di Paolo Barbieri
FORDISMO E POSTFORDISMO
Le caratteristiche del
modello fordista sono state ampiamente presentate e discusse. Ci
limiteremo dunque a richiamarle per sommi capi, rimandando a
contributi pi� specifici (Salvati, 1990; Dore, 1988) per maggiori
approfondimenti. Il modello fordista, cos� come si � realizzato
fra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta, si fondava
sostanzialmente su alcune condizioni-base del processo di
accumulazione:
-un elevato tasso di crescita dell'offerta di
lavoro e parallelamente della produttivit� dello stesso.
Questiultima in particolare spiega lo sviluppo intensivo del
periodo postbellico;
-una forte crescita dei tassi di profitto,
dovuta sia all'aumento della produttivit� del lavoro, gi�
ricordata, che ai bassi costi delle materie prime. Tali condizioni
consentivano di assorbire l'incremento dei redditi monetari
interni, evitando in tal modo il sorgere di spinte
inflazionistiche;
-il lungo periodo di stabilit� monetaria,
conseguente all'assenza di impulsi inflazionistici sia
internazionali che interni: stabilit� monetaria, crescita
salariale e della produttivit� del lavoro erano difatti le
condizioni alla base dello specifico compromesso di classe
realizzato nel modello fordista;
-una stabilit� della domanda
globale interna, condizione che permetteva alle imprese una
pianificazione ottimale delle proprie attivit� produttive sul
lungo periodo, e conduceva a condizioni di equilibrio
macroeconomico fra domanda e offerta;
-una crescita costante del
commercio internazionale, a tassi doppi rispetto a quelli del
reddito interno ai singoli Paesi.
A questo modello di accumulazione
si accompagna uno specifico modello di organizzazione della
produzione, che ha visto nella catena di montaggio la
realizzazione dei princ�pi fordisti di meccanizzazione delle
successive fasi operative, e di quelli tayloriani di
parcellizzazione del lavoro. E' importante per� ricordare che se
l'essenza dell'organizzazione fordista si rivela nella
combinazione di predeterminazione dei tempi di lavoro attraverso
la meccanizzazione dello stesso e di parcellizzazione dei suoi
contenuti, il principio base dell'intero modello va ricercato
nella particolare organizzazione gerarchico-burocratica del lavoro
umano. Tale modello, originato dalle concezioni dell'ingegneria
sociale nordamericana, � impostato sulla netta separazione fra
funzioni progettuali e intellettuali, affidate a una �lite di
specialisti, e attivit� meramente esecutive affidate a una massa
di operatori sostanzialmente priva di reale qualificazione e
controllata da schiere di figure gerarchiche intermedie. Un
sistema simile � progettato per operare in condizioni stabilizzate
e rigidamente normate: assunto del modello infatti � che solo
dall'alto possa esserne intesa e governata la logica complessiva,
ragion per cui un'organizzazione verticistica rigidamente
gerarchico-burocratica ne � l'attuazione pratica.
Si tratta senza
dubbio di un modello di per s� portato a sviluppare notevoli
rigidit�, sia di tipo organizzativo e produttivo, che per quanto
riguarda le condizioni d'impiego della manodopera (e dunque le
relazioni industriali). Queste rigidit� tuttavia non si tradussero
in ostacoli al funzionamento complessivo del modo di produzione
fordista in quanto finirono con l'essere estremamente compatibili
fra loro e rispetto alle caratteristiche strutturali del modello
stesso. Il quale, pertanto, ha funzionato per decenni, senza che
gli effetti negativi di tali rigidit� venissero avvertiti.
Sar�
solo nel corso degli anni Settanta che il fordismo entrer�
definitivamente in crisi, allorch� si combinano una elevata
mutabilit� nelle condizioni dell'ambiente esterno in cui le
imprese operano, con le nuove possibilit� tecnologiche che
l'informatica e la robotica offrono in produzione.
In sintesi, la
crisi del modello sociale e produttivo fordista pu� essere letta
come conseguenza di una serie di fattori congiunti: ai costi
elevati che il gigantismo industriale comportava si somma
l'aumento dei costi di materie prime, energia e lavoro, variabili
sempre pi� cruciali data la crescente mondializzazione del sistema
degli scambi.
