Impresa
& Stato n°48
L’EURO E IL SISTEMA
ECONOMICO ITALIANO
La moneta unica
è solo la punta di un iceberg, la cui massa è costituita
dall'integrazione strutturale dei mercati.
di
Mario
Monti
Poco
tempo ci separa dall'avvento dell'Euro, ma esso già influenza in
modo decisivo lo scenario economico internazionale, europeo e italiano.
La costituzione di un polo finanziario europeo paragonabile, per dimensione
e dinamismo, agli Stati Uniti, sta già avendo un impatto positivo
sui mercati finanziari a livello mondiale. L'imminenza dell'Euro ha infatti
fornito un "effetto scudo", proteggendo il sistema monetario e finanziario
europeo dalle perturbazioni asiatiche e russe, perché rappresenta
il segno tangibile non solo di una ormai raggiunta politica di stabilità
monetaria in Europa, ma anche di un lungo processo di convergenza delle
economie reali in Europa. Eppure, malgrado questi "riconoscimenti" da parte
dei mercati mondiali, la moneta unica rappresenta solo il punto di partenza
di una profonda trasformazione ancora da venire delle economie europee
e in particolare dell'economia italiana. La moneta unica è solo
la punta di un iceberg, la cui massa è costituita dall'integrazione
strutturale dei mercati: l'Unione economica e monetaria ha due componenti,
e gli strumenti per migliorare la competitività, l'efficienza e
la convergenza dei sistemi economici sono rappresentati dal buon funzionamento
del mercato interno. Con la moneta unica per la prima volta sarà
possibile un autentico confronto dei prezzi delle merci e dei servizi da
un paese all'altro, a beneficio dei consumatori e delle imprese, il che
rafforzerà la concorrenza e svilupperà gli scambi. Ma la
spinta verso la modernizzazione e l'impulso verso crescita e nuova occupazione
dipenderanno dal buon funzionamento dei mercati, dalla loro capacità
di fornire le informazioni necessarie a garantire la migliore allocazione
delle risorse all'interno dell'insieme dell'area comunitaria. Bisogna garantire
la corretta e totale applicazione delle regole definite in comune, abolire
gli ostacoli o restrizioni ancora esistenti, rendere più flessibili
le capacità di adattamento alle nuove condizioni della concorrenza
in tutti i mercati, dei beni, servizi, capitali, e anche del lavoro. Molto
rimane da fare per quanto riguarda l'adempimento delle regole del mercato
unico: malgrado i recenti progressi, di cui dobbiamo dare atto agli Stati
membri, dobbiamo tuttavia riscontrare che circa il 15% delle direttive
esistenti non sono recepite simultaneamente negli ordinamenti nazionali
dei quindici Stati membri, mancando all'appello almeno uno di essi. Il
"Piano d'azione" per il Mercato Unico proposto dalla Commissione europea,
e sottoscritto dal Consiglio europeo di Amsterdam, indicava con precisione
scadenze, modalità e procedure per assicurare il rispetto delle
regole già in vigore entro la fine del 1999 e l'impegno da parte
degli Stati membri ad adottare nel più breve tempo le misure legislative
tuttora mancanti. A Vienna, alla fine dell'anno, faremo un consuntivo e
presenteremo delle analisi approfondite sul grado di integrazione raggiunto
dai diversi mercati, con una particolare attenzione al mercato dei capitali
e ai servizi finanziari in quanto "cinghia di trasmissione" per lo sviluppo
dell'Euro.
LA SITUAZIONE
ITALIANA
Purtroppo sono spiacente
di dover constatare che l'Italia non ha rispettato gli impegni sottoscritti
e anzi è scivolata indietro nella graduatoria dei diversi paesi
per quanto riguarda il rispetto del mercato unico, passando dal dodicesimo
al quattordicesimo posto, penultimi prima del Belgio. Il "deficit di recepimento"
è ancora molto alto: il 6,8%. Eppure l'Italia è fra i paesi
che più hanno bisogno di ingranare una marcia superiore per migliorare
la competitività delle proprie imprese e del sistema economico generale.
Il compito investe tutti: imprenditori, lavoratori e sistema pubblico.
Occorre infatti un miglioramento anche dei costi "esterni" all'impresa.
La competitività, nell'economia moderna, è sempre più
misurata per l'insieme del "sistema-paese". Con questa preoccupazione ho
avanzato, qualche tempo fa, la proposta di procedere all'elaborazione di
un vero "programma" di liberalizzazione e modernizzazione del sistema economico
italiano comprendente innanzitutto il funzionamento dei mercati, incluso
quello del lavoro, così come il livello della dotazione infrastrutturale,
del sistema educativo e formativo. Sono convinto che la Pubblica Amministrazione
e la sua capacità di attuare gli investimenti pubblici sia parte
fondamentale di questo programma volto a migliorare l'efficienza del sistema
produttivo italiano. Così si potranno ottenere, fra l'altro, anche
rapidi miglioramenti nel risanamento delle finanze pubbliche (che deve
rimanere un impegno costante del paese) e della disoccupazione (tramite
la formazione, il collocamento, ecc.). All'interno di questa "programmazione
delle liberalizzazioni" un'attenzione particolare deve essere assicurata
alla flessibilità del mercato del lavoro, che è la strada
maestra per garantire ai giovani un avvenire migliore.
