Camera di Commercio di Milano

4. Le imprese come "colla" 

Consideriamo la debolezza delle forze politiche che dovrebbero accompagnare l'operazione "Nazione italiana in uno Stato europeo" e garantire il consenso necessario, mentre le forze che spingono per la secessione incalzano e possono far leva proprio sulle inefficienze dello Stato. 

Nella ricerca delle componenti che all'interno della società nazionale possano affiancarsi e in parte surrogare la capacità coesiva delle forze politiche e del nostro Stato, occorre richiamare l'attenzione sul possibile ruolo dell'Impresa. 

La prospettiva europea sta infatti esercitando un impatto significativo non solo sulle istituzioni formali dei Paesi aderenti ma anche su quell'istituzione che nel mondo moderno è l'impresa. 

La possibilità delle imprese di scegliere un ambiente istituzionale e un'offerta di servizi pubblici diversi svolge un'influenza oggettivamente politica sulle tensioni tra territorio ed istituzioni statali. 

L'impresa non rappresenta più solo l'unità elementare di produzione, ma è anche il principale motore dell'innovazione, che realizzando la sintesi tra scienza e capitale finisce con l'essere un vero soggetto di storia, oltre a mutare l'organizzazione sociale e le stesse forme di rappresentanza. 

In un sistema politico-amministrativo contraddistinto dall'identificazione del territorio su cui incide era del tutto naturale che le funzioni pubbliche convergessero verso il centro, ma l'impresa moderna intrattiene col territorio un rapporto completamente diverso da quello dei cittadini. È venuta di qui la spinta al trasferimento decisivo di alcuni poteri, vuoi ad organismi internazionali o europei, vuoi ad altri di dimensione sub-nazionale. 

A tutto questo vanno aggiunti i cosiddetti giudizi dei mercati, ormai assimilabili a quelli divini quando si tratta di riscontrare, ammettere o escludere scelte di governi o parlamenti nazionali, fino a ieri presunti sovrani. 

La loro importanza si spiega ancor meglio se si considera che la loro influenza, anche elettorale, va continuamente crescendo attraverso i rapporti che ogni impresa intrattiene direttamente coi suoi lavoratori, consumatori, azionisti, nonché attraverso il controllo dei media. 

Nell'Europa a quindici, nel 1992, c'erano 15,43 milioni di imprese extra-agricole con 102,7 milioni di occupati che il Mercato comune sta completamente ristrutturando con la costruzione di una rete di connessioni che non seguono più i tradizionali schemi di complementarità fra zone interne allo stesso Paese, ma va a poco a poco realizzando una vera e propria rete europea, nella quale i diversi sottosistemi locali o regionali si collegano prescindendo largamente da riferimenti nazionali. 

Se l'impresa avrà la convinzione che i suoi rapporti col mondo operativo sono meglio regolati (amministrativamente, legislativamente eccetera) da un'autorità politico-economica italiana vi si riferirà con favore, altrimenti non esiterà ad auspicarne l'aggiramento a vantaggio di un autorità di nazionalità o livello alternativo. 

Qual è allora il ruolo che ha giocato e gioca l'impresa sul rischio di rottura del nostro Paese? 

Sarà utile distinguere tra grandi e piccole.

Le globali, le multinazionali e le medio grandi - essendo nettamente dalla parte del più convinto europeismo avranno probabilmente un atteggiamento di sostanziale indifferenza. Queste imprese sono all'origine stessa dell'unificazione economica europea (si pensi alla CECA, al MEC) e hanno avuto una funzione determinante nel far sorgere quella istituzione politico-amministrativa a struttura tecnocratico-funzionale che è oggi la Commissione. 

Questo mondo ha tendenzialmente manifestato un atteggiamento di favore per la sopravvivenza delle organizzazioni, non solo istituzionali ma anche politiche a carattere nazionali, privilegiando questa dimensione alle alternative sub-nazionali. Nel caso poi delle imprese coinvolte con le attività delle grandi reti (dalle infrastrutture ai servizi di pubblica utilità) questa preferenza può ritenersi ulteriormente esaltata, se non altro per le esigenze di standard, connessioni, clearing. 

Il quadro cambia quando dalle grandi imprese si scende alle piccole. La loro stessa natura le mette in condizione di non poter intrattenere rapporti diretti con i livelli di potere che esulano dall'ambito locale. 

È qui che si pone per loro la disfunzionalità tra il livello sub-nazionale e quello nazionale, che non può essere risolta sulla base di considerazioni meramente tecniche. La piccola-media impresa sul territorio non ha infatti solo "i piedi" (come, per fare un esempio, la Fiat a Melfi), ma ci vive, in stretto rapporto con una molteplicità di altre imprese simili, concorrenti, fornitrici, clienti. 

Ed è in questo quadro di plurimi rapporti tra economie interne e esterne che si dipana l'intenso sistema di relazioni che ha caratterizzato la crescita non solo economica ma sociale, culturale e politica di intere parti del nostro Paese e che la letteratura di settore ha ampiamente descritto come "distretti industriali". 

Ma i rapporti col fisco nazionale sono oggi - anche la dove le evasioni possono pure rimanere elevate - un fenomeno economico e politico ben diverso da quello degli anni '60. Quando il rapporto con l'Amministrazione nazionale mette l'impresa in condizione di inefficienza inaccettabile rispetto ad altri sistemi produttivi, è ovvio il salto a piè pari nel carro europeo. Il bisogno di un'organizzazione diversa prevale e le ragioni dell'Unità vengono così irrimediabilmente travolte: gli Alpini continuano ad andare benissimo ma il D-Mark pure.