All'esaurimento del modello di consumi
indifferenziati di massa, proprio degli anni Sessanta e Settanta,
corrispondono un aumento della variabilit� del mercato e una
crescente instabilit� della domanda di beni, non solo sotto
l'aspetto quantitativo ma soprattutto dal punto di vista
qualitativo, in conseguenza della sempre maggiore
individualizzazione dei consumi stessi, favorita anche dalla
aumentata disponibilit� economica delle famiglie.
Questo ha fatto
s� che la capacit� di rispondere prontamente e in modo flessibile
alle variazioni dell'ambiente si ponesse come una vera e propria
risorsa per le imprese.
Per rispondere a questa sfida della
flessibilit� (Regini, 1988) le imprese indirizzano i processi di
razionalizzazione produttiva in funzione di obiettivi quali la
massima elasticit� e fungibilit� dei sistemi di produzione, la
riduzione dei capitali immobilizzati in scorte e magazzini,
l'utilizzo del minor numero di operatori necessari sulle linee. E'
la fabbrica snella, che ha nel just in time il proprio principio
organizzativo centrale. L'obiettivo diviene il far coincidere: "
il flusso dei beni manufatti e il flusso delle informazioni, cio�
il flusso della produzione fatta e il flusso della produzione da
farsi" (Bianchi, 1984).
Su un piano micro organizzativo, con le
nuove esigenze di flessibilit�, con l'aumento dei mix di versioni
e di allestimenti, con la riduzione della vita media dei prodotti,
mutano anche gli indici di efficacia nell'analisi dei processi
produttivi. Il concetto di tempo di produzione, variamente
articolato ma comunque tipico di una fase in cui la crescita
dell'efficienza si misurava secondo una logica di tipo
incrementale, viene sostituito dal tempo di attraversamento medio.
Prioritaria diventa quindi la riduzione della durata dei percorsi
produttivi, poich� un basso Tam significa minori tempi morti,
minori immobilizzazioni, maggiore prontezza nella messa in opera
di nuove produzioni, il tutto ottenuto in seguito al miglioramento
sistemico del tessuto connettivo organizzativo aziendale.
PERCORSI DI FUORIUSCITA DAL FORDISMO
Due sono i modelli analitici attraverso i quali � possibile analizzare i percorsi di fuoriuscita dal fordismo realizzati dalle imprese: quello delle aziende innovative a specializzazione flessibile, e quello neofordista. Si tratta di modelli antitetici sia dal punto di vista del tipo d'organizzazione d'impresa sottostante, sia per quanto concerne l'impatto micro organizzativo sul lavoro umano in contesti produttivi automatizzati.
Il modello di impresa a specializzazione flessibile
Sostengono i fautori della specializzazione flessibile
(Piore e Sabel, 1984) che, entrato in crisi il modello fordista
tradizionale, entrano in crisi anche i suoi precetti
organizzativi, primo fra tutti la separazione fra progettazione ed
esecuzione, ormai incompatibile con le esigenze di pronta
adattabilit� all'ambiente esterno e di flessibilit� richieste dal
passaggio da un'economia di scala a un'economia di scopo.
Si
tratta di un modello organizzativo che viene comunemente associato
con la particolarit� produttiva di diverse aree geografiche sia
italiane che europee, prevalentemente di piccola e media impresa.
In questi casi le possibilit� di flessibilizzare la produzione
offerte dalle nuove tecnologie informatiche consentono al sistema
azienda/subfornitori di indirizzare le produzioni verso beni
specifici e customerizzati, affrontando la crescente incertezza
dei mercati con la capacit� di pronta reazione ai mutamenti della
domanda.
Il successo di questi modelli d'impresa viene spiegato
con la particolare congiunzione di fattori economici e sociali,
vale a dire con l'agire delle istituzioni e dei sistemi di
relazioni sociali ed economiche condivise nell'ambito del
territorio (Bagnasco, 1977, 1988; Trigilia, 1985).
Dal punto di
vista della qualit� del lavoro, le nuove condizioni di produzione
affermatesi con l'introduzione dell'informatica e delle nuove
tecnologie di produzione flessibili, necessitano di lavoratori
altrettanto flessibili, polivalenti e altamente
professionalizzati, in grado di affrontare efficacemente le
varianze che il nuovo modo di produrre comporta (Kern e Schumann,
1991). In conseguenza del ruolo cruciale che la capacit� di
intervento riveste nelle nuove condizioni produttive
automatizzate, questi stessi lavoratori conserverebbero perci� la
capacit� di incidere sulle dimensioni processuali del ciclo
produttivo (regolazione, controllo, determinazione dei tempi e
delle modalit� di lavorazione), e ci� garantirebbe loro un forte
potere contrattuale nei confronti dell'impresa.