EFFICIENZA E RISANAMENTO
Tutti
i governi, e al più alto livello, hanno riconosciuto che l'apertura
effettiva dei mercati e il loro corretto funzionamento è l'unica
via per migliorare l'efficienza dell'economia europea e dare così
attuazione a quel "risanamento strutturale" indispensabile ad accompagnare
il "risanamento di bilancio", già largamente avviato, ma che va
mantenuto senza esitazioni, per dare forza e credibilità alla moneta
unica. L'opinione pubblica, le forze sociali e politiche, oggi lamentano
una mancanza di governo economico dell'Europa, che viene giustamente visto
come una condizione necessaria alla crescita e all'occupazione. Ebbene,
è proprio questo il nostro obiettivo: tentiamo di definire, cioè,
gli indirizzi di riforma economica in grado di accelerare il processo di
modernizzazione dell'economia europea, migliorare la sua competitività
in un mondo sempre più globalizzato onde poter assicurare uno sviluppo
stabile e duraturo. Questi indirizzi verrebbero inclusi negli Orientamenti
di politica economica da sottomettere alla decisione del Consiglio dei
Ministri. Vorrei portare un esempio che ritengo molto parlante. Giustamente
da più parti si sottolinea lo squilibrio fra i vincoli molto stringenti
in termini di finanza pubblica imposti dal Trattato di Maastricht per essere
ammessi alla moneta unica, e la pressoché totale assenza di regole
comuni sull'altro versante del bilancio pubblico, e cioè la politica
tributaria. Questo è effettivamente una grave carenza, derivante
dalla regola del voto all'unanimità per ogni decisione fiscale,
che limita il raggio d'azione dei governi nazionali su un capitolo essenziale
della politica economica degli Stati. Abbiamo cominciato a porvi rimedio,
persuadendo i governi che è nel loro stesso interesse coordinare
alcune forme di tassazione diretta, che ciò non implica alcuna limitazione
della sovranità nazionale ma, al contrario, permette di recuperare
a livello comunitario parte della sovranità persa in favore dei
mercati. La nostra analisi ha fatto breccia: l'esercizio illimitato della
concorrenza fiscale fra gli Stati membri attraverso la moltiplicazione
di regimi fiscali preferenziali ha portato alla diminuzione di 10 punti
della pressione fiscale sui capitali, mentre, nello stesso periodo, essa
è aumentata di 7 punti sul fattore lavoro. La ragione è che
mentre è agevole attirare, attraverso agevolazioni fiscali, i fattori
mobili quali i capitali in provenienza dei paesi vicini (sottraendo loro
in questo modo base fiscale), questo non avviene per il lavoro, fattore
poco mobile, sul quale invece si pone il carico fiscale maggiore. Le conseguenze
negative per l'occupazione sono facilmente intuibili. Siamo così
riusciti a ottenere un accordo unanime dei ministri delle Finanze lo scorso
1° dicembre 1997 su un pacchetto di misure contro la concorrenza fiscale
"nociva". Non tutte le forme di concorrenza fiscale fra gli stati devono
essere bandite, tutt'altro: l'Europa ha bisogno di una minore pressione
fiscale. Non intendiamo costruire un cartello degli Stati contro i mercati
e contro le imprese. Ma intendiamo, questo sì, eliminare una serie
di paradisi fiscali che rendono l'inferno fiscale più grave per
la generalità dei contribuenti i sistemi fiscali europei. L'imposizione
deve diminuire, ma per poterlo fare occorre procedere in modo ordinato
e coordinato fra gli Stati. Anche l'Italia, e anzi soprattutto l'Italia,
ha bisogno di ridurre la pressione fiscale. Tuttavia non potrà farlo
che gradualmente, a causa dell'ingente peso del debito pubblico. L'azione
che conduciamo a livello comunitario per un maggior coordinamento delle
politiche tributarie non può che essere benefica ad un processo
di riduzione progressiva delle aliquote fiscali in Italia. Malgrado ciò,
il risanamento stabile e duraturo del nostro paese non può prescindere
da interventi strutturali sulla spesa pubblica corrente. L'attuale sistema
pensionistico comporta prestazioni che non potranno essere sostenute in
futuro a causa dell'andamento divergente tra natalità e invecchiamento.
Credo che la consapevolezza stia crescendo nel paese, soprattutto fra i
giovani e i disoccupati: la riforma del sistema previdenziale è
ormai una necessità non più eludibile. Essa darebbe certezza
a tutti, anche a chi è per il momento "garantito", ma che non può
ancora sapere quale parte del suo risparmio odierno deve essere destinato
alla previdenza futura. Ho delineato gli aspetti che mi sembrano più
rilevanti affinché l'Italia, dopo il lodevole sforzo e i consistenti
"sacrifici" accettati da tutti i cittadini per entrare a far parte dell'Euro
sin dall'inizio, possa cominciare ad accumulare, attraverso la competitività,
quei "dividendi dell'Euro" che potrà poi distribuire. Senza riformare
e liberalizzare i mercati, questo non sarà possibile in tempi brevi.
Anzi, accumulare ritardi può significare non solo non beneficiare
appieno dei vantaggi della moneta unica, ma anche divergere in modo strutturale
dalle economie degli altri paesi dell'Unione.
  
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