é necessariamente una
città priva di forti diseguaglianze e conflitti sociali, una città
che fornisce a un ampio spettro di cittadini un diversificato
ventaglio di potenziali percorsi individuali di crescita culturale
e professionale, e soprattutto una città con forti valenze
ambientali.
Come l'impresa, la città intrattiene rapporti
privilegiati con quattro attori, o gruppi di attori (Figura 1):
A)
i customers, i clienti o utilizzatori dei suoi prodotti/servizi.
Essi appartengono a tre categorie: i fruitori di servizi
residenziali, i fruitori di servizi pubblici (siano essi cittadini
residenti o non-residenti) e i fruitori di servizi localizzativi
(siano essi rappresentati da imprese locali o da imprese
esterne).
A queste tre categorie di clienti deve dunque
indirizzarsi l'attività di produzione dell'impresa-città; essa
deve conoscere le esigenze di ciascuna di queste categorie, deve
finalizzare e sintonizzare i suoi servizi su tali esigenze, deve
ottimizzare la dimensione della sua produzione, cioé la dimensione
della città stessa e dei suoi servizi, al fine di raggiungere la
maggiore efficienza e il minimo costo (si sottolinea il verbo
ottimizzare, che é cosa differente da massimizzare).
Il marketing,
che tecnicamente abbraccia tutte le funzioni di analisi del
mercato, definizione di una strategia e promozione del prodotto e
dell'immagine dell'impresa (e non solo questiultima funzione!), si
deve rivolgere dunque non solo all'esterno, ma anche all'interno
della città stessa, ai residenti e alle imprese già localizzate.
B)
Gli stock-holders, i proprietari, rispettivamente di terreni
urbani, fabbricati, infrastrutture.
E' bene ricordare questa
categoria, che spesso é trascurata nelle analisi (ma non nella
prassi urbanistica!). Ogni politica di rilancio urbano, se ha
successo, genera una valorizzazione dello stock di capitale
urbano, e dunque un chiaro vantaggio per questa categoria di
cittadini. In conseguenza, sulla base di una solida argomentazione
di carattere economico, questa categoria potrebbe e dovrebbe
essere chiamata a contribuire al finanziamento delle politiche di
rilancio della città, attraverso forme moderne di fiscalità o di
convenzionamento.
C) Gli stake-holders, tutti coloro che hanno un
interesse collegato con il buon andamento della città-impresa: i
lavoratori (cioé gli occupati), i produttori (cioé le imprese) che
vendono sul mercato locale urbano o che si avvantaggiano
dell'efficienza della città per aumentare l'efficienza della loro
azione economica, e i fornitori (cioé i professionisti,
apportatori di competenze, e i costruttori, che realizzano i
singoli progetti).
In genere solo gli interessi degli occupati e,
ma non sempre, quelli delle imprese sono tenuti presenti
esplicitamente nella formulazione delle politiche di piano, mentre
degli altri, che costituiscono forti gruppi di interesse, si tace
spesso. In un processo di rinnovamento della politica urbana
(intesa non solo come policy ma anche come politics) questi gruppi
hanno un ruolo fondamentale, in quanto portatori sia di forti
istanze sociali sia di professionalità e capacità progettuali
indispensabili per il buon governo della città. La ricchezza del
dibattito nella società civile, la trasparenza dei modi di
attivazione degli interessi alle politiche di piano e diffusi
processi di partecipazione dal basso possono evitare la nociva
saldatura surrettizia che spesso si verifica fra professionisti
dell'urbanistica, costruttori, promotori immobiliari e Pubblica
Amministrazione.
D) I managers, cioé i policy-makers. Essi hanno il
compito della gestione non solo dell'attività urbana, ma anche dei
circuiti tecnici e politici fra i diversi partner che abbiamo
citato.
Le politiche urbane di tipo nuovo, innescate attraverso un
processo di Planning Strategico, cercano di avviare un circuito
virtuoso, il circuito del successo urbano (Figura 1). Esso si
manifesta insieme attraverso un piano strategico e un piano di
marketing urbano in direzione dei tre tipi di clienti
sopraricordati (famiglie residenti, lavoratori pendolari, imprese
interne ed esterne), finalizzato a:
-il mantenimento delle
residenze e delle imprese locali, e l'attrazione di nuove imprese,
attraverso azioni volte al miglioramento della qualità della vita
nella città, della qualità dell'ambiente fisico, della qualità dei
servizi e dei fattori di localizzazione per le imprese;
-l'aumento
(o il mantenimento, o l'upgrading qualitativo) dell'occupazione
urbana, e quindi del reddito locale e delle finanze pubbliche, da
utilizzare a loro volta per il finanziamento dei nuovi progetti;
-
l'aumento della domanda locale di competenza e di infrastrutture,
e dunque l'attivazione di ampie occasioni di lavoro qualificato
per gli stake-holders.
