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Impresa & Stato N�27 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

TRA FORDISMO E POSTFORDISMO MODI DI REGOLAZIONE E PASSAGGI FRA MICRO E MACRO

di Paolo Barbieri


Il complesso di trasformazioni economiche e sociali che hanno interessato i Paesi industriali avanzati a cavallo fra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta costituiscono il momento centrale del passaggio da un complessivo modo di produzione e regolazione sociale fordista, a un successivo modo di produzione e regolazione sociale identificato come postfordista.1
Non a caso parliamo di modo di produzione e di regolazione sociale: con questo termine infatti si intende sottolineare espressamente il momento istituzionale come momento chiave nel fornire il quadro di riferimento normativo all'interno del quale hanno luogo i processi di trasformazione economico sociali.
Anche il passaggio quindi dal fordismo all'attuale organizzazione sociale dell'attivit� produttiva (per restare al nostro specifico tema) � stato regolato e gestito in modo differente nei diversi Paesi industriali avanzati in funzione degli attori istituzionali coinvolti o meno nel processo regolativo.
Non si tratta solo di un richiamo pi� o meno scontato alla lezione polanyiana sulla fondazione dell'economico da parte dell'istituzionale, quanto di ribadire la centralit� del momento regolativo su quello acquisitivo: del resto, capire le trasformazioni in atto, anticiparne i problemi connessi, le dinamiche sociali e le nuove domande che inevitabilmente sorgono nei momenti di rapida innovazione economico-sociale, costituisce l'impegno di quanti in prima persona si trovano a operare in ambiti istituzionali.
Come abbiamo anticipato, la nostra analisi riguarder� il tema delle trasformazioni avvenute all'interno di uno specifico modo di produzione.Si tratta di fenomeni che, per essere colti appieno nella loro portata, necessitano di una comprensione prima di tutto di tipo qualitativo. Per rendercene conto, proviamo a considerare l'evoluzione della struttura occupazionale dei settori industriali in Italia: questi occupavano nel 1960 il 33,8% della forza lavoro (6.865.000 addetti), e praticamente la stessa quota trenta anni pi� tardi (6.851.000 addetti nel 1990, pari al 32% della forza lavoro).
Per comprendere quindi la natura dei mutamenti che nel frattempo hanno completamente trasformato al suo interno il settore industriale italiano, il dato macro non � sufficiente: non ci consente di cogliere la profonda trasformazione qualitativa che � avvenuta nel modo di produrre.
Accanto a una complessiva riduzione della componente operaia della forza lavoro, a vantaggio di quella impiegatizia, l'introduzione di nuove tecnologie di produzione informatizzate ha modificato radicalmente il lavoro diretto, trasformando quindi il modo di lavorare in conseguenza del cambiamento avvenuto nel modo in cui le merci stesse vengono prodotte.
Tutto ci� ha profondi effetti sui destini professionali degli addetti, sia in termini di possibile riqualificazione del lavoro che, al contrario, di deskilling. Ma l'esito di tali processi non � n� casuale n� tantomeno deterministicamente imputabile alle tecnologie introdotte: ci� che emerge con chiarezza dagli studi e dal materiale di ricerca disponibile � infatti la rilevanza del tipo di intervento regolativo operato dalle istituzioni sociali e pubbliche intervenute nella gestione del processo.
Il dibattito sul passaggio da un modo di produzione fordista a uno postfordista, sar� dunque al centro della trattazione, e con esso le differenti valutazioni circa l'impatto congiunto di tecnologie produttive e modelli organizzativi contestualmente adottati sulla qualit� del lavoro industriale diretto.
Vedremo come in differenti contesti macroistituzionali l'esito di questo passaggio sia stato differente: questa considerazione se da un lato non fa che ribadire l'insufficienza di una prospettiva microsociologica di tipo deterministico nell'analisi dei fenomeni in questione, dall'altro riproporr� la necessit� di considerare l'importanza del ruolo dei fattori istituzionali nel definire i possibili esiti di tale processo di trasformazione.