L'analisi empirica
ha verificato come questo percorso verso una riqualificazione del
lavoro produttivo2 non rappresenti un percorso proprio solo delle
piccole e medie imprese inserite in reti di attivit� o in
distretti industriali, ma sia riscontrabile anche in quei settori
centrali dell'industria e dell'economia in cui pi� elevata � la
valorizzazione del capitale: in particolare fra le industrie
meccaniche di produzione di beni d'investimento, le industrie
dell'auto e le imprese di processo tipiche del settore chimico
(Kern e Schumann, 1991).
Osservazioni sostanzialmente concordanti
vengono anche da quegli autori che pi� esplicitamente si
richiamano alla scuola regolazionista francese. Coriat in
particolare, � colui che pi� a lungo si � occupato dell'analisi
dei modi di produzione nelle societ� occidentali capitalistiche.
Egli ritiene che il passaggio dal fordismo al postfordismo sia
stato caratterizzato da tre mutamenti fondamentali, riconducibili
alla ricomposizione della divisione del lavoro taylorista, al
passaggio da una forma di competizione fra imprese centrata sulle
quantit� e i volumi prodotti alla competizione su qualit� e
differenziazione delle merci offerte; infine dall'importanza
assunta dalle nuove tecnologie di produzione flessibili.
Essi
avrebbero quindi condotto alla trasformazione della fabbrica in un
cantiere permanente di sperimentazione e di innovazione nella
gestione delle risorse umane. L'importanza di queste ultime
infatti � destinata a crescere in modo esponenziale, in
conseguenza del fatto che il lavoro produttivo � divenuto pi�
astratto e complesso, cio� sempre pi� attivit� intellettuale di
interpretazione di dati formalizzati forniti dai dispositivi
automatici. E pertanto meno gestibile secondo procedure
standardizzate.
L'impresa neofordista
Il modello dei distretti
industriali a specializzazione flessibile, in cui l'agire del
mercato viene temperato dai meccanismi connessi alle reti di
solidariet� comunitarie, si trova oggi a dover affrontare una
serie non indifferente di problemi legati alla crescente
internazionalizzazione degli scambi, alla crescita esponenziale
dei costi di R&S, alla necessit� di promuovere le proprie attivit�
su scala sempre pi� vasta (Onida e altri, 1992)
La crisi di molte
aree di piccola e media impresa ha le sue radici proprio in questo
tipo di difficolt�, a fronte della ritrovata competitivit� delle
grandi imprese, le quali ormai hanno portato a termine con
successo i propri percorsi di ristrutturazione.
Come gi� Coriat
(1990) sottolineava, il modello della Pmi a specializzazione
flessibile difficilmente pu� essere considerato economicamente
alternativo a quello della grande impresa, centrata sulle economie
di scala. Questo in quanto tale modello si rivela particolarmente
adatto a operare con profitto in mercati di dimensioni stabili,
all'interno dei quali la composizione per prodotti � mutevole,
mentre nel caso di domanda aggregata in crescita un modo di
produzione impostato sulla grande serie, giocoforza � destinato a
dimostrarsi pi� redditizio.
Il carattere peculiare dell'impresa
neofordista consiste infatti essenzialmente nel perseguire
economie di scala, associando produzione di massa e
differenziazione produttiva grazie ai sistemi di automazione
flessibile, combinati con la modularizzazione dei componenti base
dei prodotti. Se la flessibilit� ricercata infatti � fornita
(anche) dal prodotto, ne consegue che l'impianto pu� mantenersi
relativamente pi� rigido, meno versatile.
Questo tipo di
osservazioni nascono dalla verifica della maggior rigidit� che
talvolta moderni impianti automatizzati dimostrano in confronto ad
analoghe soluzioni tecniche e organizzative in uso sul finire
degli anni Settanta (Ciborra, 1986; Locke e Negrelli, 1989;
Carboni, 1991).