Questi obiettivi e questi interventi, a loro
volta, sono destinati ad aumentare il valore dello stock di
capitale urbano e a creare nuovi valori urbani sotto forma di
rendite sui suoli e sui fabbricati, di carattere differenziale (di
posizione) o assoluto (Camagni, 1992a, cap. 9). La canalizzazione
di una quota consistente della nuova rendita fondiaria così creata
in direzione della collettività, attraverso il prelievo fiscale
diretto o indiretto (imposte fondiarie, imposte sull'incremento di
valore degli immobili, contributi di miglioria, contributi per gli
oneri di urbanizzazione) costituisce un ultimo obiettivo del piano
strategico, cruciale sia in senso politico, per la creazione del
consenso collettivo, sia in senso tecnico, per garantire la
coerenza complessiva del progetto e per poter chiudere il circuito
virtuoso del successo urbano.
In caso di fallimento di questa
strategia, abbiamo invece un circolo vizioso di crisi urbana, con
la fuga dei residenti verso altre città o altre aree, la fuga di
imprese (i casi recenti di delocalizzazione di imprese da Torino a
Lione sono un esempio lampante), la fuga dei capitali alla ricerca
di occasioni di investimento in altre aree urbane, la fuga di
cervelli e di competenze.
In conclusione, la metafora della città
come grande impresa ci indica quali siano le interazioni rilevanti
e quali i gruppi che possono beneficiare di processi di sviluppo
qualificato della città. Di questi gruppi occorre avere chiara
percezione in quanto, da una parte, possono essere chiamati a
contribuire al finanziamento delle politiche di rivitalizzazione e
sviluppo urbano, e dall'altra sono i partner ideali per
cooperazioni pubblico-privato.
Ed é proprio a questi due temi
finali, la cooperazione fra pubblico e privato nella progettazione
e gestione dei grandi progetti urbani, e ai modi del loro
possibile finanziamento in condizioni di scarsità di risorse
pubbliche che volgiamo ora la nostra attenzione.
IL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO E IL PROJECT FINANCING
Questo intervento vuole
essere solo di carattere metodologico. Non mi soffermerò pertanto
sul tema dell'ampio deficit funzionale che una città come Milano
sta accumulando velocemente nei confronti delle maggiori città
europee, in termini soprattutto di infrastrutture moderne, di
servizi avanzati (ma anche non terribilmente avanzati, come quelli
di un centro congressi polifunzionale) e di qualità urbana (verde,
gestione del traffico e delle soste, organizzazione policentrica a
scala metropolitana); altri interventi in questo volume se ne
occupano diffusamente con competenza.
Voglio invece mettere
l'accento sulle condizioni finanziarie e istituzionali che possono
consentire, una volta innescato un nuovo ciclo di progettualità
urbana, di realizzare effettivamente le opere in tempi brevi senza
riversare sulle esangui finanze pubbliche l'intero costo delle
opere. Una nuova filosofia di cooperazione e partenariato pubblico-
privato deve svilupparsi, appoggiandosi da una parte su un
rinnovato rapporto di fiducia fra i due settori e dall'altra su
nuove forme tecnico-economiche di finanziamento.
Una nuova
integrazione fra pubblico e privato, orientata agli obiettivi del
benessere collettivo e della creazione e valorizzazione delle
risorse territoriali (e non più alla distribuzione di rendite di
monopolio, economico o burocratico), deve essere messa in atto già
nella fase della pianificazione generale, attraverso le procedure
cooperative e iterative previste dalla pianificazione strategica;
ma essa può dare i maggiori frutti soprattutto nella fase
successiva della progettazione e della realizzazione di opere
infrastrutturali e della predisposizione di nuovi servizi,
soprattutto in una città come Milano in cui esiste una domanda
elevata per una tale nuova offerta ed esistono le possibilità per
un suo finanziamento con risorse, private e pubbliche, di origine
locale.
Nell'ambito di un approccio tradizionale, tutto centrato
sull'intervento pubblico, non era affrontato il tema della
finanziabilità potenziale dei progetti con risorse almeno in parte
private.