FORDISMO E POSTFORDISMO

Le caratteristiche del modello fordista sono state ampiamente presentate e discusse. Ci limiteremo dunque a richiamarle per sommi capi, rimandando a contributi pi� specifici (Salvati, 1990; Dore, 1988) per maggiori approfondimenti. Il modello fordista, cos� come si � realizzato fra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta, si fondava sostanzialmente su alcune condizioni-base del processo di accumulazione:
-un elevato tasso di crescita dell'offerta di lavoro e parallelamente della produttivit� dello stesso. Questiultima in particolare spiega lo sviluppo intensivo del periodo postbellico;
-una forte crescita dei tassi di profitto, dovuta sia all'aumento della produttivit� del lavoro, gi� ricordata, che ai bassi costi delle materie prime. Tali condizioni consentivano di assorbire l'incremento dei redditi monetari interni, evitando in tal modo il sorgere di spinte inflazionistiche;
-il lungo periodo di stabilit� monetaria, conseguente all'assenza di impulsi inflazionistici sia internazionali che interni: stabilit� monetaria, crescita salariale e della produttivit� del lavoro erano difatti le condizioni alla base dello specifico compromesso di classe realizzato nel modello fordista;
-una stabilit� della domanda globale interna, condizione che permetteva alle imprese una pianificazione ottimale delle proprie attivit� produttive sul lungo periodo, e conduceva a condizioni di equilibrio macroeconomico fra domanda e offerta;
-una crescita costante del commercio internazionale, a tassi doppi rispetto a quelli del reddito interno ai singoli Paesi.
A questo modello di accumulazione si accompagna uno specifico modello di organizzazione della produzione, che ha visto nella catena di montaggio la realizzazione dei princ�pi fordisti di meccanizzazione delle successive fasi operative, e di quelli tayloriani di parcellizzazione del lavoro. E' importante per� ricordare che se l'essenza dell'organizzazione fordista si rivela nella combinazione di predeterminazione dei tempi di lavoro attraverso la meccanizzazione dello stesso e di parcellizzazione dei suoi contenuti, il principio base dell'intero modello va ricercato nella particolare organizzazione gerarchico-burocratica del lavoro umano. Tale modello, originato dalle concezioni dell'ingegneria sociale nordamericana, � impostato sulla netta separazione fra funzioni progettuali e intellettuali, affidate a una �lite di specialisti, e attivit� meramente esecutive affidate a una massa di operatori sostanzialmente priva di reale qualificazione e controllata da schiere di figure gerarchiche intermedie. Un sistema simile � progettato per operare in condizioni stabilizzate e rigidamente normate: assunto del modello infatti � che solo dall'alto possa esserne intesa e governata la logica complessiva, ragion per cui un'organizzazione verticistica rigidamente gerarchico-burocratica ne � l'attuazione pratica.
Si tratta senza dubbio di un modello di per s� portato a sviluppare notevoli rigidit�, sia di tipo organizzativo e produttivo, che per quanto riguarda le condizioni d'impiego della manodopera (e dunque le relazioni industriali). Queste rigidit� tuttavia non si tradussero in ostacoli al funzionamento complessivo del modo di produzione fordista in quanto finirono con l'essere estremamente compatibili fra loro e rispetto alle caratteristiche strutturali del modello stesso. Il quale, pertanto, ha funzionato per decenni, senza che gli effetti negativi di tali rigidit� venissero avvertiti.
Sar� solo nel corso degli anni Settanta che il fordismo entrer� definitivamente in crisi, allorch� si combinano una elevata mutabilit� nelle condizioni dell'ambiente esterno in cui le imprese operano, con le nuove possibilit� tecnologiche che l'informatica e la robotica offrono in produzione.
In sintesi, la crisi del modello sociale e produttivo fordista pu� essere letta come conseguenza di una serie di fattori congiunti: ai costi elevati che il gigantismo industriale comportava si somma l'aumento dei costi di materie prime, energia e lavoro, variabili sempre pi� cruciali data la crescente mondializzazione del sistema degli scambi.
All'esaurimento del modello di consumi indifferenziati di massa, proprio degli anni Sessanta e Settanta, corrispondono un aumento della variabilit� del mercato e una crescente instabilit� della domanda di beni, non solo sotto l'aspetto quantitativo ma soprattutto dal punto di vista qualitativo, in conseguenza della sempre maggiore individualizzazione dei consumi stessi, favorita anche dalla aumentata disponibilit� economica delle famiglie.
Questo ha fatto s� che la capacit� di rispondere prontamente e in modo flessibile alle variazioni dell'ambiente si ponesse come una vera e propria risorsa per le imprese.
Per rispondere a questa sfida della flessibilit� (Regini, 1988) le imprese indirizzano i processi di razionalizzazione produttiva in funzione di obiettivi quali la massima elasticit� e fungibilit� dei sistemi di produzione, la riduzione dei capitali immobilizzati in scorte e magazzini, l'utilizzo del minor numero di operatori necessari sulle linee. E' la fabbrica snella, che ha nel just in time il proprio principio organizzativo centrale. L'obiettivo diviene il far coincidere: " il flusso dei beni manufatti e il flusso delle informazioni, cio� il flusso della produzione fatta e il flusso della produzione da farsi" (Bianchi, 1984).
Su un piano micro organizzativo, con le nuove esigenze di flessibilit�, con l'aumento dei mix di versioni e di allestimenti, con la riduzione della vita media dei prodotti, mutano anche gli indici di efficacia nell'analisi dei processi produttivi. Il concetto di tempo di produzione, variamente articolato ma comunque tipico di una fase in cui la crescita dell'efficienza si misurava secondo una logica di tipo incrementale, viene sostituito dal tempo di attraversamento medio.
Prioritaria diventa quindi la riduzione della durata dei percorsi produttivi, poich� un basso Tam significa minori tempi morti, minori immobilizzazioni, maggiore prontezza nella messa in opera di nuove produzioni, il tutto ottenuto in seguito al miglioramento sistemico del tessuto connettivo organizzativo aziendale.