In questo senso pertanto, considerando il modello
dal punto di vista della qualificazione del lavoro, si � parlato
di taylorismo assistito dal calcolatore (Coriat, 1990) o di
flessibilizzazione della produzione di massa (Boyer, 1988), a
sottolineare come il modello neofordista tenda a superare le
rigidit� e i problemi della produzione di massa aumentando la
flessibilit� complessiva attraverso la combinazione di soluzioni
tecnico organizzative (modularizzazione e aumento delle varianti
di un prodotto) e motivazionali sui singoli, senza ricomporre la
frattura fra attivit� di progettazione/programmazione e attivit�
di esecuzione.
Queste non solo rimarrebbero sostanzialmente
divise, ma tale separazione sarebbe destinata ad aumentare in
seguito all'uso delle tecnologie informatiche di progettazione e
controllo della produzione ai fini di un maggior accentramento del
controllo e del sapere sul processo produttivo. A seguito della
destrutturazione delle attivit� lavorative, dell'aumento della
mobilit� e della polivalenza degli addetti, si realizzerebbe cos�
un processo di decomposizione delle mansioni, non seguito per�
dalla creazione di ruoli ricomposti ed effettivamente
professionali.
L'obiettivo della riduzione dei tempi di
attraversamento medi viene quindi perseguito mirando ad aumentare
i livelli di saturazione degli impianti, e fornendo agli addetti
solo quel livello minimo di conoscenze e di formazione sufficienti
ad assistere la macchina invece di governarla.
TRA NEOFORDISMO E NUOVE CONCEZIONI DELLA PRODUZIONE: ALCUNE CONSIDERAZIONI
ra neofordismo e
nuove concezioni della produzione: alcune considerazioniDa quanto
visto sin qui discende una prima considerazione, in merito ai
possibili termini di valutazione della qualit� del lavoro umano
nelle nuove condizioni di produzione postfordiste.
Si deve
riconoscere che il tempo di apprendimento della mansione il
classico indicatore della qualit� del lavoro in fabbrica non �
riproponibile sic et simpliciter nelle nuove condizioni di lavoro
mediatizzato, dove non si tratta pi� di imparare a fare, quanto
piuttosto di apprendere come far fare alla macchina automatizzata
il lavoro di trasformazione dei materiali. Ciononostante,
l'alternativa fra il possedere i codici e i linguaggi di
programmazione e il doversi limitare invece a compiti ausiliari
all'impianto, ripropone anche all'interno dei contesti produttivi
mediatizzati la classica distinzione fra lavoro manuale e lavoro
intellettuale come chiave di lettura dei processi e delle
trasformazioni in atto. Questa va per� attualizzata nel senso di
una maggior attenzione a quegli aspetti di autonomia, controllo,
responsabilit� e autodeterminazione dei tempi e degli interventi
sul processo, che oggi possono costituire gli aspetti
qualitativamente pi� avanzati del lavoro a contatto con tecnologie
automatizzate di produzione.
Astrazione e complessificazione del
lavoro pe-r�, possono essere trattate in modi differenti. Le
pluralit� delle culture d'impresa, la posizione sul mercato, le
scelte organizzative, sono solo alcune fra le variabili che
intervengono nel prefigurare una data modalit� di organizzazione
del lavoro umano nella fabbrica integrata postfordista. In questo
scenario, un ruolo non meno importante spetta a un insieme di
fattori istituzionali quali il sistema di formazione
professionale, il modello di relazioni industriali, gli attori
collettivi e le parti sociali coinvolte, con le loro scelte e
strategie, le politiche delle istituzioni di governo, locali e/o
nazionali.
In altri termini, una volta compreso come gli effetti
dell'innovazione tecnologica sulla qualit� complessiva del lavoro
umano in contesti mediatizzati non possano essere predefiniti in
senso deterministico, una volta quindi chiarita la complessit� dei
rapporti fra innovazione tecnologica, sviluppo economico e modelli
di organizzazione sociale, � necessario analizzare in concreto
come nelle specifiche condizioni proprie di ogni Paese possa
realizzarsi il passaggio fra micro e macro, cio� come un complesso
di elementi istituzionali si inserisca fra i mutamenti e le
innovazioni introdotte nel nostro caso a livello dei rapporti di
produzione e il particolare modello di organizzazione sociale che
si realizza.
