Camera di Commercio di Milano

5. Una nuova statualità

La proposta politica di cui il Paese ha bisogno deve piacere al Sud come al Nord. Dovrà inoltre suggerire i modi per agganciare alla rete del Mercato Comunitario la sotto-rete dei cinque milioni di imprese italiane; dovrà, ancora, indicare i raccordi funzionali ad autonomie, imprese, Europa; dovrà da ultimo avere la capacità di indicare i modi per far contare di più in Europa un Paese maggiormente unito. Ma non basta: occorre una statualità adatta non solo ai raccordi interni con le autonomie territoriali e funzionali delle imprese, ma anche a connettersi con la nuova statualità europea. Una nuova statualità disegnata altresì in modo da consentirle la traversata, lunga e complessa, attraverso i procedimenti costituzionali previsti dalla nostra Carta. 

Per la verità negli ultimi decenni il processo riformatore del nostro impianto istituzionale e costituzionale non è stato caratterizzato da totale immobilismo: pensiamo alle nostre adesioni a clausole europee con le quali si sono rivoluzionati rilevanti aspetti del nostro assetto precedente, anche in certe materie costituzionali che in passato erano gelosa prerogativa del Principe. 

Quanto si è fatto però non basta.

Lo Stato-Nazione in Europa è nato centralista. Il nostro pure. Un carattere del resto storicamente comprensibile per l'Italia: lo Stato centrale era infatti per noi, alla fine dell'800, una garanzia forte di stabilizzazione sociale per un Paese ancora diviso in plurime realtà culturali e socio-econonomiche. 

Oggi è inesorabilmente giunto il tempo per tutta la classe politica di abbandonare il presupposto di una presunta immaturità della Nazione a rimanere una senza la corazza costrittrice di uno Stato accentratore. 

Prima della U.E., nel vecchio continente erano gli Stati nazionali centralisti e unitari a tenere unite le società nazionali. Con l'Europa il rapporto è cambiato. Solo una nuova statualità può far giocare insieme, per scelta, le diverse parti delle Nazioni variamente sollecitate dalle nuove articolazioni della geografia europea.

Ma ridurre l'intero tema delle autonomie al solo livello territoriale è una battaglia sbagliata perché insieme insufficiente ed impossibile. Le forze sociali, le autonomie locali e le autonomie funzionali rappresentano infatti tre poteri in netta crescita, ma purché ben raccordati tra loro. 

Ma anche se i poteri centralistici arretrano, il policentrismo, così forte sul piano sociale, è però ancora debole su quello istituzionale. 

La vera novità non è infatti quella della ripresa delle autonomie territoriali. La novità è che, a poco a poco, comincia a farsi strada la scoperta che, in uno Stato moderno, poliarchia e pluralismo non sono astrazioni. 

Dietro il principio di sussidiarietà, c'è sì una tendenza storico-politica - il rilancio delle libertà, tutte le libertà - ma c'è anche un esigenza di efficienza organizzativa delle strutture di regolazione e di governo delle società e delle economie moderne. Un'esigenza che supera, anche senza soppiantarli, i vecchi triangoli neo-corporativi a favore della maggiore democratizzazione propria dei sistemi a rete. 

I sistemi senza centro - appunto a rete, e come tali governabili solo, o quasi solo, agendo sui nodi e comunque tramite regole, anziché comandi e indicazioni dal centro - buttano invece in grande sconcerto gran parte della nostra classe politico-amministrativa. Il che non succede, invece, alla classe dirigente imprenditoriale abituata da sempre - quando non è monopolista - a governare processi a rete, autocollocandosi piuttosto che mandando.


Sintesi da "L'Italia si e' rotta?" di Piero Bassetti, Laterza,1996

  

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