PERCORSI DI FUORIUSCITA DAL FORDISMO

Due sono i modelli analitici attraverso i quali � possibile analizzare i percorsi di fuoriuscita dal fordismo realizzati dalle imprese: quello delle aziende innovative a specializzazione flessibile, e quello neofordista. Si tratta di modelli antitetici sia dal punto di vista del tipo d'organizzazione d'impresa sottostante, sia per quanto concerne l'impatto micro organizzativo sul lavoro umano in contesti produttivi automatizzati.

Il modello di impresa a specializzazione flessibile

Sostengono i fautori della specializzazione flessibile (Piore e Sabel, 1984) che, entrato in crisi il modello fordista tradizionale, entrano in crisi anche i suoi precetti organizzativi, primo fra tutti la separazione fra progettazione ed esecuzione, ormai incompatibile con le esigenze di pronta adattabilit� all'ambiente esterno e di flessibilit� richieste dal passaggio da un'economia di scala a un'economia di scopo.
Si tratta di un modello organizzativo che viene comunemente associato con la particolarit� produttiva di diverse aree geografiche sia italiane che europee, prevalentemente di piccola e media impresa. In questi casi le possibilit� di flessibilizzare la produzione offerte dalle nuove tecnologie informatiche consentono al sistema azienda/subfornitori di indirizzare le produzioni verso beni specifici e customerizzati, affrontando la crescente incertezza dei mercati con la capacit� di pronta reazione ai mutamenti della domanda.
Il successo di questi modelli d'impresa viene spiegato con la particolare congiunzione di fattori economici e sociali, vale a dire con l'agire delle istituzioni e dei sistemi di relazioni sociali ed economiche condivise nell'ambito del territorio (Bagnasco, 1977, 1988; Trigilia, 1985).
Dal punto di vista della qualit� del lavoro, le nuove condizioni di produzione affermatesi con l'introduzione dell'informatica e delle nuove tecnologie di produzione flessibili, necessitano di lavoratori altrettanto flessibili, polivalenti e altamente professionalizzati, in grado di affrontare efficacemente le varianze che il nuovo modo di produrre comporta (Kern e Schumann, 1991). In conseguenza del ruolo cruciale che la capacit� di intervento riveste nelle nuove condizioni produttive automatizzate, questi stessi lavoratori conserverebbero perci� la capacit� di incidere sulle dimensioni processuali del ciclo produttivo (regolazione, controllo, determinazione dei tempi e delle modalit� di lavorazione), e ci� garantirebbe loro un forte potere contrattuale nei confronti dell'impresa.
L'analisi empirica ha verificato come questo percorso verso una riqualificazione del lavoro produttivo2 non rappresenti un percorso proprio solo delle piccole e medie imprese inserite in reti di attivit� o in distretti industriali, ma sia riscontrabile anche in quei settori centrali dell'industria e dell'economia in cui pi� elevata � la valorizzazione del capitale: in particolare fra le industrie meccaniche di produzione di beni d'investimento, le industrie dell'auto e le imprese di processo tipiche del settore chimico (Kern e Schumann, 1991).
Osservazioni sostanzialmente concordanti vengono anche da quegli autori che pi� esplicitamente si richiamano alla scuola regolazionista francese. Coriat in particolare, � colui che pi� a lungo si � occupato dell'analisi dei modi di produzione nelle societ� occidentali capitalistiche.
Egli ritiene che il passaggio dal fordismo al postfordismo sia stato caratterizzato da tre mutamenti fondamentali, riconducibili alla ricomposizione della divisione del lavoro taylorista, al passaggio da una forma di competizione fra imprese centrata sulle quantit� e i volumi prodotti alla competizione su qualit� e differenziazione delle merci offerte; infine dall'importanza assunta dalle nuove tecnologie di produzione flessibili.