A questo quadro va inoltre aggiunta un'ulteriore variabile, perché la situazione muta di nuovo secondo le provenienze territoriali (e i settori) delle stesse piccole e medie imprese. 

Prendiamone una del Sud. 

Qui, per prima cosa, altre imprese con le quali instaurare relazioni produttive ce ne saranno poche. Poche altresì le strutture civili e pubbliche alle quali chiedere collaborazione locale; lontane, magari a Milano, le imprese di servizi avanzati alle quali chiedere collaborazioni per operazioni da effettuare anche solo in Europa; inefficiente il Comune e l'ufficio della Regione. Se poi un'isola d'efficienza si trova, essa ha i centri nervosi lontani e magari farà capo a una istituzione direttamente o indirettamente dello Stato. È immaginabile in queste condizioni una rivendicazione anti statuale, una proposta di separazione? 

Che cosa ci si può attendere dunque dalla piccola e media impresa sulla questione che ci interessa? Una potenziale minaccia di alleanza con le forze di secessione per la parte collocata dove il sentimento diffuso è proteso all'efficacia e all'utilità. Invece un atteggiamento unitario nei contesti strutturalmente deboli della società nazionale. Da qui, allora, l'impressione che questo mondo di 5 milioni di imprese (che rappresenta una popolazione di forse 15 milioni di persone, una costituency con caratteristiche specifiche) possa, a certe condizioni, rappresentare una componente essenziale nello sforzo per tenere il Paese "incollato" pur nel travaglio dell'unificazione europea. 

Un mondo che, almeno nella sua parte più cospicua (le imprese del Nord), per poter dare la propria piena collaborazione ha bisogno di alcune condizioni. 

C'è infatti una serie di requisiti strutturali di innovazione nel modo di concepire l'organizzazione dello Stato che questo tipo di interessi richiede: 

  1. la organizzazione dei mercati richiede metodi di governo adeguati alla complessità dei rapporti esistenti sulle reti, più attenti ai nodi che al centro. Di qui la necessità di sostituire ai tradizionali logiche di government (che individuano poteri formalizzati, che applicano modelli rigidi) le più raffinate logiche della governance, basate su sistemi di regole più che su poteri; 
  2. chi opera su reti di rapporti metanazionali ha prima di tutto l'esigenza di interloquire con istituzioni ad hoc la cui natura contrasta radicalmente con quella delle vecchie amministrazioni a raggiera tipiche della logica ministeriale. L'esperienza delle varie "agencies", della rete delle Camere di Commercio - per fare degli esempi - dimostra che il problema di raccordare territorialità, funzionalità, reticolarità dentro, e non soltanto tra, le amministrazioni chiamate al rapporto stretto con l'impresa non richiede soltanto qualche formale riorganizzazione degli apparati del vecchio Stato centralista; 
  3. ciò è possibile se si rafforza il ruolo anche nell'ambito nazionale e locale di strutture funzionali che seguono la stessa logica di quelle comunitarie. Per le imprese sono sì importanti le autonomie territoriali, ma appaiono ancor di più adeguati agli assetti propri delle autonomie funzionali; 
  4. le imprese tendono a preferire quei sistemi organizzati che - rispetto alle loro esigenze di operare su reti di dimensioni varie (globali, europee, nazionali, sub-nazionali ) - realizzano una efficace integrazione fra la dimensione operativa e la dimensione "politica". In altri termini, occorre superare quella che appare una contraddizione tra il rafforzarsi del livello sovranazionale e il ricorso al pluralismo autonomistico. Per la qualcosa occorre prevedere sistemi di raccordo tra i due piani funzionale e autonomistico, impostati secondo una logica sconosciuta alla tradizione gerarchico-funzionale degli Stati-Nazione. 
  5. il produttore di libri italiani o di prodotti tipicamente nazionali continuerà a trovare nelle regole emanate in Italia il suo referente naturale. La dimensione nazionale rimane centrale anche per molti fattori di produzione, come la forza lavoro, certi tecnici, certi fornitori; si pensi al mondo dell'istruzione scolastica, universitaria e professionale; 
  6. molti fenomeni tipici delle piccole e medie imprese non hanno scale e ambiti coincidenti con le linee di frattura oggi in discussione a livello politico (Regioni o Padania). La loro ricomposizione in rete tende semmai ad avvenire lungo linee funzionali metanazionali la cui naturale collocazione è Bruxelles. 
In una parola, l'impresa giudica qualunque disegno di politica istituzionale sulla base dell'esistenza di un chiaro disegno di riorganizzazione istituzionale, esteso oltre che alle istituzioni del Mercato Unico anche a quelle nazionali. 

La nostra imprenditoria è la prima a chiedere un assetto istituzionale nel quale impresa e società risultino compatibili e sinergiche e sa che democrazia elettiva e democrazia degli interessi sono realtà che oggi percorrono orbite diverse. 

È un grave errore ritenere che l'ambito economico-produttivo sia caratterizzato dalla legge del più forte e dall'autoritarismo: semmai, si tratta di una organizzazione di persone, di associazioni, di strutture sindacali e para-istituzionali che segue linee di rappresentanza diverse, nelle quali il legame tra aggregazioni territoriali e funzionali è assai complesso. 

Questa realtà, che rappresenta una delle più grandi risorse di cui il Paese dispone, ha una storia di partecipazione e di democrazia sostanziale che risale a ben prima del suffragio universale e dunque può essere condotta a condividere un disegno di ricomposizione della nostra società nazionale. Ma questo può verificarsi solo con una proposta politica di nuova statualità, di profonda trasformazione degli apparati del nostro Stato e della nostra Pubblica Aministrazione.


Sintesi da "L'Italia si e' rotta?" di Piero Bassetti, Laterza,1996
 

  

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