Le decisioni infrastrutturali riguardavano dunque uno
spettro assai ristretto di progetti, e spesso si risolvevano in
elargizioni gratuite di esternalità non solo genericamente alla
collettività ma più direttamente a interessi ben localizzabili,
mai chiamati a contribuire all'iniziativa.
Con la riduzione delle
risorse a disposizione del settore pubblico, questo stato di cose
ha finito per penalizzare ampiamente l'intervento nella città, di
carattere innovativo o modernizzatore.
Con la nuova filosofia
partenariale, si aprono invece nuove possibilità di decisione e di
intervento: non solo la maggior parte dei progetti urbani può
autofinanziarsi attraverso la valorizzazione delle risorse
territoriali che genera e il cash-flow derivante dalla vendita dei
servizi, ma attraverso il risparmio di risorse pubbliche che si
ottiene é possibile sussidiare in modo incrociato anche progetti
di interesse non prioritario ma rilevanti per alcuni strati più
deboli della collettività.
Gli elementi che, dal punto di vista
della teoria economica e territoriale, generano precisi vantaggi
sfruttabili attraverso accordi di cooperazione fra pubblico e
privato, sono sostanzialmente tre:
-il fatto che le infrastrutture
e i servizi urbani di cui si tratta rivestano per la maggior parte
un caratterre di beni misti, a cavallo fra i beni pubblici puri e
i beni privati; se infatti da una parte ciò implica che il mercato
da solo non possa fornirli nella maniera (quantità, prezzo)
desiderabile, d'altra parte consente di individuare, accanto
all'interesse collettivo e alle esternalità generiche, alcuni
vantaggi appropriabili direttamente da alcune categorie di
privati. Queste categorie possono dunque, come si diceva in
precedenza, essere chiamate a contribuire alla copertura dei
costi, o attraverso strumenti fiscali appropriati o attraverso un
accordo complessivo che le veda partner dell'iniziativa;
-il fatto
che spesso, nel caso della fornitura di beni pubblici territoriali
localizzati, la Pubblica Amministrazione non si preoccupi della
loro piena valorizzazione, sia attraverso la fornitura di servizi
complementari che allarghino lo spettro dei possibili utenti, sia
attraverso decisioni di land-use sui suoli adiacenti che creino
plus-valori sfruttabili non già in senso privatistico ma in senso
collettivo (ad esempio utilizzandoli per il finanziamento delle
opere originarie);
-la maggiore efficienza del settore privato
soprattutto nella fase della realizzazione e del finanziamento
delle opere, a causa della presenza di più forti incentivi alla
riduzione dei costi e all'accorciamento dei tempi, ma anche spesso
nella fase della interpretazione dei bisogni e della domanda
potenziale e della progettazione dell'offerta.
Nel primo caso,
condizione indispensabile risulta la funzione di valutazione:
valutazione dell'impatto dell'opera, quantificazione dei vantaggi,
suddivisione degli stessi fra vantaggi collettivi indiretti (per i
quali si giustifica il sussidio pubblico), vantaggi collettivi
diretti (per i quali si pone un problema di ottima tariffazione) e
vantaggi privati diretti (per i quali si giustifica il contributo
privato) (Figura 2).
Nel primo e nel secondo caso si pone invece un
problema di disponibilità di strumenti fiscali adeguati. Nel
diritto anglosassone, il recupero delle esternalità che,
provenienti da un intervento pubblico, si risolvono in vantaggi
privati, avviene con le cosiddette betterment levies, imposte
sull'incremento di valore degli immobili; nel caso francese,
imposte locali sulle imprese nella forma del versement-transport
consentono di co-finanziare investimenti pubblici nel trasporto di
massa. Negli Stati Uniti il processo può assumere addirittura la
forma di auto-imposizione di un obbligo fiscale da parte dei
cittadini-proprietari residenti in un distretto urbano: essi
possono, a maggioranza semplice, approvare la istituzione di uno
Special Assessment District, autorizzato ad aumentare il prelievo
fiscale locale per finanziare la costruzione di nuove
infrastrutture.2
In Italia i contributi di miglioria specifica
applicati dagli Enti locali sulle proprietà immobiliari
interessate dagli effetti di infrastrutture pubbliche di trasporto
hanno contribuito in passato per un breve periodo a finanziare
quelle stesse infrastrutture (é il caso ad esempio della linea 1
della metropolitana di Milano), ma sono poi stati soppressi in
quanto si sosteneva fossero sostituiti dall'invim e
successivamente dalle diverse imposte patrimoniali.3
Nell'ambito
dell'attuale dibattito sul decentramento istituzionale, e in
particolare tributario, nel nostro Paese, un'attenzione tutta
particolare dovrebbe essere attribuita alla revisione
dell'imposizione fondiaria locale, in modo da renderla funzionale
ai nuovi compiti delle amministrazioni e alla loro
responsabilizzazione finanziaria. E' ben vero che oggi il
patrimonio immobiliare é gravato da imposizioni straordinarie di
entità rilevante, giustificate dalla disastrosa situazione della
nostra finanza pubblica, e che dunque imposte addizionali non
sarebbero probabilmente accettate nè accettabili; ma una
riflessione sulla modernizzazione dell'imposizione fondiaria in
un'ottica ordinaria di razionalità e di equità si impone comunque
come non procrastinabile.