Essi avrebbero quindi condotto alla trasformazione della fabbrica in un cantiere permanente di sperimentazione e di innovazione nella gestione delle risorse umane. L'importanza di queste ultime infatti � destinata a crescere in modo esponenziale, in conseguenza del fatto che il lavoro produttivo � divenuto pi� astratto e complesso, cio� sempre pi� attivit� intellettuale di interpretazione di dati formalizzati forniti dai dispositivi automatici. E pertanto meno gestibile secondo procedure standardizzate.

L'impresa neofordista

Il modello dei distretti industriali a specializzazione flessibile, in cui l'agire del mercato viene temperato dai meccanismi connessi alle reti di solidariet� comunitarie, si trova oggi a dover affrontare una serie non indifferente di problemi legati alla crescente internazionalizzazione degli scambi, alla crescita esponenziale dei costi di R&S, alla necessit� di promuovere le proprie attivit� su scala sempre pi� vasta (Onida e altri, 1992)
La crisi di molte aree di piccola e media impresa ha le sue radici proprio in questo tipo di difficolt�, a fronte della ritrovata competitivit� delle grandi imprese, le quali ormai hanno portato a termine con successo i propri percorsi di ristrutturazione.
Come gi� Coriat (1990) sottolineava, il modello della Pmi a specializzazione flessibile difficilmente pu� essere considerato economicamente alternativo a quello della grande impresa, centrata sulle economie di scala. Questo in quanto tale modello si rivela particolarmente adatto a operare con profitto in mercati di dimensioni stabili, all'interno dei quali la composizione per prodotti � mutevole, mentre nel caso di domanda aggregata in crescita un modo di produzione impostato sulla grande serie, giocoforza � destinato a dimostrarsi pi� redditizio.
Il carattere peculiare dell'impresa neofordista consiste infatti essenzialmente nel perseguire economie di scala, associando produzione di massa e differenziazione produttiva grazie ai sistemi di automazione flessibile, combinati con la modularizzazione dei componenti base dei prodotti. Se la flessibilit� ricercata infatti � fornita (anche) dal prodotto, ne consegue che l'impianto pu� mantenersi relativamente pi� rigido, meno versatile.
Questo tipo di osservazioni nascono dalla verifica della maggior rigidit� che talvolta moderni impianti automatizzati dimostrano in confronto ad analoghe soluzioni tecniche e organizzative in uso sul finire degli anni Settanta (Ciborra, 1986; Locke e Negrelli, 1989; Carboni, 1991).
In questo senso pertanto, considerando il modello dal punto di vista della qualificazione del lavoro, si � parlato di taylorismo assistito dal calcolatore (Coriat, 1990) o di flessibilizzazione della produzione di massa (Boyer, 1988), a sottolineare come il modello neofordista tenda a superare le rigidit� e i problemi della produzione di massa aumentando la flessibilit� complessiva attraverso la combinazione di soluzioni tecnico organizzative (modularizzazione e aumento delle varianti di un prodotto) e motivazionali sui singoli, senza ricomporre la frattura fra attivit� di progettazione/programmazione e attivit� di esecuzione.
Queste non solo rimarrebbero sostanzialmente divise, ma tale separazione sarebbe destinata ad aumentare in seguito all'uso delle tecnologie informatiche di progettazione e controllo della produzione ai fini di un maggior accentramento del controllo e del sapere sul processo produttivo. A seguito della destrutturazione delle attivit� lavorative, dell'aumento della mobilit� e della polivalenza degli addetti, si realizzerebbe cos� un processo di decomposizione delle mansioni, non seguito per� dalla creazione di ruoli ricomposti ed effettivamente professionali.
L'obiettivo della riduzione dei tempi di attraversamento medi viene quindi perseguito mirando ad aumentare i livelli di saturazione degli impianti, e fornendo agli addetti solo quel livello minimo di conoscenze e di formazione sufficienti ad assistere la macchina invece di governarla.