Per cercare di chiarire l'agire di questo insieme di
fattori possiamo riferirci solo per brevi accenni, utili comunque
per introdurre la questione ai due casi meglio rappresentativi
dei modelli presentati, vale a dire l'esempio tedesco, e quello
americano-anglosassone.
Si tratta di due casi paradigmatici, e in
qualche modo rappresentanti dei tipi ideali, nel senso che
caratteristiche dei due modelli sono riscontrabili anche in
situazioni e Paesi differenti. Esemplificativa a questo proposito
� la situazione italiana, in cui possiamo ritrovare aree e aspetti
propri delle imprese a specializzazione flessibile, e imprese in
cui il modello neofordista sembra essere indiscutibile.
Il modello
della specializzazione flessibile realizza dunque un passaggio da
un modo di produzione fordista alla fabbrica integrata attraverso
interventi di selezione, riqualificazione e coinvolgimento degli
addetti, di allargamento delle competenze professionali, puntando
innanzitutto sulle risorse umane come fattore primario di
dinamismo e di efficienza. In questo modo si realizza una sorta di
circuito virtuoso, per cui l'elevata qualificazione del lavoro,
l'attenzione all'organizzazione del lavoro, permettono alle
imprese di realizzare produzioni diversificate di qualit�
superiore, e come tali remunerate sui mercati internazionali. Tale
riconoscimento economico della qualit� dei prodotti da parte del
mercato internazionale consente quindi la riproduzione di un
modello di lavoro di qualit�, a sua volta ben remunerato.3 Al polo
opposto troviamo invece il modello neofordista statunitense (ma
applicazioni di tale modello sono ben presenti anche in Italia!),
in cui la riduzione della quota di lavoro diretto e l'aumento del
controllo aziendale sul processo produttivo attraverso
l'automazione spinta dei processi vengono considerate il modo
migliore per massimizzare la profittabilit�. Tale scelta
strategica si traduce inevitabilmente in una precisa
configurazione del lavoro umano, il cui ruolo invece di essere
impostato secondo criteri di polivalenza professionale, autonomia
e responsabilit�, diviene prevalentemente quello di assistenza
passiva all'impianto, ai cui segnali l'operatore deve limitarsi a
rispondere nel minor tempo possibile, secondo codici e modalit�
predefinite dall'impianto stesso.
Su questi esiti opposti i fattori
istituzionali incidono in modo determinante: consideriamo il
sistema formativo. In Germania l'istituto dell'apprendistato
formativo pubblico � in grado di sviluppare nuove e qualificate
professionalit� operaie in collaborazione e in sintonia con i
bisogni dell'industria, e cos� facendo � alla base della creazione
di ruoli lavorativi ricomposti.
L'importanza di tale intervento
risalta ancor pi� considerando il caso statunitense, in cui un
sistema industriale storicamente impostato sui principi tayloristi
ha finito col considerare anche l'automazione un possibile modo
per rimpiazzare la qualificazione della forza lavoro. Ne �
conseguita quindi una massiccia disincentivazione degli interventi
in formazione, una scelta questa che negli anni Ottanta ha minato
alla base la capacit� del sistema di far fronte alla
concorrenzialit� giapponese. La risposta del sistema industriale
americano alla sfida nipponica � stata allora quella di puntare a
un ulteriore aumento della quota di automazione dei processi,
originando cos� un vero e proprio circolo vizioso che spesso ha
portato alla creazione di impianti talmente automatizzati da
risultare vulnerabili a causa dell'elevata rigidit� che li
caratterizzava.
Un secondo elemento da considerare � rappresentato
dal sistema di relazioni industriali. La pratica di coinvolgimento
e codeterminazione tedesca ha portato le organizzazioni sindacali
all'interno dei consigli di gestione delle imprese tedesche, e
questo elemento ha comunque avuto un effetto sul modello di
organizzazione sociale della produzione. Un effetto che perdura
anche scontando la notevole diseguaglianza fra le posizioni e le
garanzie di cui godono nel mercato del lavoro tedesco i lavoratori
autoctoni rispetto agli immigrati. Del resto proprio
dall'esistenza di un mercato del lavoro (messicano e sudamericano)
estremamente condizionabile hanno tratto vantaggio le grandi
imprese neofordiste statunitensi, le quali quindi hanno puntato
sulla ricerca di forme di flessibilit� a basso costo innanzitutto
esterne alle imprese stesse. Il che ci ricorda come le specifiche
modalit� di regolazione del fattore lavoro influiscano
direttamente sulle modalit� di organizzazione della produzione,
potendosi tradurre anche in una funzione di stimolo
all'innovazione nei confronti dell'impresa, qualora il costo di
tale fattore sia proporzionale alla professionalit� posseduta dai
lavoratori.