Lo strumento del Project Financing si
inserisce in modo coerente nella logica che ho cercato di
tratteggiare. Infatti:
-esso consente di isolare finanziariamente
il progetto rispetto al patrimonio dei promotori, attraverso la
creazione di una società di progetto, e di finanziarlo sulla base
della sua redditività intrinseca. Ciò implica un'attenta
valutazione di questiultima, dei benefici sociali che possono
scaturire dal progetto e che giustificano l'attribuzione di
risorse pubbliche, delle possibilità di valorizzazione legate a
possibili operazioni a carattere immobiliare complementare
(parcheggi, centri commerciali, hotel, abitazioni, da costruire in
corrispondenza di un progetto infrastrutturale maggiore);
-esso
implica un partenariato pubblico-privato, in cui in genere l'Ente
pubblico fornisce una parte del capitale della società di progetto
e fornisce alcune garanzie ai finanziatori (per i progetti a
maggiore rischio); i promotori privati si impegnano per la parte
restante del capitale della società, mentre la parte preponderante
del fabbisogno finanziario é costituita da finanziamenti bancari,
variamente garantiti; contributi pubblici possono essere
attribuiti al progetto a fronte della imposizione di tasse di
scopo (expenditure-related taxes) a carattere locale, applicate al
reddito delle categorie che possono trarre i maggiori benefici dal
progetto o al patrimonio immobiliare che dal progetto può ricevere
una diretta valorizzazione;
-la società di progetto realizza,
sulla base di un criterio di trasparenza e di fiducia reciproca,
le transazioni e gli accordi con le società di costruzione e i
fornitori, oltre che con l'eventuale società di gestione, in modo
da dare al progetto la massima affidabilità in termini di tempo di
realizzazione, un elemento che incide in modo rilevante sui costi
(per interessi) e sui rischi (di mutamenti politici o
genericamente ambientali) del progetto stesso (Figura 3).
Un
vantaggio, indiretto ma non trascurabile, del ricorso ad accordi
di partenariato e a tecniche di Project Financing é costituito
infine dal fatto che la valutazione dei benefici dei progetti
infrastrutturali diviene un fatto esplicito e obbligato,
facilmente sottoponibile al vaglio della collettività. La
decisione sulle priorità di intervento e sulla sostenibilità dei
relativi oneri per la comunità locale può divenire in conseguenza
oggetto di una trasparente, democratica e matura valutazione
collettiva.
NOTE
1)-L'utilizzazione di questo strumento in ambito
urbano (ormai all'estero sono molte le esperienze: San Francisco,
1980; Los Angeles, 1989; Bilbao, 1990, Lione, 1991; Barcellona,
1991; Birmingham, 1992, Randstad Holland, 1991, Madrid, 1992;
Regione Lombardia, 1992,...) si spiega con queste sue
caratteristiche specifiche che ne fanno una filosofia e uno
strumento di pianificazione meno rigido e inflessibile, e più
capace di affrontare le sfide, ma anche di cogliere le
opportunità, che si manifestano nelle società complesse.
2)-Si
ricordano, fra gli altri, i casi di Los Angeles, Miami, Denver,
ove numerosi Sad sono stati istituiti per il finanziamento di
tronchi delle metropolitane.
3)-L'argomentazione non sembra
fondata: l'Invim é stata in parte un'imposta sull'inflazione, in
parte un'imposta sulla rendita assoluta, quell'incremento di
valore che si manifesta in certe aree urbane in modo simile su
tutti i suoli, per effetto di un aumento della domanda di città;
essa non tocca invece gli incrementi di valore che scaturiscono da
interventi specifici sull'accessibilità, localizzati in punti
particolari della città (rendita differenziale).
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