TRA NEOFORDISMO E NUOVE CONCEZIONI DELLA PRODUZIONE: ALCUNE CONSIDERAZIONI

ra neofordismo e nuove concezioni della produzione: alcune considerazioniDa quanto visto sin qui discende una prima considerazione, in merito ai possibili termini di valutazione della qualit� del lavoro umano nelle nuove condizioni di produzione postfordiste.
Si deve riconoscere che il tempo di apprendimento della mansione il classico indicatore della qualit� del lavoro in fabbrica non � riproponibile sic et simpliciter nelle nuove condizioni di lavoro mediatizzato, dove non si tratta pi� di imparare a fare, quanto piuttosto di apprendere come far fare alla macchina automatizzata il lavoro di trasformazione dei materiali. Ciononostante, l'alternativa fra il possedere i codici e i linguaggi di programmazione e il doversi limitare invece a compiti ausiliari all'impianto, ripropone anche all'interno dei contesti produttivi mediatizzati la classica distinzione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale come chiave di lettura dei processi e delle trasformazioni in atto. Questa va per� attualizzata nel senso di una maggior attenzione a quegli aspetti di autonomia, controllo, responsabilit� e autodeterminazione dei tempi e degli interventi sul processo, che oggi possono costituire gli aspetti qualitativamente pi� avanzati del lavoro a contatto con tecnologie automatizzate di produzione.
Astrazione e complessificazione del lavoro pe-r�, possono essere trattate in modi differenti. Le pluralit� delle culture d'impresa, la posizione sul mercato, le scelte organizzative, sono solo alcune fra le variabili che intervengono nel prefigurare una data modalit� di organizzazione del lavoro umano nella fabbrica integrata postfordista. In questo scenario, un ruolo non meno importante spetta a un insieme di fattori istituzionali quali il sistema di formazione professionale, il modello di relazioni industriali, gli attori collettivi e le parti sociali coinvolte, con le loro scelte e strategie, le politiche delle istituzioni di governo, locali e/o nazionali.
In altri termini, una volta compreso come gli effetti dell'innovazione tecnologica sulla qualit� complessiva del lavoro umano in contesti mediatizzati non possano essere predefiniti in senso deterministico, una volta quindi chiarita la complessit� dei rapporti fra innovazione tecnologica, sviluppo economico e modelli di organizzazione sociale, � necessario analizzare in concreto come nelle specifiche condizioni proprie di ogni Paese possa realizzarsi il passaggio fra micro e macro, cio� come un complesso di elementi istituzionali si inserisca fra i mutamenti e le innovazioni introdotte nel nostro caso a livello dei rapporti di produzione e il particolare modello di organizzazione sociale che si realizza.
Per cercare di chiarire l'agire di questo insieme di fattori possiamo riferirci solo per brevi accenni, utili comunque per introdurre la questione ai due casi meglio rappresentativi dei modelli presentati, vale a dire l'esempio tedesco, e quello americano-anglosassone.
Si tratta di due casi paradigmatici, e in qualche modo rappresentanti dei tipi ideali, nel senso che caratteristiche dei due modelli sono riscontrabili anche in situazioni e Paesi differenti. Esemplificativa a questo proposito � la situazione italiana, in cui possiamo ritrovare aree e aspetti propri delle imprese a specializzazione flessibile, e imprese in cui il modello neofordista sembra essere indiscutibile.
Il modello della specializzazione flessibile realizza dunque un passaggio da un modo di produzione fordista alla fabbrica integrata attraverso interventi di selezione, riqualificazione e coinvolgimento degli addetti, di allargamento delle competenze professionali, puntando innanzitutto sulle risorse umane come fattore primario di dinamismo e di efficienza. In questo modo si realizza una sorta di circuito virtuoso, per cui l'elevata qualificazione del lavoro, l'attenzione all'organizzazione del lavoro, permettono alle imprese di realizzare produzioni diversificate di qualit� superiore, e come tali remunerate sui mercati internazionali. Tale riconoscimento economico della qualit� dei prodotti da parte del mercato internazionale consente quindi la riproduzione di un modello di lavoro di qualit�, a sua volta ben remunerato.3 Al polo opposto troviamo invece il modello neofordista statunitense (ma applicazioni di tale modello sono ben presenti anche in Italia!), in cui la riduzione della quota di lavoro diretto e l'aumento del controllo aziendale sul processo produttivo attraverso l'automazione spinta dei processi vengono considerate il modo migliore per massimizzare la profittabilit�. Tale scelta strategica si traduce inevitabilmente in una precisa configurazione del lavoro umano, il cui ruolo invece di essere impostato secondo criteri di polivalenza professionale, autonomia e responsabilit�, diviene prevalentemente quello di assistenza passiva all'impianto, ai cui segnali l'operatore deve limitarsi a rispondere nel minor tempo possibile, secondo codici e modalit� predefinite dall'impianto stesso.