Da ultimo, � da considerare l'influenza dei fattori
politico-istituzionali Governi e Pubbliche Amministrazioni locali
nella regolazione dei rapporti di lavoro: essi hanno spesso potuto
indirizzare le scelte delle imprese sia attraverso la definizione
di condizioni normative, sia utilizzando il proprio ruolo (e
talora la propria capacit� di spesa) per favorire soluzioni
socialmente ponderate dei problemi industriali.
L'esempio tedesco
dell'accordo per la riduzione d'orario alla Volkswagen � solo uno
dei possibili casi che possono essere ricordati a questo
proposito; esempi pi� interessanti possono essere tratti anche
dall'esperienza italiana, a cominciare dall'accordo sul costo del
lavoro del 31 luglio i93 per giungere all'esperienza dei contratti
di solidariet�.
Questiultima forse � l'esempio pi� paradigmatico di
come l'intervento istituzionale possa regolare e gestire
situazioni di crisi e di riorganizzazioni produttive mirando a
collegare necessit� di riorganizzazione aziendali, obiettivi
solidaristici del mondo del lavoro ed efficienza dell'intervento
istituzionale, misurato attraverso il differenziale di costo per
la collettivit� rispetto a soluzioni pi� drastiche e meno
partecipative (Cigs, mobilit� pi� o meno lunga, prepensionamenti
ecc.). Riferendoci al solo dato lombardo, notiamo come la quota
dei CdS siglati sia passata dai 36 contratti del 1992 ai 260 del
1993, superando infine nei soli primi quattro mesi del 1994 la
soglia dei 200 contratti, per un complesso di circa 70.000
lavoratori coinvolti: una parte decisamente rilevante del mercato
del lavoro regionale.
L'intervento di un fattore istituzionale in
questo caso in primis il Ministero del Lavoro, anche se non va
trascurato il ruolo delle parti sociali ha dunque favorito un
determinato esito dei processi economici in atto nel mondo
produttivo, un esito che se guardiamo al rapporto fra esuberi
denunciati dalle aziende e numero dei lavoratori coinvolti dai
CdS, si � risolto in una effettiva redistribuzione degli effetti
economici della crisi produttiva.
NOTE
1)-In questa trattazione sono
stati usati i termini fordista e postfordista, al posto di
industriale e postindustriale, in quanto questiultima coppia
terminologica ci appare pi� carica di significati interpretativi
sull'evoluzione (pi� o meno necessaria e/o necessitata) delle
societ� industriali avanzate. Si tratta in effetti di un dibattito
assai ricco e articolato, che coinvolge tematiche quali la
centralit� del lavoro nell'identificazione dei gruppi sociali, il
ruolo degli attori collettivi, e le loro modalit� di aggregazione,
il futuro del conflitto, il modello di sistema di welfare che si
accompagna a tali forme di organizzazione sociale. Utilizzando la
distinzione fordista/posfordista pertanto operiamo una sorta di
limitazione del campo d'interesse alle trasformazioni di uno
specifico modo di produrre e di organizzare socialmente il momento
produttivo, avvenute per quanto concerne l'italia a cavallo
degli anni Ottanta.
2)-O meglio: di una parte di esso, quella
rappresentata in prevalenza dalla forza lavoro giovane e
qualificata, maschile, motivata e disponibile ad adattarsi
rapidamente ai mutamenti.
3)-Con ci� non vogliamo sostenere che il
modello tedesco, o a specializzazione flessibile, sia esente da
ombre. In particolare non � possibile dimenticarne la natura
potenzialmente disegualitaria. Questa si traduce, a partire
proprio dal mondo del lavoro, in un modello di economia e di
societ� profondamente differenziate e potenzialmente escludenti
tutte le fasce cosiddette deboli del mercato del lavoro. Ancora
una volta per� l'esito finale di tali processi dipender� da come
questi verranno gestiti e regolati dai soggetti
istituzionali.
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C. Trigilia, La regolazione
localistica: economia e politica nelle a