Su questi esiti opposti i fattori istituzionali incidono in modo determinante: consideriamo il sistema formativo. In Germania l'istituto dell'apprendistato formativo pubblico � in grado di sviluppare nuove e qualificate professionalit� operaie in collaborazione e in sintonia con i bisogni dell'industria, e cos� facendo � alla base della creazione di ruoli lavorativi ricomposti.
L'importanza di tale intervento risalta ancor pi� considerando il caso statunitense, in cui un sistema industriale storicamente impostato sui principi tayloristi ha finito col considerare anche l'automazione un possibile modo per rimpiazzare la qualificazione della forza lavoro. Ne � conseguita quindi una massiccia disincentivazione degli interventi in formazione, una scelta questa che negli anni Ottanta ha minato alla base la capacit� del sistema di far fronte alla concorrenzialit� giapponese. La risposta del sistema industriale americano alla sfida nipponica � stata allora quella di puntare a un ulteriore aumento della quota di automazione dei processi, originando cos� un vero e proprio circolo vizioso che spesso ha portato alla creazione di impianti talmente automatizzati da risultare vulnerabili a causa dell'elevata rigidit� che li caratterizzava.
Un secondo elemento da considerare � rappresentato dal sistema di relazioni industriali. La pratica di coinvolgimento e codeterminazione tedesca ha portato le organizzazioni sindacali all'interno dei consigli di gestione delle imprese tedesche, e questo elemento ha comunque avuto un effetto sul modello di organizzazione sociale della produzione. Un effetto che perdura anche scontando la notevole diseguaglianza fra le posizioni e le garanzie di cui godono nel mercato del lavoro tedesco i lavoratori autoctoni rispetto agli immigrati. Del resto proprio dall'esistenza di un mercato del lavoro (messicano e sudamericano) estremamente condizionabile hanno tratto vantaggio le grandi imprese neofordiste statunitensi, le quali quindi hanno puntato sulla ricerca di forme di flessibilit� a basso costo innanzitutto esterne alle imprese stesse. Il che ci ricorda come le specifiche modalit� di regolazione del fattore lavoro influiscano direttamente sulle modalit� di organizzazione della produzione, potendosi tradurre anche in una funzione di stimolo all'innovazione nei confronti dell'impresa, qualora il costo di tale fattore sia proporzionale alla professionalit� posseduta dai lavoratori.
Da ultimo, � da considerare l'influenza dei fattori politico-istituzionali Governi e Pubbliche Amministrazioni locali nella regolazione dei rapporti di lavoro: essi hanno spesso potuto indirizzare le scelte delle imprese sia attraverso la definizione di condizioni normative, sia utilizzando il proprio ruolo (e talora la propria capacit� di spesa) per favorire soluzioni socialmente ponderate dei problemi industriali.
L'esempio tedesco dell'accordo per la riduzione d'orario alla Volkswagen � solo uno dei possibili casi che possono essere ricordati a questo proposito; esempi pi� interessanti possono essere tratti anche dall'esperienza italiana, a cominciare dall'accordo sul costo del lavoro del 31 luglio i93 per giungere all'esperienza dei contratti di solidariet�.
Questiultima forse � l'esempio pi� paradigmatico di come l'intervento istituzionale possa regolare e gestire situazioni di crisi e di riorganizzazioni produttive mirando a collegare necessit� di riorganizzazione aziendali, obiettivi solidaristici del mondo del lavoro ed efficienza dell'intervento istituzionale, misurato attraverso il differenziale di costo per la collettivit� rispetto a soluzioni pi� drastiche e meno partecipative (Cigs, mobilit� pi� o meno lunga, prepensionamenti ecc.). Riferendoci al solo dato lombardo, notiamo come la quota dei CdS siglati sia passata dai 36 contratti del 1992 ai 260 del 1993, superando infine nei soli primi quattro mesi del 1994 la soglia dei 200 contratti, per un complesso di circa 70.000 lavoratori coinvolti: una parte decisamente rilevante del mercato del lavoro regionale.
L'intervento di un fattore istituzionale in questo caso in primis il Ministero del Lavoro, anche se non va trascurato il ruolo delle parti sociali ha dunque favorito un determinato esito dei processi economici in atto nel mondo produttivo, un esito che se guardiamo al rapporto fra esuberi denunciati dalle aziende e numero dei lavoratori coinvolti dai CdS, si � risolto in una effettiva redistribuzione degli effetti economici della crisi produttiva.

NOTE
1)-In questa trattazione sono stati usati i termini fordista e postfordista, al posto di industriale e postindustriale, in quanto questiultima coppia terminologica ci appare pi� carica di significati interpretativi sull'evoluzione (pi� o meno necessaria e/o necessitata) delle societ� industriali avanzate. Si tratta in effetti di un dibattito assai ricco e articolato, che coinvolge tematiche quali la centralit� del lavoro nell'identificazione dei gruppi sociali, il ruolo degli attori collettivi, e le loro modalit� di aggregazione, il futuro del conflitto, il modello di sistema di welfare che si accompagna a tali forme di organizzazione sociale. Utilizzando la distinzione fordista/posfordista pertanto operiamo una sorta di limitazione del campo d'interesse alle trasformazioni di uno specifico modo di produrre e di organizzare socialmente il momento produttivo, avvenute per quanto concerne l'italia a cavallo degli anni Ottanta.
2)-O meglio: di una parte di esso, quella rappresentata in prevalenza dalla forza lavoro giovane e qualificata, maschile, motivata e disponibile ad adattarsi rapidamente ai mutamenti.
3)-Con ci� non vogliamo sostenere che il modello tedesco, o a specializzazione flessibile, sia esente da ombre. In particolare non � possibile dimenticarne la natura potenzialmente disegualitaria. Questa si traduce, a partire proprio dal mondo del lavoro, in un modello di economia e di societ� profondamente differenziate e potenzialmente escludenti tutte le fasce cosiddette deboli del mercato del lavoro. Ancora una volta per� l'esito finale di tali processi dipender� da come questi verranno gestiti e regolati dai soggetti istituzionali.

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